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“When It Rains in LA”: sotto la pioggia di Los Angeles, si sciolgono i confini tra incubo e realtà

A Los Angeles non piove quasi mai. Ma quando lo fa, sembra che qualcosa si rompa nell’aria. Come se il cielo stesso si stancasse della sua perfezione da cartolina e decidesse di aprire le vene, lasciando cadere pioggia e mistero a inzuppare tutto ciò che tocca. È in questo scenario insolito e bagnato che prende vita When It Rains in LA, il thriller noir firmato David M. Parks, in uscita nelle sale italiane l’8 maggio. Una pellicola che, con tutti i suoi limiti, ha saputo insinuarsi nella mia mente e non lasciarmi più in pace. Sasha — interpretata da Monroe Cline — è una giovane donna dell’Europa dell’Est dal passato ingombrante. Il film si apre con un lutto misterioso: la morte improvvisa del suo compagno, Nate (Eric Roberts), eccentrico collezionista d’arte, stroncato poco dopo aver acquistato una maschera antica e maledetta. La scelta è chiara fin da subito: questo non è un thriller che punta tutto sulla logica, ma sull’atmosfera. E proprio quell’atmosfera umida, sfocata e simbolica, diventa la protagonista silenziosa della storia. Sasha fugge a Los Angeles, città in cui spera di ricostruire una vita, circondata da vecchie amiche e da una promessa di normalità. Ma è un’illusione. Quando le prime gocce iniziano a cadere dal cielo, stranezze e tensioni si insinuano nella sua quotidianità come l’acqua sotto una porta lasciata socchiusa. Messaggi inquietanti, figure oscure, un ex pilota dal fascino ambiguo (Harry, interpretato da Leslie Stratton) e un gruppo di personaggi che sembrano usciti da un sogno malriuscito: Tatia, Alice, Leese e l’instabile Mark. Tutti sembrano nascondere qualcosa. Tutti sembrano più nervosi del solito. E forse non è solo la pioggia.

Come blogger e amante del genere, ho guardato questo film con un misto di aspettativa e sospetto. Lo ammetto: i limiti produttivi si vedono. Alcuni effetti speciali sono più goffi che terrificanti, e i dialoghi spesso mancano del peso emotivo che richiederebbero le scene. Eppure, non riesco a liquidare When It Rains in LA come un semplice “thriller raffazzonato”. Perché sotto quella patina da film indie con pochi mezzi, pulsa qualcosa di autentico. C’è un desiderio di raccontare il trauma, l’elaborazione del lutto, il senso di colpa che ti segue come un’ombra anche quando pensi di aver girato pagina.

Sasha è una protagonista fragile, ma non passiva. Monroe Cline le dona un’energia disturbata e sognante, a metà tra la vittima e l’ossessionata. La sua interpretazione, pur penalizzata da un copione a tratti scialbo, regge il film sulle sue spalle. E forse è proprio questo che mi ha colpito di più: non sapere mai davvero dove stesse andando la storia. Una qualità rara in un genere spesso prevedibile.

La maschera maledetta, i culti esoterici, le presenze oscure: sì, tutto suona familiare. Ma Parks riesce — almeno a tratti — a rendere questo miscuglio un’esperienza visiva straniante, tra videoclip gotici e sogni a occhi aperti. Alcune scene sono talmente assurde da risultare comiche, altre sorprendono per la crudezza con cui colpiscono (una morte in un bagno resta impressa per il suo tempismo surreale). E poi c’è la colonna sonora di Faïs: un vero gioiello, che eleva le sequenze più statiche trasformandole in piccoli momenti ipnotici.

Quello che manca, purtroppo, è una struttura narrativa solida. Il film sembra a volte dimenticarsi dove vuole andare. La pioggia, elemento chiave del titolo e del tono, resta per lo più un espediente estetico. C’è, certo, ma non agisce davvero. È sfondo, più che motore. E questo lascia una certa amarezza, come quando un romanzo promette un colpo di scena che non arriva mai.

Ma forse è proprio questa ambiguità a rendere When It Rains in LA una piccola chicca da riscoprire. Un film che oscilla tra il dramma psicologico e il teen horror, tra The Ring e un episodio particolarmente cupo di Euphoria, con una regia che — pur zoppicando — osa. Non tutto funziona, anzi. Ma si sente la passione dietro la macchina da presa, la voglia di dire qualcosa, anche se confusamente. E a volte, nei thriller, è proprio il non detto a fare più paura.

In definitiva, When It Rains in LA è un film imperfetto ma intrigante. Non per chi cerca il brivido perfetto o la sceneggiatura cesellata, ma per chi ama perdersi in quelle storie dove il confine tra realtà e incubo si scioglie come trucco sotto la pioggia. Non mi ha terrorizzata, ma mi ha fatto pensare. E in un panorama pieno di cliché, questo è già qualcosa.

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