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70 anni della RAI: l’amore e l’odio per l’animazione Giappponese in Italia

Il 3 gennaio 1954 alle ore 11, la prima annunciatrice Rai Fulvia Colombo diede il via alle trasmissioni televisive regolari della Rai, la tv pubblica italiana.

“La Rai − Radiotelevisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”.

Da allora, la Rai ha accompagnato la vita degli italiani con programmi di informazione, cultura, intrattenimento e spettacolo, raccontando gli eventi storici, le trasformazioni sociali, le mode e le tendenze, le passioni e le emozioni di generazioni di telespettatori. Tra i generi che hanno caratterizzato la programmazione della Rai, c’è l’animazione giapponese, nota anche come anime, che ha avuto un ruolo fondamentale nella diffusione e nella popolarità di questo tipo di produzione nel nostro paese.

Per celebrare i 70 anni della tv pubblica, la Rai ha organizzato una serie di iniziative e di appuntamenti speciali, che ripercorrono la sua lunga e ricca storia, attraverso filmati d’archivio, testimonianze, interviste e documentari. La Rai ha anche coinvolto il suo pubblico, invitandolo a condividere i propri ricordi e le proprie emozioni legate alla tv, attraverso il sito web e i social network. Con l’hashtag #70annidirai, gli utenti hanno potuto inviare foto, video, commenti e testimonianze, che sono stati raccolti e pubblicati in una sezione speciale del portale rai.it.

In questo articolo, vogliamo ripercorrere il legame storico tra la Rai e gli anime, che ha inizio negli anni ’70 e prosegue fino ai giorni nostri, tra successi e polemiche, tra censure e restauri, tra fascino e critica.

Gli anni ’70: l’inizio dell’invasione Giapponese

L’Italia è stata uno dei paesi occidentali pionieri nell’importazione di anime, soprattutto tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta. In quel periodo furono acquistate oltre un centinaio di serie, più di quanto avvenisse in qualsiasi altro paese occidentale. Questo fenomeno si verificò sia grazie alla Rai che alle emittenti private liberalizzate nel 1976, in particolare le reti che successivamente sarebbero diventate Fininvest, ma anche altre realtà locali. Questo è stato definito come una pacifica “invasione”.

La svolta nella diffusione degli anime in Italia si verificò nella seconda metà degli anni settanta, quando la televisione di Stato iniziò ad importare serie televisive. Il 13 gennaio 1976, Rai 2 trasmise Barbapapà, il primo anime giapponese trasmesso in Italia. Seguirono Vicky il vichingo nel gennaio 1977, e Heidi e Atlas UFO Robot nel 1978. Queste serie ebbero un grande successo di pubblico e di critica, grazie alla loro qualità narrativa e visiva, alla loro originalità e alla loro capacità di affrontare temi universali e attuali.

Questi anime introdussero anche alcuni elementi tipici dell’animazione giapponese, come la cura dei dettagli, la profondità dei personaggi, la presenza di tematiche sociali e storiche, e la capacità di suscitare emozioni. Questi elementi si distinguevano da quelli dell’animazione occidentale, spesso più semplice e stereotipata, e contribuirono a creare una generazione di appassionati e di cultori di questo genere.

Gli anni ’80: il boom e la censura

A partire dalla metà degli anni ottanta, a causa di una crescente campagna di demonizzazione degli anime da parte dell’opinione pubblica, la Rai iniziò a importare sempre meno serie. In Italia, infatti, a partire dagli anni ottanta, l’animazione giapponese subì una censura sistematica durante la trasmissione su reti nazionali. Ciò avveniva attraverso adattamenti invasivi e incongrui, traduzioni superficiali dei copioni originali, tagli e modifiche arbitrarie. A causa di un equivoco culturale che considerava l’animazione rivolta solo ai bambini, molti anime destinati ad adulti o adolescenti erano adattati per un pubblico molto più giovane. I dialoghi venivano modificati per renderli più adatti a una platea infantile e venivano tagliate sequenze o puntate considerate inadatte ai bambini. Questa pratica è stata oggetto di critiche da parte di associazioni di genitori, giornalisti e psicologi.

Gli anni ’90 e 2000: la riscoperta degli anime

Per quanto riguarda la Rai, i primi tentativi di trasmissione integrale si verificarono con alcune serie del World Masterpiece Theater su Rai 1 e il film Akira su Rai 3. Nel 2000-2001, Rai 2 trasmise vari film e speciali TV della saga di Dragon Ball. Con l’avvento della televisione digitale terrestre, Rai 4 iniziò a trasmettere regolarmente anime in versione integrale, incluso l’utilizzo delle sigle di apertura e chiusura originali.

Dal 2009, anche la Rai ha ripreso a trasmettere animazione giapponese su Rai 4, con serie come Gurren Lagann e Code Geass: Lelouch of the Rebellion. Queste serie hanno confermato la vitalità e la ricchezza dell’animazione giapponese, che ha saputo affrontare temi attuali e universali, come l’amicizia, l’amore, il coraggio e la libertà.

La Rai ha quindi svolto un’importante funzione culturale e educativa, portando in Italia gli anime e facendoli conoscere e apprezzare da diverse generazioni di spettatori. La Rai ha anche contribuito a creare un legame tra l’Italia e il Giappone, due paesi lontani geograficamente ma vicini per sensibilità e affinità

Maria Merola

Maria Merola

Laureata in Beni Culturali, lavora nel campo del marketing e degli eventi. Ama Star Wars, il cosplay e tutto ciò che riguarda il mondo del fantastico, come rifugio dalla realtà quotidiana. In particolare è l'autrice del blog "La Terra in Mezzo" dedicato ai miti e alle leggende del suo Molise.

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