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La Torre dei Conti: la ferita di Roma fra pietra, memoria e modernità

A Roma, dove i Fori Imperiali dialogano ancora con il tempo, un suono secco ha interrotto il brusio eterno della città. Il 3 novembre 2025, la Torre dei Conti — una delle più antiche e imponenti torri medievali di Roma — è crollata in parte durante un intervento di restauro. Nelle macerie è rimasto intrappolato per undici ore Octay Stroici, 66 anni, l’ultimo dei quattro operai coinvolti nel disastro. Non ce l’ha fatta. L’area è stata immediatamente sequestrata: si indaga per disastro colposo. Ma la notizia, pur tragica, ha riacceso i riflettori su un simbolo dimenticato della città, su un frammento di potere e di pietra che da secoli veglia su Roma, fra gloria e abbandono.

Un gigante ferito fra i Fori e la modernità

La Torre dei Conti sorge in Largo Corrado Ricci, nel rione Monti, alla confluenza tra via Cavour e via dei Fori Imperiali. È un luogo quasi sospeso, dove l’antico e il moderno si sfiorano senza mai fondersi davvero. Eretta originariamente nel IX secolo e poi ampliata intorno al 1203 per volere di Papa Innocenzo III, appartenente alla potente famiglia dei Conti di Segni, la torre era concepita come una dichiarazione di forza e supremazia. Con i suoi cinquanta metri d’altezza originali — un colosso di mattoni e tufo su basamento di travertino — dominava la Roma medievale come un faro di potere feudale, tanto che il Petrarca la definì “Turris illa toto orbe unica”.

Col passare dei secoli, la torre ha vissuto le metamorfosi della città: terremoti, saccheggi, ricostruzioni e isolamenti urbanistici. Nel Seicento le furono aggiunti i grandi contrafforti in travertino che ancora oggi la sostengono, mentre nel Novecento — con gli sventramenti fascisti che aprirono via dei Fori Imperiali — venne tagliata fuori dal tessuto urbano, lasciata sola, quasi un relitto di un Medioevo spogliato della sua funzione. Benito Mussolini la donò nel 1937 alla Federazione nazionale Arditi d’Italia, che la trasformò in mausoleo per il generale Alessandro Parisi. Dopo la guerra, ospitò uffici pubblici fino al 2006, quando venne definitivamente chiusa e dimenticata.

Dall’abbandono al cantiere del PNRR

Quando il crollo è avvenuto, la torre era al centro di un ambizioso progetto di riqualificazione finanziato con 6,9 milioni di euro provenienti dai fondi “Caput Mundi” del PNRR. Il piano, avviato nel 2022, prevedeva non solo la messa in sicurezza e il restauro architettonico, ma anche la rifunzionalizzazione della struttura in un centro culturale dedicato ai Fori Imperiali. Dopo quasi vent’anni di abbandono e degrado — l’interno fatiscente, l’esterno aggredito da piante infestanti — si voleva restituire al monumento una nuova vita. Un simbolo di rinascita, insomma. Ma come spesso accade nella città eterna, la memoria ha un peso, e le sue pietre si ribellano al bisturi della modernità.

Due crolli, alle 11:30 e alle 12:50, hanno fatto precipitare porzioni di muratura e impalcature. Tre operai sono rimasti feriti, uno ha perso la vita. Un evento che ha scosso la città e sollevato interrogativi pesanti sullo stato di conservazione del patrimonio e sulla sicurezza nei cantieri storici. Perché Roma, in fondo, è una città che convive da sempre con la fragilità delle sue fondamenta, e ogni restauro è un dialogo rischioso tra passato e presente.

La torre e la città: un legame spezzato (ma non morto)

Chi attraversa oggi Largo Corrado Ricci sente una strana vertigine: la Torre dei Conti, ferita e ingabbiata, sembra respirare a fatica. Eppure, la sua storia non è solo quella di un rudere da restaurare, ma di un simbolo che racchiude secoli di trasformazioni urbane e politiche. La sua collocazione — tra il Colosseo e Piazza Venezia — la rende una specie di spartiacque fisico e temporale. Da un lato i resti dell’Impero, dall’altro la Roma moderna dei ministeri e dei turisti. In mezzo, la pietra che scricchiola: la memoria materiale di una città che non smette mai di cambiare pelle.

Nel suo isolamento, la Torre dei Conti ha sempre rappresentato l’idea stessa della “resistenza del tempo”. È un monolite che guarda il mondo scorrere, come un guardiano dimenticato. Ma il suo recente crollo ci obbliga a riflettere su qualcosa di più profondo: la nostra idea di eternità. Quella Roma che amiamo chiamare “eterna” vive in realtà su un equilibrio precario, tra incuria e nostalgia, tra i fondi del PNRR e le radici del tufo. Ogni crepa racconta una battaglia, ogni restauro è una scommessa contro l’oblio.

Fra storia e futuro: l’eterna precarietà di Roma

La torre nacque per essere un simbolo di potere, e oggi ne è rimasto solo il simbolo della fragilità. Nei secoli, le sue pietre hanno resistito a terremoti, guerre e demolizioni urbanistiche, ma la mano dell’uomo moderno sembra averla ferita più di tutto il resto. Eppure, paradossalmente, proprio questa ferita la riporta al centro del dibattito culturale romano. La Sovrintendenza Capitolina ha annunciato verifiche su tutti i cantieri del programma “Caput Mundi”, mentre storici e architetti chiedono una revisione dei protocolli di intervento sui monumenti.

Nel frattempo, i romani — e chi ama Roma come un organismo vivente — guardano quella torre mutilata come si guarda un vecchio eroe caduto: con rispetto, rabbia e un pizzico di malinconia. Forse il modo migliore per onorare la memoria di Octay Stroici e di tutti coloro che lavorano per ridare vita alla storia è proprio questo: imparare che la bellezza di Roma non è l’immobilità, ma la sua continua, fragile rinascita.

Firenze lancia “FestinaLente”: l’assistente virtuale con IA che semplifica il cambio di residenza

Firenze, la culla del Rinascimento, si è sempre distinta per aver saputo unire l’arte del passato con le visioni del futuro. E oggi, in un’epoca di rivoluzioni digitali, la città non fa eccezione, lanciando un progetto che sembra uscito da un film di fantascienza, ma con radici profondamente legate alla sua storia. Il nome è “FestinaLente”, un’espressione che ogni appassionato di storia e mitologia nerd conosce bene, e che qui assume un significato tutto nuovo.


Un Motto Antico, una sfida moderna

Il motto “Festina lente” (affrettati lentamente) non è solo un’elegante frase latina; è una filosofia di vita. Resa celebre dall’imperatore Augusto e poi adottata dalla potente famiglia dei Medici, questa massima racchiude una dualità affascinante: la velocità dell’azione unita alla prudenza della riflessione. Immaginate l’emblema rinascimentale della tartaruga con la vela sul guscio, un simbolo che decora ancora i soffitti di Palazzo Vecchio. Ebbene, è proprio questo l’incipit narrativo che la pubblica amministrazione fiorentina ha scelto per dare il benvenuto all’intelligenza artificiale, in una mossa che fonde la tradizione rinascimentale con il futuro della pubblica amministrazione.

L’idea è semplice, ma geniale: un assistente virtuale accessibile dal sito istituzionale del Comune, che mira a semplificare una delle pratiche più ostiche e noiose per il cittadino comune: il cambio di residenza. Fino a ieri, questa operazione era un vero e proprio boss finale burocratico, tra file interminabili, telefonate senza risposta e la frustrazione di dimenticare un documento fondamentale. Oggi, grazie a questo chatbot, la missione si fa più semplice: un alleato digitale sempre disponibile, che ti guida passo dopo passo, facendoti arrivare allo sportello già armato di tutta la documentazione necessaria. Un vero e proprio speedrun burocratico, ma con la saggezza di un saggio maestro.


L’esperto digitale che parla 14 lingue e non dorme mai

Non pensate a un oracolo generico, un’entità che spara risposte a caso. Questo assistente virtuale è stato addestrato e affinato dai dipendenti comunali in persona, utilizzando procedure e documenti ufficiali. È un vero e proprio “esperto di residenza” digitale, focalizzato unicamente su trasferimenti e documenti correlati. La sua natura è quella di un compagno di avventure, capace di simulare dialoghi naturali, rispondere in italiano e in ben tredici altre lingue, dal turco al giapponese, dal cinese all’arabo. Un servizio attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7, che agisce come un fedele sidekick, affiancando gli operatori umani senza sostituirli, e alleggerendo il loro carico di lavoro in un’ottica di sinergia perfetta.

Dal punto di vista tecnico, il progetto è una vera e propria chicca. L’assistente si basa su AISURU, una piattaforma modulare che integra diversi modelli linguistici, tra cui il celebre ChatGPT. La scelta di un’architettura SaaS (Software as a Service) ha permesso di accelerare lo sviluppo e di sperimentare con agilità, confermando Firenze come una delle città europee all’avanguardia nell’uso dell’IA per il bene pubblico. Ma i veri nerd del dato e della sicurezza possono dormire sonni tranquilli: la privacy è stata gestita con la massima cura. Il chatbot non chiede mai dati personali e, se per sbaglio li riceve, li cancella entro 24 ore. I dati non sensibili, usati solo per migliorare il servizio, vengono conservati al massimo per sei mesi.


Un futuro smart, etico e a misura d’uomo

L’assessora Laura Sparavigna ha descritto il progetto non solo come un miglioramento dell’efficienza, ma come un passo cruciale verso un’amministrazione digitale, inclusiva e trasparente, in perfetta armonia con gli obiettivi del PNRR. “FestinaLente” è la prova concreta che l’IA può essere usata in maniera etica e responsabile, mettendo sempre al centro le esigenze delle persone. E, come ogni buon videogioco, questo è solo il primo livello. La piattaforma AISURU è stata concepita per essere scalabile e per replicare il modello su altri servizi comunali, trasformando Firenze in una rete di assistenti virtuali tematici, pronti a risolvere ogni tipo di quest burocratica.

In un’epoca in cui la tecnologia corre a una velocità vertiginosa, Firenze ci ricorda una lezione fondamentale, iscritta nella sua stessa storia: l’innovazione migliore è quella che rispetta il ritmo umano. Correre, sì, ma senza mai perdere la bussola, senza sacrificare l’umanità sull’altare dell’efficienza a tutti i costi. Proprio come l’antico motto che oggi rivive in chiave digitale: affrettati lentamente. Forse è questo il vero segreto per costruire una città davvero intelligente.

Megaride: il supercomputer di Napoli che protegge l’Italia dal cybercrime

Una leggenda, un’isola, un supercomputer. A Napoli, la città dove la mitologia incontra il futuro, è stato inaugurato un gigante della tecnologia che porta il nome di un’antica isola campana: Megaride. Ma scordatevi la dolorosa storia d’amore, perché questa nuova creatura non ha nulla di malinconico. È un colosso da 50 milioni di euro, un cervello artificiale che non solo potenzia la sicurezza cibernetica italiana, ma si candida a diventare uno dei principali hub europei. Non stiamo parlando di un semplice PC da gamer pompato, ma di una bestia con 340 GPU e 300 nodi di calcolo, frutto della collaborazione tra Acn, Mur, Icsc, Cnr e Cineca. Dietro a questa performance “muscolare” c’è un piano ben preciso che unisce economia, geopolitica e, soprattutto, tanta innovazione.

Il turbo per la cybersicurezza nazionale

Il progetto di Megaride è nato prima del 2021, ma la sua inaugurazione è il punto d’arrivo (e di partenza) di un percorso di crescita dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn) finanziato dal Pnrr. L’obiettivo primario è potenziare l’HyperSOC, il sistema centralizzato che supporta i Security Operations Center italiani nel monitoraggio delle minacce. Luca Nicoletti, direttore del servizio programmi industriali di Acn, lo spiega con chiarezza: “Megaride supporterà i servizi di cybersecurity nazionali consentendo al nostro Computer Incident Response Team di analizzare una imponente mole di dati e ampliando il ventaglio di opportunità”. Tra queste, la creazione di un DNS nazionale, un sistema che tradurrebbe i nomi dei siti web in indirizzi IP, ma “in casa”, garantendo una gestione indipendente di tutte le informazioni che viaggiano sulla rete e che potrebbero minacciare la sicurezza del nostro Paese. In caso di attacchi DDoS, per esempio, Megaride permetterà di avere una visione d’insieme molto più nitida, prevenendo i pericoli prima che diventino ingestibili. Il suo potere di calcolo è talmente vasto da poter analizzare quasi un miliardo di parametri, un’enormità che serve anche a controllare che le intelligenze artificiali si comportino in modo corretto. Insomma, una sorta di “guardiano digitale” che veglia su di noi.

L’ingrediente segreto: il fattore umano

Ma se pensate che la potenza di calcolo sia tutto, vi sbagliate. Lo stesso Nicoletti lo sottolinea: “Abbiamo voluto Megaride all’interno dell’Università di Napoli perché vogliamo attirare i ragazzi che vi studiano, mettendo a loro disposizione una palestra bellissima, con i migliori attrezzi che in questo momento si possono trovare”. L’idea è che la tecnologia da sola non basta: servono talenti, menti brillanti e nuove imprese. L’Italia, troppe volte, ha visto fuggire i suoi cervelli migliori e le startup più promettenti verso lidi stranieri dove gli investimenti nel settore sono più rapidi e consistenti. Con Megaride, Acn offre un’infrastruttura di calcolo che neanche le grandi startup possono permettersi, creando un ponte tra il mondo accademico, la ricerca e l’imprenditoria. Oggi sono 60 le borse di dottorato finanziate (presto diventeranno 90) e 12 le startup supportate, ma il progetto Cyber Innovation Network vuole creare una filiera completa. Un vero e proprio “matchmaking” tra le grandi aziende del perimetro di sicurezza nazionale cibernetica e le piccole realtà innovative. L’obiettivo? Creare un ecosistema così solido da attirare automaticamente nuovi investimenti, anche da parte dei venture capital italiani, prima che i nostri talenti vadano a cercarli altrove.

Oltre il supercalcolo: il futuro è ibrido e distribuito

L’arrivo di Megaride è solo l’inizio di un disegno più grande. Il passo successivo sarà l’AI Factory italiana, IT4LIA, un’infrastruttura scelta dall’Unione Europea che porterà l’Italia a diventare uno dei due hub continentali per l’intelligenza artificiale applicata alla cybersicurezza. Davide Salomoni, innovation manager di Icsc, spiega che il centro non è un luogo fisico, ma “un ecosistema di infrastrutture e ricerche distribuite”. Megaride è già integrato con Leonardo, il supercomputer del Cineca, e con la sua espansione in AI Factory. Questa sinergia tra potenze di calcolo permetterà lo sviluppo di progetti avveniristici come i digital twin urbani, gemelli digitali delle città che simuleranno dinamiche urbanistiche, ambientali e sociali, sempre nel rispetto della privacy. La potenza di Megaride sarà fondamentale anche per piattaforme di assistenza medica o per analizzare i flussi di traffico urbano. Ma il futuro più intrigante è quello quantistico, o meglio, ibrido. Il piano è integrare i supercomputer tradizionali con quelli quantistici, creando una rete che affronti problemi complessi suddividendoli tra i due sistemi. A Napoli, Megaride è già affiancato da un calcolatore quantistico. A Bologna, dove arriverà l’AI Factory, ne verranno installati altri due all’inizio del 2026. L’Italia avrà così due centri per sistemi ibridi, una vera e propria rete che richiede, però, una formazione adeguata. Per una volta che siamo un passo avanti, non possiamo permetterci di inciampare.

Cervelli in stampa: il Progetto Ceres e la nascita degli organoidi cerebellari

Tra le stanze iper-sterili dell’Istituto Italiano di Tecnologia e i laboratori connessi tra Roma, Napoli e Aosta, si sta scrivendo una delle pagine più visionarie della biotecnologia contemporanea. Una pagina che sembra strappata da un romanzo cyberpunk, ma che è invece radicata nei protocolli scientifici più avanzati e in un finanziamento pubblico da oltre 126 milioni di euro. Il suo nome è Ceres Protocol, e promette di condurci ben oltre la medicina personalizzata: verso un mondo in cui i nostri stessi neuroni potranno essere “stampati”, osservati, riparati… e forse un giorno potenziati.

Immaginate una stampante 3D. Non una di quelle da scrivania che sputano plastica colorata, ma una capace di orchestrare l’autoassemblaggio di cellule staminali pluripotenti indotte, le cosiddette iPSC, che altro non sono che cellule adulte “resettate” in uno stato simile a quello embrionale. Da lì, guidate da un medium di crescita e condizioni calibrate al micron, queste cellule diventano la materia prima per ricreare porzioni di cervello umano in vitro: strutture viventi, tridimensionali, dotate di connessioni sinaptiche, potenzialmente funzionali. Sono gli organoidi cerebrali, o mini-cervelli.

Quello che rende il progetto Ceres qualcosa di più di un esercizio di laboratorio è la sua capacità di saltare le impalcature artificiali usate finora nei tentativi di bio-stampa. Niente strutture portanti, niente gel artificiali: qui si lavora con il potenziale di auto-organizzazione delle cellule stesse. È biologia che costruisce sé stessa, una sorta di sandbox cellulare dove le leggi evolutive guidano la forma. Questo è il punto in cui il biohacking diventa arte, e la medicina inizia a parlare la lingua della stampa 3D.

Dietro questa impresa non c’è un unico laboratorio, ma un’intera fazione scientifica riunita sotto la sigla D³4Health: un consorzio di 28 partner, tra università, centri di ricerca e aziende biotech, coordinati dalla Sapienza Università di Roma. È un’alleanza scientifica degna di un’epopea fantascientifica, una campagna cooperativa in cui ogni player contribuisce con moduli tecnologici avanzati: dall’intelligenza artificiale all’ingegneria dei materiali, dai wearable device alla diagnostica predittiva.

I finanziamenti arrivano dal Piano Nazionale per gli Investimenti Complementari al PNRR, attraverso i bandi a cascata promossi dal Politecnico di Torino. La geografia del progetto è distribuita ma interconnessa: si sperimenta a Napoli, si analizza a Roma, si potenziano le linee cellulari ad Aosta. Un’Italia che fa sistema, e che punta a ritagliarsi un ruolo guida nella medicina rigenerativa d’Europa.

Ma questo futuro ha già un passato recente. Già a inizio 2024, un team internazionale guidato dalla Keck School of Medicine dell’Università della California Meridionale e dal Caltech ha annunciato la creazione in vitro del primo organoide cerebellare umano – l’hCerO. Questo piccolo cervelletto artificiale, generato in laboratorio, riproduce fedelmente le caratteristiche morfologiche, molecolari e funzionali del cervelletto umano fetale. È una struttura straordinariamente complessa: stratificata, composta da oltre 100 tipi cellulari diversi, dalle cellule del Purkinje alle cellule granulari, e dotata di connessioni sinaptiche funzionanti. Un cervelletto vivente in miniatura.

Per ottenere questa meraviglia biologica, i ricercatori hanno dovuto simulare in laboratorio le condizioni del labbro rombico, una zona embrionale da cui si originano le cellule cerebellari più importanti. Hanno perfezionato le colture cellulari fino a ottenere sferoidi che, dopo due mesi, mostrano stratificazioni laminari e attività elettrica registrabile. I mini-cervelletti generati – gli hCerOs – sono quindi in grado non solo di esistere, ma di funzionare.

Il valore di questi organoidi è incalcolabile: sono piattaforme biologiche per testare farmaci, mappare malattie come l’autismo, l’atassia cerebellare o il medulloblastoma, e indagare le differenze genetiche tra individui. Sono anche finestre sul nostro sviluppo neuronale, permettendo di esplorare processi che finora potevano essere solo ipotizzati. Con questi modelli, si apre la possibilità di intervenire precocemente nei disturbi dello sviluppo, magari riprogrammando il destino delle cellule cerebrali prima ancora della nascita.

E qui torniamo a Ceres. Il suo orizzonte non è limitato alla ricerca accademica: è pensato per entrare nella clinica, nei reparti, nelle mani di chi ogni giorno combatte malattie degenerative come l’Alzheimer o il Parkinson. Potremo presto testare un farmaco su un modello del nostro cervello, creato dalle nostre stesse cellule, prima ancora di ingerirlo. Evitare effetti collaterali. Migliorare l’efficacia. Personalizzare il trattamento come fosse un abito su misura.

L’interfaccia tra scienza e futuro, qui, non è solo un’idea, ma una bio-realtà in costruzione. Ceres è destinato a durare 18 mesi, ma rappresenta solo il primo livello di una campagna che ci porterà, inevitabilmente, a interrogarci su cosa significhi essere umani in un’epoca in cui possiamo generare copie funzionali dei nostri organi in laboratorio. La medicina diventerà sempre più craftata, sempre più intima, sempre più parte di una narrazione in cui la tecnologia non è più esterna al corpo, ma ne è ormai parte integrante.

Il traguardo finale? Non c’è. Perché come ogni buona distopia che si rispetti, ogni risposta genera nuove domande.

EU Going Dark? L’Europa e la Battaglia tra Privacy e Sorveglianza Online

Avete mai sentito parlare di “EU Going Dark”? No, non è il titolo di un nuovo film distopico, ma un termine che circola sempre più spesso quando si parla della battaglia tra privacy digitale e sorveglianza nell’Unione Europea. E fidatevi, la cosa ci riguarda tutti!

“Going Dark”: la minaccia alla tua privacy (e alle tue chat criptate!)

Il concetto di “Going Dark” nasce dalla preoccupazione delle forze dell’ordine e delle agenzie di sicurezza: con la crescente diffusione della crittografia end-to-end (quella che rende i vostri messaggi privati illeggibili a chiunque non sia il destinatario, anche ai fornitori di servizi come WhatsApp o Signal), per loro sta diventando sempre più difficile intercettare le comunicazioni dei criminali. Da qui, l’idea che il web stia diventando un “buco nero” (going dark, appunto) per le indagini.

Ma il rovescio della medaglia è che, per “illuminare” questo buco, l’UE sta valutando proposte che potrebbero minare la sicurezza e la privacy di tutti gli utenti. La più discussa, e che sta facendo tremare il mondo tech e gli attivisti per i diritti digitali, è la cosiddetta “Chat Control”.

Chat Control: un occhio (o un algoritmo) sulle tue conversazioni?

Immaginate questo: la proposta di regolamento sul “Chat Control” (ufficialmente, “Regolamento per la prevenzione e la lotta contro l’abuso sessuale su minori”) mira a costringere le piattaforme di messaggistica a scansionare i vostri messaggi – sì, anche quelli criptati! – per rilevare materiale illegale, in particolare immagini e video legati all’abuso sessuale minorile (CSAM).

L’obiettivo è nobile, non c’è dubbio: combattere un crimine orribile. Ma il metodo proposto solleva un sacco di interrogativi. Per fare questa “scansione lato client” (cioè direttamente sul vostro dispositivo, prima che il messaggio venga criptato e inviato), le aziende dovrebbero introdurre delle “porte posteriori” (o backdoor) nei sistemi di crittografia.

Il dilemma delle backdoor: sicurezza vs. sorveglianza di massa

Ed è qui che casca l’asino, cari amici. Gli esperti di cybersecurity sono unanimi: non è possibile creare una backdoor solo per i “buoni”. Se apri una falla nella crittografia, quella falla diventa una vulnerabilità che può essere sfruttata da chiunque: hacker, criminali informatici, governi autoritari. In pratica, rendere la nostra comunicazione meno sicura per un motivo, la renderebbe vulnerabile per tutti i motivi. Sarebbe come lasciare la porta di casa aperta per far entrare la polizia, ma permettendo a chiunque altro di curiosare tra le vostre cose.

Questo approccio rischia di trasformare ogni dispositivo in un potenziale strumento di sorveglianza di massa, senza un mandato specifico o un sospetto fondato, violando principi fondamentali della privacy e della segretezza delle comunicazioni che l’Europa stessa ha sempre difeso (pensate al GDPR, una delle normative più stringenti al mondo!).

Il dibattito è acceso: cosa succederà?

Organizzazioni per i diritti digitali come Statewatch ed EDRi stanno lottando con le unghie e con i denti contro queste proposte, evidenziando come minare la crittografia non solo eroda la privacy, ma renda anche più deboli le nostre infrastrutture digitali. Diversi stati membri dell’UE hanno espresso forti riserve, e la proposta di Chat Control ha già affrontato numerosi rinvii e opposizioni.

Il punto è trovare un equilibrio: come si può combattere il crimine online senza compromettere i diritti fondamentali di milioni di cittadini? Le alternative proposte vanno dalla maggiore collaborazione tra forze dell’ordine a livello internazionale, all’analisi dei metadati (informazioni sul traffico, non sul contenuto), fino a soluzioni più mirate e con garanzie giudiziarie più robuste.

Il futuro del web, e della nostra privacy su di esso, è in gioco. È fondamentale rimanere informati e far sentire la propria voce, perché le decisioni prese oggi a Bruxelles avranno un impatto diretto sulla nostra vita digitale di domani.

Alter-Ego, il robot umanoide dell’IIT, conquista l’Acquario di Genova: intelligenza artificiale e cetacei insieme per la tutela ambientale

Cari lettori di CorriereNerd.it, preparatevi a segnare una data importante sulle vostre agende da geek: il 10 giugno 2025, l’Acquario di Genova – già spettacolare di per sé – ospiterà un evento straordinario che unisce robotica, intelligenza artificiale, divulgazione scientifica e tutela ambientale. Protagonista assoluto? Alter-Ego, il robot umanoide nato nei laboratori dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), che farà il suo debutto pubblico in una delle location più suggestive d’Italia, interagendo direttamente con i visitatori nel cuore del mondo marino.

Ma andiamo con ordine, perché questa non è solo una semplice “esibizione robotica”, bensì un vero e proprio esperimento di interazione uomo-macchina, immerso in un contesto divulgativo e culturale d’eccellenza. Dalle 9:30 alle 18:00, i visitatori dell’Acquario potranno non solo osservare Alter-Ego in azione, ma interagire con lui, in un’esperienza immersiva che unisce il fascino della tecnologia più avanzata alla missione educativa e ambientale dell’Acquario.

Alter-Ego: un robot con l’anima geek (e un cuore da divulgatore)

Chi è Alter-Ego? Alto circa 140 centimetri, Alter-Ego è un robot umanoide che si muove agilmente su ruote e vanta mani poli-articolate capaci di compiere operazioni complesse come afferrare oggetti o aprire porte. Ma ciò che lo rende davvero speciale è la sua intelligenza artificiale e la capacità di comunicare. Questo robot non è solo un corpo meccanico: è un avatar robotico in grado di operare sia in modalità telecomandata (tramite visore e joystick), sia – ed è questo il fiore all’occhiello dell’evento – in modalità autonoma.

Durante la giornata genovese sarà infatti proprio quest’ultima modalità ad andare in scena. Alter-Ego si muoverà e risponderà al pubblico in autonomia, grazie a un sofisticato sistema sviluppato dall’unità COgNiTive Architecture for Collaborative Technologies dell’IIT, guidata dalla scienziata Alessandra Sciutti. Una tecnologia che non si limita alla mera esecuzione di comandi, ma che mira a stabilire una vera relazione dialogica tra robot e essere umano.

Il suo “palcoscenico”? Il Padiglione Cetacei, un’area dell’Acquario dedicata alla ricerca e alla conservazione, dove Alter-Ego accompagnerà i visitatori in un viaggio affascinante nel mondo dei tursiopi, i delfini residenti dell’Acquario, e dei progetti di tutela ambientale come Delfini Metropolitani e Promed.

Un progetto che unisce scienza, educazione e innovazione

L’evento rientra nel più ampio progetto Raise, un ambizioso ecosistema di ricerca finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca attraverso il Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Lo Spoke 4 di Raise – quello legato alla comunicazione scientifica e all’educazione ambientale – è proprio il cuore pulsante di questa iniziativa che coinvolge, oltre all’IIT, anche il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e l’Università di Genova.

E proprio il CNR, con il gruppo di ricerca guidato da Giampaolo Vitali dell’Istituto di Ricerca sulla Crescita Economica Sostenibile (Ircres), sarà presente per monitorare l’impatto socio-economico dell’esperimento. Parallelamente, l’Università di Genova continuerà a testare il proprio sistema di conversazione adattiva “consapevole delle diversità”, progettato per adattarsi all’interlocutore in base a età e background culturale. Un sistema che ha già dato ottimi risultati in contesti eterogenei, come le stazioni marittime e persino in reparti ospedalieri come quello di geriatria dell’Ospedale San Martino.

Dal palcoscenico alla vasca: il lato pop (e artistico) di Alter-Ego

Ma Alter-Ego non è certo nuovo ai riflettori. Realizzato dal gruppo Soft Robotics for Human Cooperation and Rehabilitation, coordinato da Antonio Bicchi, questo robot ha già saputo conquistare pubblico e critica apparendo in programmi come Italia’s Got Talent, recitando nello spettacolo teatrale “Io Robot” e partecipando con grande successo alla finale della competizione internazionale Ana Avatar Xprize.

Non finisce qui: Alter-Ego ha anche una vena artistica! Il robot è stato “customizzato” dall’artista genovese Melkio, che ha trasformato la sua scocca in una vera e propria opera d’arte. E proprio in questa versione scenografica e unica sarà visibile al pubblico durante l’evento all’Acquario.

Verso un futuro di musei intelligenti?

L’arrivo di Alter-Ego all’Acquario di Genova apre una finestra su quello che potrebbe diventare il futuro della comunicazione scientifica e museale. In un’epoca in cui catturare l’attenzione del pubblico – soprattutto dei più giovani – è sempre più difficile, la possibilità di dialogare con un’intelligenza artificiale immersi in un contesto emozionale come quello marino rappresenta un’opportunità senza precedenti.

Non si tratta solo di stupire: si tratta di educare, coinvolgere e far riflettere, utilizzando linguaggi e strumenti che parlano direttamente alla sensibilità contemporanea. Alter-Ego non è soltanto un robot: è un ponte tra il futuro e il presente, tra il sapere scientifico e l’esperienza sensoriale, tra l’uomo e la macchina.

E voi, geek del cuore pulsante?

Allora, amici nerd e appassionati di AI, robotica e avventure futuristiche… siete pronti a vivere questa esperienza ai confini della fantascienza, passeggiando tra le vasche dell’Acquario con un robot che vi racconta la storia dei delfini e dell’ambiente marino?

Fatecelo sapere! Vi piacerebbe vedere Alter-Ego (e altri robot come lui) integrati stabilmente nei nostri musei, acquari e spazi culturali? Pensate che la tecnologia possa rendere la divulgazione scientifica più coinvolgente ed efficace?

Scriveteci nei commenti, raccontateci le vostre opinioni e – ovviamente – condividete questo articolo sui vostri social per far scoprire anche ai vostri amici la magia di Alter-Ego. Il futuro è già qui, e ci aspetta… sotto il mare!

Sellano: inaugurato il ponte tibetano più alto d’Europa, un’attrazione mozzafiato per rilanciare il turismo

Un’opera ingegneristica unica nel suo genere: il ponte tibetano di Sellano, in Umbria, è stato inaugurato il 25 marzo 2024 e si fregia del titolo di ponte tibetano più alto d’Europa, con i suoi 175 metri di altezza dal fondovalle.

Un’esperienza da brivido: 517,5 metri di lunghezza sospesi nel vuoto, con una vista mozzafiato sulla Valnerina e sul fiume Vigi. Il ponte è realizzato in acciaio e legno e presenta una particolarità: è in salita, con un dislivello di 68 metri tra le due stazioni.

Un progetto per la rinascita: il ponte tibetano di Sellano nasce con l’obiettivo di rilanciare un territorio duramente colpito dal sisma del 2016. Un’attrazione turistica unica nel suo genere che, si spera, possa portare nuova linfa vitale alla Valnerina.

Sicurezza e adrenalina: per attraversare il ponte è necessario indossare casco, imbracatura e guanti. Il tempo di percorrenza è di circa 30-45 minuti, durante i quali si può godere di una vista panoramica davvero suggestiva.

Un investimento per il futuro: il costo del ponte, 1,5 milioni di euro, è stato finanziato dal Pnrr. Un investimento importante per il futuro del territorio, che punta a un turismo sostenibile e di qualità.

Non solo il ponte tibetano: Sellano e la Valnerina offrono ai visitatori anche altri borghi incantevoli, paesaggi incontaminati e attività all’aria aperta. Un luogo ideale per una vacanza all’insegna del relax e dell’avventura.

Golem AI: l’avanzata soluzione per le sfide amministrative della PA nell’era digitale

L’evoluzione digitale rapida che caratterizza l’attuale epoca ha reso indispensabile l’utilizzo di soluzioni avanzate per affrontare le crescenti sfide amministrative. In questo contesto, Golem AI si pone come un’innovativa risposta, capace di ottimizzare i servizi pubblici digitali e di ridefinire la progettazione e l’erogazione degli stessi grazie all’applicazione di tecnologie all’avanguardia.

Golem AI si configura come una soluzione ideata per rispondere alle specifiche esigenze di tutte le Pubbliche Amministrazioni, a partire da quelle centrali fino ad arrivare agli enti territoriali. Questa nuova soluzione si propone di affrontare le nuove sfide introdotte dagli ultimi sviluppi nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale. Tra le caratteristiche chiave che fanno di Golem AI una soluzione unica sul mercato, troviamo il suo autoapprendimento rapido. Questa piattaforma è in grado di adattarsi dinamicamente alle mutevoli esigenze della PA, estrarre conoscenze da fonti come la legislazione nazionale e regionale e garantire una gestione dinamica ed efficiente.

Un’altra caratteristica distintiva di Golem AI è la sua capacità di fornire risposte puntuali in tempo reale. Dopo un processo di autoapprendimento, questa innovativa soluzione è in grado di fornire risposte mirate e immediate a domande specifiche, migliorando l’accessibilità e aumentando la precisione dei servizi pubblici.

Golem AI presenta anche una modalità duale di funzionamento.

Questa piattaforma opera sia sul Lato Pubblico, semplificando l’URP Online per i cittadini, sia sul Lato Back-End, offrendo supporto in tempo reale al personale dell’Ente per la gestione di attività quotidiane. In questo modo, Golem AI si adatta alle diverse necessità degli utenti e degli operatori pubblici.

Le caratteristiche distintive di Golem AI che la rendono unica sul mercato sono molteplici. Innanzitutto, si può sottolineare la sua efficienza operativa. Questa soluzione permette infatti una riduzione dei tempi di risposta e semplifica le procedure burocratiche, consentendo una maggiore efficienza nell’erogazione dei servizi pubblici.

La precisione e la coerenza delle risposte fornite da Golem AI sono invece garantite dal fatto che questo innovativo strumento si basa su dati verificati. In questo modo, le risposte fornite sono sempre accurate e coerenti, offrendo una migliore esperienza agli utenti.

Un altro vantaggio di Golem AI è la sua accessibilità universale.

Questa soluzione può essere implementata su tutti i siti comunali italiani e può essere accessibile da qualsiasi luogo, garantendo una maggiore facilità d’uso per i cittadini.

Infine, la semplice integrazione cloud è un altro punto di forza di Golem AI. Questo strumento può essere facilmente implementato su applicativi cloud forniti dalla Golem Net, garantendo un’implementazione senza complicazioni tecniche.

Il progetto Golem AI si inserisce perfettamente nelle direttive del PNRR, promuovendo la digitalizzazione della PA. Grazie a questa innovativa soluzione, la qualità dei servizi offerti dalla Pubblica Amministrazione può essere notevolmente migliorata, aprendo la strada a un’organizzazione efficiente e centrata sul cittadino.

Fonte: golemai.golemnet.it.