Certe storie non invecchiano mai. Hanno il potere magico di attraversare le epoche e rimanere impresse nella memoria collettiva, come impronte luminose nel cielo stellato dell’immaginario nerd. Una di queste storie è quella di Uno sceriffo extraterrestre… poco extra e molto terrestre, leggendaria commedia fantascientifica che, con la sua miscela di scazzottate, UFO, risate e tenerezza, è diventata nel tempo un cult senza tempo. Oggi, a 45 anni dalla sua uscita nelle sale italiane il 10 agosto 1979, è più viva che mai. Diretto da Michele Lupo, maestro dell’intrattenimento popolare, e scritto da Francesco Scardamaglia insieme a Marcello Fondato, questo film rappresenta una delle vette più inaspettatamente emozionanti della carriera di Bud Spencer. Un’opera che prende la fantascienza e la porta giù, tra la polvere delle strade americane, le giostre colorate e i cuori semplici, parlando un linguaggio universale fatto di empatia, amicizia e magia infantile.
La storia si apre nella sonnacchiosa cittadina di Newnan, Georgia, dove il burbero ma bonario sceriffo Scott Hall cerca di mantenere la pace in mezzo a un’improvvisa ondata di avvistamenti UFO. Per lui, tutta quella faccenda degli alieni è solo una bizzarria da giornali scandalistici… almeno finché non incontra H7-25, un bambino dall’aria normale ma proveniente da un altro pianeta, dove — udite udite — non esiste neppure la musica. Il piccolo è interpretato da Cary Guffey, già noto al grande pubblico per il suo ruolo nel capolavoro spielberghiano Incontri ravvicinati del terzo tipo.
H7-25 non è solo un visitatore silenzioso, ma un piccolo miracolo ambulante: con l’aiuto di un misterioso dispositivo, simile a un giocattolo futuristico, riesce a far rivivere gli anziani, animare le giostre abbandonate e persino far balzare i pesci direttamente tra le braccia dei pescatori. La meraviglia si scontra presto con il pericolo: il Capitano Briggs, a capo di una base militare, vuole mettere le mani sul piccolo alieno per sfruttarne la tecnologia. Ma non ha fatto i conti con lo sceriffo, pronto a difendere quel marzianino con tutte le sue leggendarie scazzottate.
E qui si consuma la magia più grande del film: il legame tra un uomo adulto, solitario e disilluso, e un bambino dallo sguardo curioso che scopre il mondo con occhi nuovi. Una dinamica che anticipa, con toni più comici ma non meno profondi, quella tra Elliott ed E.T. nel capolavoro spielberghiano del 1982. Ma Uno sceriffo extraterrestre… ha una cifra tutta sua: più fisica, più solare, più italiana.
Girato tra gli Stati Uniti e l’Italia, il film è un affascinante viaggio tra location reali e luoghi simbolici. Le scene all’interno del parco Six Flags Over Georgia, ad Austell, trasudano meraviglia infantile, con la giostra Riverview Carousel a fare da scenario incantato. Non mancano scorci italiani: la scena della “pesca miracolosa” venne infatti girata sul lago di Martignano, vicino Roma, fondendo con naturalezza due mondi — quello hollywoodiano e quello nostrano — in un’unica pellicola.
Il film è anche un gioiello di product placement vintage, con marchi come Coca-Cola e William Lawson in bella vista, e un’irresistibile colonna sonora firmata dagli Oliver Onions (Guido e Maurizio De Angelis). I brani “Sheriff” e “L’ultimo valzer” sono rimasti incisi nella memoria di intere generazioni, tanto da essere ripubblicati recentemente in versione deluxe con tracce inedite.
A impreziosire il cast ci sono anche Joe Bugner, Gigi Bonos, Carlo Reali e Giulio Maculani: volti familiari per chi ama quel cinema italiano capace di far ridere, emozionare e intrattenere senza mai prendersi troppo sul serio. Eppure, Uno sceriffo extraterrestre… riesce a toccare corde profonde, parlando di accoglienza, di affetto non convenzionale, di protezione. Lo sceriffo diventa una sorta di padre adottivo, e il piccolo alieno un catalizzatore di cambiamento per tutta la comunità.
La comicità slapstick di Bud Spencer, fatta di pugni a tempo di musica e facce buffe, qui si trasforma in un atto d’amore. Ogni scazzottata è un gesto di difesa, ogni battuta uno scudo contro la paura dell’altro, dello sconosciuto, del diverso. E così, tra una rissa al supermercato e una fuga rocambolesca nella base militare, il film costruisce un messaggio profondo: non serve essere simili per volersi bene, e spesso è proprio l’incontro con l’“alieno” che ci insegna a riscoprire l’umanità.
L’anno successivo arriverà anche un sequel, Chissà perché… capitano tutte a me, che riprenderà personaggi e ambientazioni. Ma è questo primo capitolo a lasciare un segno indelebile. Ancora oggi, grazie alle repliche televisive su canali come Cine34 e alle piattaforme streaming, continua a conquistare nuove generazioni di spettatori. Un film che riesce nell’impresa rara di parlare a bambini e adulti con lo stesso linguaggio, semplice ma carico di significato.
In un’epoca in cui la fantascienza cinematografica si è fatta spesso cupa, complessa e ad alto budget, Uno sceriffo extraterrestre… poco extra e molto terrestre resta un inno alla leggerezza, alla meraviglia e alla bontà d’animo. Con pochi effetti speciali, ma un cuore grande così, ci ricorda che il vero viaggio interstellare è quello che ci porta ad avvicinarci gli uni agli altri.
E allora, se anche voi ricordate con affetto quella giostra che si anima, quel bambino che scopre la musica, e quello sceriffo che combatte con i pugni ma vince con il cuore… raccontatecelo! Qual è la vostra scena preferita? Avete rivisto il film di recente o lo scoprite solo ora? Scriveteci nei commenti, condividete l’articolo sui vostri social e fate volare ancora, come un disco volante sopra Newnan, il ricordo di questo piccolo grande capolavoro della fantascienza all’italiana.
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