Archivi tag: influencer

Corea del Sud: tra libertà d’espressione, disinformazione e il fragile equilibrio della verità digitale

C’è un motivo se chi ama la Corea del Sud – come chi scrive – la descrive spesso come una sinfonia di contrasti. È il Paese che, con una mano, ti regala melodie di K-Pop capaci di unire milioni di persone nel mondo, e con l’altra ti ricorda che la sua società vive un perenne equilibrio tra modernità, identità e controllo. Ed è proprio in questo spazio di tensione – tra il luccichio dell’immagine internazionale e la gelosa protezione della propria integrità nazionale – che si sta consumando uno dei dibattiti più accesi del 2025: quello sulla libertà d’espressione, la disinformazione e il ruolo dei contenuti digitali nel rappresentare la Corea del Sud al mondo. È qui, in questo crepaccio scintillante tra apertura globale e protezione nazionale, che nel 2025 si è scatenato uno dei dibattiti più incendiari dell’anno: la libertà di raccontare la Corea del Sud, e i limiti – sempre più sfumati – di ciò che è considerato accettabile, offensivo o pericoloso.


Il ministro Jung Sung-ho e l’annuncio che ha scosso la rete

Tutto è esploso quando il Ministro della Giustizia Jung Sung-ho ha annunciato l’intenzione di limitare l’ingresso nel Paese ai creator stranieri accusati di diffondere contenuti “offensivi o diffamatori” verso la Corea del Sud e i suoi cittadini.

Tradotto nella lingua dell’online: se pubblichi un video, un reportage, un vlog o persino una recensione percepita come lesiva dell’immagine nazionale, potresti ritrovarti con un visto negato.

Una dichiarazione che ha attraversato i social come un lampo: indignazione, confusione, approvazione, meme, editoriali su editoriali, reazioni da parte di fan e giornalisti, analisi legali, thread infiniti su Reddit e TikTok.

Perché la Corea del Sud, proprio lei, la superstar culturale che ha conquistato l’Occidente grazie ai BTS, a Parasite, ai K-Drama, al tech e alla sua estetica magnetica, improvvisamente sembra voler chiudere una finestra sul mondo?


Tra difesa e censura: la linea sottile quanto la carta hanji

Il dibattito si è incagliato subito in una domanda senza risposta semplice: questa è tutela o è censura?

Da un lato, il governo coreano vuole proteggere la nazione da contenuti manipolatori, provocatori, sensazionalistici o apertamente falsi. In un mondo dove un video virale può travolgere la reputazione di un Paese in poche ore, il tentativo di erigere una barriera ha una sua logica.

Dall’altro, il rischio di imbavagliare la critica – quella legittima, quella necessaria, quella che fa crescere – è reale e inquietante.

E qui la metafora tradizionale torna utile: la linea tra critica e offesa è sottile come la carta hanji usata nei paraventi coreani. Basta un soffio, un commento mal formulato, un algoritmo che fraintende, e ciò che dovrebbe essere satira o analisi diventa “diffamazione”.


Un Paese iperconnesso e vulnerabile

Per capire davvero questa decisione, bisogna guardare più a fondo nella società coreana. La Corea del Sud è uno dei Paesi più connessi del pianeta: oltre il 95% della popolazione vive online, respira online, si informa online.

È un ecosistema dove le fake news corrono più veloci della metropolitana di Seoul, dove i deepfake sono ormai così sofisticati da generare panico morale e casi di cronaca, dove gli attacchi mediatici diventano armi politiche e sociali.

Negli ultimi anni il Paese è stato attraversato da scandali politici amplificati oltre ogni misura, influencer improvvisati che hanno scatenato ondate di odio, bolle di disinformazione create ad arte, campagne anonime che hanno diviso amicizie, famiglie e intere generazioni.

In questo contesto, la mossa del governo non è solo orgoglio nazionale. È anche paura. Paura di perdere il controllo narrativo. Paura dell’algoritmo. Paura del caos digitale.


Un Paese che vuole essere capito, non frainteso

La Corea del Sud è un paradosso vivente: è la stessa nazione che ha dato voce a generazioni di giovani attraverso la musica, il cinema, la letteratura; la stessa che ha visto RM dei BTS parlare all’ONU di identità e libertà; la stessa che ha esportato il concetto di “creatività” come forma di diplomazia culturale.

Eppure, è anche una nazione che teme profondamente di essere fraintesa.

Perché quando il mondo ti guarda costantemente – e spesso senza capire davvero la complessità della tua storia – ogni narrazione sbagliata diventa una ferita. Ogni generalizzazione, una distorsione. Ogni semplificazione, un tradimento.


Creator impauriti, comunità divise: l’effetto chilling

Molti analisti parlano di un possibile “chilling effect”: un congelamento preventivo della libertà creativa.
La paura di conseguenze legali potrebbe spingere youtuber, giornalisti indipendenti e documentaristi a evitare del tutto argomenti delicati sulla Corea, optando per contenuti innocui, edulcorati, turistici.

E questo sarebbe un peccato, perché la Corea ha bisogno di essere raccontata. Nella sua luce e nella sua ombra. Nelle sue bellezze e nelle sue contraddizioni.

Non come souvenir digitale, non come cartolina perfetta, ma come Paese reale, complesso, vivo.


Difendere la verità senza soffocare il dissenso: la sfida impossibile?

La domanda che attraversa tutto il dibattito è questa:
come si protegge la verità in un mondo dove la verità stessa è diventata fragile?

Perché oggi l’algoritmo decide cosa vediamo, cosa crediamo, chi ascoltiamo.
Un contenuto virale ha più potere di un tribunale.
Un deepfake può distruggere reputazioni vere.
Un influencer con milioni di follower può contribuire a plasmare la percezione globale di un Paese.

E la Corea del Sud, in questo scenario, cammina su un filo sottilissimo, sospesa tra la volontà di difendersi e il rischio di apparire oppressiva.


Amare la Corea significa accettarne le contraddizioni

Chi ama la Corea – davvero, non da turista da algoritmo – lo sa: non è un Paese facile da racchiudere in un unico frame.
È dolce e feroce.
È moderna e tradizionale.
È ospitale e diffidente.
È un arcobaleno che vive nella tempesta.

Raccontarla significa rispettarla. Significa capire perché certe scelte nascono, anche quando non convincano pienamente. Significa non cadere nella trappola del sensazionalismo, ma nemmeno evitare la critica costruttiva.


La Corea non è contro la libertà. La Corea sta lottando per non perdersi.

Forse il punto è proprio questo: la Corea non vuole essere zittita.
Vuole essere compresa.
Vuole essere rappresentata con verità, non con semplificazioni.

È una nazione che tenta disperatamente di restare se stessa in un mondo dove tutto è distorto alla velocità di un refresh. Ed è proprio questa vulnerabilità, questa umanità, che la rende così affascinante agli occhi del mondo.


E noi, come community nerd, cosa possiamo fare?

Possiamo raccontarla meglio.
Con più rispetto, più profondità, più amore.
Possiamo evitare il clickbait facile e abbracciare la complessità.
Possiamo essere ponti, non carburante per l’incendio della disinformazione.

Perché la Corea del Sud non è solo un trend, un set perfetto per vlog o un luogo comune digitale.
È un sentimento.
E i sentimenti, quelli veri, non vanno manipolati: vanno raccontati con cuore.


Un invito ai lettori di CorriereNerd.it

Se il tema ti appassiona tanto quanto appassiona noi, entra nella conversazione:
cosa ne pensi di questo provvedimento?
È necessario? È pericoloso? È entrambe le cose?

Raccontacelo nei commenti, sui nostri social, nei thread della community.
Perché solo dialogando possiamo capire davvero il futuro della libertà d’espressione nel mondo che amiamo.

E, soprattutto, perché dietro ogni dibattito c’è sempre un’unica costante: la voglia di continuare a raccontare storie che valgono.

Ti aspettiamo nella discussione.
La redazione di CorriereNerd.it è qui per parlarne con te.

Influencer Reloaded: l’albo Agcom che cambia il gioco (2025)

C’era una volta l’influencer libero e selvaggio, armato solo di smartphone, ring light e una montagna di autostima. Il suo regno era il feed, il suo trono il like, la sua arma segreta il filtro bellezza di TikTok. Ma come in tutte le buone storie nerd, il Far West digitale è arrivato a un punto di svolta: l’Agcom, la nostra Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ha deciso che è tempo di smettere di giocare ai pistoleri del marketing. E così, ecco arrivare la delibera 197/2025, che introduce un albo professionale degli influencer.

Un registro ufficiale. Un albo vero, con tanto di sanzioni, obblighi e criteri di “rilevanza”. In parole povere: chi è davvero grande, chi muove numeri e soldi, dovrà iscriversi e rispettare regole precise. Niente più “consigli spontanei” che nascondono #adv sotto cinque righe di hashtag o dirette Instagram dove si parla di medicina senza nemmeno un diploma di liceo scientifico.

Un cambiamento epocale per una professione nata dal nulla e diventata — nel giro di un decennio — una macchina da soldi che vale, in Italia, più di 370 milioni di euro l’anno.


Il giorno in cui gli influencer diventarono… una categoria professionale

La notizia è di quelle che spaccano Internet: dal 2025, chi supera 500.000 follower o almeno un milione di visualizzazioni mensili dovrà iscriversi a un albo gestito da Agcom. L’idea non è solo burocratica: significa riconoscere che l’influencer non è più un passatempo per creativi digitali o ragazzi fortunati, ma un lavoro vero, con responsabilità, doveri e conseguenze legali.

L’iscrizione comporta obblighi precisi: segnalare ogni contenuto pubblicitario in modo chiaro e trasparente, evitare pubblicità occulta, non diffondere disinformazione, non danneggiare i minori, non incitare all’odio e garantire la veridicità delle informazioni. Chi sgarra rischia multe fino a 250.000 euro, che salgono a 600.000 in caso di violazioni gravi — per esempio se si diffondono contenuti nocivi ai più giovani.

In pratica, l’influencer diventa un medium riconosciuto. Non più un “ragazzo fortunato con una buona luce naturale”, ma un attore professionale del sistema mediatico.

L’Agcom lo dice chiaramente: se i giornalisti devono rispettare un codice deontologico, perché non dovrebbero farlo anche i creator che raggiungono milioni di persone ogni giorno?


Dal Pandoro Gate alla resa dei conti

La miccia, inutile girarci intorno, è stata accesa da un dolce natalizio. Il “Pandoro-gate” del 2023, che ha travolto Chiara Ferragni e Balocco, ha cambiato per sempre la percezione pubblica degli influencer. Quella che era nata come la storia di un’icona dell’imprenditoria digitale italiana si è trasformata in un caso mediatico e giudiziario che ha fatto tremare l’intera categoria.

Da lì, la domanda è diventata inevitabile: chi controlla i controllori della fiducia online?
Perché se milioni di consumatori acquistano un prodotto, donano a una causa o si fidano di un consiglio “personale” solo perché lo dice un influencer, allora quella figura non è più un semplice intrattenitore, ma un potere mediatico. E come ogni potere mediatico, deve essere regolato.

Da questa consapevolezza è nata la decisione dell’Agcom: basta anarchia. È tempo di responsabilità, trasparenza e tracciabilità.


Quando Pechino mostra la via (con il pugno di ferro)

Ma l’Italia non è sola in questa corsa alla regolamentazione. In Cina, dal 2025, gli influencer che trattano temi “seri” — medicina, finanza, diritto, educazione — dovranno possedere una laurea o un’abilitazione professionale. Non basteranno milioni di follower o un sorriso da copertina: servirà un titolo vero.

Una scelta che, a prima vista, sembra dettata dal buon senso: se dai consigli su salute o soldi, meglio sapere di cosa parli. Ma conoscendo Pechino, dietro la “competenza” si intravede anche il controllo politico.

La National Radio and Television Administration e il Ministero della Cultura e del Turismo hanno imposto alle piattaforme come Douyin, Weibo e Bilibili di verificare le credenziali dei creator. Un’operazione di pulizia digitale che, ufficialmente, serve a proteggere 700 milioni di utenti dalle fake news. Ma che, di fatto, garantisce al Partito Comunista Cinese che la parola pubblica non sfugga mai dalle sue mani.

La linea di confine tra tutela e censura è sottile come il filo del Wi-Fi.


L’Europa e la “Terza Via”

Nel vecchio continente, la filosofia è diversa. Non vogliamo la censura, ma nemmeno il caos.
Il Codice di condotta Agcom 2023 aveva già chiesto trasparenza e correttezza. Ora, con l’albo, si passa al livello successivo: responsabilità professionale.

L’Unione Europea, dal canto suo, sta già valutando di regolamentare in modo specifico gli health influencer, visto che un giovane su tre dichiara di informarsi sulla salute attraverso i social. E Google, con le sue policy YMYL (“Your Money Your Life”), già da tempo premia nei risultati di ricerca solo chi dimostra competenza, autorevolezza e affidabilità.

Insomma, il vento sta cambiando. E non è solo un cambio di algoritmo: è un cambio di paradigma.


Il tramonto degli dei del feed

C’è anche un’altra verità, più sottile ma devastante: la stella degli influencer non brilla più come prima.

Negli anni d’oro — tra il 2016 e il 2021 — “fare l’influencer” era il sogno della Gen Z, la versione digitale del “voglio fare l’astronauta” dei Millennials. Bastava carisma, un buon editing e un’idea brillante per diventare qualcuno. Ma ora, qualcosa si è incrinato.

Il pubblico si è stancato. Le collaborazioni forzate, i prodotti spinti con entusiasmo sospetto, le campagne tutte uguali hanno saturato il mercato. Sempre più utenti si chiedono: “Ok, ma questa persona… sa davvero di cosa parla?”

Il caso Ferragni non è un’eccezione, ma il sintomo di un sistema in crisi. I follower sono diventati più diffidenti, i brand più cauti, le istituzioni più attente. E così, la figura dell’influencer glamour, che un tempo incarnava autenticità e aspirazione, oggi rischia di diventare una caricatura di se stessa.

Persino le grandi fashion influencer — Aimee Song, Leonie Hanne, e compagnia scintillante — vedono calare i numeri. Il pubblico cerca qualcosa di più “vero”, più vicino, più imperfetto. Da qui il boom delle micro-influencer, piccole ma credibili, con community affezionate e un rapporto autentico con i follower.


Burnout, FOMO e crisi di identità

Dietro i filtri e le caption motivazionali, però, si nasconde un mondo in piena crisi psicologica.

La pressione di essere sempre online, di performare costantemente, di mantenere l’attenzione di un pubblico volatile può distruggere chiunque. L’ansia da algoritmo, la paura di sparire dai feed, l’ossessione per i numeri: sono i nuovi mostri digitali, e fanno più paura di un boss finale in Dark Souls.

Negli Stati Uniti sono già nate piattaforme come CreatorCare, con psicologi specializzati nel supporto ai creator. Persone che aiutano gli influencer a gestire la fatica mentale, la dipendenza dal feedback, e la crisi d’identità che nasce quando la tua persona diventa il tuo prodotto.

La vita da influencer, oggi, non è più “bella vita”. È un lavoro totalizzante, esposto, fragile. E se i follower calano, cala anche l’autostima.


2025: non la fine, ma un reboot

Siamo forse alla fine dell’età dell’oro degli influencer?
Non proprio. Forse siamo davanti a un reboot, un cambio di stagione.

L’albo professionale, per quanto possa sembrare un incubo burocratico, potrebbe essere anche un’occasione di rinascita.
Un modo per separare i veri professionisti dai dilettanti, chi ha qualcosa da dire da chi cerca solo notorietà.

Il 2025 sarà ricordato come l’anno in cui l’influencer è diventato adulto. Niente più anarchia digitale: ora ci sono responsabilità, codici, sanzioni e, soprattutto, riconoscimento.

E se tutto questo porterà anche a una maggiore fiducia da parte del pubblico, allora forse il trade-off ne varrà la pena. Perché la libertà di espressione resta sacra, ma non può essere un alibi per diffondere ignoranza, bugie o pericolose illusioni.


Da Jedi del feed a professionisti del web

Chi, tra i creator di oggi, saprà evolversi, sopravvivrà. Gli altri resteranno solo un vecchio screenshot nel feed.

Il futuro appartiene a chi saprà coniugare autenticità e competenza, creatività e responsabilità. Perché — citando zio Ben, da Spider-Man — “da un grande potere derivano grandi responsabilità”. E nel 2025, quel potere non è più il mantello dell’eroe, ma un microfono, un video e milioni di occhi puntati addosso.

Benvenuti nella Fase Due dell’influencerverse: meno filtri, più coscienza.
E magari, finalmente, un po’ di verità in mezzo a tanto storytelling.


Vuoi che lo trasformi in un articolo completo impaginato per il web, con titolo, sottotitolo, occhielli, immagini suggerite e meta descrizione SEO in stile CorriereNerd.it (per pubblicazione effettiva)? Posso farlo in formato già pronto per CMS (WordPress o Medium).

Bologna Nerd Show 2026: il grande ritorno del multiverso pop

Bologna si prepara a trasformarsi, ancora una volta, nella capitale italiana della cultura nerd. Sabato 24 e domenica 25 gennaio 2026, BolognaFiere aprirà le porte alla nuova edizione del Bologna Nerd Show, l’evento che negli ultimi anni ha conquistato il cuore di migliaia di appassionati. E questa volta promette di essere più grande, più ricca e più spettacolare che mai: oltre 35 mila metri quadrati di pura meraviglia geek, tra fumetti, videogiochi, manga, cosplay, musica e spettacoli dal vivo. Camminare nei padiglioni del Nerd Show è come attraversare un portale dimensionale che collega mondi e generazioni. Le luci dei maxischermi si fondono con i colori dei costumi, il profumo dei gadget nuovi si mescola all’adrenalina dei tornei, mentre le voci di Cristina D’Avena e Giorgio Vanni si alzano in coro a risvegliare la nostalgia collettiva di chi è cresciuto a pane e sigle TV.

L’edizione 2026 promette di superare ogni aspettativa. Oltre agli immancabili stand dedicati a comics, action figure e merchandise esclusivo, il cuore pulsante della manifestazione sarà ancora una volta la più grande artist alley d’Italia, un vero e proprio paradiso per chi ama vedere l’arte prendere vita dal tratto di centinaia di disegnatori e illustratori. Da talenti emergenti a grandi firme del fumetto italiano e internazionale, ogni tavolo racconterà una storia diversa, ogni firma sarà un piccolo frammento di passione.

Accanto all’arte, ci sarà l’universo videoludico in tutta la sua potenza: dalle retro console che hanno segnato la storia del gaming agli ultimi titoli next-gen da provare in anteprima. Le aree interattive offriranno la possibilità di tuffarsi tra realtà virtuale, arcade vintage e nuove esperienze immersive, in un viaggio che unisce passato e futuro del divertimento digitale.

E poi ci sono loro, i cosplayer, anima e cuore di ogni fiera che si rispetti. A BolognaFiere sfileranno armature scintillanti, abiti artigianali, accessori creati con dedizione maniacale. Ogni personaggio prenderà vita tra le corsie, in un tripudio di colori, flash fotografici e applausi. Non mancheranno contest, sfilate e performance che trasformeranno il pubblico stesso in protagonista.

Ma il Nerd Show non è solo spettacolo visivo: è anche incontro e community. Qui si potrà stringere la mano (o fare un selfie) con gli influencer più amati del web, partecipare ai meet & greet con creator, streamer e doppiatori, scoprendo quanto il mondo digitale possa farsi umano quando la passione è la stessa.

Sul palco, i grandi show promettono emozioni a raffica: dai concerti di Cristina D’Avena e Giorgio Vanni, autentiche icone della nostra infanzia animata, agli spettacoli comici, le performance dal vivo e gli eventi speciali che renderanno ogni ora un piccolo evento nell’evento.

Il Bologna Nerd Show 2026 non è semplicemente una fiera, ma un’esperienza collettiva. È l’occasione di ritrovare amici, incontrare i propri idoli, scoprire nuovi universi narrativi e, soprattutto, sentirsi parte di qualcosa di più grande: una comunità che celebra la fantasia, la creatività e la meraviglia.

Che tu sia un collezionista di manga, un gamer incallito, un amante del cosplay o semplicemente un curioso desideroso di respirare l’energia del mondo pop, questo è il posto giusto. BolognaFiere diventerà per due giorni il cuore pulsante dell’immaginario nerd italiano, un luogo dove ogni sogno geek trova casa.

Noi di CorriereNerd.it ci saremo — e voi?
Segnate la data: 24 e 25 gennaio 2026. Preparate i vostri costumi, affilate le matite, caricate i joypad. Il conto alla rovescia per il più grande festival del fumetto e dell’intrattenimento pop è ufficialmente iniziato.

L’Allarme Skincare Precoce tra TikTok, AI e il Lato Oscuro del Marketing Pop

Ammettiamolo: siamo cresciuti sognando di diventare come i nostri eroi dei fumetti o i protagonisti dei film, ma la Generazione Alpha (e le loro sorelle maggiori della Gen Z) ha eroi diversi. Non sono più le Winx, ma le content creator come Salish Matter (15 anni, 4,6 milioni di follower) che lanciano marchi di skincare che fanno sold out in un’ora.

Le cosiddette “Sephora Kids” – preadolescenti tra i 9 e i 14 anni ossessionate dalla cura della pelle e, incredibile, dalla prevenzione delle rughe – sono un campanello d’allarme che non possiamo ignorare? Non è solo una moda, è un fenomeno che affonda le radici nel mondo digitale che noi analizziamo ogni giorno.

TikTok, K-Beauty e L’Effetto North West

Il fenomeno non è nuovo, certo. Chi di noi non ha rubato un po’ di ombretto o smalto alla mamma da piccolo? Ma la differenza, oggi, è la scala e la precocità.

  1. L’Esposizione Precoce: L’algoritmo di TikTok e YouTube non fa distinzioni d’età. Le giovanissime sono bombardate da tutorial di makeup e routine skincare complesse, spesso veicolate da creator più grandi, o, peggio, da figlie di celebrità come North West (Kim Kardashian) o le figlie dell’influencer Mely Garza che mostrano routine a 7 anni. Questo crea modelli aspirazionali e, diciamocelo, una pressione estetica insostenibile.
  2. L’Attrattiva Nerd del Prodotto: Parliamo di K-Beauty (la cosmesi coreana, i cui prodotti sono i più richiesti) o marchi come Drunk Elephant e The Ordinary. Questi non sono semplici trucchi, ma prodotti con ingredienti specifici (retinoidi, acidi vari) e packaging “da collezione” che alimentano una mentalità da completisti. Per la Gen Z e Alpha, l’acquisto non è solo vanità, è l’atto di possedere la pozione magica o l’oggetto raro visto nell’ultimo unbox su TikTok. Un’evoluzione del collezionismo di card o miniature, ma applicata alla propria pelle.

Le ragazzine, come confermano i commessi di profumeria, arrivano con l’esatta cifra in contanti per quel brand specifico visto online, dimostrando un livello di ricerca e determinazione degno di un speedrun videoludico.

Quando la Prevenzione Incontra il Pericolo (Inutile)

Qui casca l’asino e si entra nel campo di chi, come noi, tiene d’occhio la tecnologia e la scienza. La divulgatrice Beatrice Mautino lo chiarisce: sebbene i cosmetici debbano essere sicuri per legge, usare prodotti come i retinoidi (antirughe potenti) a 12 anni non solo è inutile ma potenzialmente dannoso.

Applicare antirughe sulla pelle che è in piena evoluzione significa destabilizzarla. Come un nerf in un gioco, si rischia di peggiorare la situazione (irritazioni, macchie) senza alcun beneficio. La consapevolezza digitale di queste ragazze è altissima (sanno quale brand cercare), ma la consapevolezza scientifica è pari a zero: vedono il tutorial, non pensano alla crema solare protettiva.

Il Nostro Ruolo: Cultura Pop e Consumo Consapevole

Come redattori di una rivista che si occupa di cultura pop e tecnologia, abbiamo il dovere di analizzare questo crossover inquietante.

  • Il Business: Le aziende (come Drunk Elephant o Bubble) hanno fiutato l’affare e stanno lanciando linee child-friendly. Il capitalismo è più veloce della maturità.
  • L’Impatto Sociale: Dietro l’acquisto di una crema super-costosa, c’è l’idea, trasmessa dai social, che si debba contrastare l’invecchiamento a 10 anni e raggiungere uno standard di bellezza preimpostato. È un boss finale troppo difficile per la loro età.

Dobbiamo riflettere su come i media digitali e le influencer stiano trasformando l’infanzia in un early access al consumo adulto. È tempo di parlare di media literacy e scienza (la vera, non quella da tutorial) con lo stesso hype che mettiamo nel commentare il prossimo film Marvel.

Cosa ne pensate? La beauty routine preadolescenziale è solo un gioco o un sintomo del lato oscuro dell’economia dell’attenzione?

#SephoraKids #Skincare #GenAlpha #GenZ #CulturaPop #TikTok #Influencer #Marketing #Cosmetici #TechEBusiness

“Red Bull Kingdom of Chaos”, il Game Show definitivo di Blur e Red Bull in diretta su Twitch

Se c’è una cosa che il mondo del live streaming ci ha insegnato negli ultimi anni, è che i limiti tra videogioco, spettacolo e showbiz stanno diventando sempre più labili. Ma quello che sta per accadere il 27 maggio 2025 promette di superare qualsiasi confine già tracciato. Segnatevi questa data, nerd e geek d’Italia, perché è il momento di lasciarsi travolgere dal Red Bull Kingdom of Chaos, un game show epico, fuori dagli schemi, in pieno stile fantasy e adrenalina, concepito dalla mente creativa di Blur in collaborazione con Red Bull.

E dove poteva prendere vita tutto questo se non sul trono digitale del nostro King di Twitch, Gianmarco “Tumblurr” Tocco? La sua community, affezionatissima e super attiva, è già in fibrillazione per un evento che si preannuncia come la fusione definitiva tra gaming competitivo, show da palcoscenico e live streaming di nuova generazione.

Il regno si apre il 27 maggio dalle 20:00 all’1:00: diretta imperdibile sul canale Twitch di Blur

Dalle ore 20:00 fino all’1:00 di notte, saremo trasportati in un mondo parallelo, una sorta di arena da gioco in cui 25 partecipanti, divisi in 5 squadre, si sfideranno in 8 prove titaniche. Non stiamo parlando del solito torneo online, ma di una produzione spettacolare che vuole davvero riscrivere le regole del game entertainment. Il format, ambizioso e senza precedenti in Italia, è pensato per esaltare i valori di onore, coraggio e gioco di squadra, con un tocco teatrale che strizza l’occhio ai migliori talent show e ai reality competitivi. Ma qui, invece di microfoni e votazioni del pubblico, si combatte con il joypad, con l’ingegno e – perché no – anche con una buona dose di sano delirio.

Il trailer promette sorprese, easter egg e puro spettacolo

In attesa della diretta, è già online il trailer ufficiale di Red Bull Kingdom of Chaos, che offre un assaggio dello stile e dell’intensità dell’evento. E non mancano easter egg nascosti che i fan più attenti stanno già analizzando frame dopo frame. Blur e Red Bull non si sono limitati a realizzare un semplice teaser: hanno costruito un mondo narrativo, con tanto di lore e richiami alla cultura nerd e fantasy, unendo ironia, epicità e una produzione visiva da far impallidire anche le migliori campagne marketing videoludiche.

Convocazioni in pieno stile medievale: i primi 5 eroi rispondono alla chiamata

Il cast? Da urlo. I primi 5 valorosi streamer sono stati “chiamati a raccolta” da un paggio inviato da Blur in persona durante le loro live, in un momento che ha unito sorpresa e roleplay. Stiamo parlando di nomi notissimi nel panorama del gaming italiano: Kurolily, Moonryde, Marza, Lollo Lacustre e BillyBella. Cinque personalità diverse, cinque stili di gioco unici, che porteranno il loro talento, la loro creatività e il loro carisma all’interno di un’arena dove tutto può succedere.

Ma non finisce qui: altri 20 sfidanti verranno presentati ufficialmente nelle live speciali di Blur in programma per il 20 e 21 maggio. Insomma, l’hype è destinato a crescere ancora, e non vediamo l’ora di scoprire chi si unirà alla battaglia per la conquista del Regno del Caos.

Tumblurr: il re indiscusso del palcoscenico digitale

Dietro tutto questo fermento c’è lui, Tumblurr, classe 1996, romano di nascita e leggenda vivente del trickshotting made in Italy. Il suo viaggio nel mondo del gaming comincia nel 2014 su Call of Duty: Modern Warfare 2, dove conquista i fan con le sue acrobazie digitali. Ma è su Twitch , a partire dal 2017, che il suo talento esplode, grazie a format come le Sdrogo Corse su GTA 5 Online, veri e propri circuiti folli che fondono gameplay, regia e intrattenimento.

E poi ci sono i suoi celebri tornei videogiochistici, eventi che uniscono community e competizione con una dose altissima di originalità. Tumblurr non è solo un content creator: è un regista del caos, un artista della live, un maestro della narrativa nerd, sempre pronto a sorprendere. Dal 2024 è anche un Player ufficiale Red Bull, unendo la sua energia irriverente al brand che da sempre supporta i talenti più visionari del mondo.

Red Bull Kingdom of Chaos: il futuro dell’intrattenimento è ora

Quello che Blur e Red Bull stanno costruendo con Kingdom of Chaos è qualcosa di mai visto prima nel panorama italiano, e forse nemmeno in quello internazionale. Si parla tanto di evoluzione dello streaming, ma qui si punta alla rivoluzione totale: unendo show, narrativa, roleplay, performance, gaming e interazione in tempo reale con il pubblico. Il tutto per dar vita a un’esperienza collettiva che potrà essere vissuta dal vivo su Twitch e commentata in diretta con una community che già freme.

Allora preparate le armature, caricate gli energy drink e sintonizzatevi il 27 maggio sul canale Twitch  di Blur: il Regno del Caos vi aspetta, e solo una squadra potrà conquistarlo.

E voi, quale team pensate uscirà vincitore? Scrivetelo nei commenti e condividete l’hype con i vostri amici sui social taggando il vostro streamer preferito! Chi vincerà? Forse lo deciderà il destino… o forse la vostra energia!

“American Murder: Il Caso Gabby Petito” – Un Viaggio Tragico tra Realtà e Maschere Social

Quando ho finito di guardare “American Murder: Il Caso Gabby Petito” su Netflix, mi sono ritrovata davanti allo schermo in silenzio, con quella sensazione di nodo in gola che solo le storie più vere e brutali riescono a lasciarti. Questa docuserie, articolata in tre episodi intensissimi, non è solo il racconto di un tragico fatto di cronaca, ma un’immersione totale nella vita di una giovane donna che sognava la libertà, l’avventura e la bellezza, e che invece ha trovato un destino crudele e ingiusto. Per chi, come me, vive di pop culture, di racconti, di storie da sviscerare e interpretare, questa serie è un pugno nello stomaco ma anche uno specchio potente della nostra epoca: dei suoi sogni, delle sue illusioni e, soprattutto, delle sue ombre.

Gabby Petito non era solo un nome su un titolo di giornale. Era un’anima inquieta, una creativa, una viaggiatrice, una di quelle persone che sentono il bisogno di raccontarsi, di documentare il mondo attraverso una lente personale. Amava l’arte, la natura e il viaggio; voleva trasformare la sua passione in un lavoro, raccontando l’esperienza del “van life”, quella vita on the road romantica e selvaggia che tanto affascina chi sogna la libertà assoluta. Gabby condivideva sui social sorrisi, tramonti, momenti teneri col suo fidanzato Brian Laundrie, e da fuori sembrava tutto perfetto. Ma, e qui la docuserie entra con delicatezza e precisione chirurgica, dietro quell’immagine patinata si nascondeva un’inquietudine crescente, una tensione che filtrava appena, percepibile solo a chi guardava con attenzione.

Brian all’inizio appare come il ragazzo ideale: gentile, innamorato, complici nei video e nei vlog. Ma dietro le quinte, lontano dai filtri di Instagram e dai reels di TikTok, qualcosa si incrinava. Brian comincia a diventare controllante, possessivo, oppressivo. Quello che per Gabby era un modo per esprimersi – i video, le foto, i post – per lui diventa una minaccia, quasi un attacco al suo ruolo nella relazione. Le riprese amatoriali, i filmati intimi, le chat, ci mostrano una Gabby che quando è sola torna a essere radiosa, autentica, spontanea. Quando è con lui, invece, il suo volto si chiude, la sua voce si abbassa, il sorriso si fa tirato, come se camminasse sulle uova, come se ogni parola potesse essere quella sbagliata.

Il 12 agosto 2021 segna un momento chiave: la polizia viene chiamata per una lite violenta. Le immagini delle bodycam sono tra i momenti più strazianti della docuserie. Gabby, in lacrime, terrorizzata, viene separata da Brian per una notte, ma già lì il danno è fatto. Dopo quell’episodio, il silenzio. Lei scompare dai social. Gli amici non riescono più a contattarla. La famiglia si agita, sente che qualcosa non va. Il 25 agosto arriva l’ultima telefonata, il filo sottile che ancora la teneva legata ai suoi cari. Poi, il vuoto.

Da quel momento, il caso esplode. I media si accendono, i social diventano una gigantesca macchina investigativa collettiva. È qui che “American Murder” ci mostra un altro aspetto di questa tragedia: il potere, ambivalente e controverso, dei social network. Da un lato strumenti potentissimi per diffondere informazioni, mobilitare persone, cercare risposte; dall’altro schermi deformanti, dietro cui si possono nascondere abusi, dolori, grida soffocate. La scomparsa di Gabby diventa un caso globale, e quando Brian torna a casa e si chiude nel silenzio, rifiutando di collaborare con le autorità, il sospetto si trasforma in certezza. Il 19 settembre, nel Parco Nazionale di Bridger-Teton, il corpo di Gabby viene ritrovato. È ufficiale: siamo davanti all’ennesimo femminicidio, a una tragedia che avrebbe potuto e dovuto essere evitata.

Ma ciò che rende questa docuserie davvero unica è la sua capacità di scavare oltre la cronaca. Non si limita a raccontare i fatti, ma ci porta dentro l’universo emotivo di Gabby: i messaggi ai familiari, le confidenze alle amiche, le preoccupazioni della madre di Brian, le tensioni taciute e mai affrontate. Si percepisce quasi fisicamente il crescendo di ansia, quel senso di isolamento emotivo che spesso accompagna chi vive relazioni tossiche. Si esce dalla visione con la sensazione che questa non sia solo la storia di Gabby, ma anche quella di tante altre donne invisibili, che dietro i sorrisi sui social celano ferite profonde.

La famiglia di Gabby, oggi, porta avanti una missione dolorosa ma necessaria: attraverso la fondazione a lei intitolata, cerca di sensibilizzare sull’importanza di riconoscere i segnali della violenza domestica. Quella violenza subdola, sottile, che spesso si insinua con gesti piccoli, commenti svalutanti, controlli ossessivi, e che solo raramente esplode in episodi eclatanti, ma che giorno dopo giorno logora, spezza, uccide. La loro battaglia non è solo per onorare la memoria di Gabby, ma per dare voce a chi ancora non riesce a parlare, per aiutare chi non vede una via d’uscita, per insegnare a tutti noi quanto sia fondamentale non sottovalutare mai certi segnali.

Una delle riflessioni più potenti che mi ha lasciato “American Murder” riguarda proprio questo nostro rapporto con i social. Siamo spettatori incantati di vite altrui, ci lasciamo abbagliare da foto perfette, da coppie innamorate, da tramonti mozzafiato, e dimentichiamo che quella è solo una piccola parte della realtà. La parte montata, tagliata, editata. Dietro ogni selfie può esserci un mondo di dolore che non vediamo, dietro ogni post una richiesta di aiuto che non sappiamo interpretare. La docuserie ci lancia un monito chiaro: non basta guardare, dobbiamo imparare a vedere davvero.

Il caso Gabby Petito è diventato un simbolo globale. Ha scatenato discussioni sul femminicidio, sulla violenza di genere, sul ruolo dei media, sull’etica della comunicazione digitale. Ma, soprattutto, ci ha ricordato che dietro ogni storia virale ci sono vite vere, famiglie spezzate, dolori profondi. Gabby, attraverso la sua tragedia, continua a parlarci, a interrogarci, a scuoterci.

Se hai visto la docuserie o se pensi di guardarla, mi piacerebbe sapere cosa ne pensi. Hai avuto anche tu la sensazione che dietro i social si nascondano troppe verità taciute? Condividi i tuoi pensieri, raccontami le tue impressioni e, se ti va, condividi questo articolo sui tuoi social. Perché, come ci insegna la storia di Gabby, parlare di certe cose può fare la differenza. E forse, insieme, possiamo imparare a guardare meglio, a capire di più e, chissà, a tendere una mano a chi ne ha bisogno.

Apple Cider Vinegar: La serie Netflix che esplora l’inganno della wellness guru Belle Gibson

Apple Cider Vinegar, la nuova serie drammatica di Netflix creata da Samantha Strauss, è un’intrigante riflessione sulla natura dei social media, la cultura del benessere e i pericoli legati alla disinformazione. Basata su una storia vera, ma raccontata attraverso una lente di finzione, la serie affronta in modo crudo e affascinante la figura di Belle Gibson, un’imprenditrice australiana che ha costruito un impero online su una menzogna devastante: quella di essere sopravvissuta a un cancro terminale grazie a pratiche di salute alternativa.

La trama si sviluppa in sei episodi e racconta l’ascesa di Belle nell’universo dei social media, inizialmente attratta dalla storia di Milla Blake, una giovane donna che rifiuta le cure tradizionali per il cancro e si affida alla medicina alternativa. Milla diventa una figura di culto per molte persone in cerca di speranza, e la sua storia ispira Belle a intraprendere un cammino simile. La narrazione si snoda tra la finzione e la realtà, facendo emergere un tema fondamentale: la linea sottile tra cura e inganno, verità e manipolazione.

La trama e la sua forza emotiva

La serie non si limita a raccontare la vita di Belle, ma scava nei meccanismi psicologici di chi cerca disperatamente un punto di riferimento in un mondo che offre sempre più messaggi contrastanti sulla salute e il benessere. Il personaggio di Belle è dipinto con una complessità sorprendente: giovane, ambiziosa e, in qualche modo, fragile. La sua crescita nel mondo dei social media è seguita con una certa fascinazione, ma anche con un senso di inquietudine crescente, man mano che il suo impero si costruisce sulla menzogna. Ogni episodio ci ricorda, in modo schietto e talvolta doloroso, che questa è una storia vera basata su una bugia, creando un contrasto tra il glamour apparente e la devastazione interiore.

La presenza di personaggi come Lucy, una malata di cancro che si aggrappa alla speranza di Belle, rappresenta l’aspetto più emozionante della serie. La sua lotta, quella di chi si trova ad affrontare una malattia devastante, è fatta di momenti di fragilità, dubbi e la costante ricerca di risposte alternative. Lucy, pur consapevole dell’inganno, si rifugia nell’illusione di poter guarire, rendendo ancora più potente il messaggio della serie: quanto possiamo fidarci di ciò che vediamo online? Quanto ci fa sentire meno soli un “like” o un commento rassicurante?

La performance del cast

Il punto di forza di Apple Cider Vinegar risiede indubbiamente nelle interpretazioni dei suoi attori. Kaitlyn Dever, nel ruolo di Belle Gibson, è straordinaria nel rendere il personaggio tanto affascinante quanto inquietante. La sua Belle è una persona in continua ricerca di validazione, capace di manipolare il pubblico con una naturalezza disarmante, pur celando una fragilità emotiva profonda. La sua performance è il cuore pulsante della serie, ed è riuscita a trasmettere l’ambiguità morale del personaggio in modo convincente.

Al fianco di Dever, Alycia Debnam-Carey interpreta Milla Blake, una figura tragica che funge da specchio per Belle, mentre Aisha Dee, nel ruolo di Chanelle, e Tilda Cobham-Hervey, come Lucy, apportano profondità e umanità ai personaggi di supporto. Ognuna di queste interpretazioni, pur piccola nel loro apparire, è essenziale per costruire la tensione emotiva che permea l’intera serie.

Una critica alla cultura dei social media

La serie si distingue per il modo in cui esplora la relazione tra l’immagine pubblica e la realtà. La sceneggiatura, scritta da Samantha Strauss e supportata dal lavoro di Anya Beyersdorf e Angela Betzien, si fa portavoce di un commento acuto sulla superficialità con cui ci approcciamo alle informazioni in un’epoca dominata dai social. Il tema della fiducia, della verità e dell’autenticità è trattato in modo diretto ma senza essere moralista. Non ci sono colpevoli o innocenti assoluti; piuttosto, la serie ci invita a riflettere su come siamo tutti coinvolti in una cultura della disinformazione, in cui le storie di successo sono costruite a immagine e somiglianza di chi le racconta.

Un quadro d’insieme

Apple Cider Vinegar non è solo una storia di inganno e manipolazione, ma anche una riflessione sull’epoca digitale in cui viviamo. La serie riesce a combinare emozioni, critica sociale e una narrazione avvincente, che non lascia mai il tempo di distrarsi. Con una regia di Jeffrey Walker, che riesce a rendere ogni episodio intenso e ricco di tensione, la serie gioca con il ritmo e le prospettive per mantenere alta l’attenzione dello spettatore. Il risultato è un’esperienza visiva coinvolgente, che sa essere provocatoria senza cadere nel sensazionalismo.

Apple Cider Vinegar è una serie che non si dimentica facilmente. Grazie a una sceneggiatura intelligente, a performance straordinarie e a un tema quanto mai attuale, si impone come una delle migliori produzioni Netflix del 2025. La sua riflessione sulla cultura del benessere, sull’uso dei social media e sull’autenticità ci invita a chiederci: quanta parte della nostra vita è costruita su quello che vogliamo che gli altri vedano di noi? La serie riesce a trattare queste questioni con un equilibrio perfetto di dramma, tensione e introspezione, rendendola una visione obbligata per chi è interessato a come la realtà si intreccia con la finzione nell’era digitale.

I trend per il 2025 secondo Snapchat

Snapchat, una delle piattaforme più influenti nel panorama digitale, ha delineato i trend che guideranno l’evoluzione della creator economy, dello sport, del retail e del marketing nel 2025. La realtà aumentata (AR) e l’intelligenza artificiale (IA) saranno tra i principali protagonisti di questo cambiamento, portando innovazioni che trasformeranno profondamente i settori chiave.

1. L’Ascesa dei Creator di Nicchia: Quando la Comunità Conta Più della Popolarità

Nel 2024, il rapporto tra creator e piattaforme ha conosciuto un consolidamento significativo, con l’introduzione di nuove funzionalità alimentate dall’IA, pensate per incentivare la produzione di contenuti e favorire nuove opportunità di monetizzazione. Questo trend si è rivelato particolarmente vantaggioso per quei creator capaci di integrare l’intelligenza artificiale senza perdere il legame umano con le proprie community. Nel 2025, il focus si sposterà sulla scelta dei temi trattati dai creator, con un pubblico sempre più alla ricerca di contenuti che rispecchiano i propri valori e interessi. Questo fenomeno alimenterà l’ascesa di creator di nicchia, la cui capacità di costruire contenuti mirati su tematiche specifiche offrirà nuove e proficue opportunità di monetizzazione.

2. Video Brevi Educativi: Il Potere dell’Informazione Rapida

Con il dilagare dell’informazione globale, la necessità di rimanere aggiornati in modo rapido ed efficace è sempre più sentita. I video brevi, che nel 2024 hanno dominato i feed social, evolveranno nel 2025 in una versione ancora più mirata: i contenuti educativi. Le persone, infatti, si sentono spinte a comprendere in modo più chiaro e veloce le problematiche sociali, politiche e culturali che le circondano. In questo scenario, l’intelligenza artificiale svolgerà un ruolo fondamentale, aiutando i creator a recuperare e presentare contenuti informativi passati, offrendo agli utenti un accesso immediato alla conoscenza. Questo trend non solo favorirà l’engagement, ma contribuirà anche alla costruzione di comunità più coese attorno a tematiche socialmente rilevanti.

3. Retail: Equilibrio tra Valore e Aspirazione per i Consumatori del 2025

Il 2024 ha segnato un periodo di incertezze economiche, con i consumatori che hanno dovuto fare i conti con un aumento del costo della vita e una maggiore attenzione alla gestione delle proprie risorse. Questo cambiamento ha spinto i retailer a riflettere sul valore che offrono ai propri clienti. Sebbene l’incertezza economica continui anche nel 2025, la spesa dei consumatori sarà guidata da un mix di valore e aspirazione. I retailer, in particolare quelli premium, dovranno fare affidamento sul marketing basato sull’ispirazione e delegare sempre più il controllo creativo ai creator, che agiranno come veri e propri ambasciatori dei brand. Inoltre, l’adozione di tecnologie immersive come la realtà aumentata offrirà esperienze di acquisto che combinano il valore dei prodotti con la loro aspirazione, dando ai clienti la possibilità di visualizzare i prodotti in modo innovativo prima di acquistare.

4. Connessione Più Profonda tra Atleti e Fan, con un’attenzione Particolare agli Sport Femminili

Nel 2024, gli atleti hanno utilizzato le piattaforme social non solo per condividere le proprie prestazioni, ma anche per raccontare storie personali e interagire con i propri fan. Nel 2025, questa tendenza si intensificherà, con gli sportivi che continueranno a costruire legami più forti con i loro follower. Tuttavia, non sarà solo la performance sportiva a interessare il pubblico: il brand personale degli atleti e la loro capacità di raccontarsi fuori dal campo saranno sempre più al centro dell’attenzione. Un altro elemento che contribuirà a questa evoluzione sarà l’ascesa dello sport femminile. Eventi come gli Europei femminili di calcio e la Coppa del Mondo femminile di rugby del 2025 attireranno nuovi fan e contribuiranno ad aumentare la visibilità di atlete e sportivi. La connessione tra sport, cultura e moda sarà più forte che mai, con le atlete che influenzeranno non solo il mondo dello sport, ma anche la moda e la musica.

5. Marketing: Ottimizzazione della Misurazione in un’Era di Privacy

Il marketing ha dovuto fare i conti con una serie di sfide nel 2024, tra cui l’incertezza economica e l’adozione di tecnologie come l’intelligenza artificiale generativa. Questo scenario continuerà nel 2025, con i professionisti del marketing costretti a misurare l’efficacia delle loro campagne in modo più preciso. Il marketing mix modelling (MMM) emergerà come uno degli strumenti chiave per ottimizzare il budget e le strategie di fidelizzazione, mantenendo un giusto equilibrio tra investimenti in awareness e conversioni. Tuttavia, le sfide legate alla privacy continueranno a essere al centro del dibattito, con i marketer che dovranno trovare soluzioni per raccogliere dati in modo etico, garantendo la protezione della privacy degli utenti.

6. L’Intelligenza Artificiale: La Nuova Frontiera delle Esperienze AR

Nel 2024, Snapchat ha fatto importanti passi avanti nell’integrazione dell’IA con la realtà aumentata, lanciando esperienze innovative come la “Garment Generation” per il try-on dei vestiti e gli occhiali AR di quinta generazione. Nel 2025, l’IA continuerà a migliorare l’esperienza AR, rendendola ancora più precisa, coinvolgente e creativa. I creator avranno la possibilità di utilizzare l’IA per realizzare Lenti personalizzate semplicemente digitando le loro idee, portando la creazione di contenuti a un livello superiore e dando vita a esperienze immersive mai viste prima.

Conclusioni: Il Futuro del Digitale nel 2025

Il 2025 sarà un anno di grandi cambiamenti e opportunità. Con l’introduzione di tecnologie avanzate come l’IA e la realtà aumentata, il digitale si sta preparando a evolversi in direzioni inedite, offrendo nuove modalità di interazione e connessione per i creator, i consumatori, gli atleti e i professionisti del marketing. Questi trend rappresentano non solo l’evoluzione di settori consolidati, ma anche una nuova visione del futuro digitale, dove l’innovazione e la personalizzazione sono le parole chiave per il successo.

Dirt. Skeentopolis: La Nuova Avventura Cyberpunk di Giulio Rincione Tra Social Media e Cartoni Animati

Dirt. Skeentopolis di Giulio Rincione segna un nuovo capitolo della saga post-apocalittica del coniglio più irriverente e pungente del panorama fumettistico contemporaneo. Dopo il successo del primo volume, Dirt ritorna con un’avventura che si spinge ancora più in là, immergendo il lettore in un mondo futuristico che mescola atmosfere cyberpunk e una satira feroce sul mondo dei social media, degli influencer e delle dinamiche della fama. Pubblicato da Tunué, il secondo volume della serie, Skeentopolis, prosegue il viaggio di Dirt, l’antieroe che vive fianco a fianco con esseri umani e cartoni animati, in una città che sembra essere l’ultimo baluardo dell’umanità in un mondo segnato dalla catastrofe.

L’intreccio prende il via quando Dirt e il suo compagno di viaggio, l’animatore Mark Gerber, giungono a Skeentopolis, una città-stato fondata dal famoso influencer Darius Skeento, dove la convivenza tra cartoni animati e esseri umani sembra essere una condizione di armonia apparente. La città, che non ha mai conosciuto gli effetti devastanti della pandemia, è governata dal cartone animato più potente: Mister Magic, la prima creazione animata di Mark, che ora detiene il controllo assoluto. In un contesto in cui l’unico modo per emergere è partecipare a una lotta crudele per guadagnare follower e successo, Dirt si trova costretto a confrontarsi con un mondo che sfrutta il potere dei social media per definire il valore di ogni individuo, umano o cartone che sia. Una battaglia all’ultimo “like” attende il nostro protagonista, che lotta non solo per riconquistare la sua fama perduta, ma anche per scoprire il legame misterioso con una ragazzina che tormenta i suoi sogni e che sembra avere un legame con il suo passato.

Scritto e disegnato con la solita maestria da Giulio Rincione, Dirt. Skeentopolis non è solo una storia di avventura e comicità, ma anche una riflessione profonda sulla società contemporanea. Rincione, con il suo stile unico e inconfondibile, mescola l’umorismo sferzante di un personaggio come Dirt con una critica spietata al mondo degli influencer, ai social media e alla ricerca di fama facile e immediata. Il mondo di Skeentopolis, con la sua apparente perfezione, nasconde infatti un lato oscuro, dove la competizione tra i cartoni animati per guadagnare il favore del pubblico è talmente intensa da diventare distruttiva. Un mondo dove l’intrattenimento, e soprattutto la creazione artistica, è ormai ridotto a un algoritmo, a un contenuto facilmente digeribile e consumabile, senza più spazio per l’originalità e l’autenticità.

La figura di Dirt, con la sua visione disillusa e tormentata della vita, è una metafora di un’epoca che sembra aver smarrito il senso dell’autenticità. Come un Roger Rabbit imbruttito dalla vita e dal fumo, Dirt naviga in un mondo che lo ha relegato ai margini, ma che ora, nel cuore della distopia di Skeentopolis, sembra offrire un’ultima possibilità di riscatto. La città, infatti, è un crogiolo di riferimenti e omaggi alla cultura pop e all’animazione, in cui si mescolano vecchie glorie dell’animazione, come Betty Boop, con personaggi più moderni come Jinx di Arcane, in uno scontro tra il vintage e il contemporaneo che non indulge mai troppo nel facile nostalgismo, ma che riflette su come il mondo dell’animazione sia cambiato, da quando era una forma di arte libera a quando è diventata una merce da consumare.

Nel mondo di Dirt. Skeentopolis, l’intelligenza artificiale e gli algoritmi sono diventati i nuovi dei che determinano il successo o il fallimento di un personaggio. L’intero sistema sembra essere stato progettato per premiare la produzione di contenuti sempre più innocui e facili da digerire, ma che non lasciano spazio alla vera creatività. Rincione, con la sua narrazione graffiante e la sua arte visiva mozzafiato, mette in scena una critica feroce a questo processo di omologazione, in cui il valore artistico viene sacrificato sull’altare del successo commerciale.

La bellezza di Dirt. Skeentopolis sta nella sua capacità di intrattenere senza mai rinunciare alla riflessione. Rincione alterna con maestria momenti di pura comicità e ironia a passaggi di grande intensità emotiva, creando un equilibrio perfetto tra intrattenimento e critica sociale. Le sue tavole, ricche di dettagli e caratterizzate da un tratto unico, ci trasportano in un mondo che sembra essere più vicino di quanto pensiamo, in cui le dinamiche della fama, del successo e della ricerca di visibilità diventano temi universali. Dirt. Skeentopolis è un fumetto che non solo ci fa ridere e riflettere, ma ci invita anche a guardare più a fondo, a chiederci cosa succede quando l’arte e l’intrattenimento diventano strumenti di controllo delle masse. Giulio Rincione, con la sua visione unica, riesce a raccontare una storia che è allo stesso tempo un’avventura emozionante e un’analisi impietosa della società moderna, senza mai dimenticare di divertirci lungo il cammino. Un’opera che, come il suo protagonista, lotta per non essere dimenticata.

Dal Solletico al Successo: Il Fenomeno del Tickling Fetish tra Storia, Erotismo e Cultura Pop

Nel vastissimo universo della cultura pop, dove convivono supereroi in calzamaglia, spade laser, idol virtuali e detective di carta e inchiostro, ci sono anche angoli nascosti, apparentemente lontani dai riflettori mainstream, ma capaci di raccontare storie sorprendenti e di svelare aspetti inaspettati della natura umana. Uno di questi è il tickling fetish, ovvero il feticismo del solletico. Sì, hai letto bene: il solletico, quello che da bambini ci faceva ridere fino alle lacrime, che ci faceva contorcere tra le braccia di un amico o sotto le mani di un fratello maggiore, in certi casi diventa una pratica erotica, un gioco di potere, un rituale di piacere e vulnerabilità.

A raccontarcelo in modo emblematico è la storia di Mia Bailey, una giovane australiana che ha trasformato il solletico in un vero e proprio business digitale. Su OnlyFans, piattaforma ormai celebre per ospitare contenuti adulti a pagamento, Mia ha iniziato a pubblicare video dove si lascia solleticare da altri. E nel giro di pochi giorni – non mesi, non anni, ma giorni – è riuscita a ripagare i suoi debiti universitari, comprarsi un’auto, aiutare la famiglia e persino pianificare l’acquisto di una casa. Non male per qualcosa che molti considerano solo una buffa tortura da cameretta.

Ma perché il tickling è così potente, da un punto di vista emotivo e, per alcuni, sessuale? Il termine inglese “tickling” è ormai entrato anche nel nostro vocabolario, e non parliamo solo dei meme con i gatti o dei video virali su TikTok. Nel mondo del BDSM e del fetish, il solletico diventa una forma di iperstimolazione del sistema nervoso periferico. Si lavora su zone sensibili del corpo – piedi, ascelle, collo, fianchi – e lo si fa con dita, piume, pennelli, strumenti appositi. A volte si accompagna a legature dolci, a volte si inserisce in giochi più estremi di dominio e sottomissione. Non è un semplice ridere: è abbandono, è perdita del controllo, è cedere alla vulnerabilità più pura. E proprio per questo, per molti, è profondamente erotico.

Esiste perfino un termine clinico per definirlo: knismolagnia (o titillagnia), il piacere sessuale legato al solletico. Alcuni provano eccitazione ricevendolo, altri osservandolo. In queste dinamiche si creano ruoli ben precisi: il “ler” (dal verbo to tickle, tickler), colui o colei che solletica, e il “lee” (ticklee), chi riceve. E ci sono anche i cosiddetti “switch”, che amano entrambi i ruoli. La particolarità? È tutto basato sul consenso, sulla fiducia, su una danza psicologica tra controllo e abbandono.

Ma il tickling ha anche un lato oscuro, ben radicato nella storia. Nell’antico Giappone, ad esempio, esisteva la pratica del “Kusuguri-Zeme”, che significa letteralmente “solletico spietato”. Era una forma di punizione privata inflitta al di fuori del codice penale. Nell’antica Roma e nel Medioevo, si praticava la “lingua di capra”: i piedi del condannato venivano cosparsi di miele o sale, e delle capre affamate li leccavano per ore, provocando una tortura fatta di risate disperate. Persino nei campi di concentramento nazisti, secondo la testimonianza di Heinz Heger, il solletico veniva usato come strumento di umiliazione psicologica, in un macabro “gabinetto delle risate” dove vittime appese venivano stimolate con penne d’oca finché le loro risate si trasformavano in urla.

Eppure, nonostante queste radici storiche oscure, oggi il tickling è stato ribaltato e risignificato. Nelle comunità fetish e BDSM contemporanee è diventato uno spazio sicuro, consensuale, dove esplorare limiti e desideri senza vergogna. Non si tratta solo di piacere fisico, ma anche di connessione emotiva. Per molti è una forma di meditazione attiva, un modo per staccare la mente, per affidarsi completamente a qualcun altro, per ritrovare un senso di autenticità che manca nelle interazioni digitali perfette e patinate.

La storia di Mia Bailey è emblematica anche sotto un altro aspetto: ci racconta come oggi le piattaforme digitali abbiano spalancato le porte a economie di nicchia, dove passioni e inclinazioni, anche le più particolari, possono diventare fonte di reddito. OnlyFans, con il suo modello diretto e senza intermediari, permette a creator come Mia di costruire comunità affiatate, dove il fulcro non è solo l’aspetto sessuale, ma anche il senso di appartenenza, la condivisione, la vulnerabilità reciproca. Quello che forse ci colpisce di più non è tanto il feticismo in sé, ma il bisogno umano di sentirsi visti per ciò che si è, senza filtri.

E qui viene la domanda che, da nerd curiosa di ogni angolo del web, mi faccio sempre: quanti altri mondi nascosti ci sono là fuori, pronti a trasformarsi in comunità fiorenti? Quanti altri microcosmi popolano la rete, dove ci si incontra per condividere passioni, ossessioni, desideri? Dal cosplay ai giochi di ruolo erotici, dalle fanfiction alle chat di roleplay, dal collezionismo di oggetti hitech ai forum sugli anime più oscuri, internet è una galassia di universi paralleli che aspettano solo di essere esplorati.

E voi, cari lettori del CorriereNerd.it, siete mai inciampati in sottoculture online che vi hanno affascinato, magari anche un po’ scioccato, ma da cui non siete più riusciti a distogliere lo sguardo? Raccontatemelo nei commenti qui sotto o, se preferite, condividete questo articolo sui vostri social con un vostro pensiero. Sono curiosissima di scoprire quali angoli bizzarri, sorprendenti e meravigliosi del web avete esplorato! Perché alla fine, diciamocelo, essere nerd significa proprio questo: avere una fame inesauribile di storie, misteri e mondi nuovi da scoprire.

Frank Gramuglia: Da impiegato infelice a influencer di successo, la sua rivoluzione social

Frank Gramuglia, un nome che ormai risuona forte sui social, è diventato un fenomeno, guadagnando milioni di follower grazie alla sua satira pungente e al suo approccio ironico riguardo il mondo del lavoro. Con una carriera che parte dall’alberghiero e culmina nella sua nuova vita da content creator, Gramuglia rappresenta quella che potremmo definire una “rivoluzione sociale” nell’approccio al lavoro, alla carriera e, soprattutto, alla felicità professionale.

La sua storia inizia lontano dai riflettori, tra i tavoli di un bar a Arese, quando, appena adolescente, lavorava nel locale di famiglia. Una realtà ben lontana dai fasti dei social network, ma che lo ha messo in contatto con il mondo del lavoro fin da giovanissimo. Dopo una serie di esperienze in hotel e nel settore alberghiero, che lo vedono ricoprire ruoli sempre più importanti fino a diventare direttore, Frank ha capito che l’ambiente professionale tradizionale non faceva per lui. Il 2020 è stato l’anno della sua svolta: dopo aver lasciato il suo posto nel settore alberghiero, ha iniziato a dedicarsi con sempre maggiore passione alla creazione di contenuti su TikTok e Instagram.

Oggi, con oltre tre milioni di follower, Gramuglia è una delle voci più ascoltate quando si parla di critica sociale, in particolare per quanto riguarda il mondo del lavoro. Nei suoi video, l’ex impiegato racconta le problematiche quotidiane di un sistema che spinge le persone a lavorare sempre di più senza alcuna gratificazione. Con ironia e cinismo, non risparmia le sue stoccate a datori di lavoro senza scrupoli, a colleghi ambiziosi e a tutte quelle dinamiche che caratterizzano l’ufficio come un microcosmo tossico e alienante. Tra gli argomenti più amati dal suo pubblico c’è la critica al ritorno in ufficio post-pandemia, che a suo parere ha evidenziato tutte le contraddizioni di un sistema che impone una flessibilità illusoria, quando in realtà il traffico, le videoriunioni inutili e le continue pressioni sono diventati i veri nemici della produttività.

A differenza dei classici influencer che spesso nascondono dietro un’immagine patinata una vita agiata, Gramuglia ha sempre parlato in modo schietto della sua esperienza. Durante la pandemia, ha affrontato momenti di difficoltà economica, arrivando a trovarsi con meno di mille euro in banca. Ma è stato proprio in quel periodo che, grazie all’isolamento, ha deciso di dedicarsi con maggiore impegno ai social, ottenendo risultati straordinari. Il suo successo, però, non è stato casuale: la sua capacità di trasformare la frustrazione lavorativa in contenuti virali ha conquistato una vasta platea, spingendolo a guadagnare ben dieci volte quanto faceva nel suo precedente impiego.

In un’intervista al Corriere Milano, Frank ha raccontato il suo quotidiano lavorativo. Nonostante la sua routine sia molto diversa da quella di un impiegato tradizionale, Gramuglia lavora in media dalle dieci alle quattordici ore al giorno. La sua giornata inizia spesso di notte, quando si sveglia per dare uno sguardo al lavoro di altri creatori, per poi scrivere nuove idee e iniziare la giornata lavorativa vera e propria. Sebbene i suoi orari siano molto flessibili, la disciplina che ha acquisito nel corso degli anni è una delle chiavi del suo successo. “Faccio tutto da solo: filmo, monto, taglio. Non ho dipendenti o collaboratori a parte l’agenzia che mi aiuta con i contatti”, ha spiegato.

Una delle cose che più emergono dal suo racconto è la libertà che ha acquisito dal suo cambiamento professionale. “Mi svegliavo alle 6 per andare al lavoro con zero soddisfazioni. Ora lavoro più ore, ma ciò che faccio mi piace. Inoltre, sono io a decidere tutto, non dipendo da nessuno”, ha commentato con il suo tipico sarcasmo. Questo atteggiamento di libertà e indipendenza non è solo un aspetto della sua carriera da content creator, ma è anche un principio che ha applicato nella sua vita personale. Dopo aver lasciato la sua casa a Milano, ha deciso di investire in un bed & breakfast, il “GramugliHouse”, che gestisce con la sua compagna Elisa Demichele, dando vita a un altro progetto che gli consente di guadagnare senza sacrificare la sua libertà.

Un altro elemento importante della vita di Gramuglia è il suo libro, Il taccuino della vergogna, pubblicato nel 2019, che segna l’inizio del suo percorso come autore. Con uno stile che mescola il cinismo a una scrittura ironica, ha raccontato le sue esperienze nel mondo del lavoro e la sua generazione, mettendo in luce le difficoltà, le contraddizioni e le frustrazioni di chi, come lui, ha cercato di fare carriera in un ambiente troppo spesso alienante.

Oggi Frank Gramuglia è un simbolo di quella generazione che ha deciso di prendere in mano la propria vita e di costruirsi un futuro su misura, lontano dagli schemi tradizionali del lavoro d’ufficio. Il suo percorso dimostra che, seppur con fatica e sacrificio, è possibile reinventarsi, trovare soddisfazione nel proprio lavoro e, soprattutto, non avere paura di mettere in discussione ciò che fino a ieri sembrava l’unica strada percorribile. Con il suo successo, Gramuglia ha dimostrato che i social possono essere una valida alternativa ai lavori tradizionali, permettendo di guadagnare, ma anche di vivere una vita più libera, meno stressante e, soprattutto, più appagante.

Bitstore: Un’Associazione Abruzzese nel Mondo del Gaming

Il mondo degli eSports continua a crescere esponenzialmente, coinvolgendo milioni di appassionati ogni giorno. In Abruzzo, una delle realtà emergenti in questo settore è Bitstore, un team che sta facendo parlare di sé nel panorama del gaming competitivo, creando nuove opportunità per giovani talenti e portando gli eSports alla ribalta regionale. Nel corso del 2024, Bitstore ha consolidato la propria posizione, diventando un punto di riferimento per i fan dei giochi competitivi in Abruzzo. Grazie a un gruppo affiatato e a una visione chiara, il team ha ottenuto numerosi successi, ma l’ambizione di crescita non si ferma qui. Gli anni 2025 e 2026 si prospettano come periodi di grande espansione, con nuove collaborazioni con content creator e influencer e una partecipazione sempre più attiva a fiere e eventi del settore.

Il team ha già avuto una forte presenza in eventi prestigiosi come il Pescara Comix, il Pescara Wonderfest, il Fun Fest Pescara, il Gamics Marche e il Gamics Cesena. Questi eventi sono fondamentali per Bitstore, che intende sfruttare queste occasioni per farsi conoscere non solo in Abruzzo, ma anche a livello nazionale. La partecipazione a tali manifestazioni permette al team di coinvolgere la propria community di appassionati, promuovendo la cultura degli eSports e contribuendo alla crescita del settore.

Nel 2025, Bitstore ha in programma di ampliare ulteriormente il proprio network, cercando nuovi talenti, content creator e influencer per supportare la crescita del team. L’obiettivo è attrarre nuovi appassionati e talenti per le future competizioni, rendendo l’Abruzzo un punto di riferimento per il mondo degli eSports in Italia.

Con una strategia chiara e determinata, Bitstore punta a diventare un leader nel settore del gaming competitivo, non solo in Abruzzo, ma su scala nazionale. Il futuro prossimo si preannuncia ricco di eventi, collaborazioni e nuove opportunità, con un team che cresce giorno dopo giorno e una community sempre più forte e appassionata. Gli eSports, un settore in continua espansione in Italia, offrono grandi opportunità per chi sa coglierle. Bitstore, con la sua visione innovativa, si prepara a diventare una delle realtà di riferimento per il gaming competitivo, portando l’Abruzzo sotto i riflettori di una comunità globale di appassionati.

L’Italia nella Creator Economy: Crescita, Opportunità e Sfide per i Content Creator

L’Italia si sta consolidando come uno dei principali protagonisti nella Creator Economy europea, piazzandosi al terzo posto con una media di 82 creator ogni 100.000 abitanti, come evidenziato dal rapporto I-Com 2024 per AICDC. Questo dato riflette chiaramente l’importanza crescente dei content creator nel panorama del marketing digitale. Non solo l’Italia è un punto di riferimento per la produzione di contenuti, ma sta emergendo anche come una nazione chiave nel settore dei social media, dove i creator, seppur spesso confusi con gli influencer, rivestono un ruolo molto più strutturato e professionale.

Il termine “creator” ha assunto negli ultimi anni una rilevanza sempre maggiore, distinguendosi dalla figura dell’influencer tradizionale. Mentre gli influencer erano inizialmente associati principalmente alla promozione di prodotti, i creator sono ora visti come veri e propri professionisti che utilizzano la loro creatività per sviluppare contenuti originali. Questi contenuti spaziano dai tutorial ai vlog, dalle recensioni di prodotti alle creazioni artistiche, con una forte componente di interazione con il pubblico. Si tratta di un lavoro che va oltre la semplice promozione, puntando a costruire una comunità fedele di seguaci.

La crescita del settore dei creator in Italia è impressionante. Nel 2023, i ricavi generati dai creator italiani hanno raggiunto i 4,06 miliardi di euro, con Instagram che rappresenta la principale fonte di guadagno, contribuendo con oltre 3,3 miliardi di euro. A seguire, TikTok e YouTube hanno generato rispettivamente 447 milioni e 280 milioni di euro. Questi numeri evidenziano come i creator non siano più una nicchia, ma una vera e propria forza trainante dell’economia digitale globale.

L’Italia non si limita a essere un centro di creatività digitale, ma sta anche adottando politiche a sostegno dei creator. Un esempio di questo impegno è la recente bozza di circolare dell’INPS, che riconosce i diritti previdenziali dei professionisti digitali. L’INPS ha avviato un dialogo con le associazioni di categoria per garantire ai creator un futuro previdenziale solido e un quadro normativo che supporti la crescita del settore. Un passo importante che segna il riconoscimento ufficiale dei creator come lavoratori a tutti gli effetti.

Il settore della Creator Economy è in continua espansione. Nel 2023, il mercato dei media digitali ha raggiunto un valore di 498,60 miliardi di dollari, con previsioni che vedono un incremento di oltre 200 miliardi nei prossimi anni. L’Italia, con i suoi 37.700 creator, ha visto una crescita del 33% del settore dell’influencer marketing dal 2020 al 2023, consolidando la sua posizione come uno dei principali attori europei in questo ambito.

Le prospettive per i creator italiani sono promettenti. L’espansione del mercato digitale, che ha registrato una crescita di 8,39 miliardi di euro dal 2017 al 2022, dovrebbe continuare anche nei prossimi anni, con una previsione di incremento del 15,52% entro il 2026. Allo stesso tempo, la crescente professionalizzazione del settore implica una maggiore domanda di formazione e competenze specialistiche. Le aziende, infatti, non vedono più la collaborazione con i creator come una semplice opportunità, ma come una necessità strategica per raggiungere un pubblico sempre più variegato e difficile da raggiungere attraverso i canali tradizionali.

Oggi, per diventare un content creator di successo, non basta più essere semplicemente creativi e avere una buona strategia sui social. I creator devono affrontare sfide sempre più complesse, come la gestione del proprio brand, la monetizzazione dei contenuti e l’adeguamento a normative fiscali e previdenziali. Una consapevolezza di queste dinamiche è cruciale per chi vuole intraprendere questa carriera, ma anche per le aziende che desiderano sfruttare al meglio il potenziale dei creator.

In conclusione, l’Italia si sta affermando come un leader nel cambiamento digitale che sta trasformando l’Europa e il mondo. I creator sono diventati una risorsa indispensabile per il marketing e per la crescita dell’economia digitale. La loro abilità nel creare contenuti autentici e coinvolgenti li rende un elemento fondamentale nell’ecosistema dei media digitali. Con un quadro normativo sempre più chiaro e una crescente professionalizzazione, il futuro dei creator italiani appare ricco di opportunità, ma anche di sfide che richiederanno competenza e preparazione.

Khaby Lame: Da TikTok al Red Carpet di Hollywood, la Storia di un Fenomeno Globale

Khaby Lame, il tiktoker italiano che ha conquistato il cuore di milioni di fan, è diventato un vero e proprio fenomeno globale. Con la sua inconfondibile ironia, è riuscito a smascherare la complessità inutile dei famosi “life hack”, guadagnandosi il titolo di Re indiscusso di TikTok e scalzando dalla vetta la ballerina Charli D’Amelio. Ma Khaby non si è fermato lì: la sua ascesa non ha conosciuto ostacoli, portandolo direttamente nell’Olimpo delle celebrità, dove oggi collabora con star del calibro di Matt Damon, Robert Downey Jr. e Tom Cruise, e partecipa a eventi prestigiosi come il Super Bowl e il Taormina Film Festival.

Nato nel 2000 in Senegal e cresciuto a Chivasso, Khaby ha visto la sua vita cambiare radicalmente dopo essere stato licenziato dal lavoro in fabbrica durante la pandemia. In quel periodo difficile, ha trovato una via di fuga su TikTok, dove ha iniziato a creare video quasi per gioco. Con il tempo, il suo stile unico, fatto di espressioni e gesti che parlano più delle parole, lo ha portato a superare influencer affermati come Chiara Ferragni e perfino Mark Zuckerberg in termini di follower. In un paio di settimane, Khaby ha realizzato un video proprio per scherzare sulla sua scalata, riuscendo a guadagnarsi un like dallo stesso Zuckerberg.

La chiave del suo successo? La semplicità. Khaby non ha bisogno di ballare, cantare o recitare sketch complessi. La sua forza sta nell’ironia sottile che sa rivelare l’assurdità dei “life hack” attraverso un gesto o un’espressione facciale. Un linguaggio universale che ha fatto breccia nel cuore di persone di ogni età e provenienza. E questa stessa formula ha permesso a Khaby di espandere la sua fama ben oltre i confini italiani, conquistando un pubblico internazionale.

Quello che è iniziato come un gioco, un modo per passare il tempo durante il lockdown, si è trasformato in una carriera straordinaria. Chi l’avrebbe mai detto che un ragazzo di Chivasso, partito da zero, sarebbe diventato uno degli influencer più noti a livello mondiale? Eppure, la sua storia è la prova che non serve una produzione cinematografica da Oscar per diventare una star. Con la giusta dose di originalità, è possibile costruire un impero digitale partendo da un semplice sorriso.

E ora, dopo aver accumulato oltre 160 milioni di follower su TikTok, Khaby è pronto a sfidare se stesso con nuovi progetti ambiziosi. Nel 2025 lo vedremo protagonista di una spy story hollywoodiana e parteciperà anche a un docufilm sull’ambiente, al fianco del leggendario Robert Redford. Il suo manager, Nicola Paparusso, è convinto che Khaby abbia tutte le carte in regola per diventare una vera star di Hollywood, e forse un futuro Oscar non è così lontano. Le sue ambizioni non si fermano qui: il tiktoker ha espresso più volte il desiderio di lasciare un segno indelebile nel mondo del cinema, diventando un’icona per le nuove generazioni.

La sua è una storia di riscatto, di creatività e determinazione. Partito da una situazione difficile, Khaby ha costruito mattone dopo mattone il suo impero digitale, riuscendo a raggiungere traguardi che sembravano impensabili. Nonostante il successo travolgente, continua a rimanere umile e genuino, non dimenticando mai le sue origini.

Il futuro di Khaby è una terra tutta da esplorare, e chissà quali altre sorprese ci riserverà. Una cosa è certa: il tiktoker italiano è destinato a far parlare di sé ancora a lungo. Quindi, preparatevi a seguire i suoi nuovi progetti e a tifare per lui mentre si lancia in questa nuova, entusiasmante avventura!

Exit mobile version