Ci sono esperienze che ti cercano, non sei tu a trovarle. Ti stanno lì, silenziose, appostate tra gli scaffali impolverati di una libreria, mentre tu, un ignaro nerd della pop culture, stai solo cercando un po’ di sano intrattenimento. Ed è esattamente quello che mi è capitato con Strani disegni di Uketsu. L’ho afferrato quasi per un riflesso condizionato, ipnotizzato dalla copertina che urlava “orrore giapponese stilizzato” in un modo che la mia anima da otaku non poteva ignorare. La sinossi, poi, era un capolavoro di vaghezza e oscurità, un richiamo irresistibile per chi, come me, ha fatto della sete di mistero un vero e proprio stile di vita. E sì, ammettiamolo, la mia irrefrenabile passione per le illustrazioni criptiche ha fatto il resto. Non avevo la più pallida idea di cosa mi aspettasse, ed è forse proprio per questo che sono stato letteralmente travolto. Catapultato in un abisso narrativo che non somigliava a nulla di ciò che la mia mente aveva processato fino a quel momento.
Uketsu: L’Incarnazione Digitale del Terrore e il Suo Esordio Cartaceo
Per molti, il nome Uketsu potrebbe suonare come un mormorio nel vento, un eco lontano di qualcosa di sconosciuto. Ma per noi, gli esploratori delle lande più oscure del web, per chi ha passato notti insonni a divorare creepypasta, per chi ha brividi nostalgici al solo pensiero dei videogiochi horror giapponesi che hanno segnato un’epoca o dei manga che ti lasciano un retrogusto di inquietudine per giorni, Uketsu è già una figura avvolta in un’aura di leggenda. Immaginate una silhouette completamente vestita di nero, il viso occultato da una maschera di cartapesta bianca, quasi monocroma, ridotta all’essenziale: due fenditure vuote per gli occhi e un taglio sottile per la bocca. Statica, disturbante, quasi un’icona minimalista dell’incubo. La sua voce, nei pochi video che circolano come messaggi in bottiglia dal profondo del web, è un sibilo metallico, distorto, disumanizzato al punto da farti gelare il sangue. Questa scelta di anonimato è, oserei dire, profondamente magnetica. Uketsu non si espone, non si rivela; si insinua, si annida. Ed è proprio in questa elusività che risiede il suo fascino: incarna alla perfezione lo spirito delle leggende metropolitane digitali, quelle nate e cresciute nei forum dimenticati, nei thread criptici, nei racconti sussurrati attraverso il linguaggio universale dei bit e dei byte.
Con queste premesse, era inevitabile che il suo esordio letterario fosse qualcosa di intrinsecamente “altro”. E infatti, Strani disegni non è un romanzo nel senso più ortodosso del termine. È un vero e proprio artefatto narrativo ibrido, una creatura letteraria che danza sul confine tra testo e illustrazione, tra la parola scritta e il segno grafico. Questa fusione crea una tensione palpabile, un dialogo continuo tra ciò che viene esplicitamente narrato e ciò che si intravede, si intuisce, si immagina nelle pieghe delle pagine. Il libro si snoda attraverso tre filoni narrativi apparentemente scollegati, come tre tracce audio che attendono di essere mixate. C’è un blog che, dal nulla, inizia a pubblicare disegni che emanano un’aura di inquietudine, creati da un artista che sembra detenere conoscenze indicibili. Poi c’è la storia di un bambino che, in un pomeriggio apparentemente innocuo, scarabocchia su un foglio un messaggio così carico di presagi sinistri da farti rabbrividire. E infine, c’è lo schizzo agghiacciante realizzato da una vittima di omicidio, negli istanti finali della sua vita. Tre storie, tre voci, tre mondi. Ma Uketsu non è un autore da lasciare nulla al caso: con la maestria di un burattinaio oscuro, tesse e ritessa i fili narrativi fino a farli confluire in un’unica, ineluttabile trama che ha il sapore amaro del destino già scritto.
L’Enigma Strutturale e il Fascino dell’Investigazione Narrativa
La cosa che mi ha colpito di più – e che continua a ronzarmi in testa anche ora, a giorni di distanza dalla lettura – è la costruzione architettonica di questo romanzo. La sua struttura è quella di un enigma vivente, un gigantesco puzzle disseminato di indizi. Ogni capitolo, ogni immagine, ogni singola frase sembra un tassello da posizionare con una precisione quasi maniacale. Si legge con quella sensazione elettrica addosso, come se da un momento all’altro si stesse per compiere una scoperta epocale, qualcosa che ribalterà ogni certezza. Nella prima metà del libro, Uketsu gioca in modo sublime con il senso del mistero, trasformando il lettore in un investigatore, uno spettatore e, al tempo stesso, un protagonista in bilico sull’orlo dell’abisso. È un’esperienza narrativa profondamente immersiva, che ti spinge a sottolineare passaggi, a tornare indietro, a rileggere una frase perché, magari, quel dettaglio apparentemente insignificante era in realtà la chiave di volta, e tu te l’eri perso.
Un Brivido nel Mezzo e la Riflessione sull’Imperfezione Geniale
Poi, però, arriva il “ma”. E qui devo essere brutalmente onesto, da nerd a nerd. Intorno a metà libro, si percepisce un lieve scricchiolio. La tensione narrativa, quella carica elettrica che ti aveva tenuto incollato alle pagine, cala leggermente, come se la corsa verso la verità perdesse un po’ di slancio. Inizi a intuire cosa si nasconde dietro il velo del mistero, e quando finalmente le carte vengono scoperte, alcune connessioni non convincono fino in fondo. Le spiegazioni, a tratti, sembrano eccessivamente elaborate, quasi contorte, come se Uketsu avesse dovuto piegare la logica per far quadrare ogni singolo elemento del suo intricato puzzle. È una sensazione sottile, quasi impercettibile, ma fastidiosa: la magia si incrina, anche solo per un fugace istante. I personaggi, pur intriganti e ben congegnati nella loro funzione narrativa, rimangono spesso sullo sfondo, quasi strumenti al servizio della trama piuttosto che esseri umani a tutto tondo. Oscillano tra intuizioni brillanti e comportamenti a volte fin troppo ingenui, e questo rende difficile sviluppare un vero e proprio attaccamento emotivo nei loro confronti.
Eppure, nonostante queste piccole incrinature nella corazza narrativa, non riesco a smettere di pensare a questo libro. Strani disegni possiede un fascino che trascende i criteri di valutazione tradizionali. È un’opera che parla direttamente a una generazione cresciuta a pane e internet, tra forum, YouTube, TikTok, meme e cultura virale. Uketsu non è uno scrittore “classico”, e non ha la benché minima pretesa di esserlo. È un autore nato e cresciuto nel brodo primordiale del web, e questa sua origine si riflette in ogni singola pagina, in ogni singola illustrazione. La promozione del romanzo qui in Italia, curata da Einaudi, è stata un piccolo capolavoro di marketing editoriale: hanno colto alla perfezione il tono e lo spirito del progetto, lanciandolo con una campagna che includeva meme, video virali, filtri Instagram e persino un mini videogioco retrò che sembrava uscito direttamente da una cartuccia maledetta per NES. Il successo in Giappone è stato letteralmente travolgente – oltre un milione e mezzo di copie vendute in soli dodici mesi, con una ventina di ristampe – e il libro è già stato tradotto in ben ventotto Paesi. In Italia, è persino arrivato sulla scrivania di Roberto Saviano, che ha voluto intervistare Uketsu per il Corriere della Sera. Un segnale forte, inequivocabile, che ci dice quanto la voce di questo autore misterioso abbia ormai varcato i confini della nicchia horror, insinuandosi nel cuore del dibattito culturale.
Il Futuro dell’Orrore Digitale
E come se non bastasse a mandare in fibrillazione il mio cuore da fan, Einaudi ha già annunciato l’arrivo del prossimo titolo: Henna Ie, che qui da noi sarà tradotto come Strane case. Già il titolo, da solo, è sufficiente a scatenare la mia immaginazione. Le atmosfere alla The Ring o Silent Hill sembrano dietro l’angolo, e io non vedo l’ora di farmi trascinare ancora una volta da quel brivido sottile, quella sensazione di inquietudine ben costruita che solo la paura più cerebrale sa regalare.
Ma cosa rende davvero speciale, profondamente unico, questo romanzo? È la sua capacità di portare sulla pagina stampata qualcosa che fino a poco tempo fa apparteneva esclusivamente al mondo digitale. È la forza con cui Uketsu maneggia l’estetica creepy, le atmosfere liminali, quelle suggestioni visive e narrative che affondano le radici nelle leggende urbane contemporanee, nutrendosi delle nostre paure più recondite. È un libro imperfetto, certo, ma anche profondamente onesto nella sua ambizione: parlare direttamente alle nostre ossessioni più oscure, ai nostri incubi moderni, a quel desiderio tutto umano di lasciarci attrarre irresistibilmente dall’ignoto. Uketsu conosce la paura. Non la paura grossolana, da jumpscare a buon mercato, ma quella sottile, insinuante, che ti rimane addosso anche quando hai chiuso il libro, un’eco lontana nella tua mente.
Io l’ho letto tutto d’un fiato, divorando le pagine con un misto inebriante di ansia e curiosità febbrile. Non mi ha colpito per la sua coerenza narrativa impeccabile, ma per la sua capacità quasi magnetica di tenermi lì, inchiodato, con un bisogno quasi fisico di scoprire come sarebbe andata a finire. E forse è proprio questo il vero potere di Strani disegni: non quello di offrirti tutte le risposte su un piatto d’argento, ma quello di lasciarti con più domande di quante ne avessi all’inizio. Di farti desiderare di esplorare, di investigare, di capire, anche a costo di restare un po’ perplesso quando, alla fine, i nodi vengono sciolti in modo forse troppo frettoloso.
E ora, carissimi compagni di ossessione, sono genuinamente curioso di sapere cosa ne pensate voi. Avete letto Strani disegni? Vi ha conquistati, vi ha lasciati interdetti, o forse vi ha deluso in qualche modo? Vi siete persi, come me, in quell’atmosfera rarefatta e inquietante, o avete trovato il finale troppo artefatto e le spiegazioni un po’ forzate? Raccontatemelo nei commenti qui sotto, fatemi compagnia in questa nuova ossessione letteraria che mi sta divorando. E se vi va, condividete questo articolo: magari insieme riusciremo a far conoscere Uketsu a chi ancora non ha avuto il coraggio, o la curiosità, di varcare quella soglia misteriosa.
Perché, fidatevi, una volta entrati… è davvero difficile uscirne indenni. Non ve ne pentirete. O forse sì. Ma l’esperienza sarà comunque indimenticabile.