ChatGPT ha detto:
Quando si parla di The Last of Us, non stiamo semplicemente nominando una serie TV o un videogioco. Stiamo evocando un universo emotivo, un’esperienza che si insinua sottopelle e non ti molla più, che tu lo voglia o no. Per noi nerd appassionati di pop culture, The Last of Us non è solo intrattenimento: è un fenomeno culturale, un manifesto emotivo, una dichiarazione di intenti sul potere delle storie.
Ed è proprio per questo che la notizia arrivata da HBO ha scatenato un’onda d’urto nei cuori di fan, critici e addetti ai lavori. La terza stagione di The Last of Us arriverà nel 2027. Sì, avete letto bene: due anni di attesa davanti a noi, e non sono pochi. In un mondo che consuma storie a velocità di binge-watching, dove tutto deve essere “ora, subito, adesso”, questa pausa è un atto quasi sovversivo. Ma, diciamocelo, forse anche necessario.
A confermare il calendario è stato Casey Bloys, chairman e CEO di HBO e Max, durante un’intervista a Variety. Ha spiegato che Craig Mazin – mente dietro Chernobyl e co-showrunner della serie insieme a Neil Druckmann – sta ancora decidendo se chiudere la storia in un’unica, monumentale terza stagione o se spalmarla anche in una quarta. L’unica cosa certa è che il progetto non verrà tagliato a metà come tante altre serie nel panorama televisivo odierno. Un sospiro di sollievo collettivo: almeno su questo fronte, i clicker possono aspettare.
Ma la vera bomba emotiva di questi mesi è stata l’uscita di scena di Neil Druckmann. Per chi, come me, segue Druckmann dai tempi del primo gioco Naughty Dog, questa non è una semplice notizia di backstage: è uno scossone emotivo. Il creatore, il demiurgo, l’autore che ci ha fatti piangere davanti allo schermo (che fosse console o TV), ha annunciato il suo addio alla serie HBO. Con una nota ufficiale ha salutato la produzione, dichiarando di voler concentrare le energie sui progetti videoludici di Naughty Dog, tra cui il criptico e affascinante Intergalactic: The Heretic Prophet.
Il comunicato è stato impeccabile: parole di stima per Mazin, lodi al cast, ringraziamenti ai fan. Ma chi mastica un po’ di dinamiche creative sa che, dietro il linguaggio felpato, spesso si celano divergenze, tensioni, visioni artistiche che non si allineano più. Druckmann avrà forse percepito che la creatura che aveva partorito stava prendendo una strada diversa da quella immaginata? O, più semplicemente, il richiamo del videogioco – della creazione interattiva, viva, in continuo mutamento – era troppo forte per resistere?
Intanto, la terza stagione si prepara a entrare in produzione. Le riprese partiranno a Vancouver nell’estate del 2025, sotto il nome in codice Mega Sword, e alcune scene chiave si gireranno persino nel 2026. Questo significa che il set sarà un crogiolo di emozioni, tensioni e aspettative per almeno un anno e mezzo. Al centro della trama, ci sarà Abby. Sì, proprio lei: la figura divisiva che ha spezzato il fandom come un ramoscello secco. Con il suo arco narrativo, ci sposteremo nei territori morali più torbidi e controversi di The Last of Us Part II, esplorando prospettive parallele, rancori incrociati e cicatrici che forse non guariranno mai.
Craig Mazin sarà il solo a tenere in mano le redini dello show. Un peso non indifferente, se pensiamo alla mole emotiva e narrativa da gestire. Ma Mazin ha già dimostrato di saper affrontare sfide impossibili, trasformando una miniserie come Chernobyl in un capolavoro di tensione, umanità e tragedia. E non dimentichiamolo: anche in The Last of Us, la sua mano ha portato momenti indimenticabili, come quell’episodio struggente su Bill e Frank che ci ha frantumato il cuore in mille pezzi.
C’è un punto su cui voglio soffermarmi, perché troppo spesso viene sottovalutato. L’adattamento HBO non è, e non vuole essere, una copia carbone del gioco. È una reinterpretazione. Un dialogo tra media diversi. Chi si aspettava di vedere sullo schermo ogni singolo frame del gameplay è rimasto deluso; chi ha accettato l’idea di vivere lo stesso mondo narrativo attraverso una lente diversa, invece, ha trovato una nuova dimensione di emozione. Le aggiunte, i cambiamenti, i personaggi espansi hanno arricchito la storia, dando nuova linfa ai fan storici e spalancando le porte a chi non ha mai preso in mano un DualShock.
Ma la vera essenza, quella che tiene incollati allo schermo milioni di spettatori, non sono gli infetti. Non sono le sparatorie, né le fughe rocambolesche. Sono le relazioni. Sono i dilemmi morali. Sono gli sguardi trattenuti, i silenzi carichi di senso, le parole non dette che urlano più di mille urla. Sono Ellie, Joel, Abby, Tommy, Maria, e quel senso di perdita e redenzione che li avvolge come un sudario.
E allora, cosa ci aspetta nel 2027? Un viaggio. Un viaggio emotivo che ci porterà ancora più in profondità, scavando nelle ferite, mettendoci davanti a scelte impossibili, chiedendoci da che parte vogliamo stare – sempre che esista davvero una parte giusta. L’addio di Druckmann è un segnale di cambiamento, ma non necessariamente una condanna. È un passaggio di testimone. È la prova del fuoco per Mazin, per il cast, per tutti noi che seguiamo ogni passo con il fiato sospeso.
Personalmente, non vedo l’ora. Sì, l’attesa sarà lunga, snervante, frustrante. Ma fa parte del gioco. Fa parte di quel rituale nerd che ci fa teorizzare, discutere, arrabbiarci, esultare, soffrire insieme. Perché alla fine, The Last of Us è anche questo: una comunità. Una tribù post-apocalittica di fan sparsi per il mondo, pronti a condividere ogni frammento di storia, ogni trailer, ogni fotogramma rubato dal set.
E tu, cosa pensi di tutto questo? L’addio di Druckmann ti preoccupa? Sei pronto a seguire la serie nella nuova era Mazin? Hai già delle teorie su cosa succederà ad Abby e Ellie? Scrivimelo nei commenti, oppure condividi questo articolo con la tua squadra di sopravvissuti nerd sui social. Il mondo là fuori sarà pure in rovina, ma noi – qui, insieme – siamo più vivi che mai. E pronti a combattere, emozionarci, e sopravvivere. Sempre.