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Lo Steampunk negli anime e manga

Lo Steampunk è un particolare genere narrativo e stilistico che utilizza estetiche del periodo industriale, a cavallo tra ottocento e novecento, per identificare una tecnologia avanzata, futuristica. Una sorta di esperimento transtemporale che spalanca il genere fantascientifico ad originali sfumature retrò creando un notevole impatto visivo. È impossibile determinare con precisione l’origine di questo particolare genere, l’utilizzo di elementi di un passato più o meno recente in un contesto fantascientifico è intrinseco in questo genere sin dai tempi di Jules Verne. Il loro utilizzo può essere pratico, per ricordo, per citazione o per semplice ispirazione momentanea, ma da solo non può essere considerato distintivo per la classificazione di un genere a sé stante, almeno finché non viene teorizzato un paradigma comune da utilizzare nell’analisi. Solo recentemente è stato stabilito un minimo comune denominatore che ha definito in modo univoco i canoni dello steam punk.

Questi elementi erano già presenti nei primi anni cinquanta in Osamu Tezuka, considerato il padre del fumetto giapponese, nella sua trilogia fantascientifica: Lost World (1948), Metropolis (1949) e Next World (1951), in cui sono evidenti i riferimenti all’Europa del primo Novecento. Il secondo manga, Metropolis, prende chiaramente ispirazione dall’omonimo film di Fritz Lang del 1926, ed è stato trasformato in un’opera animata nel 2002 grazie all’opera di Rintaro e Katsuhiro Otomo. Questa trilogia è il risultato di una mente geniale, ma non rappresenta ancora un genere a sé stante, poiché rimane un esperimento quasi isolato per vent’anni.

Negli anni settanta, i disegnatori giapponesi, chiamati mangaka, hanno fatto una “scoperta” che ha influenzato molto il modo di creare e fruire l’animazione in quel periodo e negli anni successivi. Un’influenza che non era direttamente collegata alla fantascienza, ma che ha avuto un grande impatto su quello che poi sarebbe stato definito steam punk. Riyoko Ikeda, nel 1972, ha fatto conoscere al popolo giapponese la storia e i costumi europei della fine del Settecento, con la sua serie storica “Versailles no Bara” (Lady Oscar). Il Giappone si è appassionato all’epopea della giovane aristocratica francese, e la Parigi della Rivoluzione Francese è entrata prepotentemente nella cultura di massa giapponese, tanto che sono state create numerose serie ispirate a quel periodo storico negli anni seguenti.

Giusto qualche anno dopo l’uscita dell’opera di Ikeda, il maestro Leiji Matsumoto, nel 1976, ha introdotto il gusto retrò nella fantascienza pura, utilizzando navi spaziali simili a galeoni del Settecento nella sua celebre serie “Capitan Harlock”, in cui il mitico capitano con la benda sull’occhio ha trasformato il suo veliero in una navicella spaziale. Lo stesso autore ha regalato al mondo, due anni dopo, un’altra serie storica, “La corazzata Yamato” (1978), in cui le astronavi erano chiaramente ispirate alle navi da battaglia della seconda guerra mondiale.

Contemporaneamente alle avventure della Yamato, un’altra serie ha rappresentato un’altra pietra miliare per questo fenomeno: “Conan il ragazzo del futuro”, dove il maestro Hayao Miyazaki ha introdotto per la prima volta le problematiche relative a un futuro post guerra atomica, quasi a esorcizzare la paura del popolo giapponese nei confronti di una nuova minaccia nucleare. La serie ha avuto un successo mondiale e ha posto Miyazaki nell’olimpo del cinema d’animazione.

Come abbiamo visto, il genere steam punk ha radici profonde nel decennio in cui l’animazione giapponese si è diffusa in tutto il mondo. Negli anni ’70 erano iniziate a comparire in Rai opere come quelle sopra menzionate, che, insieme alla fantascienza “classica” di Go Nagai, hanno gettato le basi per quella che ora chiamiamo “j-culture” in Italia. Da queste solide radici sono nate, nei decenni successivi, diverse produzioni più o meno interessanti che hanno suscitato l’interesse collettivo verso questo tipo di fantascienza, creando un corpus di opere notevoli.

Negli anni ’90, una serie in particolare ha suscitato grande interesse perché ha lanciato una nuova scuola di animazione. Lo studio neonato Gainax, fondato da Hideaki Hanno, ha creato nel 1990 l’anime “Fushigi no Umi no Nadia“, il Mistero della Pietra Azzurra, una storia che, per ambientazione e stile, sembra uscita dai romanzi di Jules Verne. In un’epoca a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, due ragazzi cercano di risolvere il mistero di una strana pietra, un’avventura epica a bordo del Nautilus del Capitano Nemo che li porterà nelle profondità aliene di Atlantide. Più astronavi che sottomarini, il Gratan e l’Harpfish hanno influenzato la fantasia di una generazione di appassionati.

Con l’arrivo del terzo millennio, numerose produzioni animate hanno riproposto in modi diversi l’utilizzo di uno stile narrativo transtemporale, anche se non ancora propriamente steam punk. Hiroshi Aramata, in “Alexander“, ha trasportato l’antica Macedonia in un futuro non precisato, in cui le epiche battaglie di Alessandro Magno sono condotte con lance e astronavi, in un vortice cromatico e stilistico impeccabile. Kazuya Minekura ha creato un’ambientazione originale in “Saiyuki“, ispirandosi alla favola mitologica del “Scimmiotto di Pietra”: elementi futuristici sono inseriti in un contesto tipico dell’era Sengoku, simile al Medioevo fantasy occidentale. Magia, armi bianche, pistole, esperimenti genetici, demoni e dei si uniscono in un’unica trama narrativa con grande fluidità. In “Trigun” di Yasuhiro Nightow, lo spazio siderale si mescola alle praterie dell’America del XIX secolo. Un fanta-western in cui si uniscono i tipici elementi del genere americano e le tematiche più angoscianti del futuro scientifico, come le ricerche sul DNA e la creazione dell’essere perfetto.

Passato e futuro, abbiamo visto, si sono uniti più volte nel fumetto e nell’animazione giapponese, ma solo ultimamente si possono ritrovare produzione che riescono a fissare in maniera univoca quei paletti utili alla creazione di un paradigma d’analisi. In particolare si possono evidenziare questi tratti comuni in tre produzioni editoriali recentissime, si manifesta dunque questo minimo comune denominatore che fissa definitivamente il genere Steam Punk.

In primis Last Exile, dello studio Gonzo, narra di guerra in un mondo di nuvole, in un contesto fantascientifico e che prende spunto pesantemente dall’estetica occidentale dei primi quarant’anni del ‘900.In seconda battuta Full Metal Alchemist, in cui ancor di più si uniscono alla tematica futuribile non solo elementi del secolo scorso ma anche una finestra sulla magia e l’alchimia.Ultimo sguardo va invece per lo straordinario lungometraggio animato di Katsuhiro Otomo, di recentissima uscita nelle sale italiane, Steam Boy. Film che ha giustamente avuto l’onore di chiudere l’ultimo festival di Venezia e che ci porta in piena rivoluzione industriale, quando le nuove invenzioni meravigliavano il mondo e si confidava in un futuro migliore. Last ExileFull Metal Alchemist e Steam Boy rappresentano dunque il massimo esempio di questo genere e ne tracciano le linee guida per le future produzioni, a livello di stile, tratto e narrazione.

Lo SteamPunk, in definitiva, pone la sua estetica nella Rivoluzione Industriale o nel periodo immediatamente successivo; periodo nel quale le immense macchine d’acciaio prendono vita dall’energie del Vapore, una rivoluzione globale che da inizio all’era moderna. Lo stile grafico usa dunque tonalità cromatiche retrò, sfumate, quasi come se i disegni fossero posti su una pellicola antica e rovinata. I protagonisti sono appartenenti alla classe operaia, raramente a quella borghese: la nobiltà rappresenta da una parte l’ordine costituito ma anche il nemico da sconfiggere. L’acciaio domina su tutto, non solo nello stile e nell’uso del colore, ma anche e sopratutto nella narrazione. Colore Metallico costantemente velato dal vapore delle macchine.

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