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Il fenomeno “Neko Chan”

In tutto il mondo, a partire ovviamente dal Giappone, molte ragazze che hanno la passione per gli anime, la cultura giapponese e le subculture nate sul web hanno scelto di esprimere “verso l’esterno” le proprie passioni abbracciando l’estetica “Cat Girl“. Questa particolare interpretazione è conosciuta anche con il termine “Neko Chan” che identifica l’unione semantica tra due parole nipponiche: neko- (gatto) e il titolo onorifico “-chan” col significato di “carino” o “piccolo”. Dunque, coloro che abbracciano questa estetica, a differenza del Cosplay “tradizionale”, non si riferiscono esclusivamente ad un personaggio specifico di un anime o di un manga ma, piuttosto, ad una figura generica della cultura giapponese “gattonizzata“, un po’ come le più sdoganate Maid.

In Giappone e in molti paesi orientali, l’estetica “Neko Chan” trae le sue origini nella mitologia giapponese dove effettivamente le nekomusume (“donna gatto”), gatti trasformati in giovani fanciulle. Facendo un salto temporale millenario, ora  è spesso rappresentata con accessori molto essenziali, limitati spesso solo a un paio di orecchie da gatto, con l’aggiunta talvolta di coda e occhi con pupille dal taglio verticale; tale rappresentazione è detto in giapponese nekomimi (lett. “orecchie da gatto”), e ricorre in manga, anime e videogiochi in vari modi. Ci sono ad esempio casi in cui gli attributi felini sono parte integrante del personaggio (ad esempio Merle ne I cieli di Escaflowne o Karura in Utawarerumono), casi in cui il personaggio li assume in seguito a una trasformazione (ad esempio Ichigo/Strawberry in Tokyo Mew Mew), e casi in cui il costume è una forma di cosplay che il personaggio indossa (ad esempio Setsuna Sakurazaki in Negima o Matsuri in Ichigo Mashimaro); da notare che il fenomeno si applica anche, seppure più raramente, a personaggi di sesso maschile, come Naota in un episodio dell’anime FLCL o Schrödinger in Hellsing. Il fenomeno si inserisce nel più ampio genere del kemonomimi  che consiste nell’assumere tratti di animali per assumerne il carattere. Un uso molto frequente del nekomimi ricorre soprattutto nella simbologia dei manga, dove un personaggio può assumere attributi felini per indicare uno stato d’animo (tipicamente orecchie per indicare che si è colta una conversazione in distanza o una bocca per indicare un pensiero maligno), e il cambiamento non è quindi “visibile” agli altri personaggi, anche se può diventarlo per indurre un effetto comico nel lettore; questa simbologia è peraltro affine a quella dei chibi o ai super deformed.

Nella cultura mediale occidentale, ben prima della colonizzazione nipponica, anche se meno frequenti,  non mancano personaggi femminili vestiti con attributi da gatto. Rispetto alla controparte giappnonese, ciò che identifica esteticamente questi personaggi come “gattizzati”, sono numerosi accessori  e attributi felini sono molti di più, e si estendono spesso anche a zampe, artigli e pelo, o tute che ricoprono gran parte del corpo. L’esempio ovviamente più noto è quello di Catwoman: Selina Kyle si trasforma in una supereroina sui generis, con un passato da ladra, dal costume da gatta (completamente fatto di pelle nera nel film Batman Returns, regia di Tim Burton), prima antagonista poi partner estemporanea del supereroe Batman. Anche Felicia Hardy, della Marvel Comics ha attributi da gatto, diventa infatti la ladra e supereroina Gatta Nera, alleata di Spider-Man.

Nel nostro paese, molte appassionate si sono avvicinate a questo modo di interpretare i personaggi attraverso la fortunata serie di Tokyo Mew Mew  – Amiche vincenti, uno shōjo creato da Reiko Yoshida e da Mia Ikumi, pubblicato in Giappone sulla rivista Nakayoshi di Kōdansha dal 3 agosto 2000. L’opera, ispirata a un precedente manga di Ikumi, La gattina nera di Tokyo, si è poi evoluta in una serie anime di 52 episodi, andata in onda in Giappone su TV Aichi dall’aprile 2002 al marzo 2003. Molte appasionate si sono avvicinate dunque a questo “modo di vedersi” proprio ridisegnando e interprentando le protagoniste di quest’opera.

Dopo l’ispirazione e la creazione del proprio personaggio “neko”, il passo successivo è quello della “condivisione”, il passa-parola dall’oriente ha fatto si che molte ragazze anche in Italia abbiamo deciso di approdare sui social (sopratutto instagram) esponendo le loro versione “gattonizzate” prima come modelle poi come performer con l’obiettivo di dare libero sfogo a questo lato della loro personalità senza aver paura dei giudizi altrui. Essendo l’estetica “Neko Chan” un’espressione “personale” anche il concetto di abbigliamento è estremamente soggettivo e non canonizzato: ognuna può indossare ciò che vuole, anche appunto vestirsi cosplay di un personaggio in particolare e renderlo neko/gatto.

Spesso le “Cat Girl” o “Neko Chan” vengono associate ad un’estetica fetish e fortemente sessualizzata sopratutto a colpa di “un’erronea traduzione culturale” provieniente dagli otaku giapponesi: per le diverse fruitrici europee che abbiamo incontrato questo non è fattore predominante anzi, è un’espressione creativa per esprimere al meglio se stesse liberandosi in maniera divertente dai pensieri e dalle preoccupazioni che la vita di tutti i giorni inevitabilmente porta. Dunque, la maggiorparte delle appassionate che hanno abbracciat questa estetica “non lo fanno per esibizionismo sessuale”, anzi hanno l’obiettivo di trovare la propria espressione interiore senza doversi nascondere dalla “maschera della normalità” socialmente definita: tutto questo senza una matrice sessuale anzi con purezza e innocenza tipica di un personaggio ispirato ad un “tenero gattino”.

Alcune di loro hanno deciso di “mettere a frutto” la loro scelta performativa anche su piattaforme come Onlyfans o Patreon. Bisogna sempre ricordare che Il concetto di Onlyfans = pornografia è sbagliato, su Onlyfans si può postare materiale eterogeneo, non solo a sfondo “hard” ma anche molti contenuti interessanti che vanno supportati.  Anche le piattaforme di streaming hanno avuto un forte impatto nella diffusione di questa estetica: i*Il Web è più diretto rispetto alla televisione, guardando uno streaming vi è una condivisione maggiore, un senso di coinvolgimento diretto più appagante: questi format parlano un linguaggio nuovo, la tv è rimasta indietro anzi, in qualche modo tenta maldestramente di “difendersi” denigrando il web descrivendolo come “superficiale” e non professionale.

Redazione

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