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Saw III – L’enigma senza fine

In principio era l’ultima casa a sinistra.

Cosi il cinema splatter iniziò i suoi primi passi.  Registi del calibro di Wes Craven, o Tobe Hopper ( guarda caso in questo periodo i loro film ritornano in veste remake) esploravano quell’oscuro mondo del dolore. La visione integrale di scene forti, di violenza, squartamenti vari e sbudellamenti.Fino ad arrivare ad oggi all’ultima serie del genere, che lo ha un po’ ravvivato, ormai rilegato alla monotonia o alla violenza gratuita.

Saw, la serie basata sul personaggio di Jigsaw -che ormai per quei pochi che non lo hanno visto-  è un malato terminale, con un tumore al cervello. Quest’ultimo rapisce, incatena in modi molto originali ( non solo catene) persone dalla dubbia moralità e li costringe a fare un gioco. La posta in gioco è la vita.

Prima del tre, c’era l’uno, scioccante con il suo modo di imporsi sullo schermo, una stanza, due uomini, la tensione non ti permetteva di spostare lo sguardo, All’uno venne un secondo, e si sa che gli americani di idee ne hanno poche e appena beccano quella che funziona ne fanno il due, ma si sa, come insegna “Scream”, il secondo è sempre il peggiore.

E poi….

E poi arriva il terzo. Rinnega il secondo sterminando tutto quello che lo può ricollegare e traccia un filo diretto con il primo. La tensione anche qui si misura in battiti; è troppo forte anche per i buon gustai dello splatter nel resistere a rimanere ogni istante a guardare i trucidi giochi dell’enigmista. Il gioco si fa più complicato. Il morente Jingsaw, ormai è allo stadio terminale, e gli viene la brillante idea di rapire una dottoressa che lo mantenga in vita fino a quando un’altra sua vittima non finisca il gioco, pena: la morte.

Bousman, il regista e sceneggiatore assieme a Leight Whannel, colpisce a pieno le paure del nostro tempo. Per noi che viviamo in un tempo in cui la violenza la vediamo, la respiriamo, e non ultima, per noi giovani telespettatori che con un semplice click possiamo gustarci dal vivo l’esecuzione di Saddam Hussein, sparatorie, rapine andate male. Che bisogno abbiamo di vederla finta? O, per dirla in un altro modo, il cinema deve lavorare parecchio per poterci inorridire, spaventare, o come a volte si vede nei vecchi film, a farci porre le nostre mani sul volto con un bell’ occhio stile “voyeur” che guarda senza guardare lo schermo.

Il dolore, la sofferenza è questo il nodo vincente della coppia, creatori e autori della loro creazione.

Jigsaw fa soffrire le proprie vittime, le mutila, le fa anche sopravvivere, ma nessuna cosa fa più paura del vedere le persone soffrire ( o peggio farci pensare di essere noi in quella situazione), perché quando si muore finisce tutto, il personaggio esce di scena, tanto dopo ci innamoreremo di un altro personaggio… ce ne sarà uno bello è buono senza peccato che riesce a uccidere il cattivo e a scappare con la principessa.

Qui non c’è buono, nel suo letto di morte quasi ti cade una lacrima per il povero Jigsaw che ricorda i giorni belli e solari in cui era sano, felice e innamorato.

Tutti i personaggi che ci vengono mostrati sono carichi di odio, pieni di ferite interiori che Saw riuscirà a esteriorizzare nei suoi macabri giochetti.

Se il primo sciocca, il secondo si dimentica, il terzo segna un ritorno ai fasti del primo incrementando la dose di sangue e gore fino a capire che le sue vittime non sono quelle sullo schermo ma noi.

 

di Giulio Cangiano

 

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