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Hana-Kimi: il classico shōjo travolgente diventa anime – e arriva su Crunchyroll con le canzoni di YOASOBI

Il 2026 si apre con una ventata di romanticismo, identità segrete e adolescenti travolti da emozioni troppo grandi per essere nascoste. A distanza di oltre vent’anni dalla sua prima pubblicazione, Hanazakari no Kimitachi e – per i fan semplicemente Hana-Kimi – si prepara al suo debutto in versione anime, pronto a conquistare una nuova generazione di spettatori. Crunchyroll ha annunciato che la serie sarà disponibile a partire dal 4 gennaio 2026, in tutto il mondo (Asia esclusa, ma con l’India inclusa nel lancio globale), con un team di produzione di alto livello e un comparto musicale che promette di diventare leggenda: YOASOBI, il duo J-Pop che ha riscritto le regole della musica contemporanea giapponese, interpreterà sia la sigla di apertura che quella di chiusura.

Dietro la trasposizione animata troviamo lo studio Signal.MD, già noto per l’eleganza visiva di Nina the Starry Bride, e la regia è affidata a Natsuki Takemura (Go! Go! Vehicle Zoo), che guiderà un team esperto e appassionato. Alla composizione della serie c’è Takao Yoshioka, mentre il character design è firmato da Shiyi Su; le musiche, invece, portano la firma di Masaru Yokoyama, un nome che gli appassionati di anime associati a melodie capaci di spezzare il cuore e farlo ripartire al ritmo della nostalgia.

Dal manga al mito

Per chi non conosce ancora Hana-Kimi, vale la pena di fare un passo indietro. L’opera originale, firmata da Hisaya Nakajo e pubblicata da Hakusensha sulla rivista Hana to Yume Comics con il titolo To You in Full Bloom, è uno dei manga shōjo più amati di sempre. Tra il 1996 e il 2004, Nakajo ha raccontato con grazia e ironia una storia che è insieme commedia scolastica, riflessione sull’identità e celebrazione del coraggio di essere se stessi.

La protagonista, Mizuki Ashiya, è una ragazza nippo-americana che decide di lasciare la sua vita negli Stati Uniti per inseguire un sogno: conoscere da vicino il suo idolo sportivo, Izumi Sano, un talentuoso saltatore in alto. C’è però un piccolo problema: Sano frequenta un liceo maschile. Per poterlo incontrare, Mizuki dovrà travestirsi da ragazzo e nascondere la propria identità in un contesto dove ogni sguardo, ogni gesto, potrebbe tradirla.

Quello che inizia come un atto di pura ammirazione sportiva si trasforma presto in qualcosa di più profondo. Condividendo la stanza con Sano, Mizuki si ritrova immersa in un vortice di emozioni, amicizie inaspettate, rivalità e segreti sempre più difficili da custodire. Il cuore della serie non è solo la tensione romantica tra i due protagonisti, ma anche la sincera esplorazione del confine tra apparenza e verità, tra ciò che mostriamo al mondo e ciò che siamo davvero.

Un’eredità culturale che torna a fiorire

L’annuncio dell’adattamento anime ha fatto vibrare le corde della nostalgia di chi, nei primi anni 2000, si era innamorato delle trasposizioni live action di Hana-Kimi – in Giappone, a Taiwan e perfino in Corea del Sud. Queste versioni avevano contribuito a trasformare la storia di Mizuki e Sano in un fenomeno internazionale, anticipando molti dei temi oggi centrali nelle narrazioni adolescenziali: il gender bending, la fluidità identitaria, la libertà di amare senza etichette.

Il ritorno di Hana-Kimi in versione animata arriva in un momento storico in cui l’anime giapponese è sempre più aperto alla diversità dei sentimenti e delle espressioni di sé. Il progetto di Signal.MD si inserisce quindi non solo come operazione nostalgica, ma come reinterpretazione contemporanea di un classico, pensata per parlare sia ai fan della prima ora che alle nuove generazioni cresciute tra TikTok, fandom globali e cultura pop interconnessa.

YOASOBI: la musica che racconta emozioni

Se c’è un duo capace di trasformare una sigla in poesia, quello è YOASOBI. Composto da Ayase (producer e compositore) e Ikura (voce eterea e inconfondibile), il gruppo è esploso nel 2020 con Yoru ni Kakeru, e da allora ha collezionato successi planetari unendo elettronica, melodia e storytelling. Ogni loro brano nasce da un racconto o da un romanzo breve: è musica che nasce dalla narrativa, proprio come Hana-Kimi nasce dalla pagina disegnata.

La scelta di affidare a loro l’apertura e la chiusura della serie non è solo un colpo di marketing, ma una dichiarazione d’intenti. Significa riconoscere che la forza di Hana-Kimi è sempre stata la sua capacità di unire parola e sentimento, immagine e voce, in un linguaggio universale. Con YOASOBI, questa alchimia promette di raggiungere nuove vette di emozione e intensità.

Una produzione curata nei minimi dettagli

Il cast tecnico conferma l’attenzione per la qualità: Shigeru Ueda sarà assistente alla regia, Jin Aketagawa dirigerà il suono, e la produzione d’animazione sarà interamente gestita da Signal.MD, studio del gruppo IG Port (lo stesso di Production I.G e Wit Studio). Il risultato si preannuncia elegante e brillante, con una regia fluida e colori capaci di restituire la leggerezza e la passione adolescenziale che hanno reso immortale l’opera di Nakajo.

Tra nostalgia e scoperta

C’è qualcosa di profondamente simbolico nel ritorno di Hana-Kimi. È come se la cultura pop giapponese stesse facendo pace con la propria adolescenza, rivisitando i suoi classici per riscoprire ciò che li ha resi universali: l’empatia, la fragilità, la forza dei sentimenti veri. Per chi è cresciuto leggendo il manga o guardando le versioni live action, l’anime sarà come tornare in un luogo familiare. Per chi invece scopre ora questa storia, sarà un viaggio nuovo, ma pieno di quella dolcezza ironica e contagiosa che solo gli shōjo sanno regalare.

In un’epoca di reboot e remake, Hana-Kimi torna non come un semplice revival, ma come un atto d’amore verso una generazione di lettori e spettatori che non ha mai smesso di credere che dietro ogni maschera ci sia un cuore che batte.

Grazie a Lady Oscar tutti noi festeggiamo il 14 luglio!

Lady Oscar è uno degli anime più amati di sempre nel nostro bel Paese, se non il più amato, senz’altro come repliche.  Cosa si può dire ancora che non si sappia già di quella che è forse la protagonista più famosa degli anime di sempre, amata anche dai non otaku, tanto che ogni anno dal 12 al 14 luglio sui social ci si scatena con hastags per ricordare il suo grande amore per André finalmente realizzato e la tragica morte di entrambi?

Le rose di Versailles, il manga che ha ispirato l’anime, realizzato da Riyoko Ikeda a partire dal 1972, è considerato ancora oggi un classico del genere, da leggere e rileggere, capace davvero di forgiare l’immaginario e di essere coraggioso, proponendo un personaggio di eroina fuori dagli schemi, che ha fatto scuola, al centro di una storia d’amore veramente struggente, che fece scalpore nel Paese del Sol levante perché per la prima volta in un shojo si vedevano i due protagonisti fare l’amore, consumazione commovente di un sentimento purtroppo destinato a finire troppo presto.

Lady Oscar anime, diretto prima da Tadao Nagahama e Osamu Dezaki, nonostante la cura estrema con cui fu realizzato e che lo rende ancora oggi memorabile, non fu assolutamente un successo in Giappone, tanto che gli iniziali 52 episodi previsti furono ridotti a 40. Solo nel 1986, sette anni dopo la prima, sfortunata messa in onda, la serie fu riproposta sull’onda del successo ottenuto dal disegnatore Shingo Araki per I cavalieri dello zodiaco, trovando allora un suo posto nel fandom nipponico, a cui sono seguite pubblicazioni di art book e della splendida colonna sonora fino ad oggi, in attesa di un più volte annunciato remake animato per ora fermo.

In Italia è ancora oggi uno dei grandi successi degli anime di sempre, ancora celebrata da cosplayer, autori di fanfiction, fanart, gruppi sui social e eventi, e il manga è uscito in più edizioni a partire dagli anni Ottanta. Il tutto senza contare il rock drama realizzato da Andrea Palotto e lo spettacolo teatrale e il fan film de I Giocolieri delle Stelle, altri tributi davvero ad una storia che non smette mai di stancare.

Una storia comunque coraggiosa, politicamente scorretta in un momento in cui si vuole censurare tutto quello che fa emozionare in nome di non voler offendere nessuno, capace di parlare di morte, amore, libertà, giustizia, passioni totalizzanti (come dimenticare la famosa e conturbante dichiarazione d’amore di André ad Oscar?) rinunciando al lieto fine, anzi lasciando nella disperazione gli appassionati con uno dei più tragici anche se catartici finali di sempre, ma lasciando dentro non poco, anche a chi oggi a distanza di decenni lo ricorda come uno dei punti fermi della sua infanzia e adolescenza, un classico da rivedere e rileggere sempre.

Magica Emi compie quarant’anni: la maghetta prestigiatrice che ci ha insegnato a non avere fretta di crescere

Lo ammetto: quando ho saputo che Magica Magica Emi, l’anime mahō shōjo dello Studio Pierrot, compiva quarant’anni, ho provato un misto di nostalgia e tenerezza. Perché se oggi siamo sommersi da un’infinità di anime, di maghette e di serie dai poteri sempre più spettacolari, c’è stato un tempo in cui bastava un semplice specchio, un pizzico di sogno e un po’ di musica per farci innamorare. E Magica Emi ci ha insegnato proprio questo: che il vero incantesimo non è la magia, ma la voglia di crescere giorno dopo giorno.

Correva l’anno 1985 in Giappone quando per la prima volta veniva trasmessa Mahō no Star Magical Emi, la terza serie del celebre filone majokko firmato Studio Pierrot, già artefice di successi come Creamy Mami e Persia. In Italia sarebbe arrivata l’anno dopo, su Italia 1, con il titolo diventato iconico: Magica, magica Emi, e la voce inconfondibile di Cristina D’Avena che ancora oggi ci fa canticchiare “Magica, magica Emi, magia sei per me”.

Ma cosa rende ancora oggi questa serie così speciale, tanto da meritare un posto d’onore nella storia degli anime giapponesi, e da essere riscoperta anche da un pubblico più adulto?

Un sogno chiamato magia: la storia di Mai e il suo alter ego Emi

Mai Kazuki, la protagonista, è una bambina di dieci anni con un sogno grande quanto il suo cuore: diventare una grande prestigiatrice, proprio come la leggendaria Emily Howell. Un sogno quasi inevitabile per chi cresce in una famiglia di maghi e prestigiatori: la mamma con un passato da maga, i nonni alla guida della sgangherata compagnia dei Magic Carat. Ma come spesso accade, la strada verso il sogno è lunga, fatta di inciampi e piccole sconfitte quotidiane. Fino a quando nella sua vita compare Topo, il folletto dello specchio, che le dona il potere di trasformarsi nell’affascinante e talentuosa Magical Emi ogni volta che lo desidera.

Da quel momento, il mondo di Mai si sdoppia: da una parte la bambina insicura e goffa, dall’altra la splendida Emi che fa magie sul palcoscenico, conquista il pubblico televisivo e vive esperienze da adulta. E proprio in questo contrasto tra le due vite si nasconde il cuore della serie.

Un anime mahō shōjo diverso: magia come strumento, non come fine

A differenza di molte altre serie dello stesso genere, Magica Emi si distingue per un approccio più realistico e intimista. Qui la magia non serve per combattere il male o salvare il mondo, ma è un mezzo per esprimere il talento di Mai, per esplorare i suoi sogni e le sue paure. Non ci sono nemici da sconfiggere, né cataclismi da evitare. C’è semplicemente la vita, quella vera, fatta di famiglia, amicizie, rivalità e crescita personale.

Ed è proprio questo che rende la serie così affascinante ancora oggi: racconta la quotidianità con leggerezza e profondità, mettendo al centro i piccoli drammi dell’infanzia che tutti abbiamo vissuto. Dai compiti in classe alle pagelle, dalle prime gelosie familiari all’imbarazzo della crescita, ogni episodio diventa un piccolo affresco di vita, capace di toccare il cuore di bambini e adulti.

Un cast di personaggi indimenticabili

Non si può parlare di Magica Emi senza citare il suo splendido cast di personaggi. Attorno a Mai gravitano figure vivissime e sfaccettate: i nonni maghi, il produttore televisivo Koganei, l’imbranato manager Kokubunji, l’amico pugile Sho, e l’innamorato compagno di scuola Musashi. Un microcosmo variegato e ricco di umanità, che regala episodi tanto divertenti quanto commoventi.

La bellezza della serie sta anche nel fatto che spesso Mai/Emi passa in secondo piano, per lasciare spazio alle storie degli altri personaggi. Così conosciamo i loro sogni, le loro fragilità, i rimpianti e i ricordi, creando un affresco corale che arricchisce la narrazione e la rende più autentica.

La doppia vita di Mai: un viaggio di crescita e consapevolezza

Se c’è un messaggio che Magica Emi ci lascia, è quello di non aver fretta di crescere. Perché se da un lato Mai può trasformarsi in Emi e vivere l’ebbrezza di essere grande, dall’altro si rende conto che la crescita vera richiede tempo, fatica e maturazione. Emi è un sogno, un ideale, un riflesso perfetto di ciò che Mai vorrebbe essere. Ma con il passare degli episodi, Mai comprende che non può sostituire il proprio percorso con la scorciatoia della magia.

La frase chiave della serie — “È molto più divertente essere Mai” — racchiude tutta questa consapevolezza. Perché è proprio nel viaggio, fatto di piccoli passi e di scoperte quotidiane, che si nasconde la vera magia della vita.

Un comparto tecnico di altissimo livello

Dal punto di vista tecnico, Magica Emi è una piccola perla dell’animazione anni ’80. Il character design di Yoshiyuki Kishi regala personaggi espressivi e ben caratterizzati, con una cura particolare per la figura di Emi, splendida adolescente dai capelli blu che incarna i sogni più innocenti della giovane Mai.

Anche la colonna sonora gioca un ruolo fondamentale. La sigla “Fushigiiro Happiness” è diventata iconica non solo per la melodia orecchiabile, ma per il suo significato profondo: la felicità è un viaggio misterioso, da affrontare passo dopo passo. E non mancano momenti di grande impatto emotivo grazie alle musiche orchestrate e alle canzoni cantate dalla bravissima Yoko Obata, che doppia sia Mai che Emi con una dolcezza irresistibile.

Un successo che dura nel tempo

Quando Magica Emi approdò in Italia nel 1986, venne subito accolta con entusiasmo, complici anche le indimenticabili sigle di Cristina D’Avena. Nel nostro paese la serie ha goduto di numerose repliche, conquistando generazioni di spettatori e diventando una delle maghette più amate, seconda solo a Creamy Mami.

In Giappone, invece, il suo successo è stato più sottile ma duraturo. Molti adulti oggi rivalutano la serie per il suo tono maturo e il messaggio profondo. Perché da bambini ci si innamora delle magie di Emi, ma da grandi si capisce che il vero valore della storia sta proprio nell’accettare che crescere richiede pazienza e impegno.

Magica Emi oggi: una serie da riscoprire

A quarant’anni dalla sua nascita, Magica Emi rimane una serie straordinariamente attuale. In un mondo che ci spinge sempre ad accelerare i tempi, a rincorrere sogni impossibili, questa piccola maghetta ci ricorda che la vera magia è saper apprezzare ogni tappa del nostro cammino.

Se non l’avete mai vista o se volete riscoprirla con occhi nuovi, vi consiglio di farlo: vi ritroverete rapiti da una storia che parla al cuore con semplicità e profondità. E magari, come me, vi scoprirete a canticchiare “Fushigiiro Happiness” con un sorriso malinconico.

Perché in fondo, anche noi nerd appassionati di anime sappiamo bene che la magia più potente è quella dei sogni che coltiviamo giorno per giorno.

E voi, che ricordi avete di Magica Emi? Vi invito a condividere le vostre emozioni e i vostri momenti preferiti sui social taggando il nostro magazine CorriereNerd.it. La magia è più bella quando si condivide, non credete?

San Valentino dillo con un manga di Star Comics

Febbraio è il mese dell’amore e Star Comics lo celebra con un’ondata di emozionanti novità manga, perfette per gli appassionati di storie romantiche. In occasione di San Valentino, la casa editrice porta in Italia tre nuove serie e lancia un’iniziativa speciale: la S. VALENTINE’S WALLPAPER COLLECTION, una collezione di sfondi per smartphone ispirati ai titoli più amati del momento.

Nuove uscite Star Comics per San Valentino

A inaugurare le novità del mese è il 4 febbraio BEAT & MOTION, un manga che racconta di riscatto e seconde opportunità. Il protagonista, Tatsuhiko, ha visto infrangersi il sogno di diventare animatore e si è rifugiato nella musica, senza successo. Quando tutto sembra perduto, un incontro casuale riaccende la sua passione. Un mix irresistibile di slice-of-life e determinazione che promette di emozionare e ispirare.

Lo stesso giorno debutta SLEEPING ON THE PAPER SHIP, una miniserie Boys’ Love in due volumi di Teki Yatsuda, già nota per Home Far Away. Ambientata nel Giappone del 1949, segue Kei Kitahara, uno sceneggiatore la cui penna sembra maledetta: chi ispira i suoi racconti finisce nei guai. Deciso a smettere di scrivere, l’incontro con un giovane fotografo risveglierà la sua passione per la narrazione, portandolo in un viaggio tra desiderio e mistero.

L’11 febbraio torna un titolo iconico: ELETTROSHOCK DAISY. Questo amatissimo shojo torna in un’edizione “2 in 1” composta da otto volumi totali. La storia segue Teru, una ragazza forte e determinata, e Tasuku Kurosaki, il burbero custode del liceo, legato a un misterioso segreto. Tra dolcezza e suspense, la serie continua a conquistare i fan di sempre e nuove lettrici.

Continuano i successi romance di Star Comics

Star Comics prosegue la pubblicazione di due amatissime serie romance. Il secondo volume di CHOKING ON LOVE è già disponibile, mentre il terzo volume di LA PERSONA CHE MI PIACE NON È UN RAGAZZO arriverà il 25 marzo, confermando il successo di queste storie d’amore moderne e coinvolgenti.

Per rendere speciale San Valentino, Star Comics ha preparato una sorpresa per tutti i fan del romance: la S. VALENTINE’S WALLPAPER COLLECTION. Per tutto febbraio, sul sito ufficiale e sui canali social della casa editrice, saranno disponibili cinque sfondi per smartphone ispirati alle serie più amate, un regalo perfetto per personalizzare il proprio telefono o sorprendere una persona speciale.

J-POP Manga presenta “Firefly Wedding” di Oreco Tachibana

Nel Giappone della fine dell’Ottocento, in piena Epoca Meiji, si svolge una storia intensa, ricca di mistero, passione e colpi di scena, che promette di catturare il cuore degli appassionati di manga e romance storici. La serie “Firefly Wedding”, scritta e magnificamente illustrata da Oreco Tachibana, arriva in Italia sotto l’etichetta J-POP Manga e si presenta come una delle novità più attese del 2025. Con il primo volume disponibile dal 29 gennaio, “Firefly Wedding” si fa notare non solo per la sua trama avvincente ma anche per la sua qualità grafica e narrativa che la rende una proposta imperdibile per gli amanti del genere shojo.

La trama di “Firefly Wedding” ruota attorno a due protagonisti che sembrano destinati a incontrarsi per uno scherzo del destino. Satoko Kirigaya, una giovane donna bellissima e figlia di un conte, è condannata da una malattia che le preclude una vita lunga e felice. Nonostante ciò, la sua famiglia la spinge a cercare un matrimonio vantaggioso che possa risollevare le sorti economiche della sua casa. Ma la sua vita prende una piega inaspettata quando un sicario, Shinpei Goto, viene incaricato di ucciderla. Nonostante la sua condizione di preda, Satoko, spinta dalla paura di morire, fa una proposta audace: “Sposatevi con me, ve ne prego! Se lo farete, potrete ottenere tutto ciò che desiderate…!” Quella che inizialmente sembrava una mossa disperata per salvare la propria vita si trasforma in una promessa che, a sorpresa, Shinpei prende molto sul serio. Il sicario, noto per la sua freddezza e spietatezza, si trova così obbligato a onorare l’accordo con Satoko, dando il via a un matrimonio improbabile che sarà il fulcro della trama.

“Firefly Wedding” non è solo una storia d’amore, ma anche un intreccio di suspense, mistero e lotta contro il destino. La promessa di Satoko, pur fatta con l’intento di ingannare Shinpei e salvarsi, getta le basi per un’unione che, seppur forzata, si rivelerà ricca di sfumature e complicazioni emotive. La giovane protagonista, malata e costretta a fronteggiare una realtà crudele, si trova ad affrontare sentimenti complessi nei confronti di un uomo che potrebbe essere la sua salvezza, ma che rappresenta anche un pericolo. D’altro canto, Shinpei, uomo abituato a vivere senza emozioni, dovrà confrontarsi con la realtà di un matrimonio che non era mai stato nei suoi piani, ma che sembra esercitare su di lui una sorta di fascino oscuro.

Questo manga è stato candidato come Miglior Shojo ai Kodansha Manga Award 2024, un riconoscimento che ne evidenzia la qualità e l’impatto nel panorama dei manga giapponesi. Le tavole di Oreco Tachibana, con uno stile raffinato ed elegante, contribuiscono a dare vita a un mondo che è tanto storico quanto pieno di mistero. L’ambientazione nell’Epoca Meiji, una delle più affascinanti e complesse della storia giapponese, si presta perfettamente a una narrazione che mescola romanticismo e dramma, creando un’atmosfera unica che coinvolgerà i lettori sin dalle prime pagine.

Il primo volume di “Firefly Wedding” sarà disponibile in tutte le librerie, fumetterie e store online a partire dal 29 gennaio. Per gli appassionati che non vogliono perdere neanche un dettaglio, sarà possibile acquistare una versione con una copertina variant esclusiva. Questo manga si preannuncia come una novità imperdibile per chi ha apprezzato opere come “Il mio matrimonio felice” e “La Luna e l’Acciaio”, e cerca una nuova storia romantica carica di suspense e dramma.

In attesa dell’uscita, i lettori possono già dare un’occhiata alla preview delle prime pagine del volume, per assaporare un assaggio di questa storia che si prospetta ricca di emozioni contrastanti e sviluppi inaspettati. Se siete alla ricerca di una nuova lettura che unisca romance, storia e mistero, “Firefly Wedding” è sicuramente la scelta giusta. Un manga che promette di far battere il cuore dei lettori e di conquistare il pubblico italiano con la sua freschezza e la sua profondità narrativa. Non resta che prepararsi a un matrimonio che cambierà le vite di Satoko e Shinpei, e che, chissà, potrebbe anche segnare un nuovo capitolo nel panorama dei manga romance italiani.

La mia senpai è un ragazzo: il manga LGBTQIA+ che ha conquistato il cuore dei lettori

J-POP Manga porta in Italia una delle opere più apprezzate degli ultimi anni, che ha conquistato lettori di tutto il mondo con la sua trama coinvolgente e la capacità di trattare temi profondi con leggerezza e sincerità. “La mia senpai è un ragazzo”, scritto da Pom, non è solo un manga originale, ma anche un’opera che esplora delicatamente le tematiche LGBTQIA+, toccando il cuore di chi ama le storie di crescita personale, accettazione di sé e amore senza pregiudizi.

Vincitore del Next Manga Award nel 2021, “La mia senpai è un ragazzo” non è semplicemente un manga romantico, ma un’opera che si inserisce perfettamente nel filone delle storie che riflettono sulla fluidità di genere e sull’importanza di essere se stessi, sfidando le aspettative sociali. Non solo il manga, ma anche la serie anime “Senpai is an Otokonoko”, disponibile in streaming su Crunchyroll, ha contribuito a far conoscere questa storia a un pubblico ancora più ampio.

Al centro della trama c’è Saki Aoi, una giovane ragazza che si ritrova a fare i conti con un sentimento difficile da spiegare. Saki è affascinata da Makoto Hanaoka, un membro del consiglio studentesco noto per la sua bellezza travolgente. Ma la ragazza teme che i suoi sentimenti non siano ricambiati. Quando finalmente trova il coraggio di dichiararsi, la sua risposta è ben lontana da quella che si aspettava: Makoto è, infatti, un “otokonoko”, un ragazzo travestito da ragazza. Ma anziché allontanarsi, Saki si avvicina ancora di più a lui, accogliendo con cuore aperto la sua identità senza giudicare.

Questa scoperta non fa che rafforzare il legame tra i due, che intraprendono un viaggio emotivo di scoperta e accettazione. La storia esplora temi come l’amore che supera i pregiudizi e il coraggio di affrontare la propria identità, anche quando la società non è pronta ad accoglierla.

Ma il manga non parla solo dell’amore tra Saki e Makoto. La vicenda di Makoto, infatti, è quella di tanti giovani che faticano ad accettarsi in un mondo che ha difficoltà a comprendere le differenze. Makoto ha sempre amato l’abbigliamento femminile, ma ha dovuto nascondere questa sua passione per paura del giudizio altrui, in particolare di sua madre. A scuola, però, riesce finalmente ad indossare ciò che gli piace e a sentirsi libero. Tuttavia, fuori dall’ambiente scolastico, si scontra con le difficoltà del mondo reale e con le aspettative di chi lo circonda.

L’incontro con Aoi rappresenta un punto di svolta per Makoto, che capisce che l’amore non ha pregiudizi e che essere sé stessi è un atto di coraggio. Aoi, infatti, non è sconvolta dalla sua identità di genere, ma al contrario, è ancora più attratta da lui. La sua sincerità e la sua mancanza di pregiudizi aiutano Makoto a superare le barriere che si era costruito, rendendogli possibile un percorso di accettazione.

In questa storia non manca un altro elemento che aggiunge profondità alla trama: il triangolo amoroso che si sviluppa con l’ingresso di Ryuji, il migliore amico di Makoto. Ryuji è da sempre innamorato di lui, e il suo sentimento nei confronti di Aoi è quello della gelosia e della paura di perdere il suo amico. Tuttavia, piuttosto che essere un ostacolo, Ryuji diventa un alleato, imparando ad accettare la relazione di Makoto con Aoi e riconoscendo l’effetto positivo che lei ha sulla vita del suo amico.

Il tratto di Pom è semplice, ma estremamente evocativo. La narrazione si concentra soprattutto sui personaggi e sui loro stati emotivi, mentre gli sfondi sono essenziali, lasciando che la luce giochi un ruolo importante nel sottolineare i momenti chiave della storia. La luce fredda accompagna i momenti di scoperta e riflessione di Makoto, mentre la luce calda evidenzia i momenti di felicità tra i protagonisti, creando un contrasto che amplifica l’intensità emotiva della storia.

“La mia senpai è un ragazzo” non è solo un manga d’amore, ma una riflessione sull’identità, sull’accettazione e sul coraggio di essere vulnerabili. L’edizione italiana, prevista per il 19 febbraio in una splendida versione a colori, è destinata a conquistare anche il pubblico italiano, pronto ad immergersi in una storia che celebra la diversità, l’inclusività e la bellezza di essere se stessi. Una lettura che, senza dubbio, lascerà il segno nel cuore di chi la intraprende.

Love Me Knight – Kiss Me Licia: La nuova edizione a colori celebra 40 anni di emozioni

Cari lettori, oggi vogliamo parlare di una grande novità che farà sicuramente felici tutti gli appassionati di manga. Esattamente 25 anni fa, il mondo del fumetto perdeva una delle sue più grandi artiste, la sensei Kaoru Tada, autrice di storie che ancora oggi restano nel cuore di molti. Per rendere omaggio alla sua memoria, la Nippon Shock Edizioni ha deciso di pubblicare una nuova versione a colori del suo manga più famoso, Ai Shite Naito, conosciuto in Italia come Kiss Me Licia – Love Me Knight.

Questa edizione speciale celebra non solo il 25° anniversario della scomparsa della sensei Tada, ma anche il 40° anniversario del manga stesso. Love Me Knight – Kiss Me Licia è un manga shōjo che Kaoru Tada ha scritto e disegnato tra il 1982 e il 1984, pubblicandolo sulla rivista Bessatsu Margaret di Shūeisha. In Italia, il manga è arrivato per la prima volta grazie a Star Comics, che lo ha pubblicato tra il 2002 e il 2003 nella collana Starlight, per poi essere riproposto da Goen nel 2012-2013 nella collana Lady Collection. Durante gli anni, l’opera ha ricevuto diverse ristampe, ognuna capace di ridare vita a una storia che ha segnato un’epoca.

La trama di Ai Shite Naito ruota attorno a Licia, una ragazza che lavora in un ristorante giapponese chiamato Mambo, gestito dal suo padre Marrabbio. Un giorno, Licia incontra Andrea, un bambino di cinque anni che si era rifugiato in un tubo di cemento durante un acquazzone. Da quel momento, la sua vita cambierà radicalmente, quando incontrerà il fratello maggiore di Andrea, Mirko, leader e cantante della band Bee Hive. Tra i due nascerà una forte amicizia che, ben presto, si trasformerà in un amore travolgente. Tuttavia, non sarà facile per Licia scegliere il suo cuore, soprattutto con la presenza di Satomi, il tastierista della band e suo ex corteggiatore, e con le complicazioni derivanti dalle altre donne attorno a Mirko e Satomi. Inoltre, il padre di Licia non vede di buon occhio la passione della figlia per la musica rock, alimentando ulteriormente il conflitto interiore della ragazza.

Con il tempo, Licia sarà in grado di capire cosa prova veramente per Mirko, anche grazie all’aiuto del piccolo Andrea, che vede in lei una figura materna. La rivalità tra i protagonisti si risolverà, e licia finalmente troverà la sua strada. Nel finale, i Bee Hive, ormai al successo, partono per una tournée negli Stati Uniti, mentre Licia e Mirko annunciano ufficialmente il loro fidanzamento.

Il manga ha ricevuto una leggendaria trasposizione anime nel 1983, prodotto da Toei Animation. La serie fu trasmessa su TV Asahi in Giappone, ma in Italia ottenne un successo ben maggiore, dove andò in onda su Italia 1 con il titolo Kiss Me Licia nel 1985. L’anime ispirò anche quattro serie televisive italiane in live-action, che continuarono la storia dei protagonisti, consolidando il suo successo nel nostro paese.

Oggi, grazie alla nuova edizione a colori, i fan di vecchia data e i nuovi lettori potranno rivivere le emozioni di questa storica opera, che continua a essere un pezzo importante della cultura manga e anime, capace di attraversare le generazioni con la sua forza emotiva e il suo intramontabile fascino.

21mila visitatori a Megacon Genova!

Che due giorni fantastici! Megacon, la fiera del fumetto e del gioco a Genova, è stata un vero e proprio successo, con un’affluenza di pubblico da record: ben 21.000 visitatori! Con un pubblico proveniente da tutto il nord-ovest, l’evento ha dimostrato di offrire una vasta gamma di attività dinamiche legate al gioco e all’intrattenimento, accanto alla mostra mercato di gadget e fumetti.

I visitatori hanno affollato il Padiglione Blu Jean Nouvel della Fiera di Genova, partecipando con entusiasmo alle diverse aree tematiche come la sala giochi anni Ottanta, la Gamers Arena e i giochi da tavolo. Giorgio Vanni e Cristina D’Avena hanno fatto cantare a squarciagola grandi e piccini con le sigle dei cartoni animati, mentre Giovanni Muciaccia ha intrattenuto il pubblico con la sua contagiosa simpatia. L’astronauta Paolo Nespoli ha emozionato tutti con i racconti della sua esperienza sulla Stazione Spaziale Internazionale, mentre Chef Hiro ha deliziato i palati con i segreti della cucina giapponese. E non sono mancati neanche i grandi nomi del fumetto, come Yumiko Igarashi (Candy Candy) e Yoshiko Watanabe (La principessa Zaffiro).

Megacon 2024 è stato un successo travolgente che ha saputo coinvolgere e appassionare migliaia di visitatori, confermandosi come un punto di riferimento per tutti gli amanti della pop culture.Gli organizzatori sono già al lavoro per l’edizione 2025, con l’obiettivo di far diventare Megacon una delle cinque manifestazioni più grandi d’Italia in questo settore. Megacon è stata un’esperienza davvero unica, che ha dimostrato come la passione per il fumetto, il gioco e la cultura pop possa unire persone di tutte le età. Un grande successo che rimarrà impresso nella memoria di tutti i partecipanti.

Anime cult enciclopedia N.2 – “Il club delle maghette”

La seconda uscita dell’Enciclopedia di Anime Cult, edita da Sprea Edizioni, è dedicata al “Il club delle maghette” ovvero il genere”mahō shōjo “. Il volume vuole dunque esplorare  il mondo della magia negli anime e manga giapponesi attraverso alcune delle sue più celebri rappresentanti: le eccezionali maghette. Il libro “Anime cult enciclopedia N.2 – “Il club delle maghette””, curato da un team di esperti del settore, descrive dunque una selezione delle maghette più iconiche della storia del genere, raccontandone le storie, le caratteristiche e le peculiarità. Non mancano interviste e testimonianze di chi ha vissuto quel mondo da dietro le quinte, che rendono la guida un punto di riferimento per tutti gli appassionati.

Il genere “mahō shōjo ” nasce in Giappone negli anni ’60 con la pubblicazione del manga Himitsu no Akko-chan di Osamu Tezuka. Il genere ha poi avuto un successo strepitoso, diventando uno dei più popolari in tutto il mondo. Le protagoniste delle storie mahō shōjo sono solitamente ragazze comuni, che un giorno ricevono un potere magico o un oggetto magico. Questo evento le trasforma in eroine, che dovranno usare i loro poteri per proteggere il mondo dal male. Le storie mahō shōjo sono spesso caratterizzate da elementi di commedia, romanticismo e avventura.

Il volume è ricco di informazioni e approfondimenti, che rendono la lettura interessante sia per i fan del genere che per i neofiti. È un’opera imperdibile per tutti coloro che vogliono conoscere meglio il mondo delle maghette degli anime e manga giapponesi.

Come nasce il manga di Sailor Moon?

Bishōjo senshi Sailor Moon è un popolare manga di genere mahō shōjo creato da Naoko Takeuchi negli anni novanta. Esportato in molti paesi esteri, il manga racconta la storia di un gruppo di guerriere con uniformi da marinaretta. Il titolo, Sailor Moon, prende il nome dall’uniforme indossata dalle protagoniste, una versione adattata dell’uniforme scolastica femminile

Pochi conosco le vicissitudine che hanno portato alla nascita di questa serie che ha letteralmente “invaso” il globo: Naoko Takeuchi voleva creare una serie che trattasse di una ragazza legata allo spazio:; nacque così Sailor V, il cui primo capitolo uscì sulla rivista Run Run nell’estate del 1991, e il suo editore, Fumio Osano, finì per chiederle di fare indossare alle protagoniste un completo alla marinara e successivamente si decise di farne un gruppo.

Ma iniziamo dal principio: la rivista Nakayoshi è stata per decenni il magazine più ambito dal pubblico femminile in Giappone: la sua avventura inizia nel lontano dicembre del 1954, proprio alle porte del boom economico nipponico.  La casa editrice Kōdansha, che è la più grande dell’arcipelago giapponese, dimostra subito le sue capacità di intercettare un nuovo pubblico: le fan dei fumetti, che si moltiplicano al ritmo dell’economia postbellica. Ma come si suol dire, il successo attrae la concorrenza e così, appena un anno dopo, la rivale Shūeisha pubblica “Ribbon” (tradotto come “Fiocco”). Inizia così una feroce guerra editoriale tra questi tre giganti dei manga per ragazze. Purtroppo, “Nakayoshi” perde centinaia di migliaia di copie rispetto alle sue competitor , e l’editor-in-chief Yoshio Irie, chiamato in causa nel 1989, decide di risolvere il problema distinguendo le storie della rivista. Quest’uomo pratico vuole rafforzare l’appetibilità del mensile per il suo target demografico e pensa che il genere fantasy potrebbe essere un connubio interessante ai patemi amorosi e agli altri temi solitamente considerati femminili.

È in questo momento che Naoko Togashi, sotto lo pseudonimo di Naoko Takeuchi, è già alle prese con “Nakayoshi”. Ha pubblicato “Natale di cioccolato”, “Maria” e “Il progetto ciliegia” nell’arco di tre anni. Tuttavia, Takeuchi non fa la mangaka solo per guadagnare da vivere. È figlia di una facoltosa famiglia di gioiellieri di Kofu, ha una laurea in farmaceutica, guida una Porsche e si è dedicata alla carriera di fumettista per pura passione.

Dopo aver lavorato a tre manga con temi e ambientazioni simili, Takeuchi è desiderosa di approfittare della nuova libertà creativa offertale da Irie. Quando propone un fumetto con delle donne combattenti nello spazio come protagoniste, il suo editor Fumio Osamo le suggerisce di vestirle alla marinara. Forse pensa che disegnare le protagoniste con abiti che ricordano le divise delle scolare possa coinvolgere di più le giovani lettrici o forse vuole solo mantenere un’atmosfera glamour anche durante i combattimenti.

In ogni caso, Takeuchi accoglie la suggestione e nel 1991 viene pubblicato su “RunRun” (la rivista gemella di “Nakayoshi”) il primo episodio di “Codename Sailor V”, dove una ragazza tredicenne, Minako Aino scopre di potersi trasformare in un’eroe grazie ai poteri del pianeta Venere. Questo manga è stato raccolto in 3 tankōbon. Dopo aver suggerito all’autrice di creare una serie animata basata su Codename Sailor V, Naoko Takeuchi ha deciso di creare un sequel che combinasse lo stile majokko con l’allora popolare genere super sentai, dando vita a un gruppo di cinque eroine e alla serie manga Sailor Moon. Il primo vero capitolo di Sailor Moon è stato pubblicato sulla rivista giapponese Nakayoshi il 28 dicembre 1991. Il manga originale era composto da 52 capitoli, o “atti”, e includeva anche una dozzina di storie alternative incentrate su singoli personaggi della serie. Il manga è stato poi raccolto in 18 tankōbon, la cui pubblicazione è iniziata nel luglio 1992 e si è conclusa nel 1997. Alcune storie parallele e materiale bonus sono state pubblicate sulla rivista Run Run della stessa casa editrice, famosa per il manga Codename: Sailor V.

Nel 2003 la serie è stata ripubblicata in un nuovo formato chiamato “renewal” o “shinsōban”. I dialoghi e i disegni sono stati corretti e si è scelto di utilizzare il logo del live action Bishōjo senshi Sailor Moon, uscito nello stesso periodo, e la traduzione inglese Pretty Guardian Sailor Moon. Il numero totale di volumi è diventato quindi 12 (con 250 pagine ciascuno), più due volumi aggiuntivi contenenti storie brevi. Il numero di atti è passato da 52 a 60 a causa della divisione di alcuni capitoli in due parti. È stata inoltre pubblicata una versione shinsoban in 2 volumi di Sailor V.

E così, attraverso la sua creatività e la sua passione, Naoko Takeuchi ha contribuito a rendere “Nakayoshi” una rivista irrinunciabile per le ragazze, un punto di riferimento nel mondo dei manga. In fondo, qualche volta basta una spolverata di fantasy e un tocco di glamour per conquistare il cuore di chiunque, anche quello delle lettrici più giovani!

Le leggendarie Mahou Shoujo, le “streghette degli anime” che hanno incantato generazioni (e rivoluzionato il nostro modo di vedere l’eroismo)

Se siete cresciuti, come me, con gli occhi sgranati davanti alla televisione mentre una ragazzina dai poteri magici roteava una bacchetta o stringeva una spilla scintillante, allora sapete bene di cosa sto parlando: il magico mondo delle majokko. Il termine “majokko” (魔女っ子), che significa letteralmente “piccola strega”, è il nome affettuoso con cui noi appassionati indichiamo le protagoniste di un sottogenere anime amatissimo, nato da una felice fusione tra commedia, fantasy e l’immancabile romanticismo tipico dello shōjo. Più conosciuto internazionalmente come mahō shōjo (“ragazza magica”), questo filone è diventato uno dei pilastri portanti dell’immaginario nerd e otaku. Eppure, dietro quelle trasformazioni colorate e quelle bacchette glitterate, si nasconde molto di più di quello che può sembrare a una prima, superficiale occhiata. Il genere majokko ha sempre giocato con contrasti potenti: il maschile e il femminile, l’infanzia e la maturità, la vulnerabilità e la forza. Non si tratta solo di “bambine che fanno magie”, ma di una riflessione continua su cosa significa crescere, affrontare le sfide e, soprattutto, su come si possa essere forti senza perdere la propria dolcezza. Non a caso, grazie alla sua flessibilità narrativa, il majokko ha conquistato anche un pubblico maschile, aprendo così una finestra di dialogo tra generi e generazioni. Grandi nomi come Osamu Tezuka, Hayao Miyazaki, Hideaki Anno e Kunihiko Ikuhara si sono cimentati con questo filone, donandogli spessore e rendendolo immortale.

La magia cominciò ufficialmente nel 1966 con Sally la maga: la nostra prima majokko, ispirata alla celebre sitcom americana Bewitched (Vita da Strega). In quegli anni spuntarono anche altre incantevoli protagoniste come Akko, Bia, Lulù e, qualche tempo dopo, l’esplosiva Cutey Honey. Sotto l’egida della Toei Animation, il genere si consolidò, diventando un vero fenomeno culturale.Negli anni ’80, arrivò lo Studio Pierrot a cambiare di nuovo le carte in tavola, regalando ai fan nuove eroine come Creamy Mami, Evelyn, Emi e Sandy. Con loro, il majokko divenne ancora più legato all’universo dello spettacolo e della musica pop, mescolando sogno e realtà come non si era mai visto prima. Le prime “streghette” avevano spesso un compito tutto sommato modesto: usare la magia per aiutare gli amici, migliorare se stesse o raggiungere i propri sogni. Avevano sempre un oggetto magico, come uno specchietto, un fiocco o una spilla, ma la loro magia sembrava quasi incatenarle a ruoli sociali tradizionali, quelli della ragazza gentile, carina, premurosa. Non ancora vere guerriere, insomma.

La vera rivoluzione, quella che ha cambiato per sempre il nostro modo di vedere le majokko, è arrivata nel 1992 con Sailor Moon.

Ah, Sailor Moon. Usagi Tsukino — piagnucolona, pasticciona, tenerissima — era tutto fuorché l’eroina perfetta. Ma proprio in questo stava la sua forza: una ragazza normale chiamata a salvare il mondo. E, accidenti, lo ha salvato. Non una, ma ben cinque volte!

Con Sailor Moon, per la prima volta una mahou shoujo ha avuto una missione epica e nemici veri da affrontare. E non era sola: al suo fianco c’era un’intera squadra di guerriere, le mitiche Sailor Senshi, ispirate ai Super Sentai (da cui derivano anche i nostri Power Rangers). L’idea della “squadra magica” ha trasformato l’idea stessa di “ragazza magica”, portandola in territori nuovi, pieni di battaglie, crescita personale e amicizie indissolubili.

Ma c’è di più: Sailor Moon ha inserito nel majokko una fortissima carica femminista, una celebrazione dell’indipendenza e della sorellanza. E non solo: ha anche aperto la strada a narrazioni più mature, capaci di affrontare temi come l’identità di genere e l’amore in tutte le sue forme.

Sì, perché Sailor Moon non si è limitata a salvare il mondo. Ha anche abbattuto barriere culturali, proponendo personaggi LGBTQ+ quando ancora era un tabù. Ha mostrato che l’amore non ha confini né etichette, e che la forza non risiede nella negazione della propria emotività, ma nel saperla abbracciare pienamente.

Oggi, il genere majokko è diventato adulto. Puella Magi Madoka Magica, Card Captor Sakura, Revolutionary Girl Utena, Pretty Cure… ogni nuova serie ha saputo aggiungere nuove sfumature a questo universo, esplorando tematiche complesse, anche dolorose, senza mai perdere quella scintilla di magia e speranza che lo rende unico.

E voi? Qual è stata la majokko che vi ha fatto battere il cuore per la prima volta? Raccontatemelo nei commenti o condividete l’articolo sui vostri social, magari taggando quel vecchio amico con cui vi travestivate da Sailor Scout in cortile… Dai, non fate i timidi: la magia è più forte se la condividiamo!

Cosa vuol dire Kawaii?

Se c’è una parola che tutti, almeno una volta, abbiamo sentito quando si parla di cultura giapponese, quella è “kawaii”. Spesso tradotto con il nostro “carino” o “adorabile”, questo termine è molto più di una semplice etichetta per descrivere qualcosa che suscita tenerezza. Kawaii è un vero e proprio simbolo, un concetto che affonda le radici nella storia e nella lingua giapponese, ma che oggi è diventato un fenomeno globale che invade la moda, l’arte, l’animazione, e persino il nostro modo di vedere il mondo. Ma vi siete mai chiesti cosa ci sia dietro quella dolcezza apparente, dietro la maschera di gattini sorridenti e pupazzi colorati? Cosa si nasconde davvero dietro la “cuteness” giapponese, che tanto ci affascina e spesso ci conquista? Andiamo a scoprire insieme come questo termine, un tempo legato a concetti di timidezza e fragilità, si sia trasformato in una vera e propria cultura, e come, a volte, la sua evoluzione possa nascondere anche qualche ombra.

Le radici linguistiche di “kawaii”

Per comprendere appieno la portata di kawaii, bisogna tornare indietro nel tempo, fino al XI secolo, dove si trova l’origine di questo termine. La sua forma primitiva, kawa hayushi, significa letteralmente “volto arrossito” e veniva usata per descrivere una persona che si sentiva imbarazzata o mortificata, un’emozione legata alla timidezza e alla vulnerabilità. Un secolo più tardi, il termine si trasforma in kawayui, mantenendo il significato di disagio, per poi evolversi in kawaisou, che indicava qualcosa di “pitiabile” o “misero”. Solo nel XVI secolo il concetto di kawaii acquista il significato di “piccolo, indifeso, degno di protezione” che conosciamo oggi.

Questa evoluzione linguistica è fondamentale per comprendere il vero significato di kawaii: non si tratta semplicemente di qualcosa che è “carino” nel senso estetico del termine, ma di un qualcosa che suscita in noi un impulso protettivo. La connotazione di “cura” e “tenerezza” è insita nel termine fin dalle sue origini, come un invito a prendersi cura di ciò che è fragile e indifeso.

Il kawaii nell’industria del fumetto e dell’animazione

L’industria giapponese dei manga e degli anime ha saputo adottare il concetto di kawaii in modo innovativo, trasformandolo in un elemento distintivo della sua estetica. Già negli anni Quaranta, il maestro Osamu Tezuka, uno dei più grandi innovatori della cultura pop giapponese, utilizzò tratti stilizzati e personaggi dalle caratteristiche “carine” ispirati alle produzioni Disney. Questo approccio visivo avrebbe presto contaminato tutto il panorama fumettistico giapponese, dando vita a personaggi dalle linee morbide, con occhi grandi e espressioni dolci, come quelle che oggi troviamo in manga come Sailor Moon o Pokémon. Così, la “cuteness” non solo diventa un tratto distintivo, ma un vero e proprio linguaggio visivo che racconta emozioni complesse in modo semplice e immediato.

Con l’espansione della cultura kawaii negli anni Settanta, grazie a brand come Sanrio e il fenomeno di Hello Kitty, il termine entra definitivamente nel dominio pubblico. Nata nel 1974 come una semplice borsa in vinile con il volto della gattina più famosa del mondo, Hello Kitty è divenuta un simbolo globale del kawaii, un’icona che ha attraversato generazioni e culture, trasformandosi in un impero commerciale che ha invaso non solo il Giappone, ma tutto il pianeta.

Kawaii oggi: innocenza sospesa e gioco di ruoli

Oggi, il fenomeno kawaii si è evoluto in un complesso gioco di ruoli che attraversa tutte le età, coinvolgendo giovani e adulti in un mondo in cui l’innocenza dell’infanzia sembra essere sospesa in un limbo eterno. Non è raro vedere ragazze adulte che indossano costumi da scolarette o che si truccano con uno stile “baby face” per emulare l’innocenza di un tempo. Il kawaii, infatti, non è più limitato a giocattoli e personaggi di anime, ma è diventato un vero e proprio stile di vita che permea la moda, il comportamento e l’estetica quotidiana.

Questa tendenza ha dato vita a un fenomeno ancora più controverso: l’innocenza che da sempre accompagna il concetto di kawaii si trasforma in un valore di scambio, diventando una merce di consumo. I cosiddetti maid café, in cui giovani donne vestite da cameriera servono tè e dolcetti con atteggiamenti civettuoli, sono un esempio di come la “cuteness” possa diventare anche un gioco erotico. Ma non è tutto: nei No-Pan Kissa, caffè in cui le ragazze si spogliano della biancheria intima, la “cuteness” si fa strumento di una forma di voyeurismo in cui l’innocenza è scambiata per piacere.

Riflessioni di un nerd tra etica e remix culturale

Come appassionato di anime e manga, non posso fare a meno di riflettere sulla metamorfosi di questo fenomeno. Da un lato, il kawaii evoca immagini di dolcezza, tenerezza e cura. È un’espressione della nostra voglia di proteggere e di preservare qualcosa di vulnerabile. Dall’altro, quando questa vulnerabilità viene sfruttata a fini commerciali o erotici, si perde il significato originario del termine. La questione diventa delicata, perché ciò che era nato come una forma di empatia e protezione si trasforma in uno strumento di potere e consumo.

Non si tratta di demonizzare l’intero fenomeno, che continua ad avere un’influenza positiva e leggera in molte persone, ma piuttosto di invitarci a riscoprire il vero cuore di kawaii: un desiderio sincero di proteggere e amare ciò che è fragile, senza cadere nella trappola della mercificazione. Che si tratti di un portachiavi di Hello Kitty, di un anime come Fullmetal Alchemist o di un semplice pupazzo di peluche, il kawaii più autentico rimane quello che nasce dal cuore, lontano dalle logiche di mercato e dal profitto. È questa la vera magia che il termine kawaii ci ha regalato: un mondo in cui la dolcezza e l’innocenza possano convivere senza essere corrotte dalla speculazione.

L’anime di Fruits Basket un capolavoro Shojo Intramontabile

Fruits Basket è una di quelle opere che, pur appartenendo al genere shojo, ha saputo conquistare anche i cuori di chi solitamente si avvicina ad altri tipi di storie. Questo manga, scritto e disegnato da Natsuki Takaya, ha visto la luce in Giappone nel 1998, e da allora ha continuato a lasciare il segno, con un’incredibile evoluzione che ha portato prima a un adattamento anime nel 2001 e, successivamente, a un remake nel 2019 che ha finalmente raccontato tutta la storia come era stata concepita nel manga.

Il cuore pulsante di Fruits Basket è la dolce Tohru Honda, una ragazza che, dopo la morte della madre in un incidente stradale, si trova a dover affrontare la vita da sola. Abbandonata dalla sua famiglia e costretta a vivere in una tenda nel bosco, Tohru incontra per caso Yuki Soma, un compagno di scuola che la invita a vivere con la sua famiglia, un gesto che cambierà per sempre la sua vita. Ma la famiglia Soma nasconde un segreto incredibile: quando un membro della famiglia viene abbracciato da una persona del sesso opposto, si trasforma in uno degli animali dello zodiaco cinese. Una maledizione che perseguita questa famiglia da generazioni e che diventa il fulcro delle vicende che coinvolgono Tohru e tutti i membri della famiglia.

Il manga originale è stato serializzato sulla rivista Hana to Yume di Hakusensha dal 1998 al 2006, e nel 2001 ha vinto il premio Kodansha per il miglior shojo. Il suo successo è stato immediato, tanto che l’adattamento anime prodotto dallo Studio Deen ha debuttato lo stesso anno, con una trasmissione su TV Tokyo che è andata dal 5 luglio al 27 dicembre 2001. Questa prima serie, però, non riuscì a coprire tutta la storia del manga, in parte a causa della conclusione della trasmissione prima che la serie fosse completata. La trama venne modificata rispetto al manga, con la creazione di un finale diverso e una serie di episodi che non erano del tutto aderenti all’opera originale. Nonostante ciò, la serie anime del 2001 ha comunque un posto speciale nei cuori dei fan per la sua capacità di emozionare e di rendere giustizia a un manga che, nella sua versione animata, mostrava già la sua profondità emotiva.

Una delle peculiarità di questa prima serie animata è la colonna sonora, composta da Ritsuko Okazaki. La sigla di apertura, For Fruits Basket, è diventata un vero e proprio simbolo per gli appassionati, così come le sigle di chiusura Chīsana inori e Serenade, che hanno accompagnato le puntate in modo delicato e armonioso, rendendo ancora più indimenticabile l’esperienza. La qualità grafica, pur essendo piuttosto semplice per gli standard dei primi anni 2000, riesce comunque a trasmettere l’atmosfera emotiva del manga, supportata da una regia che, soprattutto in episodi come l’episodio 18, si distingue per originalità.

Tuttavia, la vera grande rivelazione per i fan è arrivata nel 2019, con il remake della serie prodotto da TMS Entertainment. Questa nuova versione dell’anime ha finalmente fatto giustizia alla storia di Natsuki Takaya, adattando con cura e fedeltà tutto il manga, dalla prima all’ultima pagina. La serie è stata suddivisa in tre stagioni, la prima delle quali è andata in onda nell’aprile del 2019, seguita dalla seconda nel 2020 e dalla terza nel 2021. A differenza dell’adattamento del 2001, il remake ha raccontato tutte le vicende dei personaggi, senza tralasciare nessun dettaglio, e ha svelato l’intera trama, inclusi eventi fondamentali come il destino della maledizione della famiglia Soma e la vera natura dei suoi membri.

A completare il quadro, nel 2022 è uscito anche il film Fruits Basket: Prelude, che funge da introduzione e riassunto della serie, ma che offre anche una panoramica sulla storia dei genitori di Tohru, una parte che nell’anime era stata omessa. La pellicola ha permesso ai fan di approfondire ulteriormente la storia e di rivivere le emozioni provate durante la visione della serie.

Ciò che rende Fruits Basket così speciale, oltre alla trama avvincente e ai suoi temi profondi di amore, accettazione e crescita personale, è la straordinaria caratterizzazione dei suoi protagonisti. Ognuno di loro è un personaggio a tutto tondo, con un passato complicato e con traumi che condizionano il loro modo di vivere e di relazionarsi con gli altri. In particolare, il contrasto tra Yuki e Kyo, i due “rivali” che condividono il segreto della maledizione, è uno degli aspetti più affascinanti della storia. L’evoluzione di questi personaggi nel corso della trama è una delle forze trainanti che rendono Fruits Basket una serie che va ben oltre il genere shojo.

In definitiva, Fruits Basket è una storia che riesce a emozionare, a far sorridere e a commuovere, anche dopo tanti anni dalla sua uscita. Che si tratti del manga originale, dell’anime del 2001 o del remake del 2019, questa serie ha lasciato un segno indelebile nell’immaginario collettivo degli appassionati di anime. Con personaggi memorabili, una trama avvincente e temi universali, Fruits Basket rimane una delle opere più amate e rispettate del panorama anime, capace di toccare il cuore di chiunque sia pronto a lasciarsi trasportare nel mondo della famiglia Soma e della loro maledizione.

Carta e ossa di Alessia Martini

Carta e ossa; Dalle pagine di un fumetto ai fotogrammi di una pellicola… è un volume di Alessia Martini edito da Ass. Culturale Il Foglio, edito nel 2008, che racconto il mondo degli shōjo. Questo termine giapponese, spesso traslitterato anche shoujo, indica una categoria di manga e anime indirizzati principalmente a un pubblico femminile, a partire dall’età scolare fino alla maggiore età. Un manga shōjo è tale se in Giappone è stato pubblicato su una rivista ad esso dedicata; si tratta, quindi, di una classificazione che avviene in base al target di riferimento e non al genere o allo stile.

Occhi sproporzionati e scintillanti, evanescenti bolle di sapone e teneri cuoricini fluttuanti, chilometri di pentagrammi e note musicali fanno da sfondo ad un universo, perennemente in rosa, sospeso tra sogno e realtà. Ed ancora: animaletti di peluche e valanghe di caramelle, il culto del carino che diventa stile, nastri colorati, leziosi fiocchi e merletti. I manga e gli anime femminili sono esattamente questo. Ma anche sangue, sudore e lacrime, il ghigno del cattivo di turno, l’orgoglio e la determinazione, la lealtà e la tenacia, il dolore e il coraggio, la vita e la morte, cadere per poi tornare sempre in piedi. I manga e gli anime femminili sono anche questo.

In un mondo in cui tutto è il contrario di tutto ed in cui si può ridere e piangere quasi contemporaneamente, le indimenticabili protagoniste di queste serie ci accompagneranno (dopo All’ombra del Fuji Yama e I Robottoni), con la dolcezza e la disponibilità di hostess di linea, nell’ultimo e più emozionante viaggio sulla macchina del tempo. Dalla Versailles di Lady Oscar ai verdi pascoli di Heidi, passando attraverso il calvario di Candy, in bilico tra vecchio e nuovo continente, il surreale Olimpo della simpatica Pollon ed improbabili Regni della Magia, raggiungeremo il palco di un concerto rock e consumati campi sportivi che si fanno arena fino a veder sventolare il mantello di un supereroe…

Ad un certo punto però le nostre eroine, sgattaiolando fuori dalle pagine di un fumetto o dai fotogrammi di un cartone, sconfineranno in un mondo di celluloide. Stanche della statica bidimensionalità di una realtà disegnata, approderanno alla dinamica tridimensionalità di una realtà vera, smettendo così di essere personaggi di carta per diventare persone in carne e ossa…pardon carta e ossa. Non ci resta quindi che allacciare le cinture ed iniziare il conto alla rovescia!

 

Ransie la strega: il manga e l’anime che hanno incantato generazioni di otaku

C’è una certa magia in quegli anime anni ’80 che, ancora oggi, riescono a farci sorridere con un misto di nostalgia e meraviglia. “Ransie la strega” — titolo italiano di Tokimeki Tonight — è uno di quei piccoli incantesimi che non si sono mai spezzati. Nata dalla mente e dalla matita di Koi Ikeno, maestra del genere shōjo, la serie ha conquistato milioni di lettori e spettatori in Giappone e in Italia, portando con sé una miscela irresistibile di romanticismo, comicità e soprannaturale.

La storia è quella di Ranze Eto, una ragazza come tante, o quasi: è figlia di un vampiro e di una licantropa, vive in una famiglia di mostri che gestisce un ristorante di sushi e ha un potere decisamente complicato da controllare — ogni volta che morde qualcuno, si trasforma in quella persona. Innamorarsi, per lei, non è semplice, soprattutto quando il cuore batte per Shun Makabe, un ragazzo umano ignaro del suo segreto.

Dal manga all’anime: una favola tra i mondi

Il manga originale di Tokimeki Tonight venne pubblicato dal 1982 al 1994 sulla rivista Ribon di Shūeisha, per un totale di 30 volumi che raccontano l’evoluzione di una saga familiare fuori dal comune. La prima parte, corrispondente alla serie animata, si concentra proprio su Ranze e Shun; la seconda, Batticuore a mezzanotte, passa il testimone alla sorella minore Rinze, dotata del potere di creare oggetti con la mente; la terza, Hoshi no Yukue, conclude il cerchio riportando la protagonista nel Mondo Magico, luogo d’origine della sua bizzarra famiglia.

Nel 2002 Koi Ikeno tornò sul suo universo con un remake che riprendeva le atmosfere del debutto, aggiornandole con la maturità artistica e il gusto grafico degli anni Duemila. Il tratto rimaneva quello elegante, dinamico e inconfondibile che rese la serie un punto di riferimento per tutto il genere shōjo: linee morbide, occhi enormi pieni di emozione e un’ironia mai banale.

L’anime, prodotto dallo studio Group TAC e diretto da Hiroshi Sasagawa, fu trasmesso tra il 1982 e il 1983 su Nippon Television, per un totale di 34 episodi. In Italia arrivò nell’autunno del 1983, ribattezzato Ransie la strega, con la sigla indimenticabile interpretata da Cristina D’Avena, che ancora oggi rimbalza nelle playlist dei nostalgici.

L’incantesimo italiano

Quando Ransie la strega sbarcò sui nostri schermi, l’Italia viveva il suo primo grande amore con gli anime giapponesi. Dopo Candy Candy e Lady Oscar, Ransie portava qualcosa di nuovo: un mix di commedia scolastica, fantasy e amore adolescenziale che parlava dritto al cuore dei ragazzi degli anni ’80.
Ranze non era la principessa perfetta o l’eroina tragica: era una ragazza pasticciona, romantica, ironica — una protagonista “umanamente mostruosa” con cui ci si poteva identificare.

E come dimenticare la sua famiglia? Il padre vampiro, sempre impeccabile ma un po’ vanesio; la madre licantropa, impulsiva e adorabile; gli amici strampalati e i rivali gelosi che popolavano la sua vita quotidiana. Un piccolo teatro di figure buffe e affettuose che, dietro le risate, raccontavano l’accettazione delle proprie differenze e la difficoltà di crescere in un mondo che non sempre accoglie ciò che è “diverso”.

L’anime ebbe un successo travolgente, tanto da essere replicato più volte sulle reti italiane e distribuito in DVD da Yamato Video nel 2005. Per molti spettatori, fu il primo incontro con il Giappone fantastico, quello popolato da mostri, magie e sentimenti più grandi della vita — un mondo che, da allora, non ha mai smesso di affascinare.

Un’eredità fatta di magia e sentimento

Ransie non è solo un pezzo di nostalgia: è un tassello fondamentale dell’evoluzione del fantasy romantico giapponese. Senza di lei, probabilmente, non avremmo avuto eroine come Usagi Tsukino (Sailor Moon), Kagome Higurashi (Inuyasha) o persino la malinconica Yuki Cross di Vampire Knight.
Il suo mondo di mostri innamorati e di incantesimi quotidiani anticipava temi e archetipi che sarebbero diventati centrali negli anni ’90 e 2000: il conflitto tra due mondi, la ricerca di identità, la forza del sentimento come ponte tra umano e sovrannaturale.

Ransie la strega è riuscita a fondere tutto questo con leggerezza, umorismo e un’estetica incantata che oggi definiremmo “vintage chic”. Eppure, dietro la dolcezza e i toni pastello, c’era già una narrazione moderna, consapevole, che parlava di libertà personale e accettazione di sé — valori che restano universali.

Perché (ri)guardarla oggi

Rivedere Ransie la strega oggi significa riscoprire un piccolo gioiello del passato che ha ancora tanto da dire. Non solo per la sua capacità di mescolare i generi, ma per la sua sensibilità nel raccontare la crescita, l’amore e il diverso con un linguaggio poetico e pop allo stesso tempo.
Nel suo sorriso, nella sua goffaggine e nella sua tenacia c’è qualcosa di profondamente umano — quella stessa magia che, quarant’anni dopo, continua a farci battere il cuore.

“Batticuore notturno”, insomma, non è solo il titolo dell’anime: è la sensazione che resta, ancora oggi, quando risentiamo quella sigla e ci ritroviamo — per un attimo — a credere di nuovo nella magia.