Nel vastissimo e leggendario arazzo tessutoci dal maestro J.R.R. Tolkien, pochi artefatti hanno esercitato un’influenza così profonda e perversa come l’Unico Anello. Non si tratta di un semplice gioiello magico, ma di un vero e proprio fulcro narrativo, un motore che ha guidato gli eventi de “Lo Hobbit” e dell’epica saga de “Il Signore degli Anelli“. La sua storia, però, è molto più complessa di quanto si possa pensare, un racconto di ambizione, tradimento e, in ultima analisi, di un’ossessione che ha consumato persino il suo stesso creatore.
Tutto ha inizio in una delle epoche più creative e pericolose di Arda, la Seconda Era. Gli Elfi, maestri inarrivabili dell’arte orafa, avevano perfezionato le loro abilità grazie ai geni artigiani dell’Eregion. In questo crogiolo di eccellenza emerse un nome destinato a restare nella storia: Celebrimbor, discendente diretto di Fëanor, il leggendario creatore dei Silmaril. Celebrimbor incarnava la perfezione dell’arte elfica, e la sua maestria attirò l’attenzione di un ospite inatteso. Sauron, il Signore Oscuro, che aveva ben chiaro il potenziale di questo talento, si infiltrò nell’Eregion assumendo le sembianze di Annatar, “il signore dei doni”. Fingendosi un benevolo istruito, elargì ai maestri orafi elfici conoscenze che portarono la loro arte a livelli inimmaginabili, culminando nella forgiatura dei diciannove Anelli del Potere. Nove furono destinati agli Uomini, sette ai Nani e tre agli Elfi.
Ma c’è un dettaglio cruciale che separa questi anelli. I tre anelli elfici, Vilya, Nenya e Narya, furono forgiati da Celebrimbor da solo, senza l’influenza corruttrice di Sauron. E proprio questi anelli, puri e incontaminati, divennero l’obiettivo di Sauron. Desideroso di dominarli tutti, forgiò un nuovo anello, l’ultimo della serie. In un gesto di suprema arroganza e immane potere, Sauron creò l’Unico Anello, versando in esso una parte del suo stesso essere e del suo potere, nei fuochi del Monte Fato. L’obiettivo era chiaro e semplice: controllare, asservire e corrompere tutti i portatori degli altri anelli. E per un certo periodo, ci riuscì. Quando indossava il suo anello, Sauron era una forza della natura, quasi invincibile. Durante la Guerra dell’Ultima Alleanza, la sua presenza in battaglia era tale che solo i più grandi guerrieri dell’epoca, come Gil-galad ed Elendil, osarono affrontarlo. Entrambi caddero, ma in quel momento di apparente trionfo, l’anello si rivelò la sua rovina. Isildur, il figlio di Elendil, afferrò i frammenti della spada Narsil e recise il dito di Sauron, privandolo dell’anello. Questo atto lo spogliò di gran parte del suo potere e lo costrinse a una temporanea fuga dalla sua forma fisica.
E qui risiede il grande paradosso. L’Unico Anello, creato per asservire gli altri, finì per schiavizzare il suo stesso creatore. Tolkien stesso suggerisce che, in un modo quasi inquietante, l’Anello aveva un’influenza cosciente. Sebbene Sauron fosse conosciuto come “Il Signore degli Anelli“, la sua brama per il gioiello non era puramente una ricerca di potere esteriore. Era un’ossessione personale, una brama che lo rendeva schiavo. Le sue due spedizioni per conquistare la Terra di Mezzo nella Seconda Era finirono in fallimento, prima con l’affondamento di Númenor e poi con la sua sconfitta per mano di Isildur. In entrambi i casi, la sua dipendenza dall’Anello lo aveva reso vulnerabile, riducendolo a una figura quasi spettrale, un’ombra consumata dalla fame di riavere ciò che gli era stato sottratto.
Durante la Terza Era, questa ossessione divenne totale. Sauron, pur avendo la possibilità di conquistare il mondo, concentrò tutte le sue energie nella ricerca dell’Anello. La Terra di Mezzo era un mezzo per un fine, ma il fine ultimo era riappropriarsi del potere simboleggiato da quell’anello. Non poteva sopportare l’idea che qualcun altro potesse brandire il suo potere contro di lui, una paura alimentata dalla stessa influenza che l’Anello esercitava su tutti i suoi portatori, da Smeagol a Bilbo. È un’ironia amara che il grande Signore Oscuro, il signore della manipolazione e del dominio, fosse a sua volta manipolato e dominato dalla sua stessa creazione.
In fondo, il vero “Signore degli Anelli” non è Sauron, ma l’anello stesso. Un artefatto che trascende il concetto di semplice strumento di potere. È la rappresentazione tangibile della corruzione, un oggetto che può piegare la volontà di chiunque, persino quella del suo stesso creatore. La sua storia non è solo un racconto di guerra e di magia, ma un’esplorazione profonda della natura del potere, della sua capacità di sedurre, di distorcere e, infine, di distruggere chiunque lo tocchi, persino un essere che lo aveva forgiato con la propria essenza. Una lezione che, anche a distanza di decenni, continua a risuonare potentemente tra le pagine di uno dei più grandi capolavori fantasy di sempre.
Sei d’accordo che il vero potere risiedesse nell’Anello stesso, o pensi che Sauron avesse ancora un controllo superiore?











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