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Mountainhead: satira glaciale sulle élite e l’apocalisse digitale

Con Mountainhead, Jesse Armstrong – il geniale creatore di Succession – compie il salto dietro la macchina da presa, confezionando un’opera che sembra il fratello minore, nevrotico e surreale, della serie HBO che l’ha reso celebre. Questa volta, però, il campo da gioco non è un impero mediatico, ma una villa isolata tra le montagne dello Utah, dove quattro amici miliardari si ritrovano per un weekend che si trasforma in un disastro grottesco. Il cast è di quelli che fanno alzare le antenne: Steve Carell, Jason Schwartzman, Cory Michael Smith e Ramy Youssef portano in scena personaggi tanto caricaturali quanto inquietantemente credibili, ciascuno con le proprie ossessioni e strategie di potere.

La trama mette subito le carte in tavola. Venis “Ven” Parish (Cory Michael Smith) è l’uomo più ricco del mondo e proprietario di Traam, social network fittizio che ha accelerato il caos globale grazie alla diffusione di disinformazione generata da intelligenze artificiali. Con lui ci sono Jeff Abredazi (Ramy Youssef), proprietario di Bilter, società specializzata in fact-checking; Randall Garrett (Steve Carell), mentore del gruppo e malato terminale di cancro; e Hugo “Souper” Van Yalk (Jason Schwartzman), “solo” multimilionario, ossessionato dal diventare anche lui un vero miliardario. Il pretesto ufficiale è una rimpatriata amichevole. La realtà? Una partita a scacchi tra giganti dell’ego, in cui ognuno trama per sopraffare l’altro: Ven vuole inglobare Bilter per salvare Traam senza perdere la faccia; Jeff difende la propria azienda; Randall vede nel progresso tecnologico l’unica speranza di sopravvivere alla malattia; Souper cerca investitori per la sua super-app “Slowzo”.

Commedia nera con fiato corto e pugnalate (quasi) vere

Il film gioca con un ritmo claustrofobico: giri in motoslitta, rituali bizzarri (come scrivere il proprio patrimonio sul petto con il rossetto) e conversazioni sempre a un passo dall’esplodere. Quando la crisi globale peggiora e i governi iniziano a vacillare, il fragile equilibrio si rompe: complotti, tradimenti e persino tentativi maldestri di omicidio trasformano il weekend in una guerra fredda domestica.

La scrittura di Armstrong resta affilata e piena di umorismo corrosivo: il dialogo è il vero campo di battaglia, e le battute hanno il retrogusto amaro di un mondo dove il potere conta più della verità. Le dinamiche tra i personaggi ricordano quelle di Succession, ma qui il registro vira verso il farsa tragica, spingendo i toni fino al parossismo.

Un set come personaggio

Girato quasi interamente in una villa di 21.000 piedi quadrati a Park City, Mountainhead sfrutta l’isolamento e il gelo come metafora della distanza emotiva tra i protagonisti. L’ambiente è sontuoso ma asettico, e la montagna innevata diventa un sipario immobile che osserva impassibile il disfacimento morale di chi vi si rifugia.

La scelta di un’unica location principale, combinata a tempi di produzione serrati (appena cinque settimane di riprese), conferisce al film un’intensità teatrale: non ci sono vie di fuga, né per i personaggi né per lo spettatore.

Una satira del presente (e del futuro prossimo)

Il bersaglio è chiaro: l’élite tecnologica che si muove tra filantropia di facciata e cinismo strategico, incapace di separare l’amicizia dal business. Armstrong mette in scena un’apocalisse lenta, in cui non servono esplosioni o invasioni aliene: basta l’algoritmo giusto – o sbagliato – a far crollare le strutture del potere globale.La forza di Mountainhead sta proprio nel suo equilibrio instabile: è commedia nera, è dramma satirico, ma è anche un monito, e a tratti somiglia a una partita di poker in cui tutti barano sapendo che il tavolo sta per prendere fuoco.

Non è un film per chi cerca azione frenetica o lieto fine: Mountainhead è verboso, pungente e volutamente scomodo. È il ritratto di un mondo che balla sull’orlo del precipizio, e lo fa con il sorriso compiaciuto di chi crede di avere in mano il paracadute… senza accorgersi che è pieno di buchi. Dal 12 settembre, in esclusiva su Sky Cinema e NOW, sarà possibile decidere se ridere, rabbrividire o entrambe le cose. Armstrong ha alzato la posta: resta da vedere se il pubblico sarà pronto a seguirlo sulla vetta gelida del suo Mountainhead.