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Torsoli: Guglielmo Tell nella lotta contro gli zombie, un’originale rivisitazione horror del mito svizzero

Immaginate di prendere una delle leggende più iconiche della storia, quella di Guglielmo Tell, e di catapultarla in un mondo post-apocalittico invaso da zombie. Potrebbe sembrare una combinazione bizzarra, ma è esattamente ciò che Joël Prétôt fa con la sua graphic novel Torsoli, pubblicata dall’Istituto Editoriale Ticinese (IET) nella collana “Le Nuvole”. Un’opera che riesce a fondere con maestria il folklore svizzero, l’horror e una critica sociale di grande impatto, portando sullo schermo una versione inedita e inquietante del celebre eroe svizzero.

Guglielmo Tell, noto per la sua resistenza e per la sua lotta per la libertà contro l’oppressione, viene reimmaginato in un contesto post-apocalittico dove il male che minaccia la sua terra non è più un tiranno umano, ma un’orda di non morti famelici che infetta ogni angolo della sua patria. In Torsoli, Tell non è più solo il simbolo dell’indipendenza elvetica, ma diventa il faro di una lotta disperata contro un male che dilaga inesorabile. La sua arciere di fama mondiale non punta più a colpire frutti o tiranni, ma a fermare l’avanzata di una minaccia che trasforma i suoi compaesani in esseri privi di volontà e umanità.

Joël Prétôt, con il suo approccio originale e audace, riscrive la storia di Guglielmo Tell attraverso lenti horror e sociali. La scelta di inserire gli zombie in questo contesto non è casuale. Infatti, l’invasione degli zombi diventa una potente metafora della pericolosa diffusione di ideologie e mali contagiosi che travolgono le comunità, minacciando la loro stessa identità. Un tema che, sebbene possa sembrare anacronistico, è terribilmente attuale e rilevante, portando alla luce riflessioni sulle paure collettive, sulla resistenza e sulla lotta per la sopravvivenza in un mondo che cambia a una velocità spaventosa.

La storia di Torsoli è quindi più di un semplice racconto di zombi. È una riflessione sulla fragilità della società, un’esplorazione della condizione umana, vista attraverso il prisma di un mito eterno, quello di Guglielmo Tell, che viene trasfigurato in un eroe moderno, ma pur sempre legato alle sue radici. Prétôt non si limita a riprendere il mito originale, ma lo deforma, lo distorce, lo adatta ai tempi oscuri che sta raccontando. E lo fa con una grazia particolare, che unisce il ritmo dell’azione all’introspezione psicologica del protagonista.

Joël Prétôt, classe 1985 e originario di Paradiso, è un fumettista e illustratore che ha acquisito grande notorietà nel panorama italiano, grazie al suo stile distintivo e alla sua capacità di affrontare tematiche complesse con un linguaggio visivo unico. Dopo aver frequentato la Scuola del Fumetto di Milano, ha avuto modo di cimentarsi in numerosi progetti, realizzando opere autoprodotte e su commissione. Il suo impegno nel settore sociosanitario, poi, arricchisce ulteriormente la sua visione artistica, conferendo alle sue opere una profondità e una sensibilità rara. Con Torsoli, Prétôt non si limita a narrare una storia, ma invita il lettore a riflettere, a interrogarsi sul mondo che lo circonda e a confrontarsi con le proprie paure.

La scelta del contesto svizzero e la rilettura di una figura come Guglielmo Tell offrono, dunque, un’opportunità unica per esplorare temi universali come la libertà, la resistenza e la lotta contro l’oppressione, ma anche la paura del cambiamento e della disintegrazione sociale. Con un impianto narrativo che sa mescolare tradizione e innovazione, Torsoli non è solo un’opera di intrattenimento, ma un’occasione per riflettere sulle forze che modellano la nostra società e le nostre identità.

In conclusione, Torsoli è un’opera che segna un passo importante nel panorama del fumetto contemporaneo, un lavoro che va oltre la superficie e riesce a intrecciare generi diversi, dal folklore all’horror, dalla critica sociale alla riflessione sull’indipendenza e la lotta. Joël Prétôt ci regala una rivisitazione di Guglielmo Tell che, in un mondo invaso da zombie, assume nuovi e inquietanti significati, diventando non solo il simbolo di un’epoca, ma anche di un’umanità che lotta, a fatica, per non soccombere alle proprie paure.

La Leggenda di San Crescentino e il Drago di Città di Castello: Un Mito tra Storia e Fede

Nel cuore dell’Umbria, una delle regioni più ricche di leggende e tradizioni, spicca la straordinaria storia di San Crescentino, un santo che, tra realtà storica e mitologia, continua a incuriosire ed affascinare chiunque si avventuri in questa terra ricca di mistero. La sua vicenda è legata indissolubilmente alla leggenda di un drago, un mostro che terrorizzava la popolazione e che, secondo la tradizione, fu sconfitto dallo stesso Crescentino, che in quel periodo stava diffondendo il cristianesimo tra le genti umbre.

San Crescentino, nato a Roma nel 276, era figlio di Eutimio, un nobile romano convertito al cristianesimo. Cresciuto nell’ambito della legione romana, Crescentino si distinse per il suo impegno religioso e, in particolare, per il suo desiderio di propagare la fede cristiana. Nel 297, a causa della persecuzione voluta dall’imperatore Diocleziano, fu costretto all’esilio, insieme alla sua famiglia. Dopo la morte dei suoi genitori, Crescentino si rifugiò a Perugia e, successivamente, si recò a Città di Castello, dove la sua missione di cristianizzazione si intrecciò con un fatto straordinario che sarebbe entrato a far parte della leggenda popolare.

Secondo la tradizione, la città di Tifernum Tiberinum, l’attuale Città di Castello, era minacciata da un drago terribile che infastidiva la popolazione. Questo mostro alato, dal carattere scorbutico e irascibile, era solito terrorizzare i contadini, diffondendo malattie e distruggendo i raccolti con il suo alito velenoso. La creatura aveva preso dimora nella pianura paludosa vicina alla via che collegava i due villaggi, i Conti e Pian di Balbano. Ogni viandante che attraversava quella strada era costretto a lasciare un tributo al drago per poter proseguire il suo cammino.

Un giorno, però, il drago decise di non accettare più alcun tributo e, con il suo comportamento sempre più aggressivo, impedì a chiunque di transitare, arrivando addirittura a mangiare chiunque tentasse di sfidarlo. Proprio in quei giorni di furia cieca, giunse in zona un legionario romano di nome Crescentino, che aveva da poco abbracciato la fede cristiana. Nonostante il drago cercasse di intimidirlo, Crescentino, con grande coraggio, si rifiutò di cedere alla minaccia della bestia. Dopo aver cercato invano di ragionare con essa, ecco che la lotta tra il soldato e il mostro divenne inevitabile.

Lo scontro fu lungo e arduo, ma Crescentino non si fece sopraffare dalla forza della creatura. Con una lancia, sfidò il drago in un duello che lo vide trionfare. La bestia, dopo aver lanciato una maledizione contro il legionario, cadde sconfitta. Con la morte del drago, la valle fu liberata dal terrore e la popolazione accolse Crescentino come un eroe, un liberatore. Tuttavia, il suo destino si sarebbe compiuto tragicamente. Nel 303, Crescentino fu catturato durante le persecuzioni cristiane e, nonostante le sue miracolose opere e il suo coraggio, fu decapitato.

La leggenda di San Crescentino si è tramandata nei secoli grazie a due straordinarie reliquie che ancora oggi sono oggetto di devozione e ammirazione. La prima è una gigantesca costola del drago, lunga oltre due metri, che è conservata nel museo diocesano di Città di Castello. La seconda è un antico collare di ferro, utilizzato da Crescentino per domare la bestia prima di infliggerle il colpo mortale. Questi reperti continuano a suscitare meraviglia e a legare la figura del santo alla mitologia popolare, creando un’affascinante miscela di storia e leggenda che attira visitatori di tutte le età.

In ogni angolo della Pieve di San Crescentino, dove oggi si conserva la costola del drago, si respira un’atmosfera di mistero, un ponte tra passato e presente che affascina i curiosi e gli appassionati di leggende medievali. La storia di Crescentino è un esempio di come la fede e l’immaginazione possano intrecciarsi, creando una narrazione che continua a vivere nei secoli e che, ancora oggi, affascina e ispira chiunque la ascolti.

Questo mito, sospeso tra storia e fantasia, rimane una delle leggende più amate dell’Umbria, un racconto che, attraverso il sacrificio di un uomo e il coraggio di un soldato, ha trovato la sua strada nel cuore della tradizione popolare. La figura di San Crescentino, il suo drago e le reliquie che ne raccontano la storia sono ormai simboli indissolubili della cultura umbra, un punto di riferimento per chiunque desideri esplorare i misteri e le bellezze di questa affascinante regione.

La storia di Nera e Velino e Magia della Cascata delle Marmore: Tra Natura e Leggenda

Nel cuore della Valle del Velino, un luogo ricco di natura e leggende, si nasconde una delle meraviglie naturali più affascinanti d’Italia: la Cascata delle Marmore. Questo straordinario monumento naturale, con i suoi tre salti che raggiungono i 165 metri di altezza, non è solo un capolavoro di ingegneria della natura, ma anche il fulcro di storie di amore, sacrificio e mito che si intrecciano tra le valli dell’Umbria.

La leggenda che circonda la Cascata delle Marmore è una delle più romantiche e affascinanti. Si racconta di un amore impossibile tra Nera, una bellissima ninfa figlia del Dio Appennino, e Velino, un giovane pastore di umili origini. Il loro amore, nato tra i boschi umbri, fu condannato dagli dèi, in particolare da Giunone, che, indignata da questa unione proibita tra un mortale e una creatura divina, decise di punire Nera trasformandola in un fiume. Il giovane Velino, devastato dalla separazione, si rivolse alla Sibilla che gli rivelò la triste verità: la sua amata era condannata a scorrere eternamente in forma di fiume. In preda al dolore, Velino si gettò nel vuoto dalla rupe dove i due si erano giurati amore eterno, e Giove, commosso da questo gesto estremo, decise di esaudire il suo ultimo desiderio: trasformò Velino in acqua, unendolo per sempre a Nera. Da quel momento, la Cascata delle Marmore divenne il simbolo di quell’amore eterno, un’opera naturale che celebra il sacrificio e la devozione.

Oggi, il fiume Velino scorre attraverso un territorio ricco di storia e bellezze naturali. Il Velino, lungo 90 km, è il principale affluente del fiume Nera, il cui corso attraversa l’alta provincia di Rieti. Il fiume nasce dal Monte Pozzoni, a circa 1.667 metri sul livello del mare, e si snoda attraverso strette gole e valli, alimentato da numerosi affluenti e sorgenti, come quelle del Peschiera, tra le maggiori dell’Appennino. Arrivato a Rieti, il Velino attraversa la Piana Reatina, per poi dirigersi verso Marmore, dove finalmente si getta nel Nera, dando vita alla spettacolare cascata.

La Cascata delle Marmore non è solo una meraviglia naturale, ma anche una testimonianza storica di come l’uomo abbia interagito con la natura. Già nell’antichità, il Velino veniva chiamato Avens flumen dai Romani, e la sua area era soggetta a frequenti inondazioni. Nel 271 a.C., il console Manio Curio Dentato realizzò un intervento di bonifica che portò alla creazione di un canale, noto come Cavo Curiano, per deviare parte delle acque del fiume. Questo intervento, nel corso dei secoli, fu ampliato e modificato, e nel XVIII secolo, sotto il papato di Pio VI, l’architetto Andrea Vici realizzò la sistemazione definitiva della cascata, che ha raggiunto la sua forma attuale.

Nel corso dei secoli, la Cascata delle Marmore ha acquisito una notevole importanza anche dal punto di vista industriale. La società Terni, infatti, ha sfruttato l’energia idroelettrica prodotta dalle acque del Velino e del Nera, rendendo il sistema Nera-Velino uno dei complessi idroelettrici più potenti dell’Appennino. Tuttavia, oggi la cascata non è più visibile in modo continuo, poiché gran parte dell’acqua viene deviata per scopi industriali. La cascata può essere ammirata solo in determinati giorni, quando l’acqua viene liberata dalle condotte forzate.

La storia e la bellezza della Cascata delle Marmore, legate indissolubilmente alla forza della natura e alla cultura umana, continuano a catturare l’immaginazione di chi la visita. Ogni anno, i turisti si recano in questo angolo incantato dell’Umbria, non solo per ammirare uno degli spettacoli naturali più affascinanti d’Italia, ma anche per immergersi in una leggenda che affonda le sue radici nel mito e nel sacrificio, rendendo la Cascata delle Marmore un simbolo senza tempo di amore, natura e storia.

Nicola Verlato: Quando l’arte classica incontra il futuro

Hai mai pensato che i miti antichi potessero nascondere un futuro oscuro? Nicola Verlato, l’artista italiano che sta facendo parlare di sé, ci trasporta in un mondo dove il passato, il presente e il futuro si intrecciano in modo sorprendente.

Un’esposizione che ti lascerà senza fiato

A Imola Musei, la mostra “Myth Generation” ci svela l’universo creativo di Verlato, un mix esplosivo di arte classica, cultura pop e tecnologia. Le sue opere, cariche di significato e di una bellezza inquietante, ci invitano a riflettere sul nostro presente e sul nostro futuro.

Conflitti e miti: un binomio esplosivo

Al centro delle opere di Verlato c’è il conflitto, un tema eterno che l’artista declina in mille sfaccettature. Dalle guerre tra popoli alle lotte interiori, ogni quadro è un racconto potente e coinvolgente. Ma Verlato non si limita a rappresentare il conflitto: lo trasforma in un’opportunità per creare nuovi miti, per farci riflettere sul nostro mondo e sul nostro posto in esso.

Un’arte che va oltre la tela

L’uso innovativo della tecnologia è un altro elemento distintivo delle opere di Verlato. Modellazione 3D, realtà aumentata, video: l’artista utilizza tutti gli strumenti a sua disposizione per creare esperienze immersive e coinvolgenti. L’opera “The Merging”, ad esempio, ti permette di entrare letteralmente all’interno del quadro grazie a un’app dedicata.

Perché dovresti vedere questa mostra?

  • Per scoprire un nuovo modo di guardare all’arte: Verlato reinventa la pittura classica, creando opere che sono al tempo stesso belle e disturbanti.
  • Per riflettere sul nostro mondo: Le sue opere ci invitano a porci delle domande sul nostro presente e sul nostro futuro.
  • Per vivere un’esperienza unica: Grazie alla tecnologia, le opere di Verlato diventano interattive e coinvolgenti.

Non perdere l’occasione di immergerti nel mondo affascinante di Nicola Verlato!

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Fairy Tale di Stephen King: Un Viaggio Oscuro tra Fantasy e Orrore

Stephen King, il maestro indiscusso dell’orrore, torna a incantare i lettori con un nuovo capolavoro: Fairy Tale. Se pensavate di conoscere già tutto l’universo inquietante che l’autore sa evocare, vi sbagliate di grosso. Con questa sua ultima fatica, King si spinge oltre, mescolando l’orrore con il fantasy, creando una storia che cattura l’immaginazione, sfida la percezione della realtà e ci trascina in un mondo ricco di simbolismi e significati profondi.

Al centro della trama troviamo Charlie Reade, un adolescente che, apparentemente ordinario, si trova a dover affrontare una verità sconvolgente. La sua vita cambia quando scopre di aver ereditato una chiave, che gli permette di entrare in un mondo parallelo, nascosto dietro una porta dimenticata. Una porta che non porta solo a un altro luogo, ma a un universo che, per quanto magico e affascinante, è anche pericoloso e oscuro, popolato da creature mitologiche, eroi e mostri. Questo nuovo mondo diventa il palcoscenico di una battaglia eterna tra il bene e il male, un conflitto che affonda le radici nelle paure più profonde dell’animo umano.

Fairy Tale non è solo un romanzo horror. È una vera e propria discesa agli inferi, un viaggio iniziatico che pone il giovane Charlie di fronte a se stesso, alle proprie insicurezze, ai propri limiti. È una storia di crescita, di formazione, un cammino che lo obbliga a confrontarsi con le sue paure più recondite. Come ogni grande romanzo di formazione, la vicenda di Charlie è una riflessione sulla natura della vita, sul percorso che ognuno di noi compie per scoprire il proprio destino, nonché sulla lotta per la sopravvivenza, sia fisica che emotiva. King ci guida attraverso questo viaggio con la sua maestria narrativa, tessendo una trama ricca di allegorie e simboli che costringono il lettore a interrogarsi sulla dualità della natura umana, sul bene e sul male, sulla luce e l’oscurità che convivono in ognuno di noi.

In questo libro, King omaggia i grandi classici del fantasy. Se amate Tolkien, Lewis e il genere che ha dato vita a mondi magici e pieni di creature leggendarie, Fairy Tale saprà conquistarvi. L’autore, pur rimanendo fedele al suo stile inconfondibile, inserisce elementi che evocano i mondi fantastici che hanno affascinato generazioni di lettori, creando un universo che sembra uscito dalle pagine di un classico del fantasy, ma che allo stesso tempo è ricco di innovazioni sorprendenti. Il risultato è un mondo ben costruito, con dettagli straordinari che trasportano il lettore in un luogo tanto meraviglioso quanto terrificante.

Ma ciò che rende Fairy Tale ancora più interessante è la sua capacità di mescolare l’horror con il fantasy in modo unico. Mentre il lettore si perde tra gli incanti e i misteri di questo mondo parallelo, King non dimentica mai la sua vocazione da narratore dell’incubo. Le scene di tensione e paura sono magistralmente dosate, come solo lui sa fare, con colpi di scena che, in un attimo, possono trasformare un momento di apparente tranquillità in un’esperienza di puro terrore. Non c’è mai un attimo di respiro in questo romanzo, ogni pagina sembra spingere verso l’ignoto, invitando il lettore a proseguire senza mai fermarsi.

Per chi ama i mondi fantastici e le avventure epiche, Fairy Tale è un must. Le battaglie tra eroi e mostri, le creature mitologiche che abitano questo universo parallelo, sono ciò che ogni appassionato di fantasy sogna di trovare in una storia. E se a questo aggiungiamo la capacità di King di scendere nei meandri più oscuri della psicologia umana, di esplorare le paure e le speranze dei suoi personaggi, il risultato è un romanzo che non solo affascina ma fa riflettere.

Se invece siete amanti del brivido, King non delude mai. Le sue storie non sono mai semplici racconti di paura; sono veri e propri viaggi nell’oscurità, dove la suspense è tesa come una corda di violino e il terrore è sempre dietro l’angolo. In Fairy Tale, ogni angolo di questo mondo magico nasconde pericoli, e ogni creatura, per quanto affascinante, può rivelarsi una minaccia mortale.

Infine, per chi è alla ricerca di un romanzo di formazione, la storia di Charlie Reade è un classico moderno. È un viaggio attraverso l’adolescenza, la crescita, la scoperta di sé e del proprio posto nel mondo. La sua lotta interiore, la sua ricerca di significato in un mondo che non sempre sembra giusto, è il cuore pulsante di questo romanzo. La sua evoluzione da ragazzo alle prese con una vita ordinaria a giovane eroe che affronta il suo destino è un percorso che tocca profondamente chiunque abbia mai cercato di capire la propria identità e il proprio cammino nella vita.

In conclusione, Fairy Tale è un’opera che conferma il talento straordinario di Stephen King come narratore e inventore di mondi. Un romanzo che mescola orrore e fantasy, che esplora la natura umana in tutte le sue sfumature, che regala emozioni forti e indimenticabili. Se siete alla ricerca di un’avventura che vi catturi dalla prima all’ultima pagina, non potete assolutamente perdervi questo libro. Con Fairy Tale, King ci dimostra ancora una volta perché è considerato il re del brivido, capace di trasformare il terrore in un’arte e di regalarci, con ogni libro, un’esperienza unica.

Scoperta sensazionale: Atlantide si nasconde sotto le Canarie?

Il mito di Atlantide svelato?

Per secoli, Atlantide è stata avvolta nel mistero, una città leggendaria sprofondata negli abissi. Ma ora, una scoperta sensazionale potrebbe aver portato alla luce la verità sulla sua esistenza.

Un’esplorazione sottomarina

Un team di ricercatori spagnoli, durante una spedizione scientifica al largo delle Canarie, ha individuato tre isole vulcaniche sommerse. Queste isole, battezzate “Los Atlantes”, potrebbero essere i resti di un antico arcipelago che, secondo gli esperti, potrebbe aver ispirato il mito di Atlantide.

Un’antica civiltà perduta?

La scoperta è stata fatta grazie a un veicolo sottomarino a controllo remoto (ROV), che ha esplorato i fondali marini e ha permesso di creare una mappa dettagliata della zona. Le immagini mostrano chiaramente le strutture vulcaniche delle isole sommerse, con le loro spiagge, dune e scogliere, quasi come una fotografia di un passato remoto.

Un’ipotesi affascinante

Ovviamente, è ancora troppo presto per affermare con certezza che queste isole siano proprio la mitica Atlantide descritta da Platone. Tuttavia, la scoperta offre nuovi elementi per sostenere questa affascinante teoria.

Cosa ci riservano le prossime ricerche?

I ricercatori hanno in programma di condurre ulteriori studi per datare con precisione le isole sommerse e ricostruire la loro storia geologica. Questo permetterà di capire meglio se c’è un legame effettivo tra Los Atlantes e il mito di Atlantide.

Un mistero che continua

La scoperta di queste isole sommerse ha riacceso l’interesse per uno dei misteri più affascinanti della storia. Che si tratti o meno di Atlantide, questa scoperta ci ricorda quanto ancora abbiamo da scoprire sui nostri oceani e sulla storia del nostro pianeta.

Crema si tinge di rosso: una mostra dedicata ai vampiri

Dalle tenebre dell’anima alle pagine di un libro, il mito del vampiro ha affascinato l’umanità per secoli. Ora, il Museo Civico di Crema e del Cremasco ci invita a un viaggio nel cuore delle tenebre con la mostra “Vampiri. Illustrazione e letteratura tra culto del sangue e ritorno dalla morte”.

Dal 19 ottobre 2024 al 12 gennaio 2025, oltre 200 opere d’arte e letterarie ci trasporteranno in un mondo oscuro e affascinante, dove creature della notte si nutrono del sangue dei vivi.

Dalla leggenda al mito

Le origini del mito del vampiro affondano le radici nelle antiche credenze popolari, mescolando paura della morte, desiderio di immortalità e culto del sangue. La mostra di Crema ne traccia l’evoluzione, dalle prime testimonianze letterarie fino alle iconiche rappresentazioni cinematografiche e letterarie del XX secolo.

Bram Stoker e oltre

Il conte Dracula di Bram Stoker è solo uno dei tanti protagonisti che incontreremo durante questo percorso. Attraverso illustrazioni, litografie e prime edizioni di romanzi gotici, potremo ammirare come la figura del vampiro sia stata interpretata e reinventata nel corso dei secoli, diventando un’icona culturale di portata universale.

Il vampiro nell’immaginario collettivo

La mostra non si limita a esplorare le origini del mito, ma indaga anche il suo impatto sulla cultura contemporanea. Dai film horror ai romanzi gotici, dai fumetti ai videogiochi, il vampiro continua a esercitare un fascino irresistibile sull’immaginazione collettiva.

Un’esperienza unica

Vampiri. Illustrazione e letteratura tra culto del sangue e ritorno dalla morte è un’occasione imperdibile per tutti gli appassionati di letteratura gotica, storia del cinema e cultura popolare. Un’esposizione che ci invita a riflettere sulla nostra paura della morte, sul fascino del male e sulla nostra continua ricerca di ciò che è al di là della realtà.

Star Wars: Han o Greedo, il dilemma eterno risolto? La verità di George Lucas

Nel cosmo delle controversie, una risposta definitiva?

Tra i fan di Star Wars, la disputa su chi abbia sparato per primo tra Han Solo e Greedo nella cantina di Mos Eisley è leggendaria, tanto quanto la saga stessa. Un enigma che ha acceso dibattiti per decenni, alimentando teorie e interpretazioni contrastanti. Ora, finalmente, pare che George Lucas, il padre di Star Wars, abbia deciso di fare chiarezza una volta per tutte. Ma la sua risposta sarà sufficiente a placare gli animi dei contendenti?

Un duello di ipotesi: chi ha impugnato il blaster per primo?

Nella trilogia originale, la scena incriminata è avvolta in un alone di ambiguità. I primi piani serrati e il montaggio frenetico rendono difficile distinguere con certezza la sequenza degli eventi. Da una parte, c’è chi sostiene che Han Solo, interpretato da Harrison Ford, abbia sparato a sangue freddo, eliminando il cacciatore di taglie Greedo (Paul Blake) al soldo di Jabba the Hutt. Dall’altra, un’altra schiera di fan giura che Greedo abbia tentato di uccidere per primo, e Han abbia reagito solo per legittima difesa.

Lucas interviene: “Han non è un assassino a sangue freddo”

In un’intervista a The Hollywood Reporter, l’ottantenne Lucas ha affrontato la questione, cercando di smorzare i toni accesi della diatriba. Le sue parole, però, potrebbero non accontentare tutti:

“Beh, non è un evento religioso. Odio dirlo alla gente, ma è solo un film. La controversia su chi ha sparato per primo, Greedo o Han Solo, nell’Episodio IV… quello che ho fatto è stato cercare di chiarire la confusione, ma ovviamente ha fatto arrabbiare la gente perché volevano che Solo fosse un assassino a sangue freddo, ma in realtà non lo è.”

Modifiche contestate: tra tagli e nuove inquadrature

Nella versione originale del 1977, infatti, l’impressione era che Han avesse sparato per primo. Tuttavia, nelle edizioni speciali successive, Lucas ha modificato la scena, facendo in modo che Greedo sparasse per primo. Una scelta che ha sollevato un vespaio di polemiche tra i fan, tanto da spingere il regista a ulteriori ritocchi nel 2004 e nel 2011. Modifiche, però, che non hanno fatto altro che alimentare il malcontento.

La confessione di Lucas: “Non pensavo che fosse così importante”

Ammettendo di non aver dato molta importanza alla scena durante le riprese, Lucas ha spiegato la sua decisione:

“Era stato fatto tutto in primi piani ed era confuso su chi faceva cosa a chi. Ho messo un’inquadratura un po’ più ampia lì dentro, che ha chiarito che Greedo è quello che ha sparato per primo, ma tutti volevano pensare che fosse stato Han a sparare per primo, perché volevano pensare che in realtà lo avesse appena abbattuto.”

Verdetto finale: Han ha agito per legittima difesa

Nonostante le preferenze di alcuni fan per un Han “pistolero” spietato, la versione di Lucas chiude definitivamente la questione: Han Solo non è un assassino, ma un uomo che ha agito per difendere la propria vita. Una verità che potrebbe deludere alcuni, ma che ristabilisce la coerenza del personaggio e la sua natura da antieroe.

Oltre la diatriba: l’eredità di una scena iconica

Al di là delle interpretazioni e delle controversie, la scena di Han e Greedo rimane un’icona di Star Wars, capace di generare dibattito e appassionare i fan ancora oggi. Un piccolo tassello di un universo narrativo vasto e complesso, che continua ad affascinare e stupire generazioni di spettatori.

87 anni e non sentirli! La mitica 313 di Paperino: tra gag e leggende metropolitane

Tutta Italia ha festeggiato i 90 anni di Paperino, il paperotto più amato del mondo! Ma c’è qualcos’altro che merita di essere celebrato: la sua iconica auto, la 313! Ebbene sì, anche la mitica 313 ha la bellezza di 87 anni, ed è a tutti gli effetti una vettura storica dal valore (affettivo) inestimabile.

Era il 1937 quando la piccola cabrio rossa – ispirata all’American Bantam Speedster – fece il suo debutto nel cartone animato “Paperino innamorato”. Per conquistare il cuore della sua fiamma, Paperino la acquistò in un villaggio del Messico, scambiandola con un asinello. Come spesso capita con le auto usate, la 313 si rivelò subito un mezzo un po’ problematico: motore difettoso, freni ballerini e radiatore fragile. Ma aveva un asso nella manica: un clacson a tromba che non passava certo inosservato!

Nonostante i suoi acciacchi, la 313 iniziò a comparire regolarmente nelle strisce a fumetti di Paperino, a partire dal giugno del 1939. La sua prima immatricolazione ufficiale arrivò però solo il 22 marzo 1940. Da quel momento in poi, la cabrio rossa divenne una presenza fissa nelle avventure del paperotto, ancor più enfatizzata a partire dal 1943 grazie alle storie di Carl Barks, il leggendario disegnatore che diede vita a Paperone, Amelia, Gastone e Archimede.

Ma da dove viene la 313?

Gli sceneggiatori, inventando nomi di case automobilistiche fittizie, raccontarono che si trattava di una Belchfire Runabout del 1934, assemblata con pezzi di diverse auto: un motore Mixwell a due cilindri, una carrozzeria Dudge del 1922 e semiassi Paclac (un mix tra Packard e Cadillac). A distinguerla dai modelli americani dell’epoca, la trazione anteriore e un cambio a quattro marce.

Sopravvissuta a mille peripezie, la 313 di Paperino acquisì addirittura una sua anima.

Nel 1995, gli autori Michelini e Massimo De Vita realizzarono la striscia “Paperino e il segreto della 313”, dove si narravano le origini della vettura. Secondo la storia, Paperino ne divenne proprietario durante le riprese di un film in Messico. Grazie all’intervento di uno stregone, la 313 ottenne una “scintilla di vita”, diventando capace di agire sempre per il bene del suo paperotto e salvarlo da situazioni pericolose, anticipando addirittura i moderni sistemi Adas.

La 313 non è solo un’auto, è un simbolo.

Un pezzo di storia del fumetto e della cultura pop che ha accompagnato generazioni di lettori e spettatori. Un mito che continua a far sognare e divertire grandi e piccini.

Buon compleanno, 313!

Record of Ragnarok: un nuovo spin-off svela le carte!

Amanti di Record of Ragnarok, preparatevi ad un’immersione ancora più profonda nell’epico universo narrativo di questo manga cult! Un nuovo spin-off, intitolato “Shuumatsu no Valkyre Kinden – Kamigami no Apocalypse”, è in arrivo per offrirvi una prospettiva inedita sulla storia.

Dal punto di vista degli dei:

A differenza della trama originale, incentrata sulle Valchirie e sugli esseri umani, questo spin-off narrerà gli eventi dal punto di vista degli dei. Una scelta intrigante che ribalta la prospettiva e promette di svelare nuovi segreti e approfondimenti sulle divinità che combattono per il destino dell’umanità.

Autori emergenti, talento indiscusso:

Gli autori originali di Record of Ragnarok non saranno coinvolti nella creazione di questo spin-off, ma la storia sarà scritta da Naruse Otsuhiko, mentre le illustrazioni saranno curate da Okamoto Ippei. Due autori emergenti, ma dal talento indiscusso, che promettono di dare vita a un’opera appassionante e coinvolgente.

Pubblicazione mensile:

Shuumatsu no Valkyre Kinden – Kamigami no Apocalypse sarà pubblicato mensilmente sulla rivista Comic Zeno, a partire dal 24 giugno 2024. Al momento non sono stati forniti dettagli sul numero di capitoli previsti, ma l’attesa è già alta tra i fan di Record of Ragnarok.

Un’aggiunta imperdibile:

Questo spin-off rappresenta un’aggiunta imperdibile per tutti gli appassionati di Record of Ragnarok. Una nuova occasione per immergersi nell’epico mondo della serie, scoprire nuovi segreti e vivere la storia da una prospettiva inedita.

Non perdetevi questa nuova avventura! Preparatevi a scoprire un lato inedito di Record of Ragnarok con Shuumatsu no Valkyre Kinden – Kamigami no Apocalypse, in arrivo dal 24 giugno 2024.

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La Leggenda del Super Saiyan: Evoluzione, Potenza e Crescita Interiore in Dragon Ball

La mitologia di Dragon Ball è ricca di elementi iconici che hanno segnato profondamente la cultura popolare, ma uno dei concetti più affascinanti e fondamentali riguarda la trasformazione in Super Saiyan. Non si tratta solo di un incremento del potere fisico, ma di una vera e propria evoluzione che segna il passaggio da un guerriero comune a un combattente che sfida i limiti dell’umano, incarnando forza, determinazione e crescita interiore. Quella trasformazione, infatti, è legata a una leggenda antica che ha perseguitato la razza dei Saiyan per secoli, una leggenda che racconta di un guerriero dotato di poteri straordinari, in grado di ribaltare le sorti della battaglia più epiche e di diventare praticamente invincibile.

Secondo la tradizione, ogni mille anni nasce un guerriero Saiyan destinato a cambiare il destino dell’universo. Un guerriero tanto potente da spaventare anche i tiranni galattici più temibili. Tra questi, il più spaventato dalla leggenda era Freezer, che, consapevole del potenziale pericoloso di un Super Saiyan, distrusse il pianeta Vegeta, il cuore della civiltà Saiyan, nel tentativo di eliminare questa minaccia. Ironia della sorte, il suo atto di genocidio non fece altro che accelerare il processo, portando alla nascita di un guerriero che avrebbe infranto la maledizione: Son Goku.

La trasformazione di Goku in Super Saiyan avviene nel momento di massima disperazione su Namecc, quando assiste alla morte del suo amico più caro, Crilin, per mano di Freezer. La rabbia e il dolore per la perdita lo scatenano, ma ciò che rende unica questa trasformazione è la sua capacità di mantenere la mente lucida e il cuore calmo, una lezione importante che trascende la semplice forza fisica. Non basta infatti arrabbiarsi per ottenere questa forma leggendaria: la mente deve essere in equilibrio, come ha dimostrato Goku in quel momento cruciale.

Non tutte le trasformazioni in Super Saiyan, però, sono uguali. All’interno dell’universo di Dragon Ball, esistono vari stadi che differiscono per potenza e abilità. Il Super Saiyan di secondo e terzo grado, per esempio, non sono da confondere con i livelli successivi, ma rappresentano versioni potenziate del primo stadio. Queste forme si distinguono per un significativo aumento della massa muscolare e della forza, ma non sono prive di difetti. Il Super Saiyan di secondo grado è una forma che aumenta le capacità offensive, difensive e di velocità, e viene per la prima volta raggiunta da Gohan nella sua battaglia contro Cell. Gohan, infatti, è il primo a sbloccare questa evoluzione, segnando una pietra miliare nella saga.

Il Super Saiyan di terzo grado, invece, pur garantendo un’enorme potenza, si presenta come una trasformazione che ha un costo elevato in termini di energia. Nonostante ciò, Goku riesce a trarre il meglio da questa forma, anche se le battaglie lunghe sono difficili da vincere con una simile limitazione energetica.

In Dragon Ball GT, la saga che continua l’evoluzione dei Super Saiyan, vediamo l’introduzione del Super Saiyan 4, un passaggio che va oltre le trasformazioni precedenti. Per raggiungere questa forma, un Saiyan deve prima trasformarsi in un Grande Scimmione Dorato e, una volta ottenuto il controllo di questa furia, può evolversi ulteriormente. Anche in questo caso, Goku è il protagonista principale, mostrandosi come il miglior utilizzatore di questa potente evoluzione.

Con Dragon Ball Super arriva il Super Saiyan God, una forma che sfrutta il Ki Divino per portare i guerrieri Saiyan a un nuovo livello di potenza. In questo stadio, Goku e Vegeta sono molto simili per quanto riguarda la loro abilità nel padroneggiare questa tecnica, che li rende più forti e distruttivi rispetto a tutte le trasformazioni precedenti. Ma la vera rivoluzione arriva con il Super Saiyan Blu, la versione potenziata del Super Saiyan God. In questa forma, le capacità dei guerrieri Saiyan aumentano in modo esponenziale, e Vegeta si distingue per aver dominato questa tecnica al punto da ottenere una versione ancora più potente, il Super Saiyan Blu Evoluto.

Un’altra trasformazione da non dimenticare è il Super Saiyan Rage, esclusivo di Trunks, che raggiunge questa forma devastante durante la Saga di Black in Dragon Ball Super. Questa evoluzione aumenta notevolmente tutte le capacità di Trunks, sia in termini di potenza che velocità, consentendogli di affrontare minacce sempre più grandi.

Infine, il Super Saiyan Leggendario rappresenta l’apice della potenza Saiyan. Una forma che si manifesta una volta ogni mille anni, incarnata dal mitico Broly. Questo stadio rappresenta l’espressione suprema del potenziale Saiyan, la forma più potente che un guerriero possa raggiungere. Broly, con la sua forza sconfinata, è l’unico a incarnare il leggendario Super Saiyan, un guerriero di potenza ineguagliabile.

La trasformazione in Super Saiyan è, quindi, molto più di un semplice aumento delle capacità fisiche: è un simbolo di crescita, di superamento dei limiti e di continua evoluzione interiore. Ogni stadio di trasformazione rappresenta un passo fondamentale nel percorso di ogni guerriero Saiyan, ma allo stesso tempo, ci offre una lezione che va oltre l’universo di Dragon Ball. Ci insegna che, nella vita come nelle battaglie, è fondamentale mantenere la calma, la lucidità e la determinazione, anche nei momenti di maggiore difficoltà e frustrazione. Goku e i suoi alleati ci mostrano che il vero potere non risiede solo nella forza bruta, ma nella capacità di evolvere come individui, superando se stessi e affrontando le sfide con coraggio e saggezza.

Le origini del pensiero scientifico: il libro che sfida le interpretazioni accademiche

Gli Adelphi

La collana “Gli Adelphi” è una collana economica fondata nel 1989 dall’editore Adelphi. La collana pubblica libri di vario genere, tra cui opere di narrativa, saggistica e poesia. Alcuni dei libri più famosi pubblicati dalla collana includono “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” di Oliver Sacks, “Spillover. L’evoluzione delle pandemie” di David Quammen e “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera. Alcuni dei libri più recenti pubblicati dalla collana includono “Le origini del pensiero scientifico” di Giorgio de Santillana e “Atti umani” di Han Kang.

Giorgio de Santillana

I libri Adelphi sono considerati politicamente scorretti perché sfidano i confini tra le discipline e provocano la rabbia degli esperti e dei fondamentalisti. La ripubblicazione de L’origine del pensiero scientifico di Giorgio de Santillana, un capolavoro sulla storia della scienza che è stato ripubblicato dopo quarant’anni dalla prima edizione ne è un valido esempio. Oggi, l’autore verrebbe probabilmente etichettato come un “complottista” dal CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) e dagli scientisti, ma in realtà fu un genio.

È ormai chiaro che la scienza ha a che fare non solo con la Storia, ma anche con le storie, soprattutto per coloro che hanno letto le nuove frontiere della storia e della sociologia della scienza nell’ambito STS (Science and Technology Studies), un campo interdisciplinare di insegnamento e ricerca accademica che si concentra sull’analisi della scienza e della tecnologia come costrutti sociali complessi con influenze sociali che comportano molteplici questioni epistemologiche, politiche ed etiche. La ripubblicazione con nuova traduzione del saggio di Giorgio de Santillana, Le origini del pensiero scientifico: da Anassimandro a Proclo, ci permette di ricostruire gli inizi della scienza, che sempre più studiosi fanno risalire alla scienza ellenica, alla Grecia, da Anassimandro a Eudosso.

Il libro di de Santillana ci offre anche uno sguardo sulle condizioni di salute della scienza attuale e dell’impresa intellettuale in senso lato. Questo perché l’approccio di de Santillana è sempre stato quello di un ricercatore curioso ed espansivo, in grado di collaborare e ampliare i confini dello studio fino a comprendere sempre nuovi ambiti, mito compreso. In contrasto con i nostri tempi, in cui gli scienziati si limitano al loro campo e i difensori della scienza agiscono a scapito di un vero dialogo tra campi del sapere.

Contaminazioni

De Santillana, fisico di formazione, è stato uno dei più importanti storici della scienza del Novecento a livello internazionale. Docente al MIT ma laureato a Roma, fu assistente e compagno di viaggio di Federigo Enriques, una delle menti italiane più grandi del secolo scorso.
Il nome di Giorgio de Santillana, uno dei più importanti storici della scienza del Novecento, è stato spesso associato a movimenti di indagine e ricercatori considerati complottisti o cospirazionisti. Questo è in parte dovuto al suo lavoro con Herta von Dechend, “Il Mulino di Amleto”, che divenne popolare grazie alla menzione nel volume “Impronte degli dei” di Graham Hancock. Tuttavia, questa associazione è un limite dei suoi detrattori.

Conclusioni

La grande lezione di de Santillana è quella di diffidare dei “cautious contemporaries”, quei ricercatori vigliacchi che nulla concedono alle nuove idee e all’entusiasmo della ricerca. Oggi l’opposizione arriva non solo dall’Accademia, ma anche dai media e dall’opinione pubblica. In un’epoca in cui la ragione è isterica, autori come Giorgio de Santillana offrono un’alternativa razionale in cui l’intelletto riunisce i vari indirizzi di ricerca in un unico grande viaggio planetario.

Lo storytelling di Star Wars e la visione creativa di George Lucas come architettura del mito moderno

Quando nel 1977 comparve per la prima volta sullo schermo la frase “Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…”, nessuno avrebbe potuto immaginare che quelle otto parole sarebbero diventate l’incipit mitico di uno degli universi narrativi più iconici, influenti e duraturi della storia del cinema. Con Star Wars, George Lucas non ha soltanto creato un film di fantascienza, ma ha plasmato un vero e proprio ecosistema narrativo in cui il passato, il presente e il futuro si fondono in un’esperienza mitologica e tecnologica ineguagliabile. L’arte dello storytelling di Star Wars, frutto di una visione creativa quasi profetica, continua ancora oggi a ispirare registi, scrittori, artisti e intere generazioni di fan. E tutto parte da una domanda fondamentale: come ha fatto Lucas a creare una galassia così perfettamente coesa, capace di espandersi all’infinito senza perdere la propria identità?

La risposta sta in una combinazione quasi alchemica tra mitologia, innovazione tecnica e visione transmediale. Come analizzato nel saggio “Star Wars come esercizio di futuro” di Luca Bertoloni, il futuro nella saga di Lucas non è soltanto un’ambientazione fantascientifica: è un meccanismo narrativo profondo, un processo culturale attraverso cui il cinema stesso si fa anticipatore di scenari, tecnologie e visioni del mondo. Il genio di Lucas è stato quello di saldare la potenza evocativa degli archetipi mitologici — il viaggio dell’eroe, il maestro saggio, la lotta fra bene e male — con un immaginario visivo assolutamente innovativo, capace di ridefinire lo stesso concetto di fantascienza.

Lucas ha attinto a piene mani dalla teoria di Joseph Campbell e dalla struttura narrativa del “monomito” per costruire il percorso di Luke Skywalker, facendo di Star Wars una vera “epopea pop” dove il mito incontra la modernità. Ma ha fatto anche di più: ha reso quel mito accessibile, contemporaneo, e soprattutto espandibile. Come osserva Francesca Medaglia, l’universo di Star Wars funziona come una narrazione complessa e fluida, un racconto mitico che si irradia da un nucleo centrale verso infiniti media: cinema, serie tv, libri, fumetti, videogiochi. Questa natura transmediale è ciò che ha permesso a Star Wars non solo di sopravvivere, ma di evolversi continuamente, riscrivendo la propria mitologia in funzione del presente, senza mai perdere il legame con le proprie origini.

L’intuizione di Lucas è stata quella di comprendere che il futuro — e quindi anche la fantascienza — può esistere soltanto se ancorato a un passato condiviso, a una memoria simbolica e mitica che dia coerenza e profondità al racconto. Star Wars non è ambientato “nel futuro”, ma in un passato immaginario che sembra già accaduto, proiettando lo spettatore in un universo narrativo che si comporta come un mito ancestrale: familiare, archetipico, eterno. La Forza, con la sua dicotomia tra lato chiaro e lato oscuro, diventa metafora della dualità umana, della lotta interiore tra bene e male, mentre i Jedi incarnano figure quasi monastiche, eredi tanto del bushido samurai quanto della cavalleria medievale.

L’universo narrativo costruito da Lucas è aperto, stratificato e modulabile. Dopo la trilogia originale, la realizzazione della trilogia prequel e la successiva acquisizione del franchise da parte della Disney hanno portato a un’esplosione transmediale senza precedenti. In questo processo, lo storytelling di Star Wars ha dimostrato una flessibilità e una resilienza raramente osservabili in altri prodotti culturali. Anche davanti a scelte discutibili o linee narrative dissonanti, la galassia lontana lontana ha continuato a generare nuove storie, nuovi personaggi, nuovi miti, confermando la sua natura di laboratorio narrativo in costante evoluzione.

E se è vero che la Disney ha, in parte, smarrito quella coerenza visionaria tipica dell’epoca lucasiana, è altrettanto vero che il lavoro bottom-up dei fan — come evidenziato da Bertoloni e Medaglia — ha contribuito a tenere viva la fiamma del mito. L’universo espanso, ora ribattezzato “Legends”, è diventato un gigantesco archivio di possibilità narrative da cui attingere per nuovi sviluppi, dimostrando che in Star Wars la creatività non è un atto autoriale isolato, ma un processo collettivo e partecipativo.

In conclusione, George Lucas non ha solo inventato una saga di successo: ha creato un linguaggio. Star Wars è un esperimento riuscito di futuro, un esercizio mitopoietico che si rinnova a ogni generazione. È il luogo dove la tecnica diventa arte, la narrazione diventa mitologia e lo spettatore diventa parte attiva di un mondo che continua a espandersi, a cambiare, a evolvere. E mentre nuove storie si preparano a essere raccontate — nei film, nelle serie, nei giochi — una cosa è certa: in quella galassia lontana lontana continueremo a trovare riflessi del nostro presente, sogni del nostro futuro e ombre del nostro passato.

E voi, quale parte della saga vi ha segnato di più? Avete un personaggio, un pianeta o una citazione che per voi rappresenta tutto l’universo di Star Wars? Raccontatecelo nei commenti o condividete questo articolo sui vostri social con l’hashtag #CorriereNerdGalassia! Che la Forza sia con voi… sempre.

Il potere del fantastico: come film e videogiochi trasformano la nostra visione della realtà

Il fantastico ha sempre avuto una funzione cruciale nell’esperienza umana. Dai miti antichi alle narrazioni moderne, le storie che trascendono il quotidiano hanno plasmato la nostra immaginazione collettiva, fornendo nuove chiavi di lettura della realtà. Oggi, con la potenza visiva del cinema e l’interattività dei videogiochi, il fantastico assume una forza senza precedenti, capace non solo di intrattenere ma anche di influenzare il modo in cui percepiamo il mondo.

L’immaginario fantastico crea universi in cui tutto è possibile: draghi volanti, eroi immortali, viaggi nel tempo e multiversi coesistenti. Questi mondi, apparentemente lontani dal nostro, agiscono come specchi deformanti in cui la realtà si riflette in forme nuove e inaspettate. Il cinema, con la sua capacità di visualizzare l’invisibile, e i videogiochi, con la loro interattività immersiva, hanno la straordinaria capacità di riscrivere i confini dell’immaginazione. Ma in che modo questo processo incide sulla nostra percezione del reale?

In primo luogo, il fantastico ridefinisce ciò che riteniamo possibile. Opere come Matrix o Inception hanno sfidato il concetto stesso di realtà, portando lo spettatore a interrogarsi sul significato del mondo che lo circonda. Se la realtà può essere simulata o manipolata, allora cos’è davvero reale? Questi interrogativi non si limitano al piano della narrazione ma si trasferiscono nella vita quotidiana, alimentando il dibattito filosofico, scientifico e persino tecnologico. Non è un caso che l’attuale sviluppo del metaverso e della realtà virtuale debba molto a queste narrazioni visionarie.

I videogiochi, dal canto loro, offrono un’esperienza ancor più personale e partecipativa. Giochi come The Legend of Zelda, Dark Souls o Hollow Knight non si limitano a raccontare storie: chiedono al giocatore di abitarle, di vivere le emozioni dei protagonisti e di affrontare dilemmi morali. In questo senso, l’interattività permette non solo di osservare mondi fantastici, ma di plasmarli attivamente. Ogni scelta presa dal giocatore diventa un atto creativo che, in qualche modo, si riflette nella sua visione della vita reale. Un giocatore abituato a superare ostacoli insormontabili in un contesto fantastico potrebbe sentirsi più fiducioso nell’affrontare le sfide della quotidianità.

Un altro aspetto cruciale del fantastico è la sua capacità di liberare l’immaginario collettivo, aprendo spazi per il “nuovo”. Spesso si pensa che il fantastico sia una fuga dalla realtà, ma a ben vedere è proprio il contrario: il fantastico non solo rispecchia il presente, ma immagina futuri alternativi. La fantascienza, in particolare, ha prefigurato molte delle tecnologie che oggi diamo per scontate. I telefoni cellulari, i tablet e persino l’intelligenza artificiale sono stati “sognati” da opere come Star Trek o i romanzi di Isaac Asimov, dimostrando che il fantastico non è un rifugio dall’esistente, ma una fucina di invenzioni.

In questo senso, il fantastico può essere interpretato come uno “spazio liminale”, una soglia tra il conosciuto e l’ignoto. Abitare questa soglia permette di accedere a uno spazio mentale in cui idee impensabili diventano improvvisamente realizzabili. Quando vediamo un film come Avatar e ci meravigliamo per la biodiversità del pianeta Pandora, il nostro sguardo verso le foreste terrestri cambia. Quando viviamo l’avventura di un protagonista che supera i propri limiti, anche noi ci sentiamo spinti a oltrepassare i nostri confini. È questo il potere trasformativo del fantastico: non è un’evasione, ma un allenamento della mente a vedere il mondo con occhi diversi.

Il fantastico diventa così uno strumento culturale per superare i limiti del pensiero. Esplorare realtà impossibili porta a riconsiderare i confini di ciò che pensiamo sia possibile. Questo processo ha un impatto concreto non solo sul nostro immaginario personale ma anche su quello collettivo. Il concetto di “immaginario collettivo” si riferisce al patrimonio simbolico, mitologico e culturale condiviso da una comunità. Le storie fantastiche, diffondendosi attraverso film e videogiochi, contribuiscono a plasmare nuove visioni comuni. Pensiamo ai supereroi: una volta confinati alle pagine dei fumetti, oggi sono icone universali che incarnano ideali di giustizia, sacrificio e lotta per il bene comune. Il loro successo testimonia il desiderio collettivo di vedere il mondo trasformato in meglio, di credere che anche l’impossibile possa realizzarsi.

Anche la psicologia riconosce l’importanza del fantastico. L’immaginazione non è solo un rifugio, ma una forma di pensiero “controfattuale”, ovvero la capacità di immaginare scenari alternativi rispetto a ciò che è accaduto. Questa abilità è fondamentale per il problem-solving, per la creatività e per la resilienza emotiva. Chi riesce a immaginare finali diversi per le proprie storie personali è più capace di affrontare i traumi e le difficoltà. In questo senso, il fantastico non è solo intrattenimento, ma una risorsa terapeutica.

Infine, il fantastico alimenta il bisogno umano di meraviglia. Il sociologo Zygmunt Bauman sottolineava come la modernità liquida avesse ridotto la capacità di provare stupore, rendendo la realtà sempre più prevedibile e regolata da algoritmi. Il fantastico, invece, risponde al desiderio primordiale di stupirsi, di sentirsi parte di qualcosa di più grande. Questo desiderio è universale e si manifesta in tutte le culture: dai racconti orali delle tribù antiche ai blockbuster di oggi. Quando entriamo in una sala cinematografica o indossiamo un visore VR per esplorare un videogioco, torniamo a essere esploratori di mondi sconosciuti, ritrovando la meraviglia che il mondo reale, troppo spesso, ci nega.

In conclusione, il fantastico ha il potere di trasformare la nostra visione della realtà su più livelli. Ridefinisce i confini del possibile, favorisce la nascita di nuove idee e rafforza la nostra resilienza emotiva. Film e videogiochi, con la loro potenza narrativa e immersiva, offrono un’esperienza unica di “realtà aumentata” mentale, in cui il possibile e l’impossibile si fondono. Non si tratta solo di evasione, ma di un percorso di crescita personale e collettiva. Attraverso il fantastico, impariamo a vedere il mondo non per come è, ma per come potrebbe essere. E in questo atto di immaginazione, forse, si nasconde il seme del cambiamento.

Il serial tv di The Immortal (L’immortale)

L’Immortalità, un concetto, un’idea che ha sempre affascinato i sognatori e gli avventurieri di ogni epoca e nazione, ha riempito con la sua leggenda libri e racconti. Il concetto di Immortalità non ha fatto solo tremare interi regni e dato vita a leggendarie spedizioni alla sua ricerca, inserite in “fonti della giovinezza” o “frutti fatati”, ma ha anche ispirato molti scrittori e sceneggiatori, allargando con queste storie un filone già prolifico come il genere “fantastico”. Su questo argomento voglio soffermarmi su una serie televisiva, che ha avuto poca fortuna, ma nel complesso sia per una trama ricca d’azione che per l’argomento trattato in ogni episodio, quello della mortalità umana, avrebbe meritato un destino migliore; la serie del 1969 si intitola The Immortal, ed è tratta da un romanzo di fantascienza di James Gunn intitolato The Immortals (Gli Immortali), anche se diversifica molto dalla trama originale. Tale serie è stata prodotta dalla Paramount Television ed è composta da una sola stagione composta da 16 episodi (15 più il pilot) dalla rete statunitense ABC, qui in Italia venne trasmessa verso la fine degli anni settanta – metà anni ottanta su Rai 1 con il titolo “L’Immortale” e successivamente sulle reti locali con il nuovo titolo di “Ben Richards l’Immortale”.

La storia è incentrata su Ben Richards, un uomo pressoché comune come tanti altri sul pianeta, infatti egli ha un modesto impiego presso un’azienda che si occupa di car test, e, nonostante abbia superato i quarant’anni, egli dimostra metà della sua età, altra sua peculiarità è che in tutta la sua vita egli non ricorda un solo giorno in cui sia stato malato, ma a parte queste curiosità egli conduce una vita assolutamente tranquilla e normale. Ma per Ben tutto cambia radicalmente il giorno in cui decide di fare una donazione di sangue; infatti mentre il suo sangue viene analizzato, spunta fuori una specie di anomalia e a un più approfondito esame risulta che il sangue di Ben Richards ha al suo interno tutti gli anticorpi esistenti, rendendolo geneticamente immune a ogni malattia o infezione, e, vista anche la sua anamnesi biologica, questo rende Ben Richards una sorta di “Immortale”. Venendo a sapere tale scoperta, Arthur Maitland, un anziano e malato miliardario, vuole carpire il segreto del sangue di Ben Richards per poterlo sfruttare a suo piacimento, e non esita a utilizzare ogni mezzo lecito e illecito per ottenerlo. Così Ben Richards è costretto a lasciare la sua vita per poter evitare di diventare una specie di cavia da laboratorio ed essere vivisezionato per i fini personali di gente senza scrupoli e diventa un vagabondo senza meta sempre in fuga.

https://www.youtube.com/watch?v=aRu6kKqjB2Y

Questa serie è molto interessante, non solo perché parla dell’Immortalità fine a se stessa, ma mette anche in discussione argomentazioni più personali, come la classica domanda etica “cosa si sarebbe disposti a fare per vivere più a lungo?”, oppure “che vita si può condurre a essere il solo con questo “dono” senza nessun altro nella stessa condizione con cui condividere l’eternità?”, domande etiche, che in questa serie vengono a galla via via in ogni episodio, con il protagonista che giorno dopo giorno è consapevole di dover passare la sua lunga vita in eterna solitudine.