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Tomoaki Hamatsu e la depravata storia di un format TV maledetto

Nel 1998, il Giappone era immerso in una crisi economica profonda e inquietante, che sembrava minacciare di sommergere il paese nell’oscurità. In questo contesto di instabilità e paura, un progetto inquietante prese forma sotto la direzione di Toshio Tsuchiya, un produttore e regista noto per il suo approccio audace e spesso controverso. Tsuchiya concepì un esperimento televisivo che avrebbe sfidato ogni limite dell’immaginazione e della moralità, una fusione di voyeurismo e crudeltà che rasentava il sadismo.

Il protagonista di questo esperimento era Tomoaki Hamatsu, un giovane comico di ventidue anni con sogni di successo nel mondo dello spettacolo. Ignaro del destino che lo attendeva, Hamatsu si presentò a un provino convinto di poter lanciare la sua carriera. Ma Tsuchiya, con un piano diabolico in mente, decise di trasformare la vita di Hamatsu in un incubo vivente. Dopo averlo bendato e trasportato in un minuscolo appartamento di Tokyo, lo stesso divenne il suo palco di sofferenza.

Quella stanza spartana, dotata solo di un tavolo, un giaciglio e uno scaffale di riviste, si rivelò ben presto una prigione. Una telecamera, fissata in un angolo, riprendeva ogni movimento e respiro di Hamatsu 24 ore su 24, mentre il pubblico di Nippon TV seguiva ogni minuto della sua agonia. Il programma, chiamato Susunu! Denpa Shōnen, era un mix pericoloso di intrattenimento e crudeltà: Hamatsu doveva procurarsi cibo, vestiti e altri beni necessari partecipando a concorsi pubblicati su riviste, con un premio finale di un milione di yen (circa 8.000 dollari di allora). Mentre i mesi passavano, Hamatsu rimase intrappolato nella sua stanza, senza alcun aiuto esterno, nudo e completamente dipendente dalla sua fortuna nei concorsi. La sua esistenza era segnata da privazioni estreme. A volte passava giorni senza cibo e, quando riusciva a vincere qualcosa, le difficoltà non finivano mai: un barattolo di spaghetti senza apriscatole, riso senza pentola, e infine cibo per cani. Per alleviare la solitudine, parlava a un pupazzo, la sua unica compagnia in un ambiente che era diventato un purgatorio personale.

L’isolamento e la privazione portarono Hamatsu a una crisi mentale profonda. Sebbene la porta della stanza non fosse chiusa a chiave, il suo stato psicologico lo convinceva che rimanere fosse la scelta più sicura. La vera prigione era nella sua mente, un’illusione di protezione che lo teneva incatenato. La forza interiore che cercava di dimostrare divenne una tortura psicologica. Dal punto di vista di Tsuchiya, l’aspetto umano della sofferenza di Hamatsu non aveva alcun valore. Il suo obiettivo era creare qualcosa di “eccezionale” e “incredibile”, usando Hamatsu come mero pezzo di carne da esibire. L’individuo non contava, era solo un mezzo per esplorare e catturare l’aspetto più estremo dell’umanità.

Nonostante la natura sadica del programma, Susunu! Denpa Shōnen batté tutti i record di ascolto, attirando 17 milioni di spettatori giapponesi la domenica sera. I diari di Nasubi, il soprannome che Hamatsu ricevette, divennero bestseller, e nel 2020, Hamatsu dichiarò che “ogni giorno era un inferno” e avrebbe preferito morire piuttosto che rivivere quell’esperienza. Nel 1998, tra le ombre di Tokyo e l’indifferenza generale, Nasubi divenne un inquietante simbolo di quanto lontano possa spingersi l’umanità in nome del sensazionalismo e del successo. La storia di Hamatsu rimane un monito sinistro sull’oscurità che può celarsi dietro le luci della ribalta e sui limiti della decenza nel mondo del reality.