C’è qualcosa di profondamente poetico in un titolo come Elio. Un nome semplice, diretto, quasi anonimo, come potrebbe essere quello del tuo compagno di banco alle medie o del vicino di casa. Eppure, dietro quelle quattro lettere si nasconde l’eroe più inaspettato dell’universo Pixar, l’ultimo baluardo di un’animazione capace di guardare alle stelle per parlare di noi, della nostra umanità e di come, a volte, sentirsi soli sia la più aliena delle emozioni.
Nel mondo del cinema dove ogni pellicola sembra dover appartenere a un universo condiviso, essere un sequel, un remake, un reboot o — peggio ancora — uno spin-off, Elio è un miracolo statistico. Non è tratto da nessun libro, fumetto, serie TV o franchise multimiliardario. È una storia originale, nata in casa Pixar, e come tale brilla di una luce che sembra ormai scomparsa nel panorama dell’animazione contemporanea. In un momento storico in cui il pubblico sembra preferire il comfort nostalgico di ciò che già conosce, Elio ha il coraggio di presentarsi come un’avventura nuova, unica e profondamente personale.
La premessa è da sogno nerd: un ragazzino introverso, con una fervida immaginazione e una passione smisurata per gli alieni, viene rapito — volontariamente! — e trasportato nel Comuniverso, una sorta di ONU galattica dove, per errore, viene scambiato per il rappresentante ufficiale della Terra. Ed è qui che comincia la vera avventura, tra incontri interstellari, creature bizzarre, scenari sci-fi degni dei migliori romanzi di Asimov e un percorso di crescita che parla direttamente al cuore.
Il regista Adrian Molina, che già ci aveva fatto piangere tutte le nostre riserve emotive con Coco, affiancato dalla sensibilissima Madeline Sharafian (La Tana), mette in scena un racconto che riesce a coniugare il fascino della fantascienza più pura con le emozioni tangibili del quotidiano. La produzione è firmata da Mary Alice Drumm, altra veterana della scuderia Pixar, e si vede: ogni fotogramma di Elio trasuda amore per il genere e cura per il dettaglio.
Ma parliamo del cuore pulsante del film: Elio stesso. Un ragazzino che, rimasto orfano, vive con la zia Olga (una splendida Alessandra Mastronardi nel doppiaggio italiano), ex astronauta che rinuncia al sogno delle stelle per crescere il nipote. Elio però non vuole rassegnarsi alla solitudine, si sente inadatto, fuori posto… quasi su un pianeta sbagliato. Così, con radio e mantello, cerca ogni giorno di mettersi in contatto con gli alieni. Fino a quando qualcuno, dall’altra parte del cosmo, risponde davvero.
Ed è così che inizia il suo viaggio nel Comuniverso, tra razze aliene che sembrano uscite da un sogno di Moebius e un’estetica che richiama il meglio della sci-fi anni ’80, rielaborata con la tavolozza cromatica e il tratto distintivo della Pixar. Alcuni hanno criticato i character design, definendoli datati — quasi da film del 2010 — ma forse, proprio in questa scelta visiva volutamente retro, c’è l’intento di evocare quella fantascienza “innocente” che parlava di pace, comprensione e diversità molto prima che diventasse un hashtag.
Tra i personaggi più riusciti c’è senza dubbio Glordon, il giovane alieno figlio di un conquistatore galattico che non vuole combattere. Anche lui si sente fuori posto nella sua società e la sua amicizia con Elio diventa il vero centro emotivo del film. Un viaggio parallelo fatto di scoperte, paure e scelte difficili. Entrambi i ragazzi sono “alieni” nei propri mondi, entrambi cercano un senso, entrambi vogliono essere visti per quello che sono davvero.
Il cast vocale italiano è di altissimo livello e arricchisce ulteriormente la visione. Andrea Fratoni dà voce a Elio con una delicatezza sorprendente, mentre Neri Marcorè è perfetto nei panni del Manuale Universale dell’Utente — sì, avete letto bene, c’è un manuale parlante! — aggiungendo un tocco di umorismo sornione. Adriano Giannini interpreta Lord Grigon, il villain affascinante e stratificato, e Lucio Corsi dà vita all’ambasciatore Tegmen con verve cosmica. Il doppiaggio è curato nei minimi dettagli, con la supervisione artistica di Lavinia Fenu e l’adattamento di Roberto Morville, due garanzie del settore.
Se Elio è visivamente un tripudio di creatività, narrativamente è un film che osa: parla di isolamento, di paura, di perdita… ma lo fa con leggerezza, senza mai diventare pesante. Riesce a essere commovente, mai melenso. A farci riflettere senza predicare. E anche se alcune trovate comiche non colpiscono nel segno quanto ci si aspetterebbe da una produzione Pixar, il film riesce comunque a toccare corde profonde, soprattutto grazie a una scena madre che — possiamo garantirvelo — farà fingere a molti adulti di avere qualcosa negli occhi.
Certo, non è un film perfetto. Alcuni momenti sembrano accelerati, come se mancasse qualche scena chiave che avrebbe potuto dare più profondità al racconto. E l’età anagrafica di Elio — tecnicamente pre-adolescente ma con comportamenti più infantili — può lasciare perplessi. Ma sono difetti che svaniscono davanti alla sincerità e al cuore che questo film riesce a mettere in scena.
E in un mondo in cui gli studi puntano sempre più sul sicuro, Elio è un atto di coraggio. È la dimostrazione che si può ancora raccontare qualcosa di nuovo, che si può parlare ai bambini e agli adulti senza paura di sembrare “troppo” o “non abbastanza”. È un film che non ha bisogno di nostalgia per emozionare, ma solo di uno sguardo sincero verso le stelle — e verso l’animo umano.
In un’epoca di remake, sequel e reboot, Elio è una stella solitaria ma luminosa nel firmamento cinematografico. Una fiaba intergalattica che ci ricorda quanto possiamo essere speciali anche quando ci sentiamo persi. Un messaggio potente, oggi più che mai.
E voi, siete pronti a farvi rapire da Elio? Lo andrete a vedere al cinema o aspetterete il suo arrivo in streaming? Quale messaggio vi ha colpito di più? Ma soprattutto: qual è il vostro film Pixar del cuore? Raccontatecelo nei commenti e condividete questo articolo con i vostri amici nerd sui social!











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