“Viy” rappresenta una gemma rara e preziosa nel panorama del cinema sovietico, una finestra aperta su un mondo intriso di misteri ancestrali e paure ataviche. Diretto nel 1967 da Georgij Kropačëv e Konstantin Eršov, questo film è considerato il primo vero horror della cinematografia sovietica, un’opera che, pur affondando le sue radici in una tradizione letteraria e culturale secolare, riesce ancora oggi a colpire lo spettatore con la sua potenza visiva e narrativa.
Il film si basa sull’omonimo racconto di Nikolaj Vasil’evič Gogol’, pubblicato per la prima volta nel 1835, un testo che è diventato un pilastro della letteratura fantastica russa. Gogol’ stesso trasse ispirazione da antiche leggende popolari, probabilmente di origine germanica, riuscendo a dar vita a una narrazione che mescola abilmente il fantastico con il grottesco, il sacro con il profano. “Viy” racconta la storia di Khoma Brut, un giovane seminarista di filosofia, che si trova a dover vegliare il corpo di una giovane donna morta, la quale, come scoprirà presto, è in realtà una strega con il potere di evocare il terribile Vij, una creatura demoniaca dalle sembianze mostruose.
Il cuore del film risiede nel viaggio di Khoma Brut, un viaggio che non è solo fisico ma anche psicologico e spirituale. Il giovane seminarista, spinto più dalla fame e dall’ambizione che dalla fede, si imbatte in forze che vanno ben oltre la sua comprensione razionale. Smarritosi in piena notte nella campagna inospitale, Khoma trova rifugio presso un’orribile vecchietta, che si rivela essere una strega. Dopo una terribile lotta, durante la quale Khoma uccide la vecchia, questa si trasforma in una bellissima giovane donna. Quella che sembrava una visione spaventosa si trasforma in un incubo reale quando Khoma, tornato al monastero, viene costretto dai suoi superiori a recarsi in un remoto villaggio per vegliare il corpo della defunta figlia di un ricco cosacco. Solo allora scopre che la ragazza è la stessa che aveva ucciso, e che ora, assetata di vendetta, lo attende per trascinarlo nel regno dei morti.
Il film di Kropačëv ed Eršov segue fedelmente la narrazione di Gogol’, apportando minimi adattamenti per tradurre su pellicola l’atmosfera cupa e claustrofobica del racconto. La sceneggiatura costruisce gradualmente un senso di minaccia, che si intensifica mano a mano che Khoma si avvicina al suo inevitabile destino. Le tre notti di veglia nella chiesetta di legno, un luogo immerso in un’oscurità che sembra animarsi di presenze maligne, rappresentano il climax del film. Qui, il giovane seminarista si trova a dover fronteggiare le forze del male in un crescendo di terrore che culmina con l’apparizione del Vij, attorniato dalla sua corte di creature mostruose.
La forza di “Viy” risiede non solo nella sua trama avvincente, ma anche nella sua estetica visiva. Gli effetti speciali, pur semplici e artigianali, mantengono ancora oggi una potenza espressiva che sorprende per la sua efficacia. Fondali posticci, trucchi rudimentali e movimenti di macchina innovativi creano un’atmosfera sospesa tra il reale e l’onirico, che amplifica il senso di disorientamento e terrore. Ogni dettaglio è curato con precisione, dai cromatismi accesi agli arredi liturgici impolverati, dalle icone dai colori cupi ai volti accigliati dei santi. La chiesetta, isolata e in rovina, diventa un luogo fuori dal tempo, dove il sacro e il profano si mescolano in un rituale di morte e resurrezione.
“Viy” è anche un film che, pur rimanendo profondamente ancorato alla cultura dell’Est europeo, riesce a toccare temi universali, come la lotta tra la ragione e il terrore primordiale, tra il bene e il male. La pànnočka, la giovane strega-vampiro che si anima nella bara, è una figura che richiama le creature del folclore slavo, come la rusalka, lo spirito delle acque che infesta le paludi. La sua vendetta su Khoma non è solo personale, ma rappresenta il trionfo dell’irrazionale sulla ragione, del male sull’innocenza. L’umorismo grottesco che pervade il film, con personaggi caricaturali e situazioni paradossali, non sminuisce il dramma, ma anzi lo arricchisce di una dimensione ulteriore. Khoma Brut, con la sua goffaggine e il suo scetticismo, è un antieroe che si confronta con un nemico troppo grande per lui, un giovane destinato a soccombere non solo di fronte alle forze oscure, ma anche all’avidità e alla cecità degli uomini. “Viy” è un’opera che ha saputo invecchiare bene, grazie alla sua capacità di coniugare una forte componente folcloristica con una narrazione visivamente suggestiva. È un film che merita di essere riscoperto, non solo per il suo valore storico come primo horror sovietico, ma anche per la sua capacità di evocare un mondo perduto, fatto di credenze antiche e paure ancestrali. Un mondo che, pur lontano nel tempo e nello spazio, riesce ancora oggi a parlare alle nostre più profonde inquietudini.