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Edenlandia riapre: il cuore di Napoli torna a battere!

Dal 7 marzo, il silenzio aveva avvolto Edenlandia, il primo parco divertimenti italiano. Le risate dei bambini si erano spente, le giostre avevano smesso di girare e il sogno di generazioni sembrava sospeso nel tempo. Ma il cuore pulsante del parco divertimenti più amato di Napoli non ha mai smesso di lottare. Oggi, dopo settimane di incertezza e attesa, possiamo finalmente dirlo: bentornata, Edenlandia!

Il parco divertimenti di Fuorigrotta riaprirà ufficialmente le porte il 22 marzo 2025, segnando il ritorno di una delle attrazioni più iconiche della città. Il CEO Gianluca Vorzillo ha voluto rassicurare il pubblico, dichiarando che Edenlandia è pronta ad accogliere i visitatori con un giorno speciale, pieno di sorprese e con un regalo per tutti i partecipanti. Con un biglietto di soli 10 euro, sarà possibile ottenere un bracciale illimitato per godere di tutte le attrazioni, un gesto simbolico per celebrare questo atteso ritorno.

Un pezzo di storia napoletana

Prima che Edenlandia prendesse vita, a Napoli esisteva solo un piccolo luna park all’interno della villa comunale. Le attrazioni erano semplici, ma già riuscivano a regalare qualche momento di divertimento: c’era il trenino, l’autoscontro, l’autopista, le montagne russe, i dischi volanti e, naturalmente, la ruota panoramica.

Il 19 giugno 1965 segna una svolta per il divertimento partenopeo: Edenlandia apre ufficialmente i battenti. Il progetto nasce grazie all’impegno degli imprenditori Oreste Rossotto e Ciro De Pinto, affiancati dall’avvocato Luca Grezio, legale della società. La realizzazione del parco è frutto della visione di Cesare Rosa, che disegna alcune delle attrazioni più iconiche, come l’Autopista del Sole e le Cascate del Niagara (i celebri tronchi). Edenlandia è un’idea ambiziosa, il primo esperimento in Europa di un parco ispirato direttamente a Disneyland, inaugurato dieci anni prima in California. Anche il logo riflette questo legame: un castello stilizzato e una scritta in caratteri gotici, con i colori giallo e blu a simboleggiare il parco. Questo design rimarrà invariato fino al 1990, quando verrà arricchito da una corona di stelle.

Nel corso degli anni ’70, Edenlandia diventa una meta imperdibile non solo per i napoletani, ma anche per turisti italiani e stranieri. Le giostre si moltiplicano, abbracciando diversi temi, e il nome stesso del parco richiama un luogo magico e adatto a tutti, grandi e piccini. Un dettaglio curioso: in questo periodo la Disney decide di fare un regalo speciale a Edenlandia, donandole una giostra dedicata a Dumbo, che verrà ribattezzata “Jumbo”. Ma non è solo il divertimento a rendere il parco celebre: le graffe fritte di Ciro De Pinto e sua moglie Annunziata Capozzi diventano leggendarie, richiamando visitatori da ogni angolo della città. Tuttavia, nel 1975 nasce Gardaland, che nel giro di pochi anni diventa il parco più grande e famoso d’Italia, con una superficie di oltre 500mila metri quadrati, contro i 38mila di Edenlandia.

Con l’arrivo degli anni ’80 e ’90, Edenlandia inizia a perdere il suo fascino iniziale. La concorrenza si fa sempre più agguerrita: parchi come Mirabilandia, inaugurato nel 1992, offrono attrazioni più moderne e coinvolgenti, mettendo in difficoltà la storica struttura napoletana.

Nel 2003, la società Park&Leisure di Cesare Falchero prende in gestione Edenlandia, insieme allo zoo e all’ex cinodromo di Napoli. C’è un tentativo di rilancio, con tanto di spot promozionali lanciati sul web nel 2008, ma il declino del parco sembra ormai inarrestabile.Nel 2010 vengono aggiunte nuove attrazioni, ma la crisi economica e la scarsa affluenza portano alla richiesta di fallimento nel 2011. Il Comune di Napoli e la Mostra d’Oltremare, proprietaria del terreno su cui sorge il parco, tentano di trovare un acquirente per dare una nuova vita a Edenlandia. Nel 2012, la Brain’s Park, società londinese specializzata in parchi tematici, vince il bando per la gestione, ma pochi mesi dopo rinuncia per problemi burocratici e la presenza di strutture abusive all’interno del parco.

Nonostante le difficoltà, la speranza di rivedere Edenlandia in attività non si spegne. Nel 2014, la società New Edenlandia prende in mano il parco con la promessa di riaprirlo nell’estate del 2015. Tuttavia, la vera svolta arriva nel novembre 2017, quando la GCR Outsider Holding del gruppo Vorzillo rileva la gestione. Finalmente, il 26 luglio 2018, Edenlandia riapre le porte al pubblico, cercando di restituire alla città un pezzo della sua storia e della sua magia.

La chiusura e la rinascita

L’8 marzo 2025, a seguito di una denuncia anonima e di ispezioni tecniche, il Comune di Napoli aveva ordinato la chiusura immediata del parco per gravi carenze nella manutenzione delle attrazioni. Secondo i rapporti ufficiali, molte giostre versavano in condizioni di degrado, rappresentando un rischio per la sicurezza pubblica. Vorzillo, allibito dalla decisione, ha contestato le accuse, sostenendo che i problemi riguardavano solo due giostre su trenta. La battaglia legale che ne è seguita ha portato a un lungo periodo di incertezza, fino alla svolta del 21 marzo, quando è stata finalmente annunciata la riapertura.

Un ritorno atteso con entusiasmo

Il 22 marzo 2025 non sarà una semplice riapertura, ma una vera e propria festa per tutta la città. Dopo settimane di lavori e miglioramenti, Edenlandia è pronta a riaprire più bella che mai. Il parco si presenta con nuove attrazioni, una manutenzione rinnovata e l’entusiasmo di sempre. Per tutti coloro che sono cresciuti con il sogno di Edenlandia, questa giornata rappresenta un ritorno all’infanzia, un simbolo di speranza e resilienza.

La storia di Edenlandia è fatta di successi, battute d’arresto e rinascite, ma una cosa è certa: il cuore di Napoli non ha mai smesso di battere per il suo parco divertimenti. L’attesa è finita. Le giostre vi aspettano. Edenlandia è viva, più che mai!

I misteri di Castel Capuano: tra storia, crimini e fantasmi nella Napoli più oscura

Se sei un appassionato di storie gotiche, misteri cittadini e leggende urbane, preparati a tuffarti con me in un angolo oscuro e affascinante di Napoli: Castel Capuano. Questo castello non è solo un imponente monumento di pietra che svetta nel cuore della città partenopea, ma è una creatura viva, intrisa di secoli di storia, sangue, intrighi e fantasmi che sembrano usciti da un film horror o da un romanzo gotico alla Mary Shelley.

Partiamo dall’inizio, perché Castel Capuano ha radici antichissime. Si tratta del secondo castello più antico di Napoli, preceduto solo dal leggendario Castel dell’Ovo. Il suo nome lo deve alla vicina Porta Capuana, l’antica porta d’accesso alla strada che conduceva a Capua, e già questo dettaglio mi fa immaginare cavalieri medievali, polverosi mercanti e viandanti stanchi che varcavano la soglia del Regno di Napoli.

Siamo nel XII secolo quando Guglielmo il Malo, figlio di Ruggero il Normanno, ordina la costruzione di questa possente fortezza. E sì, all’epoca Castel Capuano era proprio una roccaforte militare, più che una residenza regale, anche se in seguito Federico II, il mitico imperatore svevo tanto amato dagli storici quanto dai nerd della storia medievale, lo trasformò nel 1231 in una reggia degna di accogliere la sua famiglia reale. Immaginate le sale di pietra trasformarsi in ambienti più raffinati, tappezzati di arazzi, con cortili interni che riecheggiavano dei passi di dame, cortigiani e uomini d’arme.

Ma la Napoli dei secoli non è mai rimasta ferma, e così, con l’avvento del Maschio Angioino che diventò la nuova residenza reale, Castel Capuano perse il suo ruolo di palazzo principale. Non però il suo prestigio, perché lì trovarono dimora membri della famiglia reale, funzionari del Regno e persino personalità illustri come Francesco Petrarca. E qui il cuore del nerd amante della cultura umanistica palpita: pensare che Petrarca abbia passeggiato tra quelle mura è come sentire il passato sussurrare poesie.

Il castello subì nei secoli numerose ristrutturazioni e, con l’arrivo del viceré Don Pedro de Toledo a Napoli, cambiò ancora pelle: diventò il Palazzo di Giustizia. Sì, proprio quel luogo dove si riunivano tutti i tribunali del Regno, trasformandolo nel centro nevralgico della giustizia partenopea. E, come spesso accade quando si parla di tribunali, crimini e condanne, le storie oscure iniziano a sedimentarsi, creando terreno fertile per leggende e fantasmi.

Ed eccoci al cuore pulsante della nostra storia: la leggenda del Fantasma degli Avvocati. Ogni 19 aprile, secondo la tradizione popolare, lo spirito inquieto di Giuditta Guastamacchia vaga per le stanze del tribunale di Castel Capuano. Già solo il nome, Giuditta Guastamacchia, sembra uscito da un racconto gotico ottocentesco o da un dramma teatrale, ma la sua storia è tutt’altro che romantica. È cruda, feroce e macabra, perfetta per un film horror o una serie tv true crime da binge-watchare con le luci spente.

Giuditta era una giovane donna che, rimasta sola con un bambino piccolo dopo la morte del marito giustiziato per frode, si trovò a sopravvivere come poteva. Rinchiusa dal padre nel convento di Sant’Antonio alla Vicaria, per motivi economici più che spirituali, lì intrecciò una relazione con don Stefano D’Aniello, un sacerdote che, per coprire le apparenze, si faceva passare per lo zio. Qui la storia comincia già a puzzare di scandalo ecclesiastico. Ma non finisce qui.

Per continuare questa relazione proibita, Giuditta accettò di sposare un giovane ragazzo di appena sedici anni, parente del prete, in un matrimonio di facciata. Il povero ragazzo, ignaro burattino di un gioco perverso, scoprì presto l’inganno e minacciò di rivelare tutto, portando lo scandalo sulla piazza pubblica. A quel punto, Giuditta – in una parabola criminale degna della peggior villain Disney – decise di passare al piano B: eliminare il problema.

Con l’aiuto del padre e dell’amante prete, Giuditta orchestrò l’assassinio del giovane marito, che fu strangolato con uno stratagemma crudele. Ma non bastava. Il corpo venne smembrato – sì, proprio smembrato! – con l’aiuto di un barbiere e di un chirurgo, e i resti vennero dispersi tra campagna, mare e foresta. Peccato che il barbiere, durante un controllo delle guardie, crollò e confessò tutto, facendo crollare come un castello di carte il piano della “vedova nera” napoletana.

L’epilogo fu drammatico: arrestata a Capodichino, Giuditta fu processata dalla Gran Corte della Vicaria, condannata a morte per impiccagione a testa in giù, e infine – in un rituale macabro degno di un film di Dario Argento – decapitata e mutilata delle mani. La testa e le mani furono esposte a una finestra della Vicaria come monito per la popolazione. Ma non è finita qui. Il suo cranio, utilizzato per studi di fisiognomica criminale, fu conservato ed esposto presso il Museo di Anatomia di Napoli, dove ha continuato a inquietare generazioni di visitatori.

E così arriviamo al mito: ogni 19 aprile, si dice che lo spirito irrequieto di Giuditta torni a infestare Castel Capuano, aggirandosi tra le stanze del tribunale come una sposa maledetta in cerca di pace. Chi ci crede parla di passi nella notte, di lamenti, di porte che si aprono e chiudono da sole, di luci tremolanti. Per i nerd dell’occulto e degli X-Files come me, questo è puro combustibile per immaginazione e leggende urbane.

Visitare Castel Capuano non significa solo ammirare uno splendido esempio di architettura medievale e rinascimentale, ma anche entrare in un racconto dove storia, crimine, giustizia e mistero si intrecciano. È come sfogliare le pagine di un dark fantasy storico, in cui i fantasmi non sono solo spiriti ma anche le tracce indelebili di un passato troppo umano per essere dimenticato.

E tu, che ne pensi? Ci crederesti se ti dicessi che a Napoli c’è un castello infestato da una sposa assassina? Ti piacerebbe fare un tour notturno tra quelle mura e magari raccontare le tue impressioni sui social? Se questo racconto ti ha fatto venire i brividi o se sei già stato a Castel Capuano e hai avuto qualche esperienza strana, raccontamelo nei commenti! E se vuoi, condividi l’articolo con i tuoi amici nerd: chissà, magari qualcuno di loro ha il coraggio di organizzare una visita a luci spente…

Rione Sanità: viaggio tra storia, leggende e misteri nel cuore di Napoli

Il Rione Sanità non è soltanto un quartiere di Napoli: è un universo stratificato di storie, tradizioni, superstizioni e arte che convive, in un delicato equilibrio, tra il sacro e il profano. Situato nella Municipalità 3 Stella-San Carlo all’Arena, il rione si sviluppa a nord delle antiche mura vicereali, abbracciando il Borgo dei Vergini fino alle falde di Capodimonte. La sua porta simbolica è proprio piazza Vergini, che apre alla lunga via Sanità, a piazza Sanità e all’area dell’Ospedale San Gennaro dei Poveri, cuore pulsante di una comunità che sembra respirare con due polmoni: uno fatto di storia e cultura, l’altro di mito e leggenda.

L’origine del nome: salute o miracoli?

Perché “Sanità”? Il dibattito è ancora aperto. Alcuni storici sostengono che il toponimo derivi dal carattere salubre della zona, un tempo ricca di sorgenti d’acqua e boschi rigogliosi. Altri, più affascinati dal lato mistico, collegano il nome ai presunti miracoli attribuiti alle preghiere rivolte alle anime sepolte nei numerosi cimiteri del quartiere. Una cosa è certa: sin dalla sua nascita, la Sanità ha vissuto in un continuo dialogo con la morte e con ciò che la trascende.

La città dei morti e il culto delle anime pezzentelle

Se c’è un luogo che meglio di tutti rappresenta l’anima più inquietante e suggestiva del quartiere, quello è il Cimitero delle Fontanelle. Una ex cava di tufo trasformata in ossario, che nel 1656 accolse le vittime della terribile peste. Ma questo non è solo un deposito di ossa: è il cuore del culto delle “anime pezzentelle”, una pratica popolare che per secoli ha visto i fedeli adottare un cranio anonimo – la celebre capuzzella – pregando per alleviare le sofferenze ultraterrene di quell’anima in cambio di protezione in vita. Tra le storie più note spicca quella del “Capitano”, teschio venerato e temuto che, secondo la leggenda, si manifesta in alta uniforme per punire chi osa deriderlo. Una mitologia macabra che si intreccia con l’identità stessa di Napoli, dove – come recita un detto popolare – “a morte è cosa seria”.

Tra Halloween e tradizione napoletana

Sembra un paradosso, ma il Rione Sanità si presta a un parallelismo con Halloween, la festa di origine celtica e americana che ormai da anni ha conquistato anche l’Italia. Se altrove ci si diverte a intagliare zucche e mascherarsi da zombie, qui il brivido ha radici antiche e autentiche. Le anime dei defunti non sono un gioco, ma presenze reali, da rispettare e temere. Camminare tra le catacombe e i vicoli della Sanità in ottobre significa entrare in un carnevale oscuro che Napoli ha anticipato di secoli.

Dalle catacombe ai palazzi nobiliari: la stratificazione storica

La storia del quartiere è ancora più antica delle sue leggende. In epoca greco-romana, il vallone che oggi ospita la Sanità era una necropoli. Qui sorsero ipogei ellenistici e catacombe paleocristiane come quelle di San Gennaro e San Gaudioso, che ancora oggi testimoniano la relazione indissolubile tra l’uomo e la morte. Con la costruzione del Rione nel XVI secolo, la zona iniziò a popolarsi di nobili e ricchi borghesi che edificarono sontuosi palazzi, come il Palazzo dello Spagnuolo e il Palazzo Sanfelice, straordinari esempi di architettura barocca e rococò.

Con il tempo, quella che era stata un’oasi per famiglie aristocratiche si trasformò in uno dei quartieri più popolari e popolosi di Napoli, senza mai perdere però il suo fascino magnetico.

Il ponte della Sanità: barriera e simbolo

Un elemento architettonico che segna l’identità del quartiere è il Ponte della Sanità, costruito nel XIX secolo per collegare Capodimonte con il resto della città. Un’infrastruttura che, di fatto, isolò il rione, condannandolo a una marginalità fisica e sociale che dura ancora oggi. Ma come spesso accade a Napoli, ciò che sembra una condanna diventa anche un segno distintivo: il ponte è diventato un simbolo, un portale che separa e unisce allo stesso tempo due mondi.

Il Borgo dei Vergini: porta d’ingresso e mercato barocco

Prima ancora di addentrarsi nella Sanità, i visitatori attraversano il Borgo dei Vergini, considerato l’ingresso ideale al quartiere. Conosciuto anche come il “borgo barocco” per lo stile delle sue architetture, era un tempo la sede di un vivace mercato all’aperto. Il nome affonda le radici nella fraternità religiosa greca degli eunostidi, devoti alla temperanza e alla castità. Oggi, passeggiare lungo via dei Vergini significa immergersi in una dimensione che oscilla tra antico e contemporaneo, tra bancarelle e palazzi storici.

Street art e rinascita culturale

Negli ultimi anni, la Sanità ha conosciuto una rinascita sorprendente. Grazie a progetti sociali e culturali, il quartiere è diventato un laboratorio creativo a cielo aperto. La street art ha invaso i suoi vicoli, trasformando muri e facciate in tele che raccontano storie di riscatto e memoria. Un linguaggio visivo che dialoga con le catacombe e con i palazzi nobiliari, creando un mosaico unico dove passato e presente si intrecciano.

Un viaggio tra luce e ombra

Visitare il Rione Sanità significa confrontarsi con la dualità della città di Napoli: vita e morte, nobiltà e povertà, sacro e profano. È un’esperienza che va oltre la semplice visita turistica: è un viaggio iniziatico, che lascia addosso la sensazione di aver toccato con mano qualcosa di eterno.


💬 E voi, siete mai stati al Rione Sanità? Vi affascinano di più le sue catacombe o i suoi palazzi barocchi? Raccontatecelo nei commenti e condividete l’articolo sui vostri social: Napoli merita di essere esplorata anche attraverso le sue ombre più luminose.