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Dune: Prophecy – Il Ritorno della Sorellanza. HBO riaccende le sabbie di Arrakis con una seconda stagione stellare

La spezia scorre di nuovo. HBO ha ufficialmente riattivato la sua “macchina delle spezie” annunciando l’inizio delle riprese della seconda stagione di Dune: Prophecy, il prequel dell’universo di Frank Herbert che ha conquistato fan e critica nel 2024. Dopo il trionfo della prima stagione, la serie prodotta da Legendary Television e distribuita su Sky e NOW torna a espandere l’universo di Dune con nuovi personaggi, intrighi e panorami mozzafiato che spaziano tra Ungheria, Giordania e Spagna.

A capo della produzione ritroviamo la showrunner Alison Schapker, già autrice di Fringe e Westworld, che promette un secondo capitolo ancora più oscuro, spirituale e politicamente complesso. Per celebrare l’inizio delle riprese, HBO ha pubblicato un video dietro le quinte che mostra il ritorno del cast, i set immersi nel deserto e il palpabile entusiasmo della troupe: il segnale più chiaro che Dune: Prophecy è pronta a tornare più epica che mai.

Nuovi volti tra le sabbie del destino

La seconda stagione vedrà l’arrivo di tre nuovi nomi di peso: Indira Varma (Game of Thrones, Obi-Wan Kenobi), Tom Hollander (The White Lotus, Pirates of the Caribbean) e Ashley Walters (Top Boy, Bullet Boy). HBO non ha ancora svelato i ruoli che interpreteranno, alimentando così la curiosità dei fan. Visti i toni mistici e dinastici della serie, non è difficile immaginare che possano incarnare nuovi membri delle antiche casate o figure centrali nelle lotte di potere religiose e politiche che precedono la nascita delle Bene Gesserit.

Accanto a loro, ritornano le protagoniste Emily Watson (Valya Harkonnen) e Olivia Williams (Tula Harkonnen), le due sorelle destinate a fondare la leggendaria Sorellanza. Al loro fianco, rivedremo Jodhi May nei panni dell’Imperatrice Natalya, Travis Fimmel come il carismatico soldato Desmond Hart, e un cast corale che include Sarah-Sofie Boussnina, Shalom Brune-Franklin, Yerin Ha, Aoife Hinds e Tessa Bonham Jones.

Le origini delle Bene Gesserit

Dune: Prophecy non è solo una serie ambientata 10.000 anni prima di Paul Atreides: è un viaggio alle radici del mito. Tratta dal romanzo Sisterhood of Dune di Brian Herbert e Kevin J. Anderson, l’opera esplora le fondamenta ideologiche, genetiche e spirituali delle Bene Gesserit, l’enigmatica confraternita che dominerà il destino dell’universo di Dune.

Ambientata nel turbolento periodo successivo al Jihad Butleriano, la serie racconta come l’umanità, sopravvissuta alla rivolta contro le macchine pensanti, stia tentando di ricostruire se stessa. In questo caos emergono Valya e Tula Harkonnen, due donne diverse ma unite dal desiderio di plasmare un nuovo ordine attraverso la conoscenza, la fede e la manipolazione. È qui che nasce il seme della Sorellanza, con le sue liturgie segrete e le sue missioni genetiche, elementi che faranno da ponte tra la mistica e la politica — cuore pulsante del mondo di Herbert.

Un prequel che parla al futuro

Una delle magie di Dune: Prophecy è la sua capacità di evocare un passato remoto che sembra però familiare. Nelle sue atmosfere si respira la tensione tra tecnologia e religione, potere e destino, femminile e maschile. Ogni episodio della prima stagione ha mostrato come la serie riesca a unire la profondità filosofica dei romanzi originali con la spettacolarità cinematografica inaugurata da Denis Villeneuve nei film Dune e Dune: Parte Due.

Con la seconda stagione, la showrunner Schapker promette di ampliare il respiro narrativo, esplorando nuove case nobiliari, nuove pianure di sabbia e soprattutto le conseguenze delle scelte compiute dalle sorelle Harkonnen. La regia e la fotografia continueranno a privilegiare una resa visiva maestosa e mistica, con un linguaggio estetico che fa convivere il deserto con il sacro, la sabbia con la carne, la fede con la scienza.

Attesa e profezia

La produzione della prima stagione fu segnata dagli scioperi di Hollywood, che ne ritardarono l’uscita fino al novembre 2024. Ora, con le riprese del nuovo ciclo già in corso, i fan sperano di rivedere Dune: Prophecy entro la fine del 2025. Nessuna data è stata confermata, ma l’entusiasmo del cast e della crew fa presagire un percorso più rapido.

Per il fandom di Dune, questa serie rappresenta qualcosa di più di un semplice spin-off: è la ricostruzione di un’eredità. È la storia di come il potere nasca dal silenzio, di come le donne dell’universo di Herbert abbiano imparato a piegare la genetica, la politica e la religione ai propri fini, gettando le basi per la venuta del Kwisatz Haderach.

E anche se noi non possiamo vedere il futuro — non siamo il Kwisatz Haderach, come ironizza HBO — una cosa è certa: la Profezia è appena cominciata.

Mountainhead: satira glaciale sulle élite e l’apocalisse digitale

Con Mountainhead, Jesse Armstrong – il geniale creatore di Succession – compie il salto dietro la macchina da presa, confezionando un’opera che sembra il fratello minore, nevrotico e surreale, della serie HBO che l’ha reso celebre. Questa volta, però, il campo da gioco non è un impero mediatico, ma una villa isolata tra le montagne dello Utah, dove quattro amici miliardari si ritrovano per un weekend che si trasforma in un disastro grottesco. Il cast è di quelli che fanno alzare le antenne: Steve Carell, Jason Schwartzman, Cory Michael Smith e Ramy Youssef portano in scena personaggi tanto caricaturali quanto inquietantemente credibili, ciascuno con le proprie ossessioni e strategie di potere.

La trama mette subito le carte in tavola. Venis “Ven” Parish (Cory Michael Smith) è l’uomo più ricco del mondo e proprietario di Traam, social network fittizio che ha accelerato il caos globale grazie alla diffusione di disinformazione generata da intelligenze artificiali. Con lui ci sono Jeff Abredazi (Ramy Youssef), proprietario di Bilter, società specializzata in fact-checking; Randall Garrett (Steve Carell), mentore del gruppo e malato terminale di cancro; e Hugo “Souper” Van Yalk (Jason Schwartzman), “solo” multimilionario, ossessionato dal diventare anche lui un vero miliardario. Il pretesto ufficiale è una rimpatriata amichevole. La realtà? Una partita a scacchi tra giganti dell’ego, in cui ognuno trama per sopraffare l’altro: Ven vuole inglobare Bilter per salvare Traam senza perdere la faccia; Jeff difende la propria azienda; Randall vede nel progresso tecnologico l’unica speranza di sopravvivere alla malattia; Souper cerca investitori per la sua super-app “Slowzo”.

Commedia nera con fiato corto e pugnalate (quasi) vere

Il film gioca con un ritmo claustrofobico: giri in motoslitta, rituali bizzarri (come scrivere il proprio patrimonio sul petto con il rossetto) e conversazioni sempre a un passo dall’esplodere. Quando la crisi globale peggiora e i governi iniziano a vacillare, il fragile equilibrio si rompe: complotti, tradimenti e persino tentativi maldestri di omicidio trasformano il weekend in una guerra fredda domestica.

La scrittura di Armstrong resta affilata e piena di umorismo corrosivo: il dialogo è il vero campo di battaglia, e le battute hanno il retrogusto amaro di un mondo dove il potere conta più della verità. Le dinamiche tra i personaggi ricordano quelle di Succession, ma qui il registro vira verso il farsa tragica, spingendo i toni fino al parossismo.

Un set come personaggio

Girato quasi interamente in una villa di 21.000 piedi quadrati a Park City, Mountainhead sfrutta l’isolamento e il gelo come metafora della distanza emotiva tra i protagonisti. L’ambiente è sontuoso ma asettico, e la montagna innevata diventa un sipario immobile che osserva impassibile il disfacimento morale di chi vi si rifugia.

La scelta di un’unica location principale, combinata a tempi di produzione serrati (appena cinque settimane di riprese), conferisce al film un’intensità teatrale: non ci sono vie di fuga, né per i personaggi né per lo spettatore.

Una satira del presente (e del futuro prossimo)

Il bersaglio è chiaro: l’élite tecnologica che si muove tra filantropia di facciata e cinismo strategico, incapace di separare l’amicizia dal business. Armstrong mette in scena un’apocalisse lenta, in cui non servono esplosioni o invasioni aliene: basta l’algoritmo giusto – o sbagliato – a far crollare le strutture del potere globale.La forza di Mountainhead sta proprio nel suo equilibrio instabile: è commedia nera, è dramma satirico, ma è anche un monito, e a tratti somiglia a una partita di poker in cui tutti barano sapendo che il tavolo sta per prendere fuoco.

Non è un film per chi cerca azione frenetica o lieto fine: Mountainhead è verboso, pungente e volutamente scomodo. È il ritratto di un mondo che balla sull’orlo del precipizio, e lo fa con il sorriso compiaciuto di chi crede di avere in mano il paracadute… senza accorgersi che è pieno di buchi. Dal 12 settembre, in esclusiva su Sky Cinema e NOW, sarà possibile decidere se ridere, rabbrividire o entrambe le cose. Armstrong ha alzato la posta: resta da vedere se il pubblico sarà pronto a seguirlo sulla vetta gelida del suo Mountainhead.

M. Il figlio del secolo: la serie evento di Sky cancellata tra silenzi, polemiche e domande scomode

C’è un momento, nel mondo del fandom, in cui una serie tv smette di essere solo intrattenimento e diventa un vero e proprio evento culturale. Un momento in cui l’attesa per la nuova stagione si fa quasi insostenibile, un’eccitazione febbrile che si propaga a ondate, dai forum specializzati ai gruppi social. Per gli appassionati di produzioni che osano, che scavano a fondo e non temono di sporcarsi le mani con la storia e l’arte, quel momento è arrivato e poi svanito, come un segnale interrotto. Il nostro cuore nerd ha smesso di battere all’impazzata, colpito dalla notizia che la seconda stagione di M. Il figlio del secolo non si farà. A rompere il silenzio, con la chiarezza di un dardo scagliato nel buio, è stato Antonio Scurati, l’autore del romanzo titanico da cui è tratta la serie. Durante un incontro al Giffoni Film Festival, ha gelato le speranze di chi attendeva il seguito di una delle produzioni italiane più acclamate degli ultimi anni. “È abbastanza incredibile”, ha detto Scurati, con una sottile ma decisa vena polemica, “che una serie di questa potenza, applaudita dalla critica internazionale, non abbia una seconda stagione. Poi bisogna chiedersi perché.” E quel “perché” non è una semplice domanda, ma un’accusa, un invito a scavare oltre la superficie, a cercare le risposte in un labirinto di reticenze e convenienze.

Ma facciamo un passo indietro, torniamo alla genesi di un’opera che, fin dal suo concepimento, ha rifiutato ogni cliché. Tratta dal primo volume della trilogia di Scurati sul fascismo, M. Il figlio del secolo è stata una produzione ambiziosa, una collaborazione italo-francese diretta da un maestro del calibro di Joe Wright. Il risultato non è stato una banale fiction storica, ma un’esperienza visiva e sonora disturbante e magnetica. Wright ha trasformato lo schermo in una sorta di campo di battaglia mentale, un’allucinazione collettiva in cui un Mussolini interpretato da un Luca Marinelli camaleontico e inquietante infrange la quarta parete per parlarci, per sfidarci, per guardarci dritto negli occhi.

Marinelli, ingrassato di venti chili e rasato con una precisione quasi chirurgica, non si è limitato a recitare: si è metamorfizzato, diventando il Duce, la sua ombra, il suo ghigno e la sua aura repellente e irresistibile. La sua performance è una di quelle che segnano la storia della recitazione, un cortocircuito di talento che ti fa esclamare “Ok, questo è un momento che non dimenticheremo”. E non siamo solo noi, amanti del genere, a pensarlo. L’hanno confermato la critica internazionale, i festival più severi e le riviste di settore di ogni angolo del mondo.

Allora, perché il sipario è calato così presto? La serie ha ottenuto un successo di critica clamoroso, solidi ascolti e premi di prestigio, dai Nastri d’Argento al Festival Séries Mania. Inizialmente, Sky Studios aveva alimentato l’entusiasmo, definendo la serie un “evento culturale” e promettendo che ci stavano lavorando. Eppure, quell’entusiasmo si è spento, è svanito, come un bit di dati cancellato da un algoritmo capriccioso.

È quasi impossibile non leggere in questo silenzio una forma di reticenza, forse addirittura una cautela politica. La serie, dopotutto, racconta la nascita del fascismo con una lucidità spietata, senza indorare la pillola, senza cercare facili consolazioni o sconti storici. È una serie scomoda, che mette lo spettatore di fronte a un male che non è un fantasma del passato, ma un’ombra che si allunga fino al presente. E le serie scomode, nel mondo complesso e sensibile degli equilibri editoriali, possono fare paura, non al pubblico affamato di verità, ma a chi detiene il potere di decidere cosa merita di essere visto.

Il grido di allarme di Scurati non si è fermato alla produzione italiana. L’autore ha sottolineato come la serie non sia riuscita a trovare una casa televisiva negli Stati Uniti. Joe Wright stesso ha confermato che nessun network, nemmeno le piattaforme streaming, ha voluto distribuire l’opera. Un fatto, in un’epoca di interconnessione globale e di contenuti che viaggiano alla velocità della luce, che appare quantomeno sospetto.

Chi ha avuto la fortuna di perdersi nei meandri della prima stagione sa quanto sia impossibile uscirne indenni. La narrazione, che copre gli anni tra il 1919 e il 1925, è un affondo nel cuore malato della modernità. Seguiamo la parabola di Benito Mussolini dalla fondazione dei Fasci italiani di combattimento fino all’assassinio di Matteotti e al discorso che sancisce la dittatura. Ma non si tratta di una pedante lezione di storia: è un viaggio interiore, un’esplorazione del buio che ha avvolto la mente di un uomo e di una nazione.

La serie è feroce, ironica, grottesca. L’umorismo nero si fonde con il terrore, in un mix che ti lascia disorientato, come dopo una maratona di Black Mirror diretta da un Scorsese in stato di grazia. Il cast è un dream team di talenti: oltre a Marinelli, c’è una formidabile Barbara Chichiarelli nel ruolo di Margherita Sarfatti, Francesco Russo in quelli del fedelissimo Cesare Rossi, un Paolo Pierobon che fa un D’Annunzio barocco e disturbante, e un giovane e feroce Lorenzo Zurzolo nei panni di Italo Balbo.

La regia di Wright, unita alla colonna sonora elettronica curata da Tom Rowlands dei Chemical Brothers, crea un’esperienza audiovisiva che sembra concepita in un laboratorio segreto tra Cinecittà e la Berlino degli anni Novanta. Non c’è nulla di convenzionale, nessun biopic in costume. Qui si parla il linguaggio del presente, con un’estetica che sembra rubata a Trainspotting o a un rave post-industriale. Wright stesso aveva dichiarato di voler creare un ibrido tra L’uomo con la macchina da presa, Scarface e la cultura rave. Missione compiuta.

E allora, davvero, cosa ha bloccato la seconda stagione? Non certo la mancanza di materiale, dato che la trilogia di Scurati prosegue con eventi altrettanto potenti. Non certo la qualità, o il pubblico, o la critica. Forse, semplicemente, questa serie ha toccato nervi troppo scoperti. Quando la storia diventa uno specchio impietoso del presente, quando un Duce televisivo sembra parlare ai leader di oggi, forse la via più sicura è cambiare canale.

Ma noi, il nostro popolo di appassionati, non cambieremo canale. Rimarremo qui, in attesa. Perché M. Il figlio del secolo non è stata solo una serie. È stata un segnale, la prova che la televisione può ancora essere coraggiosa, provocatoria, necessaria. È una ferita ancora aperta nella memoria del nostro paese, una ferita che brucia, e che ha bisogno di essere guardata, non censurata dal silenzio.

E tu, lettore nerd, cosa ne pensi? Anche tu sei rimasto con il fiato sospeso alla fine dell’ultimo episodio? Vorresti che il mondo di M. Il figlio del secolo continuasse la sua folle corsa?

Dune: Prophecy – La Prima Stagione Completa in Home Video e Digitale

L’attesa dei fan di Dune è finalmente terminata: Warner Bros. Discovery Home Entertainment, in collaborazione con HBO e Legendary Entertainment, ha annunciato l’uscita in home video della tanto attesa serie drammatica Dune: Prophecy – La Prima Stagione Completa. Disponibile dal 22 maggio 2025 in formato 4K UHD (inclusa edizione Steelbook), Blu-ray e DVD, la serie promette di regalare agli appassionati un’epica avventura sci-fi, completata da oltre un’ora di contenuti extra, tra cui 5 extended featurette e una featurette esclusiva, disponibile solo sulle edizioni 4K UHD, Blu-ray e DVD.

In aggiunta, Dune: Prophecy – La Prima Stagione Completa sarà disponibile in versione digitale su Amazon Prime Video a partire dal 13 marzo, permettendo così ai fan di godere della serie comodamente da casa prima dell’uscita fisica.

Tratta dall’universo letterario creato dal leggendario Frank Herbert, Dune: Prophecy si colloca temporalmente ben 10.000 anni prima dell’ascesa di Paul Atreides. La trama segue due sorelle Harkonnen, protagoniste di una battaglia contro potenti forze minacciose per il futuro dell’umanità, e getta le basi per la creazione della mitica setta delle Bene Gesserit. La serie si ispira al romanzo Sisterhood of Dune, scritto da Brian Herbert e Kevin J. Anderson, ma crea una narrazione autonoma, capace di esplorare il lato più umano di personaggi noti per la loro forza sovrumana.

Il cast di Dune: Prophecy è senza dubbio uno dei punti di forza della serie. Le due protagoniste, Valya e Tula, sono interpretate da Emily Watson e Olivia Williams, che portano sullo schermo personaggi complessi e carismatici, intrisi di un’umanità profonda e contrastante. A supportare il duo principale, un cast d’eccezione che include attori come Travis Fimmel, Mark Strong, Sarah-Sofie Boussnina, Josh Heuston e tanti altri. La chimica tra i protagonisti è palpabile e rende ancora più coinvolgenti le dinamiche politiche e personali che si intrecciano nella trama.

La serie, co-prodotta da HBO e Legendary Television (già dietro il successo dei film di Dune diretti da Denis Villeneuve), non si limita a ricreare l’atmosfera ma aggiunge un ulteriore strato di complessità, esplorando l’origine della setta delle Bene Gesserit. Con un tono che ricorda le atmosfere di Il Trono di Spade, Dune: Prophecy si addentra nei giochi di potere, intrighi e tradimenti, ma con una dimensione più intima e umana che rende i protagonisti ancora più affascinanti e vulnerabili.

Al centro della trama ci sono le due sorelle Harkonnen, il cui cammino le porterà a fondare la leggendaria sorellanza delle Bene Gesserit. Le dinamiche tra di loro sono al cuore della narrazione, e mentre si sviluppano alleanze e tradimenti, la serie esplora con intensità il sacrificio e la lotta per il potere. La politica interplanetaria cede il passo a una riflessione più profonda sulla natura umana, mostrando i lati oscuri delle protagoniste, le loro debolezze e ambizioni.

Oltre alla trama avvincente, Dune: Prophecy si distingue anche per la qualità tecnica. La produzione, che mantiene l’alto standard tipico di HBO, non punta solo su effetti speciali spettacolari, ma si concentra anche sui dettagli più intimi, mettendo in risalto momenti di introspezione che arricchiscono la narrazione. Le inquadrature, che sanno bilanciare l’immensità del deserto e l’intimità dei personaggi, sono una delle caratteristiche che conferiscono alla serie un’impronta visiva unica. L’estetica resta fedele ai film di Villeneuve, pur riuscendo a dare alla serie un’identità propria.

In definitiva, Dune: Prophecy è una serie che saprà affascinare non solo i fan della saga originale, ma anche chi cerca una storia ben costruita, ricca di intrighi e personaggi complessi. Con una narrazione che si allontana dai toni più convenzionali della fantascienza, la serie prequel di Dune riesce a esplorare con maestria temi universali come il potere, la sopravvivenza e il sacrificio, restituendo una nuova e affascinante prospettiva sul celebre universo creato da Frank Herbert. Se i film di Villeneuve vi hanno conquistato, Dune: Prophecy è un’opera che non potete perdere, un racconto che arricchisce e amplia l’epica di Dune con sfumature ancora inesplorate.

“Campo di battaglia”: il film di Gianni Amelio arriva in prima TV su Sky Cinema Uno

Il cinema italiano si arricchisce di un’opera intensa e coinvolgente: “Campo di battaglia”, il film diretto da Gianni Amelio con protagonista Alessandro Borghi, arriva in prima TV venerdì 7 febbraio 2025 su Sky Cinema Uno, in streaming su Now e disponibile on demand. Dopo il successo nelle sale, il film, liberamente tratto dal romanzo “La sfida” di Carlo Patriarca, si prepara a conquistare il pubblico televisivo con la sua narrazione drammatica e storicamente rilevante.

“Campo di battaglia” trasporta gli spettatori nelle fasi finali della Prima Guerra Mondiale, all’interno di un ospedale militare dove operano due ufficiali medici, Stefano e Giulio, amici d’infanzia che affrontano il conflitto da prospettive opposte. Stefano, proveniente da una famiglia altoborghese con un padre che lo vorrebbe in politica, è ossessionato dai soldati autolesionisti, coloro che si feriscono volontariamente per evitare il ritorno al fronte. Giulio, più compassionevole, sogna la ricerca scientifica, ma si ritrova intrappolato in un mondo di dolore e sangue. Accanto a loro, Anna, amica di vecchia data e volontaria della Croce Rossa, lotta per affermarsi in un ambiente che penalizza le donne.

La tensione cresce quando i medici si accorgono di un misterioso fenomeno: alcuni feriti peggiorano improvvisamente, forse vittime di un sabotatore interno che vuole impedire loro di tornare in guerra, anche al costo di lasciarli mutilati. Nel frattempo, un’infezione letale si diffonde tra i soldati e la popolazione civile, minacciando di fare più vittime delle armi nemiche. Un intreccio avvincente che mescola dramma umano, dilemmi etici e thriller storico, offrendo una riflessione profonda sulle atrocità della guerra e sulla lotta per la sopravvivenza.

Un cast d’eccezione per un film dal forte impatto emotivo

Il film vanta un cast straordinario, guidato da Alessandro Borghi nel ruolo di Stefano. Al suo fianco, Gabriel Montesi interpreta Giulio, mentre Federica Rosellini dona spessore e intensità al personaggio di Anna. Gianni Amelio, maestro della regia italiana, porta sullo schermo una narrazione carica di pathos, enfatizzata dalla fotografia suggestiva e dalle ambientazioni realistiche che ricreano il clima cupo e soffocante del conflitto.

Una produzione imponente tra Friuli, Trentino e Toscana

La realizzazione di “Campo di battaglia” ha richiesto un imponente lavoro di ricostruzione storica. Prodotto da Kavac Film, IBC Movie, One Art e Rai Cinema, il film è stato girato in suggestive location del Friuli-Venezia Giulia, tra Udine, Tolmezzo, Venzone, Gorizia e la maestosa Villa Manin a Codroipo. Le riprese sono poi proseguite in Trentino-Alto Adige, toccando Rovereto e i forti militari di Folgaria e Vignola-Falesina. Infine, nel 2024, il set si è spostato in Toscana, con riprese sulla storica linea ferroviaria Arezzo-Sinalunga e presso la stazione di Monte Amiata.

Un successo acclamato alla Mostra del Cinema di Venezia

Presentato in anteprima alla 81ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia il 31 agosto 2024, “Campo di battaglia” ha subito attirato l’attenzione della critica, entrando in concorso per il Leone d’Oro. Il film è stato distribuito nelle sale italiane dal 5 settembre 2024, raccogliendo consensi per la sua profondità narrativa e l’eccellente interpretazione del cast.

Incassi e riscontri del pubblico

Nonostante il suo tono impegnato e la tematica storica, “Campo di battaglia” ha saputo conquistare anche il botteghino, registrando un incasso di oltre 1,16 milioni di euro con più di 200 mila presenze nelle sale. Un risultato significativo per un’opera che, con un budget di produzione di circa 12,5 milioni di euro, ha dimostrato il valore della qualità cinematografica italiana.

Un appuntamento imperdibile

L’arrivo in prima TV su Sky Cinema Uno rappresenta un’opportunità imperdibile per chiunque voglia lasciarsi coinvolgere da una storia potente e ben costruita. “Campo di battaglia” non è solo un film di guerra, ma un viaggio nell’animo umano, tra le paure, le ambizioni e i sacrifici di chi ha vissuto un’epoca segnata dal sangue e dal coraggio. Venerdì 7 febbraio 2025 sarà la serata perfetta per immergersi in questa pellicola che promette di lasciare un segno nel cuore degli spettatori.

L’arte della gioia: La Miniserie di Valeria Golino che Racconta la Lotta per la Libertà

Il panorama televisivo italiano si arricchisce di una nuova e affascinante miniserie, L’arte della gioia, diretta da Valeria Golino e tratta dal celebre romanzo di Goliarda Sapienza. Ambientata nella Sicilia dei primi del Novecento, la serie ci porta in un viaggio intenso attraverso la lotta, la passione e l’autodeterminazione, raccontando la storia di una protagonista, Modesta, che sfida le convenzioni della sua epoca. L’arte della gioia si prepara a conquistare il pubblico con il suo messaggio potente e universale di emancipazione, felicità e libertà, e sarà disponibile su Sky Atlantic e NOW dal 28 febbraio 2025, dopo aver già riscosso un successo straordinario al Festival di Cannes e nelle sale cinematografiche.

Protagonista della serie è Modesta, una giovane ragazza orfana che cresce in una Sicilia povera e rurale agli inizi del secolo scorso. Fin dalla sua infanzia, Modesta è spinta da un insaziabile desiderio di conoscenza e di libertà, ma il destino ha in serbo per lei una serie di eventi tragici che la separano dalla sua famiglia. La sua vita prende una piega inaspettata quando entra in un convento, dove la sua intelligenza e determinazione la portano a diventare la protetta della Madre Superiora, Leonora. La crescita di Modesta la condurrà poi alla villa della Principessa Brandiforti, dove la giovane protagonista si trasforma in una figura chiave all’interno del palazzo, guadagnando potere e libertà.

Il percorso di Modesta è segnato da una continua ricerca di emancipazione, che la porta ad affrontare le rigide convenzioni sociali di un contesto patriarcale. La serie esplora la sua scoperta della sessualità, il diritto al piacere e la sua lotta per diventare la padrona del proprio destino, mentre si confronta con le sfide di un mondo che cerca di imporle un posto prestabilito.

Un Cast di Talento per una Storia Appassionante

Il cast di L’arte della gioia è uno dei punti di forza di questa miniserie. Nel ruolo di Modesta troviamo la giovane Tecla Insolia, che porta in scena una protagonista audace, sensuale e irresistibile, capace di sfidare ogni convenzione sociale. Al suo fianco, Jasmine Trinca interpreta Leonora, la madre superiora che diventa una figura fondamentale nel cammino di Modesta verso la libertà. La loro relazione è uno degli aspetti più affascinanti della trama, un legame che evolve e cresce nel corso della storia.

Accanto a loro, Guido Caprino interpreta Carmine, il responsabile delle terre della nobile famiglia Brandiforti, mentre Valeria Bruni Tedeschi veste i panni della principessa Gaia, madre di Ippolito, l’unico erede della famiglia, interpretato da Giovanni Bagnasco. La serie arricchisce il suo cast con altri personaggi significativi, tra cui Alma Noce nel ruolo di Beatrice, giovane erede dei Brandiforti, e Giuseppe Spata, che interpreta Rocco, l’autista della famiglia.

Una Produzione Visivamente Straordinaria

Oltre alla sua trama coinvolgente, L’arte della gioia è anche un’opera visivamente straordinaria. La regia di Valeria Golino, unita a una sceneggiatura firmata da un team di autori di talento, riesce a catturare l’essenza della Sicilia d’inizio Novecento, con i suoi paesaggi mozzafiato e la sua cultura ricca di contraddizioni. Ogni scena è un viaggio nel passato, ma le tematiche di emancipazione e lotta contro le convenzioni sociali sono talmente universali da rendere la serie assolutamente attuale e affascinante per il pubblico moderno.

Un Debutto Atteso al Festival di Cannes e la Prossima Uscita su Sky e NOW

L’arte della gioia ha fatto il suo debutto in anteprima assoluta al Festival di Cannes nel maggio 2024, dove ha ricevuto una calorosa accoglienza da parte della critica. Successivamente, la miniserie è stata distribuita nelle sale cinematografiche in due parti, ma il grande appuntamento arriva il 28 febbraio 2025, quando la serie sarà disponibile in esclusiva su Sky Atlantic e NOW. Composta da sei episodi, L’arte della gioia offre al pubblico un’emozionante opportunità di seguire il cammino di Modesta verso la libertà e la felicità.

Prodotta da Sky Studios e HT Film, con la supervisione di Viola Prestieri, la serie si preannuncia come uno degli eventi televisivi più attesi del 2025, grazie alla sua trama ricca di spunti di riflessione, alle performance eccezionali del cast e a un’ambientazione visivamente spettacolare.

Conclusione: Un’Opportunità da Non Perdere

Se sei alla ricerca di una storia coinvolgente e drammaticamente affascinante, L’arte della gioia è una miniserie che non puoi assolutamente perdere. Con una protagonista potente, una trama che sfida le convenzioni sociali e una produzione che unisce bellezza visiva e contenuti profondi, questa serie si preannuncia come una delle opere più significative degli ultimi anni. Preparati a un viaggio emozionante che ti accompagnerà alla scoperta di una Sicilia lontana nel tempo, ma straordinariamente attuale nelle sue tematiche universali di libertà e felicità.

“Piedone – Uno sbirro a Napoli”: un ritorno Imperfetto, ma Affascinante, al Mito di Bud Spencer

Quando ho sentito parlare della nuova serie Piedone – Uno sbirro a Napoli, ammetto che un brivido di inquietudine mi ha attraversato. Piedone è un’icona, una delle figure più amate del cinema italiano, e rinnovare il mito di Bud Spencer  non è un’impresa facile. Eppure, come spesso accade nel cinema contemporaneo, il rischio può portare a risultati sorprendenti. La serie, con un cast solido, un’ambientazione vibrante e un mix di azione e umorismo tipico, è riuscita a trovare un equilibrio tra rispetto per il passato e voglia di rinnovamento.

Il regista Alessio Maria Federici ha fatto un ottimo lavoro nel mantenere intatto lo spirito della saga originaria, aggiornandola però con un linguaggio moderno e una narrazione capace di parlare anche al pubblico di oggi. In Piedone – Uno sbirro a Napoli, Salvatore Esposito veste i panni di Vincenzo Palmieri, un ispettore cresciuto all’ombra di Rizzo, il leggendario commissario interpretato da Bud Spencer. Ma qui non si tratta di sostituire l’originale; Palmieri è un personaggio che porta avanti una tradizione, ma con le sue proprie fragilità e contraddizioni.

L’eredità di Piedone è viva, ma viene attualizzata con intelligenza: Napoli non è più solo una semplice scenografia pittoresca, ma diventa una protagonista che vive e respira attraverso ogni scena. La città, con le sue bellezze e contraddizioni, accompagna la lotta di Palmieri per trovare un equilibrio tra il suo passato tumultuoso e il suo ruolo di poliziotto in un mondo che è cambiato. Ma Napoli, purtroppo, non è immune alle problematiche contemporanee: la malasanità, la diffusione di droghe sintetiche come il fentanyl, sono temi trattati con delicatezza ma anche con un realismo che non lascia indifferenti.

Un altro aspetto che mi ha colpito è la dinamica tra Palmieri e la commissaria Sonia Ascarelli, interpretata da Silvia D’Amico. I due personaggi incarnano visioni opposte: Palmieri è disordinato, istintivo, si affida alla strada per risolvere i casi; Ascarelli è metodica, legata alle procedure. La loro interazione, fatta di scontri e alleanze, è uno degli elementi più interessanti della serie. E a completare il trio c’è l’ispettore aggiunto Michele Noviello, interpretato da Fabio Balsamo, un personaggio che aggiunge leggerezza e spessore grazie alla sua passione per la storia medievale, un contrasto ben studiato che arricchisce il gruppo.

Federici ha curato anche i dialoghi e le dinamiche interne alla squadra, facendo sì che ogni personaggio, anche i secondari, avesse una voce ben definita. Questo approccio ha reso la serie più coinvolgente, dando la possibilità ai personaggi di evolversi e crescere nel corso delle quattro storie che compongono la serie. Ogni episodio potrebbe essere visto come un piccolo film, pur mantenendo una continuità narrativa che fa da sfondo alle indagini.

E poi c’è la fisicità di Palmieri. Esposito, che si fa carico di un’eredità pesante, riesce a interpretare un personaggio che non è solo un “sbirro”, ma anche un uomo concreto, radicato nel territorio. La sua passione per il wrestling, che si inserisce nel contesto della trama, non è un semplice espediente, ma un simbolo di come il personaggio utilizzi la forza fisica e l’intelligenza per risolvere le situazioni.

La scelta di mescolare l’azione da poliziesco con momenti di leggerezza e umorismo rende la serie ancora più godibile, trovando un perfetto equilibrio tra toni drammatici e quelli più leggeri. Non mancano i rimandi al passato, con citazioni più o meno esplicite alla figura diBud Spencer , ma queste non appesantiscono la trama, anzi la arricchiscono, come un omaggio a chi ha amato il vecchio Piedone.

Il risultato finale è una serie che sa come parlare al pubblico di oggi senza tradire completamente le origini. Napoli, come dicevo, è una protagonista viva, concreta, che rappresenta un microcosmo di un’Italia che affronta le sue sfide moderne con la stessa forza e passione di sempre. Non c’è nostalgia nel modo in cui la serie affronta la figura di Piedone, ma piuttosto una continuazione naturale, come se Palmieri fosse davvero l’erede di Rizzo.

Piedone – Uno sbirro a Napoli è riuscito là dove molti altri remake o rivisitazioni di icone del passato falliscono: non si limita a copiare la formula, ma la rielabora, la rende moderna e, soprattutto, le dà una dignità propria. Con un Salvatore Esposito in grande forma, una Napoli vibrante e un mix riuscito di azione, humor e denuncia sociale, la serie si presenta come un prodotto capace di attrarre tanto i vecchi fan quanto il pubblico più giovane. Un ritorno al mito, sì, ma con un passo fermo nel futuro.

Gli 883 tornano alla ribalta grazie “Hanno ucciso l’Uomo Ragno”.

La nuova serie “Hanno ucciso l’Uomo Ragno”, disponibile su Sky e sulla piattaforma di streaming NOW, si rivela un affascinante viaggio tra amicizia, musica e sfide, capace di conquistare non solo gli appassionati degli anni ’90, ma anche chi è alla ricerca di storie di crescita e determinazione. Prodotta da Sky Studios e Groenlandia, sotto la direzione creativa di Matteo Rovere e Sydney Sibilia, la serie si presenta come una dramedy brillante che esplora la storia di Max Pezzali e Mauro Repetto, i fondatori degli 883, e lo fa attraverso otto episodi che combinano umorismo, riflessioni personali e un ritmo incalzante.

Tratta dalla biografia di Max Pezzali, “I cowboy non mollano mai”, la serie ci trasporta nei tumultuosi anni ’90, raccontando il percorso di formazione dei protagonisti. La storia segue Max e Mauro, interpretati rispettivamente da Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli, che partono dalla provincia di Pavia e, con passione e determinazione, trasformano il loro amore per la musica in un vero e proprio fenomeno culturale. Un fenomeno che ha segnato intere generazioni, unendo sogni, illusioni e quella ricerca di identità che caratterizzava l’epoca.

La serie non si limita a narrare il successo degli 883, ma esplora anche le difficoltà e le sfide che i protagonisti affrontano, come il tentativo di mantenere viva la loro amicizia di fronte alla crescente fama. Ambientata a Pavia, sullo sfondo di una provincia che pare ostacolare i sogni dei giovani, la storia di Max e Mauro diventa emblematica di quella lotta contro la mediocrità che molti adolescenti hanno vissuto. Qui, la musica non è solo un passatempo, ma un mezzo per affermarsi e per superare i propri limiti.

Il regista Sydney Sibilia, già noto per la sua abilità nel raccontare storie di resistenza e cambiamento, come nella trilogia “Smetto quando voglio” e nei film “L’incredibile storia dell’isola delle rose” e “Mixed by Erry”, riesce ancora una volta a catturare l’essenza di un’epoca. Grazie alla sceneggiatura di Francesco Agostini, Chiara Laudani e Giorgio Nerone, la serie alterna momenti di riflessione e introspezione a sequenze dinamiche che arricchiscono la trama e i personaggi secondari. Ogni episodio è costruito con un ritmo che rispecchia la provincia dell’epoca, ma che accelera al momento giusto, come se fosse una partita sportiva commentata dal vivo.

Non solo Max e Mauro sono al centro della narrazione. La serie dà spazio anche ad altri protagonisti, come gli amici di sempre, che accompagnano i due lungo il loro percorso adolescenziale. A pochi chilometri da Milano, il palcoscenico della musica italiana sta cambiando, con Claudio Cecchetto che sta lanciando nuovi talenti. Proprio a Pavia, Max e Mauro, senza particolari doti naturali ma con una sensibilità creativa unica, riescono a emergere, grazie a una determinazione che li porta lontano, affrontando il mondo dello spettacolo senza esperienza ma con il cuore pieno di sogni.

La scrittura della serie riesce a dipingere in modo perfetto quell’energia degli anni Novanta, per poi offrire un’accelerazione che riporta alla mente le canzoni degli 883, che diventano il vero motore emotivo della trama. Tra i volti noti del cast, oltre ai protagonisti, spicca Roberto Zibetti nel ruolo di Claudio Cecchetto, che rappresenta un punto di svolta fondamentale per la carriera del duo. Le performance degli attori, autentiche e ricche di sfumature, restituiscono al pubblico le emozioni di chi ha vissuto l’adolescenza degli anni ’90 e di chi, come Max e Mauro, ha avuto il coraggio di inseguire un sogno.

Non meno importante è la musica, che gioca un ruolo centrale nella serie. Ogni episodio è infatti accompagnato da una colonna sonora che non solo sottolinea gli eventi, ma riflette anche il profondo legame di amicizia tra i due protagonisti. La musica diventa un elemento che racconta tanto del loro percorso, ma anche della cultura italiana di quegli anni, facendo rivivere i brani che sono diventati iconici e che hanno segnato un’intera generazione. “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” è una serie imperdibile che riesce a trasportare gli spettatori in un viaggio nostalgico e autentico, mescolando umorismo e introspezione. Sibilia e il suo team riescono a regalarci un ritratto vivido di un’epoca che ha lasciato un segno indelebile nella cultura musicale e sociale italiana. Un viaggio che non riguarda solo il passato, ma che parla anche al presente, alle sfide e alle speranze di chi, come Max e Mauro, ha sempre sognato di cambiare il proprio destino.

La seconda stagione di Christian

La seconda stagione della serie dei miracoli è stata finalmente rilasciata: pronti a tornare a Città-Palazzo con il “santo picchiatore Christian, interpretato da Edoardo Pesce? Nei nuovi episodi, dopo la morte del boss Lino la Città-Palazzo ha bisogno di un nuovo re e per Christian arriva il momento di applicare il suo dono e costruire quel regno predetto dal Biondo. Dovrà imparare cosa significhi passare da piccolo delinquente a santo, da uno dei tanti a punto di riferimento di un’intera comunità, diventando “il re” di Città-Palazzo e imparando a compiere scelte in nome del bene di tutti… mentre Matteo (Claudio Santamaria), a cui verrà chiesto di schierarsi contro il salvatore di suo figlio, scoprirà la tentazione di giocare per sé.

Al suo fianco infatti arriva la Nera (Laura Morante), un essere divino determinato ad ostacolare i piani del Biondo. Ma il cuore umano è imprevedibile e nemmeno l’essenza divina del Biondo e della Nera riuscirà a controllare o anche solo immaginare che forma assumerà, tra le mura di Città Palazzo, la lotta per la propria libertà.

La serie, prodotta da Sky Studios e Lucky Red in collaborazione con Newen Connect, è diretta da Stefano Lodovichi e interpretata da Edoardo Pesce e Claudio Santamaria.

In questa nuova stagione (sei episodi, di cui i primi due in onda da oggi) si uniscono al cast Laura Morante e Camilla Filippi, e tornano Silvia D’Amico, Antonio Bannò , Francesco Colella, Gabriel Montesi, Giulio Beranek, Ivan Franek, Romana Maggiora Vergano.

The Nevers: trailer ufficale

In contemporanea assoluta con la messa in onda americana, debutterà il 12 aprile su Sky e NOW The Nevers, come annunciato dal trailer ufficiale appena rilasciato. La serie sarà un period drama a tema sci-fi con protagoniste un gruppo di donne di epoca vittoriana con abilità straordinarie e sovrumane, alle prese con nemici inarrestabili e con una missione che potrebbe cambiare il mondo. L’appuntamento è per la notte fra l’11 e il 12 aprile, quando il primo episodio andrà in onda su Sky Atlantic e sarà disponibile su NOW, in v.o. con sottotitoli, dalle 03:00; poi in prima serata, lunedì 12 aprile, alle 21.15, sempre su Sky Atlantic e in streaming su NOW. Dalla settimana successiva, dal 19 aprile, partirà invece la messa in onda in italiano.

https://youtu.be/gs-ODufnJ8Y

Laura Donnelly (Outlander) guida il cast nei panni di Amalia True, l’eroina più spericolata, impulsiva ed emotivamente compromessa della Londra tardo-vittoriana. Vedova, Amalia morirebbe per la causa e ucciderebbe per un drink: una vera minaccia per la soffocante società vittoriana. Coprotagonista è Ann Skelly che interpreta Penance Adair, giovane e brillante inventrice. Le affiancano Olivia Williams (Maps to the starsCounterpartVittoria e Abdul) nei panni di Lavinia Bidlow, leader delle “Touched,” come vengono chiamate le donne che hanno all’improvviso manifestato dei superpoteri, James Norton (McMafiaPiccole Donne) e Tom Riley (Da Vinci’s Demons) nei ruoli di Hugo Swann, un elegante e affascinante giovane pansessuale che gestisce un club segreto e un giro di estorsioni, e Augustus ‘Augie’ Bidlow, un nerd appassionato di ornitologia.

Completano il cast Rochelle Neil, Eleanor Tomlinson, Amy Manson, Pip Torrens, Denis O’Hare, Zackary Momoh, Elizabeth Berrington, Kiran Sawar, Anna Devlin, Viola Prettejohn, Ella Smith, Nick Frost e Ben Chaplin. Philippa Goslett (anche sceneggiatrice e showrunner), Bernadette Caulfield, Ilene S. Landress, Doug Petrie e Jane Espenson alla produzione esecutiva.