Il mondo del retrogaming italiano è stato recentemente scosso da un evento che ha travolto la community come un fulmine a ciel sereno: la denuncia penale ai danni di Francesco Salicini, meglio conosciuto online come Once Were Nerd, volto amatissimo della scena YouTube italiana dedicata alle console portatili Android, ai dispositivi cinesi di retrogaming e, più in generale, all’universo nostalgico dei videogiochi anni ’80 e ’90. Chi segue questo mondo sa bene quanto sia difficile trovare voci competenti e appassionate che sappiano raccontare con cuore, ma anche con rigore tecnico, le potenzialità di dispositivi come quelli a marchio Anbernic, Powkiddy, Retroid e simili. Eppure, proprio questa passione rischia ora di costare caro a Salicini, al centro di un’inchiesta che fa discutere non solo chi si diletta con le ROM del Super Nintendo, ma anche chi, semplicemente, riflette sul rapporto tra tecnologia, diritto e libertà di espressione.
Per capire la portata di quello che sta succedendo, bisogna partire dal principio. Qualche giorno fa, Salicini ha pubblicato sul suo canale un video confessione in cui raccontava la disavventura che lo aveva travolto: la Guardia di Finanza si era presentata a casa sua per sequestrare oltre trenta console portatili, insieme al suo smartphone, nell’ambito di un’indagine per violazione del diritto d’autore. L’articolo di riferimento? Il famigerato 171ter, comma I, lettera c, che punisce chi “detiene per la vendita o per la distribuzione dispositivi che riproducono abusivamente opere protette da copyright”.
In un primo momento, sembrava che la denuncia fosse legata semplicemente all’attività di recensione sul canale YouTube e sui social collegati (Amazon, Facebook, Instagram, Telegram, Discord, Twitch), attività in cui Salicini si era sempre mosso con cautela, evitando di incentivare pratiche di pirateria e concentrandosi piuttosto sull’analisi tecnica dei dispositivi: schermi IPS, chipset RK3566, durata della batteria, compatibilità con emulatori, ergonomia dei pulsanti… Insomma, roba da smanettoni. Ma nelle ultime ore, grazie alle rivelazioni del portale Q-Gin, sono emersi retroscena che complicano e appesantiscono il quadro.
A quanto pare, non sarebbe stata solo la “semplice” attività di recensione a finire nel mirino delle autorità. Scandagliando il canale Telegram associato a Once Were Nerd, Q-Gin ha scoperto che, oltre a mostrare le console, Salicini le avrebbe vendute in più occasioni attraverso aste periodiche, configurando così una condotta assimilabile alla distribuzione commerciale di dispositivi contenenti materiale piratato. Ma non è finita: sempre secondo il portale, nel luglio 2022 era stato pubblicato un link affiliato per l’acquisto scontato di una console Powkiddy RGB20S, link che avrebbe garantito a Salicini una piccola percentuale sulle vendite generate, come avviene per molti programmi di affiliazione online.
Questi elementi, messi insieme, aggraverebbero notevolmente la posizione dello youtuber, spostandolo dal terreno, per quanto scivoloso, della libertà di espressione e informazione a quello più concreto (e penalmente rilevante) del commercio e del profitto legato a materiale in violazione del copyright. Non sorprende, quindi, che la Guardia di Finanza abbia deciso di approfondire gli accertamenti e che l’intera vicenda stia diventando un vero caso mediatico.
Ma cosa rende questa storia così emblematica per la cultura nerd e per chi ama il retrogaming? Innanzitutto, la “zona grigia” in cui si muovono questi dispositivi. Le console portatili cinesi come Anbernic e Powkiddy sono regolarmente acquistabili su Amazon, AliExpress e altri marketplace internazionali, e di per sé non violano la legge: gli emulatori, ricordiamolo, non sono illegali, e chi possiede le copie originali dei giochi emulati ha (in teoria) il diritto di utilizzarli. Il problema nasce quando queste console vengono vendute con migliaia di ROM pirata preinstallate, shortcut per avviare Metroid Prime su GameCube o Final Fantasy VII su PSP senza passare dalla cassa. In quel momento, il terreno diventa minato e pericoloso, e chi si muove in questo mondo deve sapersi destreggiare con estrema cautela.
Il rischio, come segnalano molti osservatori, è che si arrivi a criminalizzare non solo chi vende dispositivi irregolari, ma anche chi semplicemente li recensisce o ne parla online. Perché, a ben vedere, qualsiasi dispositivo moderno — da un PC a uno smartphone — è potenzialmente capace di eseguire software piratato, e se il solo fatto di parlarne pubblicamente dovesse diventare reato, allora si aprirebbe una falla gigantesca nella libertà di informazione tecnologica.
Al momento, il canale YouTube di Once Were Nerd è ancora online, e il video in cui Salicini racconta la sua versione dei fatti continua a macinare visualizzazioni. Ma l’atmosfera è tesa, e tra i follower serpeggia un misto di rabbia, paura e solidarietà. “Non voglio fare la parte del martire”, ha dichiarato Salicini, “ma credo sia importante parlare di quello che sta succedendo, perché riguarda non solo me, ma chiunque si occupi di retrogaming in Italia”.
Nel frattempo, resta un interrogativo aperto: chi ha sporto denuncia? Si tratta di un colosso come Nintendo, notoriamente inflessibile nella difesa della sua proprietà intellettuale? O di un’iniziativa autonoma della magistratura italiana, desiderosa di dare un segnale forte su un tema ancora sottovalutato? Per ora non ci sono conferme ufficiali, ma i sospetti ricadono inevitabilmente sui grandi player dell’industria videoludica, che da anni guardano con fastidio al mondo dell’emulazione.
Questa vicenda, insomma, ha tutti gli ingredienti per diventare un caso simbolico. Da una parte, c’è il mondo genuino e appassionato del retrogaming, fatto di ricordi d’infanzia, pixel sgranati, colonne sonore MIDI e pomeriggi passati a rispolverare titoli dimenticati; dall’altra, c’è l’industria multimiliardaria che difende (giustamente, va detto) i propri diritti, ma che rischia di colpire anche chi, come Salicini, si limita a raccontare, analizzare e diffondere cultura nerd.
Nel frattempo, la community italiana osserva, discute, si divide, ma soprattutto si interroga su quale sarà il futuro di chi parla di retroconsole online. Perché oggi è toccato a Once Were Nerd, domani potrebbe toccare a chiunque abbia la passione, la curiosità e il coraggio di raccontare un pezzo di storia videoludica che le grandi aziende preferirebbero forse dimenticare.