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Integrazione e disintegrazione

E’ facile parlare d’integrazione quando, d’integrazione, un’idea ben chiara non si ha. Soprattutto se a farlo siamo noi, occidentali, abituati ad “accogliere”, a “tollerare”, a far coincidere, troppo spesso, l’integrazione con l’assimilazione. Siamo a Frascati, al Festival della storia (In) Contemporanea.

 

Si parla di Islam, di musulmani d’occidente; di come questa gente raggiunga terre lontane dalla propria con un bagaglio enorme di storia e di tradizioni. E di come questo bagaglio rimanga emarginato e ghettizzato ai lati della società, troppo grande e pesante per essere aperto. Noi, mondo occidentale, troppe volte commettiamo l’errore di ritenere universalmente giusto ciò che per noi è giusto, di non relativizzare le differenze e la diversità, di non metterci dalla parte di chi, costretto da necessità ingenti, è obbligato a dover emigrare. Nonostante l’Italia sia stata, prima di tutto, terra d’emigranti. Parliamo di tolleranza, senza essere coscienti che la parola tolleranza ha, per sua natura, un significato negativo. Tollerare equivale a sopportare, ad accettare cioè qualcosa malvolentieri, perché proprio non se ne può fare a meno.
 
Tuttavia, al contempo, ci scontriamo effettivamente con una rigidità, con dei principi, con delle religioni difficili da comprendere, e che forse spaventano un po’. L’assimilazione, da parte dei migranti, della nostra cultura e dei nostri valori, è un’ipotesi che a molti piace. L’idea che un maghrebino o un tunisino vengano assimilati, assorbiti yotalmente dalla nostra società è senza dubbio però una previsione piuttosto azzardata, quasi utopica. Assimilazione, purtroppo, quasi sempre, significa omologazione; perdita d’identità; perdita del proprio passato e della propria storia. Con tutto ciò che una violenza simile può generare; si pensi solo al modello francese, alle rivolte che il novembre scorso sono esplose nelle banlieue, mettendo in subbuglio Parigi e non solo. Seconde e terze generazioni con crisi d’identità, senza veri e propri legami né con le origini, né con lo stato francese. Disagi in aumento, così come criminalità e povertà. Richiesta di attenzione, necessità di sentirsi visibili.

Fallito il modello francese
; fallito il modello inglese dopo i fatti del 7 luglio; fallito il modello olandese dopo l’uccisione di V. Gogh. La via da percorrere, e, si capisce, da entrambe le parti, è una sola: quella della collaborazione e dell’accettazione. Un venirsi incontro graduale e rispettoso. Perché la tanto sospirata “integrazione” non si trasformi in un lento processo di “disintegrazione”.
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