Nel 2023 il giornalista e scrittore canadese Cory Doctorow coniò una parola destinata a diventare simbolo di un’epoca: enshittification. Tradotta in italiano con un certo gusto provocatorio come “merdificazione”, descrive la parabola discendente di molte piattaforme digitali nate come spazi di libertà e condivisione e divenute, nel giro di pochi anni, macchine di profitto pronte a sacrificare la qualità sull’altare degli algoritmi.
Da quel concetto prende le mosse “Arretriamo nel futuro – breve guida alla merdificazione dei media (e come fermarla)”, il nuovo libro di Federico Mello, giornalista Rai e autore di saggi taglienti e visionari, in uscita il 14 novembre per Edizioni BIT. Un saggio che non si limita a denunciare il degrado del nostro ecosistema mediatico, ma tenta di offrirne una mappa, un antidoto e persino una speranza.
Dalla promessa di libertà al collasso comunicativo
Mello compie un viaggio che parte dagli anni ’50, quando la televisione era ancora “maestra” e la cultura di massa sembrava poter educare intere generazioni. Poi, lentamente, il sogno si incrina: i mass media diventano strumenti di consenso, fino a mutare in quella che l’autore definisce “addiction by design”, una dipendenza costruita a tavolino.
Oggi, sostiene Mello, viviamo dentro un paradosso: crediamo di avanzare tecnologicamente, ma stiamo in realtà arretrando nel futuro. La corsa all’innovazione ci ha consegnato un mondo in cui i media non ampliano la conoscenza, ma riducono la capacità di comprendere. L’informazione, filtrata e monetizzata, non emancipa: intrattiene, distrae, polarizza.
Dall’engagement alla retention: il nuovo oppio dei popoli
La metamorfosi dei media ha due fasi. La prima è quella dell’engagement, l’era del like e della condivisione compulsiva: Facebook, nei primi anni Dieci, trasforma l’interazione in valuta sociale e politica. I contenuti che dividono, scandalizzano o spaventano ottengono più visibilità, alimentando il complottismo e la radicalizzazione. È l’inizio dei social mass media, ibridi che fingono orizzontalità ma replicano le logiche verticali della TV.
Poi arriva la retention, la nuova forma di controllo algoritmico. Non conta più cosa dici, ma quanto a lungo resti incollato allo schermo. Instagram prima, TikTok poi, spingono il pubblico in un loop ipnotico di clip infinitamente personalizzate. Ogni gesto, ogni pausa, ogni replay diventa un dato. L’attenzione è la nuova moneta, e la piattaforma è il casinò che incassa sempre.
Un’economia della distrazione
Nel suo racconto, Mello mette in fila le tappe di una colonizzazione culturale: dal Berlusconismo come laboratorio della televisione commerciale all’ideologia californiana delle Big Tech, passando per le distorsioni della politica social che hanno alimentato Brexit e Trump. Tutto riconduce a un’unica pulsione: il profitto.
L’Auditel, spiega l’autore, è stato il “like” ante litteram; il mantra di Zuckerberg, “Move fast and break things”, ha consacrato la rottura di ogni etica comunicativa. Instagram ha trasformato l’autenticità in un’estetica sponsorizzata, TikTok ha addestrato miliardi di utenti al pensiero di dieci secondi, mentre l’intelligenza artificiale – l’ultimo arrivato nella catena alimentare dei media – rischia di sigillare definitivamente la gabbia della commercializzazione totale.
“Siamo pervasi dalla merdificazione perché siamo pervasi dalla commercializzazione”, scrive Mello, con un tono che è insieme analitico e disperato.
È possibile un futuro diverso?
Eppure, nonostante il titolo cupo, Arretriamo nel futuro non è un libro rassegnato. Mello intravede un varco possibile: “L’occasione verrà con la prossima crisi”, scrive, “perché ogni crisi è anche un momento di ricostruzione”. Contro la “società di mercato permanente” e la dittatura del virale, propone un ritorno all’essenziale: contenuti che informano invece di intrattenere, comunità che dialogano invece di gridare, strumenti digitali che liberano invece di incatenare.
È un invito a disintossicarsi dalla dopamina dei feed, a riappropriarsi del tempo, della curiosità e del pensiero critico. Un gesto di resistenza culturale che parte dal riconoscere il problema – la “merdificazione” – e sceglie di non accettarlo come destino inevitabile.
L’autore: il cronista del caos digitale
Federico Mello è una voce lucida nel panorama giornalistico italiano. Dopo aver raccontato l’universo dei social in “Essere Chiara Ferragni” (Aliberti, 2022) e riletto la storia politica italiana con “Compagno” (Utet, 2021), oggi affronta il tema più urgente: il rapporto fra tecnologia, informazione e potere. Con uno stile diretto, a tratti narrativo, mescola aneddoti mediatici e riflessioni sociologiche in un saggio che sa essere tanto divulgativo quanto corrosivo.
Il suo nuovo libro è un promemoria per chiunque lavori – o sopravviva – nel mondo della comunicazione: non basta produrre contenuti, bisogna capire in che tipo di ecosistema li stiamo gettando.
Un manuale di autodifesa per menti digitali
Arretriamo nel futuro è, in fondo, una guida di sopravvivenza nell’era dell’algoritmo. Un testo che parla a giornalisti, creator, insegnanti, ma anche a chi ogni giorno apre lo smartphone e si chiede, confusamente, se la tecnologia lo stia rendendo più libero o più schiavo.
Con la consapevolezza che il cambiamento non nasce dai like, ma dalla capacità di fermarsi, comprendere e scegliere.
