I sacrifici umani erano un aspetto importante della cultura Mesoamericana. I conquistadores spagnoli che per primi ebbero contatti con il popolo Azteco (popolo residente a Tenochtitlán, oggi Città del Messico, (situata su un’isola del lago Texcoco) dicono nelle loro testimonianze che il sacrificio umano era largamente praticato in tutta la Mesoamerica.
Il nome originale con cui gli Aztechi si indicavano è “Mexica” o “Tenochca”. Mexica è tuttora il termine usato per definire i loro discendenti; il termine azteco è stato coniato molti secoli dopo dal geografo tedesco Alexander von Humboldt per distinguere queste popolazioni precolombiane dall’insieme dei Messicani moderni. A partire dalla fine degli anni 70’, gli scavi delle offerte rinvenute presso il Templo Mayor di Tenochtitlán, la Piramide della Luna di Teotihuacan e altri siti archeologici, hanno portato alla luce prove certe di sacrifici avvenuti tra i popoli mesoamericani.
Sono state proposte varie interpretazioni della pratica azteca del sacrificio umano, teoria alquanto controversa, sia riguardo il significato religioso sia quello sociale. Da precisare, una teoria assolutamente screditata è quella secondo la quale la dieta mesoamericana era carente di proteine, e che il cannibalismo di vittime sacrificali era una componente necessaria della dieta del tempo. Buona parte degli studiosi mesoamericani, comunque, considera i sacrifici umani come parte della loro tradizione religiosa e socio-culturale.
Rimanendo in contesto Azteco, il primo sacrificio di cui si parla nelle fonti scritte fu lo scotennamento della figlia di re Achicometl di Culhuacan; questa storia fa parte della leggenda sulla fondazione di Tenochtitlán. Gli Aztechi sacrificavano le “vittime” durante ognuna delle loro 18 festività, una per ogni mese di 20 giorni. Fattore importante che va precisato, durante le così dette “Guerre fiorite”, dove si reclutavano vittime, per i sacrificati era un grande onore, poiché venendo immolati alla divinità Huitzilopochtli (colibrì del sud, dio della guerra e del sole), contribuivano al sorgere, al tramontare del sole e al rinnovo dei cicli.
I culti religiosi Nahua erano basati su una grande paura del fatto che l’universo potesse collassare dopo ogni ciclo, se gli dei non erano sufficientemente forti. Secondo Diego Durán, nel suo “Historia de las Indias de Nueva España e islas de la tierra firme”, le guerre dei fiori erano inizialmente un accordo tra le città della Triplice alleanza azteca, Tlaxcala e Huexotzingo a causa della carestia che colpì la Mesoamerica nel 1450. La cattura dei prigionieri vivi per i sacrifici era chiamata nextlaualli (“pagamento del debito agli dei”). Queste fonti, però, ne contraddicono altre, come ad esempio il Codice Chimalpahin, che cita alcune guerre fiorite avvenute prima della carestia e contro avversari diversi da quelli citati nell’accordo.
Dal momento che l’obbiettivo della guerra azteca era la cattura di possibili vittime, la tattica della battaglia era studiata soprattutto per ferire il nemico senza ucciderlo. Dopo la conquista delle città, gli abitanti non erano più considerati buoni per i sacrifici, ma solo per il pagamento delle tasse. Anche gli schiavi potevano essere usati nei sacrifici, ma solo se venivano considerati pigri ed erano stati venduti almeno tre volte.
La Pratica del Sacrificio Umano
Il sacrificio, come detto precedentemente, era un tema comune in tutte le culture mesoamericane. All’interno del mito azteco dei “Cinque soli “, tutti gli dei si autosacrificarono per permettere all’umanità di sopravvivere. Alcuni anni dopo la conquista del Messico da parte degli spagnoli, un gruppo di francescani si dovette confrontare con gli ultimi sacerdoti aztechi ai quali ordinarono, sotto minaccia di morte, di porre fine a questa pratica omicida. I sacerdoti aztechi si difesero in questo modo: «La vita è opera degli dei; con il loro sacrificio ci diedero la vita […]. Essi forniscono il nostro sostentamento […] che nutre la vita» (Henry B. Nicholson, Handbook of Middle American Indians). Quello a cui i sacerdoti aztechi si riferivano era che un grande sacrificio sempre in corso sostenesse l’universo. Tutto è tonacayotl: la “incarnazione spirituale” o “presenza corporea [sacrificale]” degli dei sulla terra. Tutto (terra, mais, luna, stelle e persone) nasce da corpi morti o sepolti, dita, sangue o teste degli dei sacrificati. L’umanità stessa è macehualli, “quelli meritevoli e riportati in vita tramite la penitenza”. Un forte senso di indebitamento è collegato a questa visione del mondo. Infatti, il nextlahualli (pagamento del debito) era una metafora comune per riferirsi al sacrificio umano e, come disse anche il francescano Bernardino de Sahagún, si diceva che in un certo senso le vittime stessero “svolgendo il loro lavoro”. Sia Sahagún sia Toribio de Benavente (chiamato anche “Motolinía”) osservarono che gli Aztechi usavano tutto come sacrificio. Anche l’elemento principale del sacrificio umano, le grandi piramidi che fungevano da tempio, erano colline offerte agli dei e ornate con la miglior arte azteca. L’auto-sacrificio era anch’esso molto comune; le persone offrivano spine di agave, colorate col proprio sangue e, come i re Maya, offrivano sangue dalla loro lingua, dai lobi delle orecchie o dal pene. Il sangue aveva un’importanza fondamentale nelle culture mesoamericane. Il Codice fiorentino afferma che in uno dei miti della creazione Quetzalcóatl (Serpente piumato) offrì sangue estratto da una ferita del suo pene per dare vita all’umanità. Esistono molti altri miti nei quali si parla di dei Nahua che offrono sangue per aiutare gli uomini. Gli Aztechi praticavano il salasso da tagli inferti con coltelli in ossidiana o con ossi appuntiti sulla propria carne, come ad esempio dai lobi delle orecchie, labbra, lingua, petto e polpacci. Era considerato un personale atto di devozione e penitenza verso gli dei. Le spine venivano messe in una palla di paglia chiamata zacatapayoli, poi posta in un adoratorio.
Ogni 52 anni si teneva una speciale cerimonia del Fuoco Nuovo. Tutti i fuochi venivano spenti, a mezzanotte si effettuava un sacrificio umano. Se il Sole sorgeva significava che i sacrifici fatti in quel ciclo erano stati sufficienti. Un fuoco veniva acceso sul corpo della vittima, e nuovi fuochi presi da questo venivano portati in ogni casa, città e villaggio. Cominciava allora una festa e la fine del mondo era stata posposta per un altro mezzo secolo. Gli Aztechi si considerarono i principali responsabili per fornire cibo agli dei. Questo gli garantì un nuovo senso di identità, da “popolo senza una faccia” come venivano chiamati dagli ostili popoli vicini, a popolo incaricato di garantire la sopravvivenza dell’universo. Per questo cominciarono a riferirsi a sé stessi come al “popolo del sole”.
Rituali messi in atto durante il sacrificio
Nella normale procedura, il sacrificio veniva svolto sulla cima del tempio, su terrazze a cielo aperto ( la connessione tra cielo è terra è sempre presente).] La vittima veniva tenuta ferma da quattro sacerdoti su una lastra in pietra, e il suo addome veniva tagliato da un quinto sacerdote con un coltello cerimoniale fatto di selce o di ossidiana. Il taglio veniva fatto nell’addome e oltrepassava il diaframma. Il sacerdote avrebbe estratto il cuore, ancora pulsante. Il cuore veniva poi posto in una scodella sorretta da una statua il Chac Mool (un modello di scultura con funzione di altare che riproduce una figura umana, adorna di gioielli, in posizione reclinata con la testa alzata e rivolta verso il lato destro, con un recipiente appoggiato sul ventre) cui veniva offerta la vittima, e il corpo lanciato giù dalle scale del tempio. Le varie parti del corpo facevano una diversa fine: con le viscere nutrivano gli animali; la testa sanguinante era esibita sullo Tzompantli, (un tipo di intelaiatura in legno o in pietra usata per l’esposizione pubblica di teschi umani, di prigionieri di guerra o di vittime sacrificali). Altri tipi di sacrifici umani, dedicati alle varie divinità, trattavano le vittime in maniera diversa. La vittima poteva essere colpita da una freccia (e il sangue che sgorgava rappresentava le fredde piogge di primavera), essere uccisa in un combattimento non equo, essere sacrificata al termine di una partita di tlachtli, il gioco della palla mesoamericana, essere arsa viva, essere scotennata dopo essere stata sacrificata (in onore a Xipe Totec, “Nostro Signore lo Scorticato”), o venire affogata.
Stima della portata dei sacrifici
Per la riconsacrazione del Templo Mayor di Tenochtitlán del 1487, gli Aztechi affermarono di aver sacrificato circa 80.400 prigionieri durante i quattro giorni di celebrazione, e quindi probabilmente si era trattato di un numero molto inferiore. Secondo Ross Hassing, autore di “Aztec Warfare”, furono sacrificate durante la festa tra le 10.000 e le 80.400 persone. Il limite superiore comporterebbe una media di 14 sacrifici al minuto per quattro giorni consecutivi. Quattro tavole furono sistemate in cima al tempio, in modo che le vittime potessero essere gettate su tutti i quattro lati del tempio. Nondimeno, secondo il codice Telleriano-Remensis, i vecchi Aztechi che parlarono con i missionari citavano un numero di vittime decisamente minore, circa 4.000 totali.
Non tutti i sacrifici venivano svolti nei templi di Tenochtitlan; alcuni erano fatti a Cerro del Peñón, un isoletta del lago di Texcoco. Secondo una fonte azteca, nel mese di Tlacaxipehualiztli (dal 22 febbraio al 13 marzo), 34 prigionieri di guerra venivano sacrificati a Xipe Totec. Più vittime erano offerte a Huitzilopochtli nel mese di Panquetzaliztli (dal 9 al 28 novembre) secondo il codice Ramírez. Questo dimostrerebbe una cifra compresa tra le 300 e le 600 vittime l’anno. La mancanza di prove archeologiche non permette di calcolare con esattezza la cifra reale. Ogni guerriero azteco avrebbe dovuto fornire almeno una vittima da sacrificare. Tutti i maschi venivano addestrati fin da piccoli a essere guerrieri, ma solo i pochi di loro che riuscivano a catturare prigionieri potevano entrare a far parte dell’élite dell’esercito. Coloro che non vi riuscivano diventavano macehualli, lavoratori.
Una delle descrizioni del conquistatore Hernán Cortés:
«Hanno un’orrida e abominevole usanze che gli meriterebbe di essere puniti e che per ora abbiamo visto solo in parte, ed è che, ogni volta che vogliono chiedere qualcosa agli idoli, per rendere più accettabile la loro richiesta agli dei, prendono molte ragazze e ragazzi e anche adulti, e in presenza di questi idoli aprono i loro toraci mentre sono ancora vivi estraendo i cuori e le interiora e bruciandoli davanti agli dei, offrendo il fumo come sacrificio. Alcuni di noi lo hanno visto, e dicono che sia stata la cosa più terribile che abbiano mai visto».
Per l’occidente non è stato di facile comprensione e quindi non ammissibili pratiche “così abominevoli “ ( viste dalla loro prospettiva ) di tale cultura. Come ben sappiamo ciò che non viene compreso fa sempre paura e la paura rivolta all’ignoranza porta alla distruzione.
Possibili spiegazioni dei sacrifici umani in contesto Azteco sotto la visione occidentale
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Motivi nutrizionali
Gli studiosi Michael Harner e Marvin Harris hanno ipotizzato che la motivazione che stava dietro ai sacrifici umani tra gli Aztechi fosse da ricercare nel cannibalismo a cui venivano sottoposte le vittime Mentre c’è unanime consenso sul fatto che gli Aztechi praticassero il sacrificio umano, manca consenso tra gli studiosi sul fatto che il cannibalismo fosse comune su tutto il territorio. L’antropologo Marvin Harris, autore di Cannibals and Kings, ha ripreso l’idea proposta da Harner, secondo cui la carne delle vittime faceva parte della dieta aristocratica come ricompensa, dato che la dieta azteca era povera di proteine. Questa ipotesi è stata rifiutata da Bernard Ortíz Montellano che, nei suoi studi su Salute, dieta e medicina tra gli Aztechi, dimostra che nonostante la dieta Azteca fosse carente di proteine animali, era ricca di quelle vegetali.
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Motivi politici
Il sacrificio umano giocava un importante ruolo politico. I Mexica utilizzavano un sofisticato sistema psicologico per mantenere il proprio impero, con l’obbiettivo di instillare un senso di paura nei popoli vicini. I Mexica usavano i sacrifici umani come arma di terrore anche nei confronti dei conquistadores spagnoli, i cui morti venivano sacrificati e a volte scotennati, con le loro teste esposte nei tzompantli. Venivano invitati anche i capi delle città nemiche vicine, o obbligati nel caso di città tributarie, ad assistere alle cerimonie di Tenochtitlan. Il loro rifiuto sarebbe stato considerato un atto di mancato rispetto nei confronti dei Mexica.
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Motivi psicologici
Per Lloyd deMause è importante il fatto che le vittime fossero investite di un profondo significato cosmologico. Secondo lui e una minoranza di studiosi che fanno parte di una scuola alternativa di pensiero, la “psicostoria”, i sacrifici umani, compresi quelli della Mesoamerica, rappresentavano una forma inconscia di risposta a traumi subiti da bambini. DeMause considera in particolare la pratica del sacrificio azteco come spostamento (è un processo operato dall’Io il cui scopo è quello di modificare il contesto reale di un ricordo rimosso (eventualmente con modificazioni radicali) per ridurne l’impatto negativo ansiogeno con la coscienza (Io).
Conclusioni
Grazie alle numerose ricerche e studi sul campo come studiosi, archeologi, antropologi ben esperti in materia sanno e come detto ad inizio articolo, i sacrifici umani erano uno degli elementi principali racchiusi nel contesto culturale e socio-religioso che faceva parte di questi popoli ed era fortemente impregnato in essi. Era parte integrante della vita di questa gente. Ed è qualcosa che va al di là di ogni logica comprensione occidentale. Va al di là della nostra visione perfetta nell’ improntare la nostra società e imporre questa finta perfezione anche in altri contesti e culture. Come se tutto quello che va al di là della visione occidentale e della religione Cristiana sia abominio da annientare. Forse, se non ce ne siamo resi conto queste culture, così come tante altre che con tutta la loro forza e caparbietà ancora oggi cercano di sopravvivere in questo mondo e di mantenere salde le loro radici millenarie, sono in totale connessione con l’universo molto più di noi. Hanno compreso molto prima quello che noi con tutta la nostra goliardia che va avanti nei secoli non riusciremo ad apprendere mai. Noi, ogni forma vivente su questo pianeta siamo un tutt’uno con l’universo e con tutti i cicli che ne fanno parte. Quindi, quando un’azione o una visione di pensiero è giusta? Quando è sbagliata?
Fonti:
- Zeb Matos-Moctezuma, Vida y muerte en el Templo Mayor, Fondo de Cultura Económica, 1986.
- Michael Harner, The Ecological Basis for Aztec Sacrifice, in American Ethnologist,, Vol. 4, No. 1,, 1977, pp. 117–135, DOI:10.1525/ae.1977.4.1.02a00070
- Michael Graulich, El sacrificio humano en Mesoamérica, in Arqueología mexicana, XI, 63, 2003
- Bernardino de Sahagún, Historia general de las cosas de la Nueva España, Ángel Ma. Garibay, Messico, Editorial Porrúa, 2006
- Eduardo Matos-Moctezuma, Tenochtitlan, Fondo de Cultura Económica, 2006
- Ross Hassig, El sacrificio y las guerras floridas, in Arqueología mexicana, XI, 2003
- Bernal Díaz del Castillo, Historia verdadera de la conquista de la Nueva España, J. M. Cohen, Penguin Classics, sesta ristampa (1973), Harmondsworth, Penguin Books, 1963 [1632], ISBN 0-14-044123-9, OCLC 162351797.
- Robert W. Godwin, One Cosmos under God: The Unification of Matter, Life, Mind & Spirit, Saint Paul, Montana, Paragon House, 2004
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