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Radio: dalla passione alla professione

C’era una volta la radio… e c’è ancora. Questo mezzo di comunicazione di massa nato negli anni ’20 è riuscito nel tempo a resistere alla concorrenza degli altri mass media, televisione in testa. Ha cambiato le sue forme, le sue dimensioni ma non l’appeal che esercita sul pubblico che ancora oggi l’ascolta incantato. Non solo come medium ha saputo cavalcare l’avvento delle nuove tecnologie, in particolare del digitale, ma ha saputo ben servirsene per cambiare ed evolversi ad altri tipi di fruizione. Tanto che oggi la radio mantiene un ruolo centrale nel panorama mediale italiano.


Ma cominciamo con un può di storia … la radio in Italia è nata in coincidenza con la conquista del potere dei fascisti. I primi incontri tra Marconi e Mussolini sono del 1922. E nel 1924 l’allora  ministro delle Comunicazioni Galeazzo Ciano diede il via libera alla fusione tra la società di Marconi, Radiofono, e quella della Western Electric, SIRAC. Nacque così l’Unione radiofonica italiana (URI) che nel 1928 divenne l’Ente italiano per le audizioni radiofoniche (EIAR) con capitale privato. Esso però finì ben presto sotto il controllo del regime e la radio divenne così strumento di propaganda del fascismo e delle sue avventure militari e coloniali. Si diffusero a macchia d’olio i punti di ascolto nelle scuole, nei caffè, nei ristoranti e nelle piazze e la radio divenne il più popolare mezzo di penetrazione del regime nelle masse. A quel tempo il suo ascolto era un ascolto prevalentemente di gruppo. Anche le sue dimensioni si prestavano a questo tipo di fruizione: siccome gli apparecchi erano enormi non esisteva più di una radio a famiglia e quando si ascoltava lo si faceva in religioso silenzio come se si trattasse di un mezzo dotato di chissà quali magici poteri. Lo stesso meccanismo psicologico, ma con conseguenze più rilevanti, scattava quando l’ascolto avveniva nelle piazze o nei luoghi pubblici: era inevitabile che la gente si identificava con la voce, quella regime, che veniva da lontano e riusciva ad accomunare individui con messaggi coinvolgenti.

Per questo data la grande irruenza della radio diversi studios
i di comunicazione e psicologia cercarono di dare definizioni che potessero ben descrivere quale valenza e quale ruolo avesse la radio. Una delle più famose è sicuramente quella del massmediologo Marshall McLuhan che la etichettò come “mezzo caldo”, ovvero mezzo che capace di coinvolgere completamente l’ascoltatore offrendogli un messaggio altamente definito e completo: il pubblico di un medium caldo non ha spazi da colmare, non può aggiungere nulla a quello che gli viene proposto se non il suo coinvolgimento e una sorta di abbandono totale. Umberto Eco ha successivamente chiarito questa classificazione di McLuhan:” Un medium caldo – sostiene Eco – ti occupa solo un senso e non ti lascia spazio per interagire: ha una forza ipnotica. Al contrario un medium freddo ti occupa vari sensi, ma ti assale in modo frammentato, e ti richiede di collaborare per riempire, connettere, elaborare quel che ricevi. L’autonomia dell’ascoltatore della radio mezzo caldo è sommersa dall’onda d’urto del messaggio radiofonico che tutto si prende e ti prende.

Oggi la radio è diventata un mezzo di comunicazione di massa prevalentemente individuale e ha lasciato il ruolo di medium caldo, coinvolgente senza partecipazione, alla televisione sempre più grande nelle dimensioni, sempre più ricca di immagini piene di pixel, sempre più supportata da suoni avvolgenti, insomma, sempre più ricca di “definizione”. Considerata per anni la “sorella cieca” della televisione e destinata ad una rapida obsolescenza, la radio conosce in questi anni una grande,inattesa ma meritata ripresa. Il connubio con internet, ancora difficile per la televisione, rende la radio ancor più dinamica.  All’origine di questa riscoperta della radio c’è soprattutto una voglia di informazione da parte del pubblico che non trova adeguata soddisfazione nella carta stampata e nella televisione.

Alla radio si chiede ciò che solo essa può dare:
informazione essenziale, chiara, precisa, tempestiva, senza orpelli e senza gli eccessi della spettacolarizzazione dei telegiornali. Dalla radio ci si aspetta di più:un modello di comunicazione efficace, amichevole, che giornali e tivù non sempre riescono a realizzare.Il suo fascino resta e sta tutto nella voce e nella fantasia che riesce a suscitare in chi l’ascolta. Il suo, infatti, è un linguaggio leggero quasi una forma di flusso continuo che somiglia alla conversazione. Con queste caratteristiche la radio riesce a raggiungere una vasta platea, resta accesa, quasi come rumore di fondo, fa compagnia ed è poco impegnativo ascoltarla sia i programmi musicali che quello informativi si distinguono nella semplicità e nell’immediatezza: brevità degli interventi, ritmo e tempestività infatti sono gli ingredienti fondamentali del linguaggio radiofonico di oggi.

In radio, in effetti, la prima regola è la breve durata degli interventi. La brevità è fondamentale: la radio ha poco tempo a disposizione e non può permettersi lungaggini. Anche se non bisogna esagerare: l’eccesso di brevità non è gradito dagli ascoltatori. La radio, inoltre, oltre ad avere molte virtù che la rendono compagna gradevole ha anche il difetto di essere molto esigente: questo mezzo non tollera la distrazione e soprattutto non tollera ciò che provoca la distrazione o il calo della concentrazione. Una delle cause più evidente del calo dell’attenzione è infatti la prolissità dei testi: un testo troppo lungo è inascoltabile, non riesca a trattenere la nostra attenzione. Il ritmo invece non significa velocità. Una lettura troppo veloce quasi sempre non è un pregio. Ritmo significa modulare la voce, dargli una certa cadenza, senza di esso un testo rischia di diventare piatto, noioso e interminabile, mentre è necessaria una cadenza adeguata che aiuta l’ascolto e contribuisce a mantenere desta l’attenzione, fungendo da stimolo alla percezione e alla comprensione, alleggerendo la gravità degli argomenti trattati e creando la sensazione di un fluire continuo del parlato, in un’armonica successione di parole che filano una dietro l’altra senza ingorghi e sovrapposizione.

Ultima caratteristica la tempestività cosa che altri mezzi come la televisione e i giornali non riescono a fare. Tutto questo rende la sua comunicazione efficace ed amichevole. La radio inoltre ha contribuito moltissimo a rendere familiari alcune espressioni. Il suo lessico vivace è stato in grado di divulgare termini poco usati e innovativi. Soprattutto i giornali radio sono diventati nel tempo potenti strumenti di diffusione culturale e linguistica, tanto che questo mezzo assolve oltre alla determinante funzione di informare anche quella di formare: esso è veicolo di formazione culturale e linguistica, grazie alla sua immediatezza, capacità di penetrazione e alla sua ricchezza e potenzialità.

In radio la realtà è nelle mani del giornalista
che la racconta. Nessuno può aiutarlo… è solo mentre nella televisione ci sono le immagini che passano davanti agli occhi del telespettatore
che aiutano il telecronista oltre ai numerosi supporti legati alle riprese e a quello del regista che può intervenire ogni qual volta il giornalista è in difficoltà. Il mondo di internet che con le web radio sta aprendo nuovi orizzonti alla radio. Al matrimonio con la rete la radio è arrivata prima della televisione… sapiente connubio tra il piacere del testo radiofonico e i doni che la parola umana offre nella comunicazione. Questo nuovo rinascimento della radio va colto come una sfida da quanti operano a vario titolo nel settore… la radio non si può realizzarla bene se non la si ama particolarmente come una estensione della nostra persona, del nostro corpo e della nostra voce.

Passione, tenacia entusiasmo e pochi soldi …
è vero le testimonianze che ho ascoltato durante l’incontro all’Università sono molto simili ad un’esperienza diretta raccontatami da una mia cara amica che appena laureata in Scienze della Comunicazione ha cominciato a lavorare in radio … uno stage dietro l’altro in redazioni importanti … ma di contratti veri e di retribuzione accettabile neanche a parlarne, solo la possibilità di diventare pubblicista. Anche per lei lavorare in radio significa tanta passione, ma anche tanta fatica, sudore… si sta sempre in pista correndo da una parte all’altra per seguire conferenze, raccogliere voci fare interviste a persone importanti ma anche a gente comune… poi tornare in redazione, riversare ciò che hai raccolto dentro quell’apparecchietto che si chiama minidisk su computer dove puoi tagliare frasi che non servono, respiri troppo lunghi persino correggere un piccolo difetto di balbuzie … poi infine montare il servizio, aggiungere la tua voce, integrarla con il contributo raccolto e se vuoi con una musica appropriata in testa e in coda, alzando dove serve il volume o abbassandolo fino a far sparire qualsiasi suono se vuoi ….

Poi la diretta, parlare al microfono
da un’adrenalina difficile descrivere a parole … se immagini le facce delle persone che ti stanno ascoltando rischi di andare in panico … forse meglio pensare ad una persona cara, cui stai raccontando qualcosa che ti è successo … così con familiarità, raccontando semplicemente la tua storia, la notizia che vuoi far conoscere…

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