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Ironheart: Cuore, bulloni e magia – la rinascita del MCU tra Chicago e Mephisto

C’è una nuova scintilla che arde nel cuore del Marvel Cinematic Universe, e ha il volto giovane, determinato e sorprendentemente intenso di Riri Williams. “Ironheart”, la miniserie sviluppata da Chinaka Hodge per Disney+, non è solo l’ennesimo tassello di una Fase Cinque che sembrava arrancare tra nostalgie post-Endgame e nuovi inizi incerti. È un vero e proprio atto di fede nel futuro, un’esplosione narrativa che miscela tecnologia, magia e identità con un’urgenza che non si vedeva da tempo nel panorama seriale del MCU.

Quello che potrebbe sembrare l’ennesimo “spin-off minore” — figlio del debutto di Riri Williams in Black Panther: Wakanda Forever — si trasforma episodio dopo episodio in qualcosa di più ambizioso, più profondo. “Ironheart” non è solo una serie di supereroi. È una dichiarazione di intenti. È la testimonianza che le nuove generazioni di eroi non devono per forza camminare nelle orme di chi li ha preceduti, ma possono costruire, bullone dopo bullone, la loro armatura di senso e valore.

Riri Williams: non la nuova Iron Man, ma la prima Ironheart

Fin dall’inizio, la serie chiarisce una cosa fondamentale: Riri non è Tony Stark. E non vuole esserlo. Nonostante le similitudini — una mente geniale, una propensione al bricolage tecnologico, un talento precoce — Dominique Thorne dà vita a un personaggio che si distacca da ogni paragone forzato. La sua Riri è vulnerabile e tosta, intelligente e impulsiva, una giovane donna segnata dalla perdita e dalla pressione, che usa l’ingegno come scudo emotivo.

La scrittura di Hodge riesce nell’impresa più difficile in questo momento storico del MCU: rendere umana una supereroina, farci vedere cosa c’è dentro l’armatura prima ancora che essa venga indossata. Ogni volta che Riri entra in azione, non lo fa per ego, né per gloria. Lo fa per sopravvivere a un mondo che l’ha spezzata, e che lei stessa vuole aggiustare, pezzo dopo pezzo.

E Thorne è pazzesca. Una presenza scenica magnetica, una gamma emotiva sorprendente, una recitazione che si muove tra la dolcezza e la furia con naturalezza disarmante. Ogni sua scena ti cattura, ti tira dentro quella corazza e ti fa sentire il battito metallico del suo cuore.

Scienza contro magia: un conflitto che accende l’immaginazione

Ma non sarebbe Marvel senza un buon antagonista. E qui entra in scena Parker Robbins, alias The Hood, interpretato da un Anthony Ramos in stato di grazia. Robbins non è il solito villain monodimensionale: è una figura tragica, affascinante, quasi shakespeariana, un uomo travolto da poteri più grandi di lui e da una rabbia che non riesce a domare.

Il vero colpo di genio? Il contrasto tra la razionalità scientifica di Riri e il caos mistico di Hood. In un mondo dove la tecnologia ha dominato per fasi intere dell’MCU, “Ironheart” ha il coraggio di introdurre un conflitto filosofico tra scienza e magia, tra logica e superstizione, tra microchip e incantesimi. E lo fa con equilibrio, senza denigrare né l’una né l’altra. Quando Robbins evoca il suo mantello magico, quando sfugge alle leggi della fisica, quando si allude alla presenza oscura di Mephisto (sì, quel Mephisto…), non c’è solo spettacolo: c’è inquietudine. C’è meraviglia.

Eppure, anche in questo dualismo, la serie trova spazio per la tenerezza. Perché Robbins è più che un nemico: è uno specchio distorto di Riri. Entrambi cercano un senso, entrambi sono spezzati, entrambi lottano per qualcosa che li trascende.

L’anima digitale di Ironheart

A dare ulteriore spessore alla storia c’è N.A.T.A.L.I.E., l’intelligenza artificiale che accompagna Riri nel suo cammino. Inizialmente, potrebbe sembrare un semplice omaggio a Jarvis o Friday, ma con il tempo si rivela una presenza emozionale potentissima. Natalie è la memoria viva di un’amicizia perduta, una voce che guida e consola, un fantasma digitale che abita l’armatura e l’anima di Riri. Una scelta narrativa toccante, che apre spunti sul lutto, la memoria e la difficoltà di lasciar andare.

Armature urbane, magia metropolitana

A livello visivo, “Ironheart” è una delizia per gli occhi nerd. Le armature non sono lisce, iper-lucide, create da nanobot ultratecnologici: sono meccaniche, grezze, tangibili. Hanno peso, scricchiolano, si surriscaldano. Sono figlie delle officine, non dei laboratori miliardari. Ed è proprio questo stile “urbano” che rende la serie visivamente distinta da tutto il resto dell’MCU. Chicago diventa un vero e proprio personaggio: sporca, viva, colorata, vibrante. Una città che pulsa al ritmo delle scelte morali di chi la abita.

Il contrasto con la magia è fortissimo, eppure funziona. L’introduzione di Zelma Stanton (personaggio riadattato ma perfettamente centrato) ci apre le porte a un lato più dolce e sensibile dell’universo magico Marvel, meno cupo di Strange, ma altrettanto potente. Quando le armature di Riri iniziano ad assorbire incantesimi, il mix tra tecnologia e stregoneria raggiunge un livello mai visto prima nel MCU. Un crossover di concetti che ci fa venire voglia di vedere ancora più esperimenti simili.

Un cast di comprimari degno di nota e qualche sorpresa

Non mancano le chicche per i fan più attenti. Zeke Stane, figlio del leggendario Obadiah (ricordate il primo Iron Man?), torna in scena con un Alden Ehrenreich finalmente in un ruolo all’altezza delle sue capacità. Alcuni camei spettacolari (tranquilli, niente spoiler) e un certo “misterioso personaggio” interpretato da Sacha Baron Cohen fanno impennare l’asticella dell’hype senza mai distrarre dalla narrazione principale.

La continuità col resto dell’MCU è elegante, mai invadente. Non c’è fan service gratuito, ma collegamenti intelligenti, seminati con garbo. Ogni elemento ha un peso. Ogni scelta narrativa è al servizio del personaggio.

Il futuro è giovane, potente e brillante

Con sei episodi (troppo pochi, diciamolo), “Ironheart” riesce a costruire un nuovo linguaggio Marvel. Uno che parla alle nuove generazioni senza perdere profondità. Uno che osa, che emoziona, che mostra che il futuro dei supereroi può essere più personale, più complesso, più vero.

La regia è sobria ma efficace, con tocchi visivi splendidi nelle scene magiche. La colonna sonora di Dara Taylor è un capolavoro nascosto: un mix di soul, hip hop e tensione che ti accompagna come un secondo battito cardiaco.

In definitiva, “Ironheart” è tutto ciò che una serie Marvel dovrebbe essere nel 2025: coraggiosa, innovativa, emotivamente potente. E, cosa più importante, riesce a farci credere di nuovo nei supereroi.

Allora ditemi: l’avete già vista? Vi ha conquistato Riri? Vi ha incuriosito The Hood? Vi ha spiazzato la fusione tra tecnologia e incantesimi? Raccontatemelo nei commenti, condividete questo articolo con i vostri compagni di binge-watching e fatemi sapere se anche a voi il cuore ha iniziato a battere un po’ più forte grazie a questa nuova, sorprendente eroina.

Dreams Factory: il dark fantasy steampunk che fonde Oliver Twist e Hansel e Gretel in una Londra magica e inquietante

Cosa succede quando l’eco di Oliver Twist si fonde con le atmosfere oscure di Hansel e Gretel, mentre attorno sibila il vapore delle caldaie di una Londra alternativa, dove il confine tra magia, meccanica e mistero è talmente sottile da diventare illusione? Succede che nasce qualcosa di meravigliosamente inquietante e irresistibilmente affascinante: si chiama DREAMS FACTORY, e sarà disponibile dall’8 luglio in tutte le fumetterie, librerie e store online grazie all’etichetta Astra di Star Comics.

Questa graphic novel, racchiusa in un volume unico dal prezzo popolarissimo di 8,90 euro, è il risultato della sinergia tra due artisti d’eccezione: Jérôme Hamon, già noto per opere profonde e poetiche come Nils ed Emma e Violette, e Suheb Zako, art director e character designer che ha contribuito alla magia visiva della serie Arcane. Il loro incontro ha dato vita a un’opera che sembra uscita direttamente da una pellicola d’animazione, tanto è potente la componente visiva e cinematografica che ne attraversa le pagine.

Siamo nel cuore di una Londra alternativa del 1892, cupa e soffocante, inghiottita dal fumo delle fabbriche e intrappolata nel gelo di un inverno senza fine. In questo scenario degno di un romanzo di Dickens riveduto in chiave steampunk, seguiamo le orme di Indira, una giovane costretta come tanti altri bambini a lavorare nelle miniere di carbone per sopravvivere. La sua vita, già segnata dalla miseria e dalla fatica, subisce un colpo devastante quando il suo fratellino Eliott sparisce misteriosamente. Ma la sua scomparsa non è un caso isolato. Ben presto, la ragazza scoprirà che molti altri bambini nei villaggi circostanti stanno svanendo nel nulla, uno dopo l’altro, senza lasciare traccia.

Indira si ritroverà così a inseguire una verità che ha il sapore dell’incubo, in un mondo dove nulla è come sembra. Al centro di tutto, come un cuore meccanico che batte nell’ombra, c’è la Dreams Factory, una fabbrica dal nome ingannevole, che promette sogni ma potrebbe invece nascondere incubi a occhi aperti. Cosa si cela dietro le sue mura fredde e metalliche? Cosa si annida nei suoi ingranaggi, tra alambicchi e vapori? Chi muove davvero i fili di quella che sembra una gigantesca macchina per il rapimento e lo sfruttamento dell’infanzia?

Il tono è quello di un dark fantasy dai tratti esoterici, dove la suspense non è mai gratuita ma costruita con cura, passo dopo passo, mentre la tensione cresce come un fiume in piena. Il lettore viene trascinato nel viaggio di Indira, in un mondo visivamente straordinario, dove la magia, la tecnologia e la crudeltà umana si fondono in una miscela affascinante e disturbante. La narrazione di Hamon è sapientemente ritmata, intensa, mai banale. Ma ciò che davvero colpisce è l’apparato grafico.

Suheb Zako plasma ogni tavola con una potenza visiva incredibile. Il mondo di Dreams Factory è avvolto da toni freddi e profondi, con un uso del blu e del nero che esalta il senso di solitudine e oppressione vissuto dai personaggi. In molte scene, le parole si fanno da parte, lasciando che siano le immagini a parlare. Le vignette mute diventano veri e propri squarci cinematografici, capaci di trasportare il lettore in un’esperienza quasi sinestetica. È difficile non immaginare questa storia come un lungometraggio animato, magari in stile Arcane, ma con echi di La città incantata e suggestioni à la Coraline.

La forza del racconto sta anche nel suo cuore emotivo, nella relazione tra Indira ed Eliott, nel coraggio di una sorella che non si arrende, nell’infanzia rubata e nella speranza che, nonostante tutto, riesce ancora a sopravvivere in mezzo al fango e al gelo. Dreams Factory è un’opera che parla agli amanti del fantasy gotico, del mondo steampunk, degli appassionati di graphic novel d’autore e a chi cerca nelle storie un’anima profonda e visivamente potente.

Con i suoi 144 pagine a colori, Dreams Factory è una vera e propria gemma per chi ama perdersi tra i misteri del passato e le suggestioni del futuro, tra l’alchimia dell’illustrazione e la forza della narrazione. È un’avventura che mescola favola nera e critica sociale, come solo le grandi storie sanno fare. Quindi segnatevelo sul calendario nerd: dal 8 luglio 2025, Dreams Factory vi aspetta per portarvi in un viaggio indimenticabile, disponibile in fumetteria, libreria e online. Non fatevelo scappare, è una di quelle opere che vi resterà addosso, come la fuliggine delle miniere che sporca ma rivela.

Vi è piaciuto questo articolo? Siete pronti a varcare i cancelli della Dreams Factory? Avete anche voi il debole per le atmosfere steampunk e le fiabe gotiche dai risvolti esoterici? Raccontatecelo nei commenti e condividete questo articolo con i vostri amici nerd su Facebook, Instagram, X, TikTok, Threads e Telegram! E se ancora non lo avete fatto, iscrivetevi alla nostra newsletter su CorriereNerd.it per non perdervi nessuna delle nostre scoperte da sogno… o da incubo!

Gli Elfkins tornano al cinema con “Elfkins – Missione Gadget”: magia e tecnologia si scontrano in un’avventura imperdibile

Gli Elfkins stanno per tornare sul grande schermo! Dopo il successo di “Elfkins – Missione Best Bakery”, la regista Ute von Münchow-Pohl riporta in vita le avventure di questi piccoli aiutanti magici con “Elfkins – Missione Gadget”, in uscita nei cinema italiani il 13 marzo 2025. Questa volta, la protagonista Elfie dovrà affrontare un’avventura senza precedenti, che la porterà a scoprire un clan di gnomi super tecnologici e a mettere in discussione tutto ciò in cui crede.La leggenda degli Elfkins affonda le sue radici nella tradizione popolare tedesca: noti anche come Heinzelmännchen, questi esseri magici vivono nascostamente tra gli umani, aiutandoli nelle faccende quotidiane a patto di non essere mai scoperti. Già nel primo film, Elfie aveva dimostrato un animo ribelle e il desiderio di trovare un nuovo scopo per la sua esistenza. In “Elfkins – Missione Gadget”, la sua sete di avventura la porterà ben oltre i confini della tradizione.

Elfie vive con il suo clan nella mansarda di una pasticceria a Colonia, uscendo solo di notte per aiutare segretamente gli umani. Tuttavia, la monotonia della vita tra le mura del laboratorio le sta stretta, e il destino le offre ben presto un’opportunità inaspettata. Durante una delle sue esplorazioni notturne, si imbatte in Bo, un Elfkin proveniente da un altro clan, che utilizza sofisticati gadget tecnologici per compiere audaci furti. Bo appartiene a una banda di Elfkins High Tech di Vienna, che hanno abbandonato l’antica tradizione dell’assistenza agli umani per dedicarsi a un’esistenza all’insegna del divertimento e delle marachelle.

Affascinata dal mondo di Bo e dei suoi amici, Elfie decide di unirsi a loro, ma il suo ingresso nel gruppo scatena tensioni tra i due clan, che non si parlano da più di 250 anni. Nel frattempo, la determinata poliziotta Lansky e il suo astuto gatto Polipette si mettono sulle tracce degli Elfkins, pronti a rivelare la loro esistenza al mondo intero. Elfie e Bo dovranno unire le forze per sfuggire alla polizia e, soprattutto, per cercare di ricucire il legame spezzato tra i loro popoli, trovando un equilibrio tra tradizione e innovazione.

“Elfkins – Missione Gadget” è un film che gioca abilmente con il contrasto tra magia e tecnologia, offrendo una storia coinvolgente che riesce a intrattenere e far riflettere. Ute von Münchow-Pohl dimostra ancora una volta la sua capacità di creare un universo colorato e dinamico, arricchito da un ritmo serrato e da personaggi irresistibili. Il film bilancia momenti d’azione spettacolari con situazioni comiche esilaranti, ma non manca di affrontare tematiche importanti come il cambiamento, l’amicizia e la necessità di superare i conflitti del passato.

Il cast di doppiaggio originale è ricco di talento, con voci che danno vita a personaggi indimenticabili. Tra i nomi di spicco troviamo Hilde Dalik, Dave Davis, Siham El-Maimouni, Annette Frier, Jella Haase, Lina Philine Haase, Sophia Heinzmann, Michaela Kametz, Inga Sibylle Kuhne, Paul Pizzera, Michael Ostrowski, Cesar Sampson, Leon Seidel e Julia von Tettenborn. Le loro interpretazioni aggiungono profondità e carisma ai protagonisti, garantendo un’esperienza cinematografica ancora più coinvolgente.

“Elfkins – Missione Gadget” si preannuncia come una delle pellicole d’animazione più divertenti e avvincenti della stagione. Con una grafica curata nei minimi dettagli, una narrazione ricca di colpi di scena e un messaggio universale sulla convivenza tra diverse visioni del mondo, il film saprà conquistare spettatori di tutte le età. Se siete alla ricerca di un’avventura magica, emozionante e dal tocco high-tech, segnatevi la data: il 13 marzo 2025 gli Elfkins torneranno al cinema, pronti a sorprendere ancora una volta con la loro irresistibile energia!

New Arc Line: Il futuro dei CRPG tra magia e tecnologia

New Arc Line, è un nuovo gioco che mescola l’affascinante estetica steampunk con un’ambientazione dieselpunk, promettendo una narrativa profonda e un gameplay ricco di sorprese. New Arc Line si ispira chiaramente a giochi come Baldur’s Gate 3, concentrandosi sulla personalizzazione del personaggio, la formazione di un party e l’interazione in un mondo complesso, dove le scelte morali e politiche giocano un ruolo cruciale. La trama ci introduce a New Arc, una città che sembra simbolo di speranza e progresso, ma che nasconde un lato oscuro. Il protagonista, un immigrato in cerca di fortuna, si ritroverà a fare i conti con una realtà segnata dalla corruzione, dalla segregazione e dalla disuguaglianza. Qui, come in Arcanum, il conflitto tra magia e tecnologia è il cuore pulsante del gioco, ma New Arc Line porta questa dicotomia a un nuovo livello, esplorando un’interazione più moderna tra i due mondi, in un contesto che sa di post-industrialismo.

La città di New Arc è una metropoli che brilla di giorno, ma che nasconde ombre minacciose sotto il suo luccichio. Tra fabbriche che oscurano i cieli con il loro fumo nero e una società divisa, i giocatori si troveranno a dover prendere decisioni difficili, pesando le proprie azioni, consapevoli che ogni scelta potrebbe renderli eroi o malvagi distruttori, come accade nei migliori giochi di ruolo.

La personalizzazione del personaggio è uno degli aspetti chiave di New Arc Line. Il gioco permette di scegliere tra diverse razze, tra cui umani, elfi, nani e giganti, e offre una vastissima gamma di opzioni per il genere, l’aspetto fisico e il background del protagonista. Le scelte compiute influenzeranno non solo il rapporto con altri personaggi, ma anche il modo in cui il mondo reagisce al nostro operato. L’interazione sociale è arricchita dalla possibilità di reclutare compagni, ognuno con la propria storia e personalità, che possono essere sviluppati o sfruttati per il proprio tornaconto.

Una delle caratteristiche più interessanti di New Arc Line è la possibilità di scegliere se abbracciare la tecnologia o la magia. Il gioco offre sei classi principali e dodici sottoclassi, ognuna con un ampio ventaglio di abilità. I giocatori potranno diventare esperti di magia, come occultisti del fuoco infernale o praticanti di Voodoo, oppure dedicarsi alla scienza e alla tecnologia, diventando ingegneri steampunk o scienziati teslapunk. Ogni scelta avrà un impatto diretto sul gameplay, con battaglie che si svolgeranno in un sistema a turni, simile a quello di altri CRPG di successo. Le opzioni di approccio in combattimento sono molteplici: si può affrontare un incontro di forza bruta, oppure adottare una strategia più tattica, sfruttando le abilità del proprio gruppo.

La scrittura di New Arc Line è un altro punto di forza. Il sistema di dialogo è ricco di opzioni, con la possibilità di influenzare le conversazioni attraverso la persuasione, il carisma o l’intimidazione, proprio come accade in giochi di ruolo leggendari come Divinity: Original Sin 2 o Disco Elysium. Ogni scelta dialogica pesa sulle relazioni con gli altri personaggi e sullo sviluppo della storia. Tuttavia, sebbene le interazioni siano generalmente ben scritte, alcuni compagni di viaggio sembrano ancora troppo stereotipati e non completamente sviluppati. Questo è un aspetto che potrebbe migliorare con l’accesso anticipato, quando gli sviluppatori potrebbero ampliare le storie e le motivazioni dei vari personaggi.

New Arc Line è ancora in fase di sviluppo, e nonostante le promesse di un gioco straordinario, ci sono ancora alcuni problemi tecnici da risolvere. Le prestazioni non sono sempre ottimali, con alcuni bug che rovinano l’esperienza e tempi di caricamento piuttosto lunghi, specialmente su hardware meno potente. Le animazioni e le texture, purtroppo, non sono sempre all’altezza delle aspettative, ma nonostante ciò, il potenziale del gioco è evidente. Dreamate, il team di sviluppo, sta puntando su un mondo ricco di conflitti e scelte morali, che potrebbero portare a un’esperienza di gioco avvincente, simile ai capolavori del genere come Baldur’s Gate o Planescape: Torment.

Anche se New Arc Line non è ancora un titolo perfetto, il suo fascino steampunk e la sua complessa interazione tra magia e tecnologia lo rendono una delle esperienze più interessanti da seguire nel panorama dei CRPG. Con un po’ di lavoro in più sulla scrittura, le performance e la risoluzione dei bug, questo gioco potrebbe davvero fare la differenza. Se siete amanti di giochi di ruolo ricchi di profondità e scelte significative, New Arc Line è sicuramente un titolo da tenere d’occhio nei prossimi mesi.

L’anime di The Kingdoms of Ruin era necessario?

Nel vasto panorama degli anime, Kingdoms of Ruin spicca per la sua intrigante fusione di magia e tecnologia, dando vita a una trama di vendetta e distruzione. Creata da Yoruhashi, la serie è stata pubblicata dal 2019 sulla rivista Monthly Comic Garden e ha visto il suo adattamento anime nell’ottobre del 2023. Nonostante non sia immune da critiche, l’anime ha acceso un ampio dibattito, invitando il pubblico a riflettere sul potere, sulla vendetta e sulla lotta tra uomini e streghe.

La storia è ambientata in un mondo dove magia e tecnologia convivono, ma l’umanità ha scelto di abbracciare quest’ultima. In questo contesto, le streghe, create dal Dio per guidare l’umanità, vengono emarginate e considerate una minaccia, dando origine a una brutale “caccia alle streghe” da parte dell’Impero Redia. Il protagonista, Adonis, è un giovane apprendista strega, fedele alla sua mentore, Chloe Morgan. Durante una fuga, Adonis e Chloe vengono catturati e portati nella capitale di Redia, Neo Nightmare, dove l’imperatore Goethe esegue una giustizia implacabile: Chloe viene uccisa con un colpo di pistola alla testa. Questo atto segna l’inizio della discesa di Adonis nell’oscurità, un viaggio segnato dal desiderio di sterminare l’intera razza umana per vendicare la sua amata maestra.

La sua furia vendicativa viene però messa in pausa da una prigionia di dieci anni in una cella antimagia. Quando finalmente viene liberato da una strega di nome Doroka, Adonis scatenando la sua furia, innesca una serie di eventi che metteranno a dura prova il destino dell’intero regno.

Kingdoms of Ruin ha suscitato opinioni contrastanti. Alcuni spettatori lo hanno definito “sopravvalutato”, criticando la superficialità con cui vengono trattati alcuni temi complessi. Altri, tuttavia, hanno apprezzato le dinamiche e la narrazione della serie. Dal punto di vista dell’animazione, l’anime ha ricevuto consensi per la qualità delle scene di combattimento e delle sequenze magiche. Nonostante ciò, alcuni fan hanno sottolineato come il sistema dei poteri, pur essendo ampio e versatile, non sia stato utilizzato in modo particolarmente innovativo, perdendo così un’opportunità unica in un contesto così ricco di potenziale.

A differenza di altri titoli che preferiscono un ritmo incessante, Kingdoms of Ruin si prende il suo tempo per sviluppare i personaggi e il mondo che li circonda, una scelta che ha diviso il pubblico. Se da una parte c’è chi apprezza la profondità e la crescita dei protagonisti, dall’altra c’è chi si aspettava più azione continua, soprattutto dato il dramma che apre la serie.

La figura di Adonis, protagonista della serie, è uno degli aspetti più dibattuti. Alcuni lo considerano uno dei personaggi più difficili da apprezzare nel panorama anime, trovandolo troppo concentrato sulla vendetta e privo di sfumature che lo rendano complesso. La sua discesa nel buio, alimentata dalla rabbia per la morte di Chloe, lo rende un eroe tormentato, ma allo stesso tempo difficile da comprendere e troppo unidimensionale per alcuni spettatori. Adonis potrebbe ricordare figure come Zeke Yeager di Attack on Titan, protagonisti di percorsi di vendetta, ma le sue motivazioni sono viste da alcuni come troppo semplicistiche. La sua uscita dalla prigionia, seguita da un’impetuosa furia che lo vede cavalcare una gigantesca mano, è un’immagine potente ma, per alcuni, anche difficile da prendere sul serio.

Nonostante queste critiche, l’anime riserva alcuni colpi di scena interessanti, soprattutto nel finale, che lascia aperti interrogativi sul futuro di Adonis e sul destino del regno. La serie, pur non essendo perfetta, mantiene alto l’interesse grazie ai suoi temi provocatori e ai personaggi complessi.

In definitiva, Kingdoms of Ruin non è un capolavoro, ma nemmeno un fallimento totale. La sua capacità di mescolare magia e tecnologia, esplorando temi di vendetta e giustizia, ha trovato un pubblico di nicchia. È un anime che merita di essere visto, se non altro per farsi un’idea del suo mondo e delle sue contraddizioni. Per chi cerca una storia con colpi di scena, potenza visiva e personaggi tormentati, Kingdoms of Ruin potrebbe essere un’opera da non sottovalutare, nonostante le sue imperfezioni.

Il fascino imperfetto di un manhwa che (forse) non vuole essere perfetto: la mia esperienza con I Obtained A Mythic Item

Sono una lettrice accanita di manhwa da anni. Non solo per passione, ma per necessità. I manhwa sono la mia via di fuga, la mia dose settimanale di pathos, plot twist e personaggi tormentati. Li divoro, li critico, li amo e li mollo senza pietà. Ma ce ne sono alcuni che mi restano addosso, anche quando non lo meriterebbero del tutto. I Obtained A Mythic Item è uno di questi.

Quando ho iniziato la lettura, l’ho fatto con due occhi: uno curioso, uno scettico. Curiosa perché nella sinossi si parlava di magia, tecnologie indistinguibili da incantesimi, creature leggendarie e un mondo prossimo all’estinzione. Scettica perché lo spettro di Solo Leveling è ovunque, e molti manhwa fantasy sembrano nati con il copia-incolla. Eppure, qualcosa mi ha tenuta lì.

Un protagonista spezzato ma (forse) vero

Jaehyeon è un protagonista atipico. All’inizio non ha nulla di straordinario: è un Raider mediocre, a malapena riesce a pagarsi la cena. Ma poi, in un mix di sfiga, destino e magia norrena, trova un oggetto leggendario: l’Occhio Perduto di Odino. E qui cambia tutto. O forse no. Perché la bellezza di questo manhwa, almeno all’inizio, è proprio che anche con un potere immenso tra le mani, Jaehyeon resta… umano. Fa errori, dubita, si spaventa. E questo, per chi è abituato a protagonisti infallibili e cinici, è una boccata d’aria.

Il plot è semplice, a tratti derivativo, ma ha un potenziale che si lascia intravedere. L’idea di poter “riavvolgere” il tempo, rivivere eventi con la consapevolezza del futuro, è affascinante. È una seconda possibilità che tutti abbiamo sognato almeno una volta. Ma la cosa più interessante è che Jaehyeon non diventa subito un semidio. Il potere ce l’ha, sì, ma non sa usarlo. È come guardare un ragazzo con un’arma leggendaria… che però non trova il grilletto.

Tra cliché e comfort: il dilemma di ogni lettore

E poi, sì, arriva il punto critico. L’accademia. Quella fase in cui tutto prometteva una crescita epica e invece scivola verso il già visto. Prove divine? Check. Armi mitiche? Check. Power-up a pioggia? Triplo check. Sembrava quasi che gli autori avessero smarrito il coraggio di osare. Ogni novità veniva abortita prima di diventare un cambio reale di rotta. Ed è qui che ho iniziato a oscillare tra affetto e frustrazione.

Però… continuo a leggerlo.

E mi sono chiesta: perché? Perché quando ogni nuova saga sembra un déjà-vu, io sono ancora lì a cliccare “next”?

La verità è che, in fondo, questi manhwa sono diventati una sorta di comfort food narrativo. Li critichiamo, li smontiamo, li confrontiamo con capolavori intoccabili… e poi li leggiamo lo stesso. Perché ci danno qualcosa. Anche solo una scena. Una battuta. Uno sguardo tra due personaggi. Quel piccolo attimo in cui ti ritrovi a sorridere, a commuoverti o a pensare: “Ok, forse questo autore non ha ancora mollato del tutto.”

L’eredità norrena: un’occasione (ancora) sprecata?

Uno degli elementi più intriganti di I Obtained A Mythic Item è l’ispirazione alla mitologia norrena. L’Occhio di Odino, il Ragnarok, l’idea che un dio antico accompagni silenziosamente le scelte del protagonista… tutto questo ha un fascino potente. Eppure, questa mitologia è ancora relegata a decorazione, a sfondo, a una scusa per giustificare poteri divini. Odino potrebbe essere sostituito da un’intelligenza artificiale e la trama non cambierebbe granché. Ma io voglio credere che ci sia di più. Che ci sia un piano. Che gli autori stiano ancora trattenendo la mitologia come un’arma segreta da svelare più avanti.

Un manhwa che parla anche di noi

La verità è che I Obtained A Mythic Item ci racconta qualcosa anche su di noi. Sul nostro bisogno di eroi imperfetti, di seconde possibilità, di storie che parlano di fallimenti prima che di trionfi. Sul nostro rapporto complicato con la narrativa seriale: ne conosciamo i limiti, ma ci aggrappiamo comunque alle sue promesse.E allora sì, continuerò a leggerlo. Non perché sia perfetto, ma perché – proprio come Jaehyeon – anche noi stiamo cercando qualcosa. Un motivo per credere che il prossimo capitolo, forse, ci sorprenderà. Anche solo per un istante. E se poi dovesse deludere di nuovo? Pazienza. Avremo sempre Reddit per sfogarci.

Back to the Magic di Dario Contiello: la nuova saga fantasy made in Italy che unisce sogni, magia e tecnologia

Immaginate di essere nel bel mezzo di una giornata qualunque, magari all’inizio dell’estate, quando il cielo è azzurro, il sole splende e tutto sembra tranquillo. Poi, all’improvviso, la realtà si frantuma. Qualcosa di inspiegabile accade e la vostra vita prende una piega completamente diversa, catapultandovi in un mondo dove la magia non è leggenda, ma una verità dimenticata. È proprio da qui che parte l’avventura di Back to the Magic, il primo romanzo fantasy di Dario Contiello, autore classe 1984, che ha deciso di fare il grande salto nell’editoria con una storia tanto ambiziosa quanto ricca di suggestioni nerd.

Contiello ci regala un fantasy che sa di casa nostra, un prodotto “made in Italy” che non ha nulla da invidiare ai giganti del genere. Back to the Magic mescola con intelligenza antichi incantesimi, viaggi mozzafiato tra l’Europa e il Medio Oriente, tecnologie moderne e profezie millenarie, il tutto immerso in un contesto narrativo dal ritmo serrato e con personaggi destinati a lasciare il segno. Se siete cresciuti a pane, Harry Potter e Il Signore degli Anelli, ma cercate una storia con un’identità più vicina alla nostra cultura, allora questo è il libro che fa per voi.

Il protagonista, Alex Zaghi, è l’emblema del ragazzo normale in attesa di qualcosa di straordinario. Un giovane come tanti, pieno di sogni e aspettative, che non sa ancora di essere al centro di un destino più grande di lui. Insieme alla sua compagna Stefany, Alex si troverà coinvolto in una corsa contro il tempo che li porterà a confrontarsi con segreti sepolti, battaglie arcane e minacce provenienti da epoche lontane. Tra queste, il nome che fa tremare la società magica: Ehbi Farid il Sommo, conosciuto anche come il Padre dei Maghi. Il suo ritorno dalle sabbie dell’antica Persia scuote le fondamenta del mondo incantato, minacciando di sovvertire ogni equilibrio.

Ma se da un lato c’è chi torna dal passato, dall’altro ci sono coloro che, nel presente, cercano disperatamente di arginare l’imminente catastrofe. La Setta della Liberazione, in particolare, che per fermare Ehbi Farid decide di risvegliare una creatura ancora più oscura e potente: l’Empio, uno stregone temuto e dimenticato dalla storia. In mezzo a questo scontro titanico, Alex riceverà la guida di Bob, un mentore inaspettato che gli mostrerà ciò che nessun libro di scuola ha mai osato raccontare: la magia esiste ancora, anche se l’umanità sembra averla rimossa dalla propria coscienza.

Ciò che rende Back to the Magic davvero intrigante, però, non è solo il classico conflitto tra bene e male, ma la maniera in cui Dario Contiello gioca con le sovrapposizioni tra antico e moderno. La magia, qui, non è relegata a castelli medievali o boschi incantati, ma si insinua nel nostro presente, tra metropolitane, grattacieli, droni e smartphone. E il risultato è sorprendente. Le scene d’azione, tra fughe rocambolesche e incantesimi digitali, sono degne di una sceneggiatura da cinecomic. La narrazione, poi, è visiva e cinematografica, segno che l’autore ha in mente non solo un libro, ma un intero universo narrativo da esplorare.

Ed è proprio la genesi del romanzo a dare un’ulteriore sfumatura affascinante al progetto. Dario Contiello ha iniziato a scrivere Back to the Magic in una sera di maggio del 2016, spinto da una serie di sogni ricorrenti, vividi e misteriosi, che lo tormentavano notte dopo notte. Quei sogni, come sequenze di un vecchio film proiettato in loop nella sua mente, si sono trasformati pian piano in parole, in pagine, in una storia. Una di quelle storie che sembrano bussare alla porta dell’anima, chiedendo di essere raccontate. E lui ha risposto, dando vita a un mondo nuovo, a un pantheon di maghi moderni, a una mitologia che affonda le radici nella nostra realtà.

Back to the Magic non è solo un fantasy, è una dichiarazione d’amore per la magia delle storie, per l’immaginazione che sa rompere le regole del quotidiano, per quel bisogno tutto umano di credere che, da qualche parte, ci sia ancora qualcosa di straordinario da scoprire. È anche una scommessa vinta sulla narrativa fantastica italiana, che ha ancora tanto da dire e da offrire.

E voi, siete pronti a tornare alla magia? Se vi ha incuriosito anche solo un po’ questa avventura, non lasciatevi sfuggire il romanzo di Dario Contiello. Fatelo entrare nella vostra libreria, e magari nel vostro cuore. Poi, correte a commentarlo sui social, a discuterne con gli amici, a immaginare chi interpreterebbe Ehbi Farid in un’ipotetica serie TV. Perché, diciamolo chiaramente: se la magia esiste ancora, vive proprio in quei momenti di condivisione e passione che solo una grande storia sa generare.