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Patlabor

Abitare a Bologna, per uno come me, e’ veramente bello. So gia’ a cosa state pensando, maliziosetti! Le belle gnocche, i tortellini, le due torri, la mortadella, la festa dell’Unita’ e la sagra della piadina costituiscono di per se’ una gran bella attrattiva (soprattutto le prime due)(le torri? NdTribal), ma io mi riferivo in special modo al fatto che qui a Bologna e’ facile andare in fumetteria (di cui non faccio il nome finche’ non sgancia almeno un deca per la pubblicita’!) e incontrare i Kappa Boys o qualcuno della Dynamic con cui scambiare qualche chiacchiera (come stai, come non stai, come ti sei fatto chiatto, salutame a soreta e via di questo passo).
 

Fino a qualche mese fa, quando io e WDIM vedevamo i Kappa, la domanda piu’ ricorrente prima dei saluti era “…e Patlabor?”. La risposta piu’ ricorrente era “Noi vorremmo farlo ma…” (sostituire i tre puntini con una scusa a caso tra le seguenti: 1)Siamo troppo impegnati con una gara di incaprettamento a premi; 2) Ai giapponesi sono esplose le adenoidi; 3)Ragadi (non ci pensate, non ha senso); 4)Nell’ultimo disco di Marco Masini c’e’ una traccia fantasma che se ascoltata all’indietro produce il suono della voce di Pippo Baudo che canta “Il suo nome e’ Donna Rosa”; 5)I soldi ci fanno schifo (OK, quest’ultima me la sono inventata)(e’ vero! Mica come noi di Tiphares che i soldi…pfui! NdTribal). Arrivati a questo punto, io e WDIM, alzando il dito inquisitore come Fra’ Cristoforo dei Promessi sposi (notate la colta citazione)(beh, e dove ‘hai colta? I Promessi Sposi mica sono un albero …quindi l’hai copiata eh?! NdTribal), dicevamo: “Verra’ un giorno in cui troveremo un editore e Patlabor lo faremo noi!”.
Dopodiche’, soddisfatti, andavamo a casa e festeggiavamo con una pizza e una bella boccia di Coca Cola (niente alcolici, visto i precedenti di WDIM). Adesso lasciatemelo dire: finalmente! Dopo varie tribolazioni, suggerimenti e interrogativi, Patlabor ritorna tra noi dopo la pausa forzata dovuta al fallimento di Granata Press. Senza girarci troppo intorno, Patlabor rappresenta il punto di svolta del filone dei robot giganti inaugurato tanti anni fa da Go Nagai. Se nelle vecchie serie, l’apparizione del robot rappresentava il momento topico e il fine ultimo della puntata, in Patlabor i robot rappresentano un elemento coreografico assolutamente indipendente dalla sceneggiatura principale della storia, tanto che a volte non compaiono neanche, per lasciare spazio alle storie dei personaggi umani. Il che e’ giusto, dal momento che nell’anno in cui e’ ambientato il fumetto, i robot sono elementi presenti nell’immaginario collettivo comune e vengono considerati ne’ piu’ ne’ meno come delle automobili. E questo, se mi passate il termine, rende tutto piu’ “realistico” (per quanto possa essere realistico un robot di 3 – 4 metri che scorrazza in citta’). La storia narra principalmente delle vicissitudini della sgangherata seconda sezione veicoli speciali della polizia di Tokyo. In un immaginario futuro (oddio, futuro… e’ ambientato nel 1999!) l’innalzamento delle acque provochera’ un allagamento di Tokyo e di altre citta’ costiere giapponesi, cosa che costringera’ gli amici con gli occhi a mandorla a “spostarla” verso la costa e oltre (gia’ m’immagino: “Capoooo!!! Piu’ avanti… no, de meno… de piu’… bona cosi’… se te fai piu’ avanti ne mettemo n’artra…”): questo viene chiamato progetto “Arca” (se gli animali salgono a coppie Goku con chi sale? NdTribal). Per la costruzione di questa enorme citta’ galleggiante si rendono necessari i labor, enormi robot usati come manovali.
 
Qualcuno pensa pero’ bene di usare i labor a scopi criminali, tipo rubare la Coca al Muflone, sbirciare le donne dalle finestre e friggere i piccioni col lanciafiamme, motivo per cui la polizia di Tokyo decide di istituire dei robot di pattuglia: i patrol labor o “Patlabor” per gli amici (“Patty” proprio per quelli piu’ intimi, ma non lo dite in giro, eh!). La descrizione finisce qui, perche’ alla fine nessuno dei personaggi e’ il vero protagonista, ma lo sono bene o male tutti. Sono tutti delle macchiette e ognuno e’ splendidamente caratterizzato con i propri vizi e i propri difetti, a partire dalla maniaca dei labor Noa Izumi, al pazzo scatenato Ota, fino al caposezione Goto, che sembra un deficiente, ma in realta’ e’ una specie di semi-dio camuffato. La cosa bella di Patlabor e’, come dicevo poc’anzi, che le storie non sono imperniate necessariamente sui robot, anzi!
 
E’ piu’ facile che si assista ai mal di denti di Noa, a delle fiere campionarie di Labor o alle pianificazioni di azioni terroristiche, che ai combattimenti (comunque presenti in gran copia) tra robot. Anche tecnicamente non ci si puo’ lamentare: il disegno e’ molto carino, con quel tratto che era in voga una decina d’anni fa (e forse ancora adesso), semplice ma mai rozzo, che rende molto bene la lucidita’ e la vaga “plasticosita'” dei labor, ed e’ anche abbastanza cartonoso. Per quanto mi riguarda, il vero potenziale di Patlabor esce fuori negli OAV e nei film, impreziositi dalla regia del sommo Mamoru Oshii: episodi come “Rondo’ nella neve”, e “Karuizava per due” sono cose che meritano di essere viste almeno una volta. Insomma, ammetto di essere spudoratamente di parte, ma sono dell’idea che Patlabor sia meglio di piu’ di molte porcherie che affollano il nostro mercato (non faccio nomi, ma immaginate voi…).Compratelo o vi spezzo le braccine… eh? Il Tribal non lo compra? A Orla’, segnati le ossa che te le mischio… (veramente sono stato uno dei primi a comprarlo e a metterlo in abbonamento…ndTribal)
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