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King of the Hill: Hulu rinnova i per due nuove stagioni

King of the Hill, la sitcom animata creata da Mike Judge e Greg Daniels, torna a bruciare (di propano, ovviamente) più viva che mai. Dopo un revival già accolto come un trionfo nel 2024, Hulu ha deciso di scommettere ancora sul quartiere texano di Arlen, rinnovando la serie per due nuove stagioni, la sedicesima e la diciassettesima. Una scelta che non sorprende i fan, ma che conferma una verità ormai chiara: anche dopo quasi trent’anni, gli Hill non hanno perso un briciolo del loro fascino.

Il ritorno dei re del propane

Hulu aveva già confermato il revival per il 2026, ma il successo della stagione 14, lanciata il 4 agosto 2024, ha convinto i vertici della piattaforma a raddoppiare l’investimento. L’accoglienza è stata travolgente: la serie è diventata una delle produzioni animate più viste dell’anno, con recensioni entusiaste e un fandom che non ha mai smesso di citare Hank, Peggy e Bobby nei forum, nei meme e nei podcast dedicati all’animazione.
Il ritorno di King of the Hill non è solo una questione di nostalgia, ma un raro esempio di revival che funziona davvero: uno show capace di rispettare lo spirito originale, aggiornandolo senza snaturarlo.

Mike Judge – già voce di Hank Hill e mente geniale dietro Beavis and Butt-Head – ha ripreso in mano il progetto affiancato da Greg Daniels (The Office, Parks and Recreation). Il risultato è una serie che mantiene il tono ironico, malinconico e sorprendentemente umano che l’ha resa immortale, ma lo traduce nel linguaggio di oggi, parlando di America, famiglie e identità in modo ancora più diretto.

Arlen cresce, ma resta sé stessa

Il nuovo King of the Hill ci riporta ad Arlen, Texas, anni dopo gli eventi originali. I personaggi sono cresciuti: Bobby è ormai un adulto che cerca di farsi strada nel mondo, Connie naviga le sfide della vita contemporanea, e Hank deve confrontarsi con un’America che non riconosce più del tutto. Eppure, dietro le barbe invecchiate e i riferimenti moderni, la sostanza non cambia: la serie continua a essere una fotografia affettuosa (e spesso impietosa) della provincia americana, con i suoi rituali, le sue contraddizioni e le sue piccole verità universali.

Il rinnovo per altre due stagioni – che porteranno la serie fino al 2028 – significa anche una cosa molto importante dal punto di vista narrativo: più spazio per costruire archi narrativi complessi, più libertà creativa per gli autori e più tempo per dare risposta ai fili lasciati in sospeso.
Le relazioni tra Bobby e Connie, la situazione familiare di Luann, Lucky e della piccola Gracie: tutto questo tornerà al centro della scena, in un intreccio che promette nuove risate, ma anche riflessioni più mature.

Un’eredità lunga ventotto anni

L’originale King of the Hill debuttò su Fox nel 1997, restando in onda fino al 2010 con 259 episodi distribuiti su tredici stagioni. La serie divenne rapidamente un fenomeno di culto, conquistando premi, parodie e citazioni ovunque: dal Saturday Night Live a Family Guy.
Nel 2007 Time Magazine la inserì tra i 100 migliori programmi televisivi di tutti i tempi, riconoscendone il valore culturale e il modo in cui seppe raccontare la middle class americana con umorismo e realismo. Era – e resta – uno dei pochi cartoon a trattare i suoi personaggi come persone vere, non come macchiette.

Con il revival, Hulu e Disney+ (che lo distribuisce in Italia) hanno riportato in vita quella formula quasi perfetta, scegliendo di non stravolgere l’estetica né la filosofia narrativa: animazione sobria, ritmo quotidiano, umorismo sottile e un cuore enorme.
In un panorama dominato da crossover e universi espansi, King of the Hill continua a essere una boccata d’aria fresca: un racconto sull’America dei barbecue e delle porzioni extra large, che sa però parlare anche al pubblico globale.

Il segreto del successo: umanità e ironia

King of the Hill non si limita a cavalcare la nostalgia. Ogni episodio è costruito come un piccolo saggio di equilibrio narrativo: un piede nel passato e uno nel presente.
L’ironia si mescola con momenti di genuina tenerezza, e i personaggi – da sempre il cuore pulsante della serie – restano riconoscibili, pur affrontando temi più attuali come l’uso della tecnologia, la polarizzazione politica o la crisi climatica.
È un equilibrio raro, e forse proprio per questo lo show continua a crescere di stagione in stagione, consolidandosi come una delle più longeve serie animate della storia di Fox, seconda solo a I Simpson e I Griffin.

Una fiamma che non si spegne

Il futuro sembra assicurato per Hank e compagni: con le stagioni 16 e 17 già confermate, Judge e Daniels hanno il tempo di costruire un arco narrativo di ampio respiro, forse perfino un finale degno della leggenda che King of the Hill è diventato.
E chissà, magari la serie supererà davvero la barriera delle 300 puntate, riportando Arlen tra le capitali dell’animazione mondiale.
Dopotutto, come direbbe Hank Hill con il suo proverbiale pragmatismo: “Non serve cambiare il carburante, se il propane brucia ancora così bene”.

The Paper: lo spin-off di The Office che ha già una seconda stagione (ancora prima del debutto)

Il futuro dei quotidiani cartacei potrà sembrare incerto, ma quello di The Paper, la nuova serie di Peacock ambientata nello stesso universo narrativo di The Office, è già scritto: il colosso dello streaming ha infatti deciso di rinnovarla per una seconda stagione ancor prima della messa in onda della prima. Una mossa che profuma di fiducia assoluta, ma anche di una precisa strategia per intercettare i fan orfani del mockumentary più amato della TV.

Un ritorno nel mondo di The Office, ma con un nuovo battito

The Paper non è un sequel diretto, eppure si muove nello stesso mondo narrativo di Dunder Mifflin. La serie segue le vicende della troupe documentaristica che già conosciamo, ma questa volta la telecamera non punta su una cartiera bensì su un piccolo giornale locale di Toledo, Ohio. Protagonista è Domhnall Gleeson nei panni di Ned Sampson, un direttore improbabile ma pieno di ideali, chiamato a salvare una redazione in crisi in un’epoca in cui i quotidiani lottano per sopravvivere.

Accanto a lui troviamo un cast corale che promette scintille: Chelsea Frei, Melvin Gregg, Alex Edelman, Ramona Young, Gbemisola Ikumelo e Tim Key. Ciliegina sulla torta, il ritorno di Oscar Nuñez che riprende il ruolo di Oscar Martinez, legando con un filo diretto lo spin-off alla serie madre.

Un rinnovo lampo, come ai vecchi tempi

A colpire non è solo il concept, ma la rapidità con cui Peacock ha scelto di scommettere sul progetto. L’annuncio della stagione 2 è arrivato prima della premiere del 4 settembre e persino prima che scadesse l’embargo sulle recensioni. Un gesto che richiama il passato dell’industria televisiva, quando le produzioni puntavano sulla fiducia e sull’immediatezza, senza lasciar passare anni tra una stagione e l’altra.

Alla guida del progetto ci sono Greg Daniels, già co-creatore di The Office, e Michael Koman nel ruolo di showrunner. Daniels ha dichiarato a Variety che la writers’ room è già al lavoro su nuove trame: «Abbiamo già idee e stiamo parlando delle storie della seconda stagione». Un segnale che i tempi di attesa infiniti, spesso frustranti per i fan, potrebbero essere accorciati.

Nostalgia, satira e nuove sfide

The Paper sembra voler fondere due anime: da un lato l’ironia corrosiva e il linguaggio mockumentary che hanno reso immortale The Office, dall’altro la volontà di affrontare temi attualissimi, come la crisi dell’informazione, il ruolo del giornalismo locale e il contrasto tra vecchi e nuovi media.

Peacock rilascerà tutti i dieci episodi della prima stagione in un colpo solo, un chiaro riferimento al modo in cui i fan di The Office hanno divorato la serie quando è sbarcata sulle piattaforme di streaming. Un binge-watching che potrebbe trasformarsi in una nuova maratona cult.

The Office è davvero infinito?

L’ombra di The Office è lunga e, ancora oggi, amatissima. The Paper, però, non si accontenta di essere una semplice operazione nostalgia. Sembra voler aprire una nuova finestra su un mondo familiare, rivelandoci come le dinamiche tragicomiche del lavoro possano ripetersi in qualunque contesto, che sia un ufficio pieno di raccoglitori o una redazione assediata da deadline impossibili.

E allora la domanda è inevitabile: riuscirà The Paper a guadagnarsi un’identità propria, o resterà per sempre lo “spin-off di The Office”? Peacock, con il suo rinnovo anticipato, sembra scommettere sulla prima ipotesi.


👉 E voi cosa ne pensate? Vi incuriosisce l’idea di tornare nell’universo di The Office con un nuovo punto di vista, o temete un effetto déjà-vu? Fatecelo sapere nei commenti e condividete l’articolo con gli amici fan della serie: la community di CorriereNerd vive anche grazie alle vostre voci e alle vostre passioni!

Upload: il gran finale della serie che ha hackerato il paradiso digitale

Immaginate di poter scegliere come sarà il vostro aldilà. Non un luogo etereo fatto di nuvole e arpe, ma un resort di lusso, con vista lago, colazione perfetta ogni mattina e la possibilità di modificare la vostra esistenza con un clic. È l’idea geniale – e inquietante – alla base di Upload, la comedy sci-fi di Prime Video firmata da Greg Daniels (sì, proprio il creatore di The Office), che dal 25 agosto si prepara a chiudere i battenti con la quarta e ultima stagione. Quattro episodi per dire addio a Nathan, Nora e al mondo digitale di Lakeview, in un epilogo che promette amore, misteri e un’intelligenza artificiale più malvagia di qualsiasi boss finale di un videogame.

Dall’incidente sospetto al paradiso in cloud

La storia inizia nel 2033, quando la tecnologia ha finalmente reso possibile “caricare” la propria coscienza in un aldilà virtuale. Il prezzo? Variabile, e come nella vita reale, più paghi, più il paradiso è confortevole. Nathan (Robbie Amell), giovane sviluppatore brillante e con un passato sentimentale complicato, muore in un misterioso incidente stradale provocato – forse – dalla sua auto a guida autonoma. La sua coscienza viene trasferita a Lakeview, un resort digitale perfetto e inquietante allo stesso tempo, dove incontra Nora (Andy Allo), assistente umana – o “angelo” – che lo guida nel suo adattamento alla nuova vita da entità digitale. Ma dietro le colazioni panoramiche e le passeggiate simulate, si nasconde un intrigo che collega la sua morte a interessi aziendali molto concreti.

Una commedia che sa essere crudele

Upload non è solo una serie “techno-ottimista”: è un mix calibrato di romanticismo, satira sociale e thriller, dove l’aldilà virtuale diventa lo specchio deformato delle disuguaglianze del mondo reale. Lakeview, con i suoi pacchetti premium e le restrizioni per chi ha “pochi giga” a disposizione, è tanto affascinante quanto spietato. Daniels gioca con trovate brillanti – dal servizio clienti incarnato da angeli umani alla possibilità di “riavviare” persone – ma non dimentica mai di mostrare il lato oscuro: cosa succede quando la morte diventa un business e l’eternità ha un abbonamento mensile?

Le prime tre stagioni: amore, cloni e rivoluzione

La prima stagione ci ha introdotto al mistero della morte di Nathan, al rapporto nascente con Nora e alla figura ossessiva della sua ex fidanzata Ingrid (Allegra Edwards).
Nella seconda, la trama si è fatta più complessa: Nathan ha scoperto legami tra il suo “upload” e un gigantesco complotto corporativo, mentre il rapporto con Nora si è messo alla prova tra fughe e ribellioni digitali.
La terza stagione, arrivata nel 2023, ha alzato la posta con una mossa da fantascienza hard: due Nathan coesistono – l’originale e una copia – aprendo interrogativi su identità, memoria e autenticità. La stagione si è chiusa lasciando il pubblico in sospeso su quale dei due fosse stato eliminato e su quanto la multinazionale Horizen fosse disposta a fare pur di mantenere il controllo.

La quarta stagione rappresenta l’atto finale di una serie che ha saputo mescolare con leggerezza romanticismo e fantascienza, affrontando temi complessi come tecnologia, morte e privilegio. Nora scopre che il suo Nathan “reale” è stato cancellato – o almeno così sembra – ma il suo alter ego digitale continua a vagare. Decisa a salvarlo e forse a riportarlo davvero indietro, intraprende un’ultima missione disperata. Intanto Ingrid prova a far funzionare la sua relazione interamente virtuale con l’altro Nathan, mentre Luke (Kevin Bigley) stringe un’improbabile bromance con lui. Nel frattempo Lakeview deve fronteggiare la minaccia più grande di sempre: un’intelligenza artificiale senziente e ostile, pronta a spazzare via ogni cosa. Stavolta non si tratta più soltanto di sopravvivere in un aldilà digitale, ma di difendere l’esistenza stessa dell’umanità e il significato di “vita”.In soli quattro episodi – l’ultimo più lungo – la stagione riprende dal cliffhanger precedente e chiude i fili narrativi di Nathan e delle sue due versioni, degli intrecci amorosi con Nora e Ingrid, e delle avventure di Aleesha e Luke. Sullo sfondo, l’IA malvagia viene gestita con ironia e leggerezza, mantenendo la serie lontana dalle atmosfere cupe alla Black Mirror.Il cuore dello show rimane l’amore: ogni personaggio trova la propria strada tra missioni improbabili, scelte difficili e momenti di dolcezza. Non mancano riflessioni sul prezzo della vita e della morte, arricchite da un’estetica curata e da quella CGI volutamente artificiosa che è diventata il marchio della serie. Pur con meno brillantezza rispetto agli inizi, Upload 4 regala un finale agrodolce: non spettacolare, ma autentico ed emozionante. Una conclusione breve ma completa, capace di lasciare il pubblico con un sorriso, qualche lacrima e la sensazione di aver vissuto fino in fondo questo singolare aldilà digitale.

Il fascino di Upload e perché il finale conta

In un panorama televisivo dove la fantascienza viene spesso sacrificata sull’altare dell’action puro, Upload ha trovato una sua nicchia unica: raccontare la tecnologia con il sorriso e il brivido, trasformando concetti complessi come il transumanesimo e l’etica dell’IA in trame accessibili, piene di humour e momenti emotivi.
Il finale della quarta stagione non è solo la conclusione di un arco narrativo, ma anche un saluto a un mondo narrativo ricco di idee, citazioni pop e colpi di scena che hanno fatto discutere forum, social e chat di appassionati fin dal 2020. Daniels ha promesso un epilogo “coerente e sorprendente”, e conoscendo la sua scrittura, possiamo aspettarci una miscela di romanticismo, ironia e un ultimo twist capace di cambiare il senso di tutta la serie.

Perché i nerd devono esserci il 25 agosto

Se siete cresciuti a pane, Black Mirror e The Good Place, se adorate le storie in cui la tecnologia diventa teatro di conflitti morali e love story impossibili, o se semplicemente volete sapere come si chiude una delle serie sci-fi più intelligenti degli ultimi anni, segnate la data.
Il 25 agosto sarà l’ultima occasione per fare check-in a Lakeview, ordinare un cocktail digitale e salutare personaggi che, byte dopo byte, ci hanno fatto ridere, riflettere e anche un po’ temere il futuro.

E voi? Vi fareste uploadare per un’eternità in un paradiso virtuale… o preferireste il caro vecchio “game over”?

“The Paper”: il ritorno di The Office nel cuore del Midwest americano

Preparate i vostri stapler rossi e lucidate le vostre tazze da caffè aziendali: il mondo surreale di The Office sta per tornare. Ma questa volta, non saremo più a Scranton e la Dunder Mifflin è ormai un ricordo lontano. A oltre dieci anni dalla fine della sitcom che ha ridefinito il concetto di mockumentary, arriva ufficialmente The Paper, il reboot/spin-off che promette di riportarci in quell’assurda e affettuosa routine da ufficio che abbiamo imparato ad amare. Solo che stavolta, la posta in gioco è ancora più alta: salvare un giornale sull’orlo del fallimento. Svelato da Peacock durante l’annuale presentazione agli inserzionisti di NBCUniversal a New York, The Paper si presenta come una nuova serie ambientata nello stesso universo narrativo di The Office. Alla guida del progetto troviamo ancora una volta Greg Daniels, il creatore dell’amatissima versione americana, affiancato dal brillante Michael Koman, già co-creatore del surreale Nathan for You. Un duo creativo che fa ben sperare.

La trama si svolge nei locali ormai semi-abbandonati del Toledo Truth-Teller, uno storico quotidiano locale del Midwest, precisamente in Ohio, che arranca verso l’oblio. Quando la troupe del documentario che aveva seguito Michael Scott e colleghi a Scranton decide di immortalare un nuovo esperimento sociale, il focus si sposta su questo piccolo giornale. Il suo editore, disperatamente in cerca di un rilancio, decide di assumere un gruppo di giornalisti volontari—più che altro dei disadattati in cerca di una causa—senza sapere che saranno osservati 24/7 da una telecamera indiscreta.

Ad arricchire il cast troviamo nomi di grande talento e carisma. Il sempre intenso Domhnall Gleeson (Ex Machina, Star Wars) interpreterà un idealista appena arrivato al giornale, mentre la magnetica Sabrina Impacciatore, reduce dal successo internazionale di The White Lotus, vestirà i panni della caporedattrice, una figura tanto cinica quanto determinata. E non manca un tocco di nostalgia: Oscar Nuñez torna nei panni di Oscar, ora impiegato come contabile per il Truth-Teller, visibilmente scocciato nel rivedere la troupe.

La scelta di ambientare la nuova serie in un giornale è quanto mai significativa. In un’epoca in cui le fake news proliferano, l’editoria tradizionale agonizza e i social dettano l’agenda, mettere sotto la lente dell’umorismo il mondo del giornalismo locale è un’idea brillante e attuale. C’è qualcosa di profondamente romantico e tragico nel tentativo di tenere in vita un quotidiano cartaceo in pieno XXI secolo, ed è proprio in quel groviglio di fallimenti annunciati, ego improbabili e battaglie quotidiane per la fotocopiatrice che The Paper trova la sua linfa.

Oltre ai protagonisti già annunciati, nel cast figurano anche Melvin Gregg (The Blackening), Chelsea Frei, Ramona Young, Gbemisola Ikumelo, Alex Edelman, Tim Key ed Eric Rahill, per un ensemble corale che promette di regalarci nuovi archetipi da amare e citare nei secoli dei secoli. Il tono? In perfetta linea con lo spirito di The Office: un umorismo che rasenta l’assurdo, ma che riesce sempre a trovare la verità nascosta dietro la banalissima quotidianità.

Il debutto è previsto per settembre su Peacock, anche se la data precisa è ancora top secret. La serie, per ora intitolata semplicemente The Paper, potrebbe rappresentare il primo passo verso un universo espanso di The Office, magari con futuri spin-off o crossover. E chissà, forse un giorno rivedremo anche qualche altra vecchia conoscenza affacciarsi alla porta dell’ufficio.

Lisa Katz, presidente di NBCUniversal Entertainment, ha dichiarato che The Office continua a conquistare nuove generazioni di fan grazie allo streaming, e non sorprende: le dinamiche da ufficio sono universali, e il desiderio di vedere personaggi reali, fallibili e goffamente adorabili è più vivo che mai.

Il vero interrogativo, tuttavia, è uno solo: questo reboot sarà all’altezza del suo predecessore? Saprà far ridere e riflettere con la stessa grazia disarmante che ha reso immortali battute come “That’s what she said” o momenti di pura follia come il fuoco simulato di Dwight?

Per scoprirlo, non ci resta che aspettare settembre. Nel frattempo, tenete gli occhi puntati su The Paper e preparatevi a tornare dietro la scrivania più caotica del piccolo schermo.

E voi cosa ne pensate? Siete pronti a lasciarvi coinvolgere da un nuovo ufficio pieno di drammi, assurdità e imbarazzi a telecamera accesa? Avete già nostalgia di Scranton o siete curiosi di esplorare Toledo con occhi nuovi?

Scrivetecelo nei commenti qui sotto, condividete l’articolo sui vostri social con l’hashtag #ThePaper e fate sapere ai vostri colleghi nerd che il mockumentary da ufficio non è affatto morto. Anzi, ha appena riaperto i battenti.

The Office – Una leggenda della comedy moderna tra risate, imbarazzo e umanità disarmante

Quando nel 2005 The Office sbarcò sugli schermi americani, pochi avrebbero scommesso che quel modesto remake di una serie britannica avrebbe fatto la storia della televisione. Eppure, in un mondo sempre più dominato da format iper-lavorati e risate preregistrate, quella comedy dalla regia documentaristica, con personaggi impacciati e umanissimi, riuscì a conquistare il cuore di milioni di spettatori. Una rivoluzione fatta di silenzi imbarazzanti, risate genuine e una comicità che sfiora il tragico senza mai perdere la tenerezza.

The Office è molto più di una semplice sitcom ambientata in un’anonima filiale della fittizia azienda di carta Dunder Mifflin: è un’ode all’assurdità della vita d’ufficio, un ritratto dolce-amaro delle relazioni umane e una miniera d’oro per chi ama il grottesco con venature romantiche. Ideata da Greg Daniels e tratta dall’originale britannica di Ricky Gervais e Stephen Merchant, la serie americana ha trovato una voce tutta sua, capace di superare il materiale di partenza e definire un nuovo standard per la comicità televisiva.

La trasformazione da remake a capolavoro

All’inizio, lo show cercava di ricalcare i toni acidi e realistici dell’originale inglese, ma qualcosa non funzionava del tutto. Fu solo a partire dalla seconda stagione che The Office trovò la sua vera anima, prendendo le distanze dalla versione UK e abbracciando una comicità più calda e inclusiva, senza però rinunciare al suo spirito caustico.

Gran parte del merito va senza dubbio all’interpretazione magistrale di Steve Carell nei panni di Michael Scott, manager infantile, inopportuno e disperatamente bisognoso di affetto. Un personaggio che, nelle mani di un attore meno sensibile, sarebbe potuto diventare odioso. Invece, grazie a Carell, Michael diventa tragico e comico allo stesso tempo, il fulcro emotivo della serie.

Accanto a lui, una galleria di personaggi indimenticabili: il sempre cinico e surreale Dwight Schrute (Rainn Wilson), la dolce Pam Beesly (Jenna Fischer), il sarcastico e adorabile Jim Halpert (John Krasinski), l’eccentrico Andy Bernard (Ed Helms) e tanti altri. Ognuno con le proprie manie, fragilità e momenti di gloria.

Un microcosmo chiamato Dunder Mifflin

La grande forza di The Office sta nella sua capacità di rendere epico l’ordinario. Nella filiale di Scranton si respira l’aria stagnante dei corridoi aziendali, si ascoltano le battute non richieste durante le riunioni e si assiste ai battibecchi continui tra colleghi che, malgrado tutto, si vogliono bene. Ogni stagione è un piccolo affresco sulla banalità quotidiana, reso straordinario da una scrittura intelligente e da una costruzione narrativa che premia la fedeltà dello spettatore.

Il rapporto tra Jim e Pam, ad esempio, è una delle storie d’amore più amate e autentiche della televisione. Il loro lento avvicinamento, fatto di sguardi, silenzi, incomprensioni e piccoli gesti, ha commosso e fatto sognare generazioni di fan. Non è un caso che il bacio nel finale della seconda stagione sia considerato uno dei momenti più intensi nella storia delle serie TV.

Evoluzione e maturità: da comedy a ritratto generazionale

Nel corso delle sue nove stagioni, The Office ha saputo reinventarsi senza mai perdere la propria identità. La narrazione si espande, i personaggi crescono, cambiano, affrontano nuove sfide. Alcuni trovano l’amore, altri perdono tutto. Alcuni lasciano l’ufficio per inseguire sogni lontani, altri decidono di restare, abbracciando la bellezza delle piccole cose.

Con il passaggio da Michael Scott a nuovi manager – come l’improbabile Andy o il rigido Robert California – la serie ha affrontato momenti di transizione, ma ha saputo conservare intatto il suo cuore pulsante. Anche il finale, struggente e dolcissimo, ha regalato una chiusura perfetta, con una reunion che non suonava mai forzata o nostalgica, ma necessaria, come una chiacchierata tra vecchi amici.

Un’eredità indelebile

Nonostante siano passati più di dieci anni dalla messa in onda dell’ultimo episodio, The Office continua a vivere grazie allo streaming – e in Italia su Prime Video – e a una fanbase globale che si rinnova costantemente. I meme, le GIF e i video su TikTok e Instagram hanno trasformato la serie in un fenomeno cult intergenerazionale. Ogni nuovo spettatore che scopre la serie è destinato a innamorarsi del nonsense di Creed, della rigidità grottesca di Angela, delle esplosioni d’ira di Stanley o dell’imbarazzante goffaggine di Toby.

E poi ci sono gli webisodi – piccole gemme come The Accountants, The Outburst, Subtle Sexuality – che espandono l’universo di Scranton e offrono nuovi spunti per appassionati e completisti.

Perché The Office è diventata un pilastro della cultura pop

In un’epoca in cui le serie TV sono spesso spettacolari, patinate e ad altissimo budget, The Office ci ha insegnato che si può fare grande televisione anche con una semplice stampante difettosa, un distributore di gelatine e una festa di Natale organizzata malissimo. La comicità nasce dalle piccole cose, e la grandezza si cela dietro alle persone più improbabili.

La serie è diventata un faro per chi lavora in ufficio, per chi si sente un po’ fuori posto, per chi ama ridere senza bisogno di effetti speciali. È, in fondo, una dichiarazione d’amore al quotidiano, con tutte le sue assurdità, i suoi drammi e i suoi piccoli miracoli.

E ora tocca a voi: avete anche voi un collega “alla Dwight”? Vi siete mai innamorati nel vostro posto di lavoro come Jim e Pam? Qual è il vostro episodio preferito? Raccontatecelo nei commenti qui sotto e condividete questo articolo sui vostri social per far scoprire The Office a chi ancora non conosce il gioiello nascosto dietro la facciata grigia di un ufficio qualsiasi.

Perché sì, The Office è tutto tranne che un semplice ufficio. È casa.