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Cos’è il fumetto?

Ma iniziamo per gradi: cos’è il fumetto? Sfogliando una qualsiasi enciclopedia e soffermandosi alla voce “fumetto” si potrà leggere una definizione non lontana da questa: “Narrazione costituita da immagini in sequenza, disposte su strisce orizzontali divise in riquadri o vignette. Le parole che escono dalla bocca di chi parla vengono inserite in piccoli riquadri o nuvolette (ballons). I suoni vengono rappresentati visivamente attraverso onomatopee, mentre alcuni simboli grafici esprimono altri elementi narrativi come ad esempio il movimento. Il linguaggio del fumetto attua una comunicazione basata su vari elementi: l’immagine disegnata, il colore, le parole scritte, la sequenza delle scene”.

Le caratteristiche strutturali di fondo del fumetto, inoltre, possono essere così riassunte:

  • struttura narrativa basata sulla sequenza di vignette generalmente raggruppate in strisce dal formato uniforme per facilità riproduttiva e commerciale;
  • dialogo inserito all’interno dell’immagine mediante il balloon;
  • struttura iterativa (cioè serie continua di ripetizioni e variazioni del tema fondamentale) delle storie narrate in connessione ai particolari ritmi produttivi della striscia;
  • conseguente nascita di personaggi fissi (characters) destinati a diventare gli eroi delle avventure narrate.

Ma prima di assumere la configurazione che viene descritta da questa definizione che cosa era il fumetto? Da cosa sì è evoluto? Bisogna risalire alla sue origini per scoprirlo.

In principio era…

Il fumetto è un mezzo di comunicazione di massa e le sue origini devono essere ricondotte alla storia della stampa, del vignettismo e della caricatura. In Germania sul finire del Quattrocento si diffondono xilografie su argomenti religiosi, morali e politici, che grazie alla stampa a caratteri mobili si evolvono ben presto in illustrazioni su manifesti e stampe popolari. In Inghilterra, intorno al 1682, Francis Barlow usa balloons a forma di bandiera o di cartiglio nei suoi fogli propagandistici sullo Spaventoso complotto infernale papista.

La tecnica delle illustrazioni con ballons viene perfezionata sempre in Inghilterra da James Gillray prima e da Thomas Rowlandson poi, che nel 1809 inventa il Dottor Syntax, personaggio il cui successo determina il diffondersi di vari oggetti a lui dedicati, dando vita ad un vero e proprio merchandising.Se il termine italiano fumetto facilmente si spiega, il termine statunitense comic si giustifica per il fatto che per ben oltre 20 anni si sviluppa essenzialmente su questo filone.

Nel 1895 fa la sua comparsa sul supplemento domenicale del “New York World” un buffo ragazzino calvo, irriverente, con le orecchie a sventola, che indossa una camicia da notte gialla: il suo nome è Yellow Kid ed è considerato dalla maggior parte degli storici come l’antenato del fumetto. Da qui il fumetto viene dunque riconosciuto come prodotto della cultura di massa, sottoposto alla legge del mercato: di fatto la comparsa di quello che viene ufficialmente riconosciuto come il primo personaggio dei comics fu collegata all’obiettivo di aumentare le vendite di un quotidiano newyorchese.

La data di nascita del fumetto viene pressoché unanimemente fatta coincidere con l’apparizione di Yellow Kid appunto, anche se in realtà, prima di questa data, storie a fumetti erano comparse su alcuni periodici per ragazzi in Inghilterra, ma solo in questo momento si manifesta l’autonomia espressiva del nuovo medium. Di recente però questa tesi è stata confutata da Alfredo Castelli, creatore di Martin Mystère, che è entrato in possesso di un albo a fumetti, intitolato Obadiah Oldbuck, pubblicato negli Stati Uniti nel 1842 e che anticipa così la data di nascita del fumetto di oltre 50 anni. Ma anche se il monello dalle orecchie a sventola non può più essere considerato il papà delle strisce disegnate, continua a buon diritto ad essere quello che lo ha fatto diventare un fenomeno di massa.

Duranti i primi del Novecento le strips domenicali hanno rappresentato un mezzo di intrattenimento economico per le masse e un semplice strumento di apprendimento della lingua per gli immigrati. Quando Max Gaines nel 1933 inventa il comic book, l’albo a fumetti come lo conosciamo oggi, il fumetto conquista la sua autonomia dai giornali e nascono testate esclusivamente dedicate ai fumetti. Il genere comico viene presto soppiantato nelle preferenze dei lettori dal genere avventuroso, disegnato con uno stile realistico. Non a torto il fumetto americano viene associato al genere supereroistico, a partire dagli anni Quaranta, gli anni d’oro dei supereroi, nascono Superman, Batman, Flash Gordon e altri quattrocento personaggi in costume e calzamaglia che tengono con il fiato sospeso milioni di lettori con le loro avventure: supereroi impegnati contro tedeschi e giapponesi durante la seconda guerra mondiale, supereroi con superproblemi negli anni Settanta, supereroi che affrontano i mali della società negli anni Novanta, supereroi costretti a realizzare la propria impotenza di fronte alla tragedia del 11 settembre 2001.

Diffusione del fumetto in Italia:

Sulle prime tavole di Outcault non erano ancora presenti le classiche nuvolette provenienti dalla bocca dei personaggi, ma le parole erano riportate sul camicione del personaggio raffigurante il ragazzino cinese, Yellow Kid, che ho citato prima. Da quella prima apparizione, il numero dei characters si moltiplicò molto rapidamente e videro la luce moltissime serie diverse, che si diffusero con il nome di  Comics, trattandosi praticamente nella totalità di storie divertenti. In Italia il fumetto fece un po’ fatica ad affermarsi. Ragioni di carattere storico e culturale facevano guardare con diffidenza alle tavole illustrate, dove la parola scritta, il testo, sembrava costituire solo una parte marginale nel racconto. Nel nostro Paese la radicata tradizione letteraria e il sospetto dei pedagogisti, crearono, nei confronti del fumetto, un clima di ostilità e sospetto, che ne rallentò molto l’affermazione.

Alla fine del secolo scorso, i periodici italiani per l’infanzia non erano pronti ad accogliere il nuovo mezzo espressivo: guardando alle pubblicazioni di fine ‘800, si può constatare come fosse dato poco spazio all’immagine, che rimaneva, inoltre, subordinata ai fini del testo, dal contenuto molto spesso moralistico. Per vedere l’esordio dei fumetti nel nostro Paese, bisognerà aspettare il 1932, quando vide la luce il settimanale Jumbo della SAEV di Milano, animata dall’editore Lotario Vecchi. A tale proposito si parla di una vera e propria querelle sulla nascita del fumetto in Italia, di solito fatta coincidere con la comparsa del “Corriere dei Piccoli”. Questo periodico, nato il 27 dicembre 1908 sotto la direzione di Silvio Filippo Spaventa, ebbe in realtà, in merito a questa vicenda, un ruolo ambiguo: se, infatti, fu il primo attraverso cui furono importati numerosi personaggi e storie d’oltre oceano, compì però nei loro confronti un’azione mutilante: eliminò i balloons, sostituendoli con ottonari a rima baciata che fungevano da didascalie, probabilmente per conformarsi all’esigenza di qualità letteraria tanto reclamata dall’ambiente culturale italiano. Il “Corriere dei Piccoli” privò quindi il nuovo medium di una sua caratteristica essenziale; ciò nondimeno contribuì a creare nei lettori il gusto per la narrativa ad immagini, elemento fondamentale per predisporsi alla lettura dei fumetti, distinguendosi dagli altri periodici fin dagli inizi, per le numerose pagine tutte dedicate a storie ad immagini fortemente cromatiche.

Prima del 1932, comunque, anche in Italia si intuì quali fossero le potenzialità del fumetto relativamente alla diffusione di idee, alla capacità di legare a sé il pubblico, all’influenza esercitata sulla coscienza dei lettori: nacquero così alcune testate con finalità specifiche, tra cui: “La Tradotta”, realizzata dall’Ufficio Propaganda dell’Esercito e rivolta ad un pubblico adulto, “Cuore”, pubblicato dalla casa editrice Avanti, con lo scopo di sensibilizzare politicamente i giovani lettori,  “Il Giornale dei Balilla”, periodico ufficiale dei gruppi balilla, uscito a Milano nel 1923 e seguito, nel 1927, da “La Piccola Italiana”, diretto all’educazione fascista delle bambine.

Fu, in ogni modo, alla fine del 1932, che l’editore Vecchi, intuendo che i fumetti avrebbero potuto costituire un’attività commerciale particolarmente redditizia, diede vita a “Jumbo”. Nella realizzazione di questo settimanale, Vecchi prese spunto dai periodici inglesi, che, a differenza di quelli americani, erano rivolti particolarmente ai ragazzi, proponendo soprattutto storie avventurose, oltre che comiche, e nelle quali erano compresenti didascalie e balloons. Jumbo riscosse un immediato successo, anche fra gli adulti, rendendo finalmente evidente quale fosse l’interesse del pubblico per i fumetti. Insieme a Vecchi, furono altri due gli editori che contribuirono alla diffusione del fumetto in Italia: Nerbini, che dal 31 dicembre 1932 pubblicò Topolino, e dal maggio del 1933 il Supplemento al giornale di Topolino; i F.lli Del Duca con Il Monello e, dal 1935, l’Intrepido.

In questi anni il mondo cattolico, resosi conto di non poter arginare la diffusione dei nuovi periodici a fumetti, realizzò alcune testate proprie, in modo da poter bilanciare la vasta produzione laica: tra queste la più importante fu senza dubbio “Il Vittorioso”, realizzato su iniziativa della Gioventù dell’Azione Cattolica, la cui tiratura arrivò a superare quella del Corriere dei Piccoli. Con l’avvento del fascismo e l’istituzione del Ministero della Cultura Popolare, i direttori di tutti i giornali per ragazzi, furono invitati ad allinearsi alle indicazioni editoriali stabilite durante il Congresso Nazionale per la letteratura infantile e giovanile, tenutosi a Bologna nel 1938.

In questa sede si lamentò alla stampa per ragazzi un’eccessiva presenza dell’immagine e di personaggi stranieri. Si caldeggiarono, al contrario, storie che esaltassero l’eroismo italiano, soprattutto militare, e la storia d’Italia, passata e presente: “in breve una linea di completa autarchia, anche per quanto riguardava la fisionomia degli eroi.”

Quando anche gli Stati Uniti entrarono in guerra, poi, il fumetto fu perseguitato a prescindere dai contenuti, semplicemente perché prodotto e importato dall’America. Questa situazione durò fino al 1° novembre 1944, quando il Minculpop abolì il divieto della nuvoletta. Questi  provvedimenti sottolineano come fosse ormai  acquisita la consapevolezza della capacità del fumetto di veicolare ideologie e influenzare le coscienze. In questo periodo, proprio a causa delle restrizioni imposte dal regime, ebbero modo di mettersi in luce diversi autori italiani, che poterono sfoggiare, rispetto ai colleghi americani, stili personalissimi che denotavano un gusto spesso impregnato da sincere ispirazioni artistiche e reminiscenze grafico –

culturali. Nel dopoguerra, sebbene da un punto di vista quantitativo il fumetto si riaffermò rapidamente, la qualità delle nuove pubblicazioni si presentò molto bassa: nacque anche il fotoromanzo, che si proponeva particolarmente ad un pubblico adulto di bassa scolarità.

Si parla di crisi del giornalinismo del dopoguerra. E sempre nel dopoguerra continuò il dibattito sulla “bontà” del fumetto, che ora vedeva comparire qualche voce favorevole, nell’ampio coro di chi ancora lo considerava una lettura diseducativa, fomentatrice di violenza e vizio. Questa convinzione portò addirittura a delle iniziative parlamentari, da parte di alcuni deputati democristiani, che nel 1951, nel 1955 e ’58 tentarono di bloccarne l’espansione: tutti questi interventi non sfociarono mai in una Legge vera e propria.

Il riscatto del fumetto: Il disgelo iniziò nel 1965, grazie all’attività di studiosi di diverse discipline che, con le loro opere, si preoccuparono di cogliere la natura dell’ormai non più nuovo mezzo espressivo.Rappresentativi di questa nuova era furono due avvenimenti: il primo Salone Internazionale dei Comics di Bordighera (dall’anno successivo stabilitosi definitivamente a Lucca); la nascita di “Linus”, prima rivista specializzata del settore. Entrambi furono importantissimi, perché fecero acquisire allo studio sui fumetti dignità scientifica: caratteristica del Salone dei Comics fu proprio il desiderio di superare i meri aspetti commerciali, in vista di una multiforme analisi culturale dei mezzi figurativi; “Linus”, fondata da G. Gandini, vide la collaborazione di autorevoli studiosi del settore, quali Umberto Eco, Elio Vittorini, Oreste Del Buono.

La rivista, che sconcertò in un primo momento gli abituali lettori di fumetti, trovò nel giro di pochi anni l’approvazione dei giovani, che stavano vivendo in un clima di “fermento generazionale e di costume”, e per i quali l’anticonformismo dei fumetti pubblicati da Linus, “assumeva rilievo di avanguardia o addirittura di rivoluzione”. La rivista contribuì, inoltre, all’affermarsi del cosiddetto “fumetto d’autore”, cioè di elevato livello grafico,  completamente concepito e disegnato dall’artista. Le ragioni che permisero questo disgelo vanno ricercate nei mutamenti economici, politici e sociali che interessarono il nostro Paese in quel periodo, nonché nell’attività degli strumenti di comunicazione di massa che contribuirono a diffondere una “cultura iconica nella quale l’immagine, nelle sue molteplici manifestazioni (grafica, cinematografica, televisiva, ecc.), finiva per incidere in modo sostanziale nella formazione dell’individuo, e per determinare nei giovani, un forte stacco generazionale rispetto agli adulti.”

Iniziarono inoltre ad essere pubblicate altre riviste specializzate, oltre a “Linus”, la più importante delle quali fu “Eureka”, ed iniziò il fenomeno del collezionismo che portò, nel 1969, al costituirsi di una vera e propria Associazione: l’A.N.A.F. (Associazione Nazionale Amici del Fumetto). Il 1968 vide la contestazione comparire anche nei fumetti: dapprima comparvero una serie di pubblicazioni “underground” italiane, la cui espressività formale contrastava quella dei fumetti classici, ormai considerati espressione della classe borghese; poi, “Linus,” diede spazio ai primi autori contestatari (Chiappori, Pericoli, Altan) e sexy per adulti, il fumetto d’orrore, e quello umoristico – satirico.

Dagli anni ’80 ad oggi: Gli anni Ottanta furono caratterizzati dalle “avanguardie” (vedi Brancato e Barbieri), le cui esperienze più significative sono rappresentati dalla rivista “Frigidaire” e dal  gruppo denominato “Valvoline”.  Si  trattava di sperimentazioni in cui il linguaggio del fumetto veniva ad assumere una centralità assoluta, diventando più importante delle storie stesse. Col tempo, l’esasperazione di questo fenomeno portò ad un allontanamento del pubblico, con la conseguente fine dell’esperienza. In seguito a ciò gli autori invertirono la tendenza, ripristinando l’importanza della narrazione. A differenza di quanto accaduto alla sua comparsa, il fumetto godeva ormai di una riconosciuta autonomia espressiva, non più messa in discussione. Oggi continua a vivere nel sistema della comunicazione di  massa, integrandosi a diversi livelli con gli altri media.

 di Giulia Beranzoni

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