Parlare di J.R.R. Tolkien oggi è un po’ come raccontare un mito contemporaneo. Un nome che risuona come un’eco profonda tra le montagne nebbiose della letteratura fantastica, un faro per intere generazioni di lettori, studiosi e creatori di mondi immaginari. Eppure, nel saggio Tolkien. Mito, epica, tradizione, pubblicato da Il Cerchio nella collana “Fantasia”, Nicolò Dal Grande ci invita a posare lo sguardo non tanto sull’epicità delle battaglie del Signore degli Anelli, né sull’oscuro fascino del Silmarillion, quanto sull’uomo dietro l’opera. Un uomo “semplice”, come scrive lo stesso autore nell’introduzione, legato alle piccole cose, ai gesti quotidiani, alle consuetudini tramandate. Eppure, un uomo capace di evocare mondi immensi.
Questo saggio – agile nella forma ma ricco di riflessioni e rimandi profondi – si presenta come un omaggio. Ma non è un’agiografia né un’enciclopedia scolastica: è un sentiero letterario percorso da chi, come Dal Grande, ha deciso di affrontare Tolkien non solo come autore, ma come testimone di una visione del mondo. Una visione che affonda le sue radici nel mito, fiorisce nell’epica e si ramifica nella tradizione. E proprio questi tre pilastri – mito, epica e tradizione – sono il cuore pulsante dell’intero saggio.
Il libro si apre come una conversazione con il lettore, come se Dal Grande ci stesse parlando in un pomeriggio d’autunno, magari davanti a una tazza di tè fumante (magari uno dei tanti del Professor Tolkien). L’immagine che guida la narrazione è quella dell’albero dorato, un simbolo amatissimo da Tolkien stesso, che richiama l’albero di Valinor, Telperion e Laurelin, emblemi della bellezza primigenia e del tempo che scorre. E proprio come un albero che cresce lentamente, le opere tolkieniane – dai racconti giovanili fino ai capolavori maturi – sono il risultato di una lenta sedimentazione, di un intreccio tra vita vissuta e immaginazione, tra studio accademico e visione spirituale.
Nicolò Dal Grande, con la sua solida formazione storica (laureato in Storia Moderna e Contemporanea, con un diploma in Dialogo Interreligioso e Relazioni Internazionali), non si limita a una lettura estetica o filologica delle opere di Tolkien. Le affronta piuttosto con lo sguardo di chi sa che dietro ogni narrazione mitica si nasconde una necessità umana di senso. Tolkien non scriveva solo per intrattenere, ma per tramandare, per custodire una memoria collettiva fatta di archetipi, simboli e racconti che parlano all’anima.
Il “mito”, per Tolkien, non è finzione, ma verità più profonda della realtà stessa. È una forma di conoscenza arcaica che affonda nei racconti antichi, nei canti epici del Nord, nei cicli arturiani, nelle leggende cristiane. E Dal Grande ci guida in questo labirinto di rimandi e influenze, mostrando come Tolkien non abbia inventato ex novo un universo, ma l’abbia pazientemente ricostruito come un archeologo della narrazione, riportando alla luce ciò che era stato dimenticato.
L’“epica”, poi, non è solo la forma del racconto, ma l’anima di una civiltà. I racconti di Tolkien, con i loro eroi imperfetti, le battaglie combattute non per gloria ma per dovere, rispecchiano un’etica cavalleresca che pare oggi lontana ma che ancora riesce a commuovere. C’è qualcosa di antico, eppure eternamente attuale, in Frodo che cammina verso il Monte Fato, in Aragorn che accetta il proprio destino, in Sam che non abbandona l’amico. Dal Grande sottolinea come questa epica, benché intessuta di magia e meraviglia, sia profondamente umana: fatta di sacrificio, di amicizia, di fede nel bene.
Infine, la “tradizione”. Non quella intesa come rigido conservatorismo, ma come trasmissione viva, dialogo tra generazioni. Tolkien era un filologo, un amante delle lingue morte e dei testi medievali, ma soprattutto era convinto che le storie potessero ancora insegnare. Il suo universo letterario non è un mondo chiuso, ma un ponte tra passato e presente. E in un’epoca che sembra aver perso le proprie radici, la lezione di Tolkien – ci dice Dal Grande – è quanto mai urgente: riscoprire il valore della memoria, della parola, della narrazione come strumenti per comprendere il mondo.
Il libro Tolkien. Mito, epica, tradizione è dunque un piccolo tesoro per chi ama la Terra di Mezzo, certo, ma anche per chi vuole approfondire le ragioni profonde del successo – e della necessità – della letteratura fantastica. È un invito a rallentare, a osservare la crescita silenziosa di un albero dorato, a tornare a credere nella forza dei racconti che ci formano.
E per noi appassionati di fantasy, di mondi alternativi, di leggende perdute e di battaglie epiche, questo saggio è come un canto elfico al tramonto: un momento di riflessione che ci ricorda perché, in fondo, non abbiamo mai smesso di amare Tolkien.
Se anche tu senti ancora la nostalgia di Lórien, se ti emozioni leggendo i versi di Beren e Lúthien, o se semplicemente vuoi capire perché Tolkien non è solo uno scrittore ma un vero e proprio custode di senso, allora questo libro è un passaggio obbligato.
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