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Lajja Gauri: la Dea senza forma

In collaborazione con la mia collega Valentina Monsurrocco, dell’Università l’Orientale di Napoli, abbiamo voluto porre particolare attenzione riguardo la figura della dea senza forma, venerata in grotte naturali nel sito di Kashmir Smast in Pakistan.  Il sito di Kashmir Smast, è uno dei siti archeologici più importanti dell’area del Gandhara, situato a circa 50 km a nord-est di Mardan. Un ricco territorio montuoso contraddistinto da un insieme di grotte naturali, dove in passato, al di sotto di quest’ultime, sgorgavano ruscelli stagionali che si riempivano durante la stagione delle piogge. Questo sito, o meglio, la grotta del Kashmir, così viene denominato dalla gente del posto, è menzionata in molti testi letterari e religiosi. Più di due iscrizioni si riferiscono a una montagna chiamata Sri Minja e Dio Bhima o Shiva, la divinità principale che risiede nella grotta Maha-guha di questa montagna. Gli studiosi sono propensi nell’identificare questo luogo sacro con il sito di Kashmir Smast.  Il pellegrino cinese Xuangzang, visitando la regione del Gandhara nell’VII sec. d.C., descrive questo luogo come l’importante centro di culto della dea indù Bhima Devi, conosciuta anche con il nome di Lajja Gauri. La grotta di Kashmir era meta di pellegrinaggio, importante per venerare la moglie del dio Shiva.

Gola montuosa in Baluchistan

Il tempio rupestre di Hinglaj Mata si trova in una stretta gola nella remota zona collinare di Lyari Tehsil nel Baluchistan. Negli ultimi decenni il luogo ha guadagnato una crescente popolarità ed è diventato un punto di riferimento unificante per le numerose comunità indù del Pakistan. l tempio si trova in una piccola grotta naturale, dove non è presente l’immagine rappresentativa della dea ma vi è una piccola pietra venerata come Hinglaj Mata (la madre Hinglaj). La pietra è coperta di sindur, ovvero un impasto tradizionale realizzato con una polvere cosmetica di color vermiglione (tonalità che va dal rosso al rosso arancione). Si ritiene che l’Hinglaj Mata sia una divinità molto potente, tra le più venerate nella tradizione indù. La leggenda narra che dopo che la dea Sati si suicidò gettandosi nel fuoco, il suo marito afflitto Shiva inizia vagare nell’universo; aggrappato al suo cadavere. Il Signore Vishnu ha poi smembrato il cadavere in 52 pezzi, e si dice che la testa del Sati sia caduta a Hinglaj. Gli indù sostengono che la testa della dea non è artificiale, ma ha mantenuto la sua forma originale per tutti questi secoli. Si racconta un’altra storia di questo sito, riguarda l’area governata da un sovrano crudele, Hingol. Il popolo pregava la dea di liberarli dagli spasimi della sua tirannia e la dea obbedì. Prima di uccidere Hingol, però, si dice che gli abbia esaudito il suo ultimo desiderio: quello dell’area che prende il suo nome.

Lo yatra si svolge durante la primavera, quando i pellegrini arrivano a Hinglaj completano una serie di rituali, come scalare i vulcani di fango Chandragup e Khandewari. I devoti lanciano noci di cocco nei crateri del vulcano di fango Chandragup per esprimere desideri e ringraziare gli dei per aver risposto alle loro preghiere. Alcuni spargono petali di rosa, altri dipingono i loro corpi e volti con l’argilla. I pellegrini poi fanno un bagno rituale nel fiume sacro Hingol prima di avvicinarsi finalmente al santuario che segna il luogo di riposo della dea. Quest’area così come la regione del Gandhara, essendo situata all’incrocio di altre regioni, era un importante centro commerciale. Infatti commercianti provenienti da diverse parti dell’India, Cina, Asia centrale, hanno visitato questo luogo per fini commerciali. Divenendo una regione cosmopolita, adottando non solo gli stili artistici delle regioni vicine, estese la sua accoglienza a persone provenienti da varie regioni che si stabilirono in questa zona. Fu nella prima metà del XIX secolo che il sito fu visitato da alcuni esploratori europei che fecero ricerche preliminari sul sito.  Il sito era contraddistinto inoltre da bacini d’acqua pura. Nel mondo indiano l’uso rituale dell’acqua, in relazione al culto delle icone, è un atto di fondamentale importanza. Infatti alla dea è legato il concetto di nascita e ri-nascita spirituale. L’acqua è ciò che dà vita. Pur non essendo l’elemento che crea la vita, è però quello che la mantiene, è quello più adatto ad accoglierla, nonché il suo alimento. Infatti in essa avviene la gestazione dell’uomo. E dall’acqua nasce anche il loto, la pianta simbolicamente più significata della rinascita spirituale. L’acqua è rigeneratrice, l’immersione in questo elemento rende  vivi “di nuovo”. Quando ci si immerge completamente nell’acqua si riemerge, si rinasce con il corpo e l’anima. Questo percorso, come la vita, non è facile. Infatti la grotta del Kashmir non è facilmente accessibile a causa del passaggio ripido e stretto, così come il canale del parto è stretto e pericoloso.

L’antica dea madre indiana riporta alla mente una figura femminile con fianchi e seni prominenti, oppure nell’atto di tenere un bambino in grembo posto al suo fianco. Questa tipologia rappresenta la parte benefica della Dea Madre. Ma, ve ne è un’altra, menzionata su alcuni sigilli del Gandhara, una divinità temibile e terrifica. Il suo nome, inscritto in brahmi, è Bhima, cioè la “Timorosa”. Questo nome è anche inscritto su diversi vasi di offerta rituale e su varie donazioni, tutti oggetti presenti presso il sito di Kashmir Smast. Quando Bhima rappresenta la parte benefica della sua persona, è invocata per la protezione dei bambini e del parto; quando invece assume aspetti negativi è rivolta all’irresponsabilità dei genitori e ai bambini ribelli. Sulla base della paleografia delle loro iscrizioni tutti i sigilli sono datati tra il II/III-V/VI sec. d.C.. Un sigillo quadrato in bronzo e un rotondo in argilla datati al IV-VI sec. d.C. In entrambi gli esempi non c’è alcun tentativo di umanizzare la figura femminile; lei è un essere astratto, priva di braccia, la testa è contrassegnata da un punto e il seno con altri due punti formano un triangolo, le gambe sono piegate e divaricate. La figura maschile rappresentata in entrambi i casi, si muove come se stesse saltando.

L’astrazione della figura della dea nella postura connessa al parto sui sigilli di Kashmir Smast non dovrebbe essere Bhima stessa, ma un ideogramma che si rifà a un potere controllato da Bhima o a un potere che risiede in un punto che Bhima può toccare. Quel potere, secondo gli studiosi, è la ri-nascita. Sulla base di questo ragionamento, la figura maschile che nelle rappresentazioni è nell’atto di saltare, il maschio è probabilmente un reale. L’uomo/reale che salta sta ad indicare colui che si dirige al sito di bhima sthana per eseguire il rituale Hiiranyagarbha.

Rappresentazione dell’uomo con il bastone in mano nell’atto di saltare

La possibilità che la figura presente sui sigilli di Kashmir Smast con parti del corpo mancanti potrebbe essere di tipologia tantrica non è ovvio. Lo studioso Sircar teorizzò, dalle informazioni di Xuanzang, che il luogo visitato dal pellegrino cinese era un antico yoni kuna, ovvero un contenitore pieno d’acqua, sagomato come un grembo materno. Anche un paio di colline o picchi a forma di seni femminili potrebbero essere collegati come luogo della dea. L’acqua che sgorga dalle sorgenti di queste colline potrebbe essere connessa al latte della dea. Tutto ciò potrebbe essere anche considerato come svayambhu murti della dea.

Infatti, al di fuori della grande grotta c’era un’ enorme serbatoio d’acqua, e ad est di questo tracce di una sorgente. La forma naturale di Bhima potrebbe quindi essere composta da “seni” montuosi attraverso i quali scorreva acqua/latte in un grande serbatoio/utero. La presenza di questi elementi naturali che costituiscono lo svayambhu murti di Bhima potrebbe aver impregnato il suo culto in questo luogo del Gandhara: i pellegrini, avendo notato i suoi aspetti geofisicamente di buon auspicio, l’avrebbe promosso come luogo sacro.

Svayambhu murti

 Il nome “Gauri” appare, in particolare, nel capitolo V e XI del Devi Mahatmaya dedicato alla dea Durga. “Lajja” significa vergogna, riferendosi alla sessuale iconografia della dea, nuda e gambe divaricate.  Questo nome indiano che associa “Lajja” alla vergogna, con “Gauri”, dea, non ha un significato speciale né storico.  Qualunque siano le origini di Lajja Gauri, lei è chiaramente una dea di buon auspicio. Tutto in lei suggerisce vita, creatività e abbondanza. Le sue immagini sono quasi sempre associate a sorgenti, cascate e altre fonti di acqua corrente, simboli vividi di sostentamento vitale.  La testa di Lajja Gauri è solitamente un fiore di loto, un simbolo estremamente potente ed elementare del benessere sia materiale che spirituale.  Le sue immagini sono praticamente sempre prone nella sua caratteristica postura uttnapad, come se sorgesse dalla terra stessa, una manifestazione dello Yoni primordiale da cui scaturisce tutta la vita.  Questa Devi è vista come Madre dell’Universo, come la forza vivificante della Natura, in una dimostrazione audace e senza compromessi del Principio Femminile Divino. Lo studioso David Kinsley, ha osservato che la mancanza di testa di Lajja Gauri ha lo scopo di concentrare l’attenzione del suo devoto lontano dalle sue personalità individuali e sulla sua funzione cosmogonica come fonte di tutto ciò.

In uno dei sigilli rinvenuti Lajja Gauri in una forma umana è raffigurata su un piedistallo a forma di linga in sostituzione del tridente simbolo comunemente raffigurato sui sigilli di Lajja Gauri. Il Linga ( attributo sessuale) e il tridente (Trisula) sono gli emblemi iconografici principali della divinità indù Shiva.

In conclusione, sebbene la disposizione delle figure e dei simboli non mostrino uniformità, la figura di Lajja Gauri se mostrata in forma umana o raffigurata con un simbolo, è sempre presente. Ma dall’altra parte, anche Shiva è sempre presente sul sigillo, seppur in modo simbolico ( tridente )  viene mostrato insieme alla figura di Lajja Gauri. Quale relazione esatta entrambi potrebbero avere è difficile da sapere, ma una cosa è certa che la loro associazione va ben oltre la semplice rappresentazione di due divinità, potrebbero essere infatti legate da una relazione intima. I sigilli finora registrati dal Kashmir dimostrano che Lajja Gauri è sempre raffigurata ed è considerata come una delle figure principali. È difficile sapere tutti questi simboli o altre figure rappresentate quale associazione abbiano con la dea ma alla luce di altri rinvenimenti dal sito si potrebbe presumere che questi simboli possano avere affiliazioni dirette con la fede Shivaita o Visnuita.

I tre simboli o figure che accompagnano Lajja Gauri sono un tridente (trisula), un vaso (purna ghata) e una figura danzante. Il tridente è identificato come simbologia di Shiva, il vaso o il purnaghata è identificato con Brahma, oppure può essere usato come simbolo di rappresentazione di Shiva come Kamandalu ( un vaso d’acqua oblungo, usato anche nell’iconografia indù, nella rappresentazione di divinità legate all’ascetismo o all’acqua) o come vaso dell’abbondanza che simboleggia Lajja Gauri. La figura danzante potrebbe stare a rappresentare la danza di Shiva o molto probabilmente Visnu, Narasimha o Varaha ( due avatar di Visnù).

In conclusione, prendendo in riferimento gli studi di Bolon, potremmo affermare che una forma completamente antropomorfizzata di Lajja Gauri, probabilmente è avvenuta dal 500 d.C. In seguito alle maestranze che visitavano Kashmir Smast per fini commerciali o di pellegrinaggio questa figura si è evoluta sempre più. Bhima e Lajja Gauri sono due facce della stessa medaglia, nonché la semplice controparte femminile, di Shiva.

Fonti:

Chiara Vantaggio e Valentina Monurrocco

Chiara Vantaggio

Chiara Vantaggio

Chiara Vantaggio, Archeologa, ha conseguito la laurea triennale in Scienze storico e archeologiche del mondo classico e orientale presso l’Università Sapienza di Roma. Attualmente sta terminando la Magistrale presso l’Orientale di Napoli. Nel corso dei suoi studi accademici, ha avuto la possibilità di fare numerosi viaggi studio e scavi archeologici in Egitto, Nicaragua e Messico, luoghi bellissimi dalla cultura affascinante e millenaria. Grazie a queste formative esperienze di vita, Chiara ha avuto modo di entrare a contatto diretto con i loro usi e costumi. Questo le ha consentito di appassionarsi sempre più non solo all’aspetto Archeologico ma anche a quello Antropologico. Chiara pensa che l’interazione e l’approccio stretto tra culture è molto importante per comprendere a pieno lo stile di vita, il pensiero, la lingua, la scrittura e tutto quello che concerne lo sviluppo di una determinata civiltà.

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