Sono sempre stata attratta dai thriller psicologici capaci di scavare nei traumi familiari, nei segreti sepolti e nelle verità che riaffiorano come fantasmi in cerca di giustizia. Per questo, quando ho scoperto che The Good Daughter, tratto dal romanzo omonimo di Karin Slaughter, stava per diventare una serie TV targata Peacock, ho sentito un brivido percorrermi la schiena. Quel brivido che solo le storie potenti e oscure sanno darmi. Le riprese sono iniziate a marzo 2025 ad Atlanta, e già questo mi ha fatto sperare bene. Atlanta è da anni una delle capitali del nuovo thriller televisivo americano: urbana, autentica, con una vena gotica sottile ma persistente. Ma è il contenuto stesso della serie a promettere qualcosa di davvero indimenticabile: una storia che non solo si nutre di violenza e suspense, ma affonda le radici nel dolore, nella memoria, nella sopravvivenza.
Nel cast troviamo nomi che, a chi come me divora le serie TV come pane quotidiano, suonano come promesse mantenute: Rose Byrne sarà Samantha Quinn e Meghann Fahy (che ho amato in The White Lotus) interpreterà Charlotte Quinn. Due sorelle, due destini spezzati da un’unica notte di terrore. Brendan Gleeson, imponente e intenso come sempre, sarà Rusty, il padre avvocato difensore, mentre Harper Steele, Paula Malcomson, Jake McDorman e i nuovi volti come Audrey Grace Marshall, Olivia Williams, Michael Dorman e Drew Cheek completano un ensemble da pelle d’oca. Già solo immaginare questo cast dare corpo e voce ai personaggi creati dalla penna affilatissima della Slaughter mi fa venire voglia di contare i giorni che ci separano dall’uscita.
Chi ha letto il romanzo sa bene quanto questa storia sia più di un semplice thriller. È un grido silenzioso, un’indagine emotiva travestita da legal drama, un’ode alle sorelle che si sono perse e forse, nel dolore, ritrovate. La trama parte da un evento traumatico: due sorelle vengono trascinate in un incubo nei boschi, una riesce a fuggire, l’altra resta indietro. Ventotto anni dopo, Charlotte è diventata avvocato come il padre e si trova di nuovo nel mezzo di una tragedia violenta che scuote la loro cittadina, Pikeville. Ma questa volta, la prima testimone sulla scena è proprio lei. E da quel momento, tutto precipita.
Quello che mi colpisce più di tutto è il sottotesto emotivo. Il thriller qui è solo il mezzo. Il fine è mostrare come il passato non solo ci forma, ma ci perseguita. Come essere la “brava figlia” non sia sempre una benedizione, ma a volte una condanna. Come la giustizia non sia mai semplice e i legami familiari possano essere fili spinati che non ti lasciano andare. È la tensione che si crea tra quello che siamo costrette a diventare e quello che eravamo prima che il mondo ci cambiasse.
Con Karin Slaughter stessa coinvolta come produttrice esecutiva, e la regia affidata a Steph Green (che ha già dimostrato il suo talento con Watchmen e The Americans), The Good Daughter non sarà solo un adattamento: sarà un’esperienza immersiva, un’interpretazione visiva di una storia che ha già fatto vibrare milioni di lettrici nel mondo. E non vedo l’ora di essere tra quelle che la vivranno, scena dopo scena, col cuore in gola e le mani strette al cuscino.
Non è solo l’attesa di una serie TV. È l’attesa di un viaggio dentro la mente, la memoria e la ferita aperta che ogni “brava figlia” porta con sé. E io sono pronta a farlo, ancora una volta, con il fiato sospeso.
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