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Baby Steps: l’arte esilarante (e profondamente umana) del mettere un piede davanti all’altro

Immaginate di svegliarvi con il pigiamone addosso, senza un piano per la giornata, e scoprire che la vostra più grande conquista non è una carriera brillante o un amore da film, ma… imparare a camminare. Non metaforicamente, ma sul serio: un passo maldestro dopo l’altro. È questo il cuore di Baby Steps, la nuova follia videoludica firmata da Gabe Cuzzillo, Maxi Boch e Bennett Foddy, pubblicata oggi da Devolver Digital su PC e PlayStation 5. Un titolo che, più che un gioco, sembra un manifesto: lento, ironico, spietato e al tempo stesso profondamente umano.

Il protagonista, Nate, non è certo l’eroe che salverà il mondo. È disoccupato, pigro, intrappolato in un loop di apatia e scollamento dalla realtà, una caricatura estrema della generazione del burnout e della comicità da meme. Tutto cambia quando viene catapultato in un universo misterioso, fatto di montagne da scalare e sentieri che si srotolano davanti a lui come una promessa. Il suo unico “superpotere”? Imparare a restare in piedi. Un passo dopo l’altro. Un esercizio che, tra comiche cadute e barcollamenti epici, diventa un’impresa titanica. Il sistema di controllo basato sulla fisica è volutamente impacciato: ogni gamba di Nate va guidata singolarmente, e anche l’atto più banale, come salire un piccolo gradino, diventa un puzzle frustrante e insieme esilarante. In questo, si sente chiaramente la mano di Bennett Foddy, il creatore di QWOP e Getting Over It, maestro nell’arte di trasformare il fallimento in puro intrattenimento.

Oltre la gag: un viaggio interiore

Non lasciatevi ingannare dalle risate slapstick: Baby Steps non è solo un “simulatore di camminata ubriaca”. Dietro le cadute goffe c’è una riflessione profonda sul valore del fallimento e sull’importanza di muoversi lentamente, senza fretta né obiettivi apparenti. Non ci sono nemici da abbattere, boss da sconfiggere o oggetti collezionabili (a parte qualche cappello inutile, ma irresistibile). Il vero traguardo è esplorare, osservare e imparare a ridere dei propri inciampi.

In un’epoca dominata da speedrun e performance tossiche, Baby Steps rappresenta una sorta di antidoto culturale: invita a rallentare, a vivere l’esperienza senza la pressione di “dover vincere”, e a scoprire che persino un passo maldestro può avere un senso.

Un mondo lento, vivo e grottesco

L’universo di gioco è una montagna vasta e surreale, da scalare al proprio ritmo. Non ci sono mappe né indicatori, solo panorami che sembrano dipinti e una fauna distratta che accompagna Nate nelle sue disavventure. Ogni ambientazione invita alla contemplazione, trasformando il gameplay in una sorta di meditazione zen in chiave comica.

La colonna sonora dinamica, composta da oltre 420 tracce che reagiscono al passo del giocatore, amplifica questa sensazione, creando un mix ipnotico tra comicità e poesia. Persino la tutina da neonato di Nate si sporca in tempo reale, segnalando la fatica del viaggio: un dettaglio tanto ridicolo quanto geniale, perfetto esempio dell’amore per il nonsense degli autori.

Tra meme e filosofia del fallimento

Non è un caso se Baby Steps sembra costruito apposta per diventare virale. Ogni caduta, ogni dialogo surreale, ogni glitch fisico è pensato per trasformarsi in una clip da TikTok o in una gif da condividere. Eppure, ridere di Nate significa anche ridere di noi stessi, delle nostre insicurezze e dei nostri inciampi quotidiani. È questa la forza del gioco: dietro la maschera del meme si nasconde un piccolo trattato filosofico sulla resilienza.

Un manifesto masochistico travestito da videogioco

Cuzzillo, Boch e Foddy hanno creato un’esperienza che sfida i canoni stessi del medium. Non è un gioco per chi cerca adrenalina o gratificazioni immediate, ma per chi è disposto ad abbracciare il caos e trovare bellezza nel ridicolo. Un titolo che, nel suo essere irritante e poetico insieme, porta avanti la tradizione dei giochi-punizione che hanno reso celebre Foddy, ma aggiunge uno strato di tenerezza e ironia che lo rende unico.

Baby Steps non è solo una sfida ai nostri riflessi, ma al nostro modo di intendere i videogiochi e, in fondo, la vita stessa. Non si tratta di correre verso un obiettivo, ma di scoprire che anche un passo storto può portare lontano. E allora la domanda è inevitabile: siete pronti a mettervi la tutina di Nate e a scoprire se riuscite davvero a camminare, un passo alla volta? Raccontateci nei commenti cosa ne pensate di questa follia videoludica e, se vi siete divertiti a leggere, condividete l’articolo: il mondo ha bisogno di più Nate, goffi ma ostinati, pronti a cadere e a rialzarsi con un sorriso.

 

Uboat: riemerge su PlayStation 5: il simulatore di sottomarini che ti porta nelle profondità della Storia

Dal 17 settembre 2025 uno dei simulatori più discussi e amati degli ultimi anni, UBOAT, approderà finalmente su PlayStation 5. Non si tratta di un semplice porting, ma dell’arrivo su console di nuova generazione di un titolo che, nel tempo, si è costruito una reputazione da cult game tra gli appassionati di simulazioni militari e di storia della Seconda Guerra Mondiale. Nato dal talento del team polacco Deep Water Studio e pubblicato su console da Ultimate Games S.A., UBOAT è stato definito da molti il “vero erede spirituale di Silent Hunter”.

UBOAT ha fatto il suo debutto su PC nell’agosto 2024, dopo un lungo periodo in Early Access, raccogliendo oltre un milione di giocatori e mantenendo una valutazione “Molto Positiva” su Steam, con più di 10.000 recensioni. In seguito è approdato su Xbox Series X|S, e ora tocca a PlayStation 5 accogliere i “lupi grigi” del mare. Sulla console di casa Sony il gioco girerà a 1080p e 60fps, garantendo un’esperienza fluida e immersiva.

Un simulatore che è anche un viaggio psicologico

Definirlo un “gioco di guerra” sarebbe riduttivo. UBOAT è un simulatore open world in cui il giocatore veste i panni di un capitano della Kriegsmarine, alla guida di un U-Boot impegnato in missioni ispirate a eventi storici. Ogni pattugliamento, ogni imboscata e ogni caccia ai convogli è una partita a scacchi giocata sotto pressione, dove il nemico non è solo la marina avversaria, ma anche il tempo, le risorse e la tenuta psicologica dell’equipaggio.

La forza del titolo sta nella sua duplice anima: da un lato, la gestione tecnica del sottomarino, con sistemi fedelmente riprodotti, dal calcolatore dei siluri ai ballast, fino al dettaglio suggestivo della curvatura terrestre visibile all’orizzonte. Dall’altro, la dimensione umana: il morale dell’equipaggio, la disciplina, la capacità di gestire la claustrofobia di un ambiente in cui ogni vite e ogni respiro possono fare la differenza.

Immersione totale: la tensione del realismo

In UBOAT non ci sono percorsi obbligati: le missioni sono non lineari e lasciano spazio a strategie diverse, dalla posa di mine all’assalto silenzioso di convogli mercantili, passando per operazioni di spionaggio e pattugliamenti. Ogni scelta può trasformarsi in un successo memorabile o in una disfatta drammatica.

Il livello di realismo è impressionante: danni simulati nel dettaglio, fisica fedele, torpediniere nemiche da eludere con manovre disperate. È un gioco che non fa sconti e che richiede pazienza, studio e dedizione. Non sorprende, quindi, che abbia conquistato una community affiatata che discute strategie, condivide mod e organizza sfide epiche.

Oltre il videogioco: un’esperienza storica

UBOAT riesce a toccare corde che vanno oltre il gaming. Giocare significa anche riflettere sulla durezza della guerra e sulle condizioni estreme vissute da chi, negli anni ’40, affrontava missioni suicida nelle profondità dell’oceano. Non c’è eroismo glamour, ma la crudezza di una realtà claustrofobica che può trasformare anche una vittoria in una cicatrice da portare addosso.

Con il suo arrivo su PlayStation 5, UBOAT apre le porte a una nuova generazione di comandanti virtuali pronti a tuffarsi in un’esperienza che è allo stesso tempo gioco, simulazione e lezione di storia. Non è un titolo per tutti: la curva di apprendimento è ripida, alcune missioni possono sembrare ripetitive, ma chi saprà resistere alla pressione verrà ripagato con un viaggio unico nelle profondità della guerra sottomarina. Il 17 settembre i mari digitali saranno di nuovo pieni di predatori silenziosi. La domanda è: avrai il coraggio di rispondere alla chiamata del mare?


💬 E tu, sei pronto a indossare i panni di un capitano di U-Boot e guidare il tuo equipaggio verso la sopravvivenza? Raccontaci nei commenti cosa ne pensi di UBOAT e condividi l’articolo sui tuoi social: la community nerd è curiosa di conoscere le tue strategie di battaglia!

Beastro: quando la salvezza del mondo passa per un cucchiaio

In un panorama videoludico dove cavalieri e maghi continuano a sfidarsi a colpi di spada e incantesimi, Timberline Studio ha deciso di ribaltare il tavolo (letteralmente) con un’idea tanto semplice quanto geniale: cosa succederebbe se l’arma più potente contro l’oscurità fosse… la cucina? Da questa domanda nasce Beastro, un’avventura cozy e al tempo stesso strategica che arriverà nel 2026 su PC (Steam), Xbox Series X|S e direttamente su Game Pass dal day one. Un gioco che non solo profuma di pane appena sfornato, ma che racconta con poesia e ironia come, a volte, un buon pasto possa diventare il carburante essenziale per salvare il mondo.

Il protagonista di questa favola videoludica è Panko, un giovane apprendista cuoco che vive a Palo Pori, un villaggio incantato circondato da foreste e campi rigogliosi. La sua vita cambia quando il maestro scompare misteriosamente e il ragazzo si trova a dover gestire la locanda del paese. Fin qui sembrerebbe una tipica storia di formazione, ma c’è un twist: i piatti cucinati da Panko non saziano soltanto gli abitanti, ma diventano energia vitale per i Caretaker, avventurieri che difendono il villaggio dalle creature mostruose che si aggirano oltre le mura. Ogni Caretaker proviene da una “regione del gusto” diversa: c’è chi ama il dolce, chi predilige l’amaro, chi si lascia sorprendere dal piccante. Soddisfare queste preferenze non è un dettaglio, ma il cuore stesso del gameplay: ogni piatto influisce sulle abilità e sul morale degli eroi, trasformando la cucina in un vero e proprio campo di battaglia.


Dal campo alla tavola (e ritorno)

Uno degli elementi più affascinanti di Beastro è il suo ciclo di gioco. Panko coltiva ortaggi, raccoglie erbe selvatiche, accudisce animali e prepara manicaretti in minigiochi che sprigionano tutta la gioia del “sfrigolio in padella”. Gli avventurieri consumano i piatti e, una volta sazi, partono per affrontare i mostri. Al loro ritorno, raccontano le proprie gesta attraverso spettacolari spettacoli di marionette, che si trasformano in combattimenti a turni basati su un innovativo sistema di deckbuilding culinario.

Gli ingredienti usati in cucina si traducono in carte da giocare in battaglia: un’erba speziata può diventare una lama infuocata, una zuppa corroborante un incantesimo di guarigione. I nemici sconfitti, a loro volta, lasciano in dono nuovi ingredienti (a volte davvero “mostruosi”) che arricchiscono ulteriormente il menù. Un perfetto ciclo narrativo e ludico che mescola gestione, farming rilassato e strategia.


Un RPG che profuma di fiaba

L’estetica di Beastro richiama i libri illustrati e i racconti tradizionali, con un tratto delicato che ricorda i migliori giochi indie a tema cozy. Ma dietro la patina fiabesca si nasconde una struttura profonda, che invita i giocatori a sperimentare combinazioni culinarie e strategie di combattimento sempre nuove. Non è un caso che Timberline Studio, già autore del suggestivo The Red Lantern, abbia scelto di raccontare un’avventura in cui la resilienza non passa per la forza bruta, ma per la creatività e la cura.

Il messaggio è chiaro: anche nella più epica delle battaglie, non si va da nessuna parte a stomaco vuoto.


La community a tavola

Come ogni buon pasto, Beastro è pensato per essere condiviso. Il gioco spinge i giocatori a sentirsi parte di una comunità – virtuale e reale – fatta di ricette, storie e strategie da scambiare. È facile immaginare forum e social pieni di screenshot dei piatti preparati, di guide culinarie per soddisfare i gusti più esigenti dei Caretaker, e perfino di ricette “reali” ispirate a quelle del gioco.

In questo senso, Beastro sembra già destinato a diventare un piccolo fenomeno di cultura pop, unendo la passione per il gaming con quella per il food design e la narrazione interattiva.


Un cucchiaio di hype

L’attesa durerà fino al 2026, ma l’hype è già alle stelle. Beastro non è soltanto un titolo originale: è un invito a guardare al videogioco come a un medium capace di fondere generi e linguaggi apparentemente lontani, regalando esperienze che scaldano il cuore tanto quanto lo stomaco.

E allora, nerd gourmet di tutto il web, segnatevi questa data e preparate i grembiuli: la cucina di Palo Pori sta per aprire le sue porte, e sarà un viaggio che promette di saziare corpo, mente e immaginazione.


👉 E tu? Che piatto prepareresti per affrontare i mostri di Beastro? Raccontacelo nei commenti su CorriereNerd.it e unisciti alla conversazione nella nostra community!

Eriksholm: The Stolen Dream – Un’Avventura Stealth tra Mistero e Segreti

Quando ho messo le mani su Eriksholm: The Stolen Dream, lo ammetto: ero già in modalità hype totale. Il solo accostamento di “stealth”, “Scandinavia immaginaria” e “inizio Novecento” mi aveva mandato in tilt il cervello di videogiocatore incallito. Avevo il pad già stretto in mano ancora prima di scaricarlo, con la PlayStation che mi lanciava sguardi d’intesa dal mobile e il portafoglio che piangeva in un angolo, consapevole di cosa stava per succedere.

River End Games, piccolo studio svedese ma con un curriculum che sa di leggenda — parliamo di gente che ha messo le mani su robe come Battlefield, Little Nightmares, Mirror’s Edge e Unravel — ha tirato fuori un titolo che, detto papale papale, mi ha preso a schiaffi in faccia… ma quelli buoni, quelli che ti svegliano e ti fanno dire: “Oh cavolo, qui c’è ciccia!”.

Uscito il 15 luglio 2025 su PS5, Windows e Xbox Series X/S, Eriksholm mi ha catapultato dentro un mondo che sembra un incubo ad occhi aperti, una specie di Dickens nordico con tetti spioventi, vicoli marci, ciminiere tossiche e un gelo che ti entra nelle ossa anche se sei al sicuro sotto la coperta. È un’esperienza sensoriale: lo schermo non ti mostra solo immagini, ti sussurra all’orecchio, ti fa sentire il vento freddo, ti porta lì, in mezzo alle ombre.

La storia segue Hanna, giovane orfana in cerca del fratello Herman, braccato per un furto misterioso. In questa odissea urbana incontra Alva, arrampicatrice da fare invidia a Ezio Auditore, e Sebastian, nuotatore che sembra uscito da un manuale di sopravvivenza. Il trio funziona alla grande, e il gioco ti mette in mano la possibilità di switchare tra loro per risolvere enigmi, aggirare ostacoli e tenerti in vita in un mondo che non fa sconti a nessuno.

Parlando di gameplay, se siete cresciuti a Metal Gear Solid, Hitman o Splinter Cell come il sottoscritto, preparatevi a mettere via le vecchie abitudini. Eriksholm è uno stealth “puro sangue”: qui se ti beccano, sei finito. Niente fughe disperate o miracoli last-minute, solo un bel restart e via. All’inizio la frustrazione è dietro l’angolo, te lo dico senza girarci intorno. Ma è proprio quella curva di apprendimento, quell’obbligo a fermarti, osservare, studiare il pattern, che ti inchioda allo schermo. È un gioco che ti fa sudare ogni progresso, ma quando ce la fai… cavolo, la soddisfazione è enorme.

Visivamente, siamo su un altro livello. Unreal Engine 5 fa miracoli e la tecnologia MetaHuman porta i personaggi a un livello di realismo che rasenta il cinema. Le cutscene? Piccoli gioielli. Ti ritrovi a guardarli a bocca aperta, dimenticandoti di avere il controller in mano. E non posso non menzionare il DualSense su PS5: un’estasi nerd. Grilletti adattivi che reagiscono agli oggetti, barra luminosa che cambia colore a seconda del personaggio, vibrazioni che ti fanno sentire ogni passo nell’acqua gelida… roba da stropicciarsi gli occhi e le mani.

E poi c’è l’audio. Le musiche accarezzano le orecchie e ti stritolano il cuore, gli effetti sonori cesellati fino al più piccolo scricchiolio, i dialoghi sussurrati, mai sopra le righe, sempre al servizio dell’immersione. È un mondo vivo, pulsante, che ti chiama a esplorarlo non solo con gli occhi, ma anche con le orecchie e con la pelle.

La trama non si accontenta di essere la solita storia “salva il fratello e vivi felice e contento”. È un mosaico di dettagli, appunti, lettere, frammenti nascosti tra le pieghe di Eriksholm. Sei spinto a guardare dietro ogni porta, a leggere ogni nota, a immergerti in un lore stratificato che ti cattura e non ti molla più. E quando pensi di aver capito tutto, il finale ti ribalta come un calzino, lasciandoti lì a fissare lo schermo con la mascella a terra.

Chiariamo, però: non è tutto oro. Avrei voluto un po’ più di flessibilità nelle sezioni stealth, a volte troppo punitive, soprattutto in quelle più lunghe. Ma sapete una cosa? Meglio così. Meglio un gioco che osa e rischia, piuttosto che l’ennesimo ibrido action-stealth che alla fine non accontenta nessuno.

Quando sono arrivato ai titoli di coda, ho fatto quello che fanno tutti i videogiocatori sfegatati quando un gioco gli entra nel cuore: ho ricominciato da capo. Ho voluto raccogliere ogni collezionabile, scovare ogni segreto, riassaporare quell’atmosfera da brividi. E adesso, lo dico senza vergogna, sto già sognando un sequel che allarghi l’universo narrativo e spinga ancora più in là il gameplay.

Se siete amanti di questo genere o semplicemente vi fate conquistare dai giochi che sanno costruire mondi intensi e indimenticabili, Eriksholm: The Stolen Dream è un titolo che DEVE entrare nella vostra collezione. È uno di quei giochi che rischiano di passare sottotraccia, schiacciati dai colossi del mercato, ma che gridano per essere scoperti e amati. E ora, tocca a voi: vi intriga l’idea di perdervi in una Scandinavia cupa, tra segreti, alleanze e sogni spezzati? Avete già provato Eriksholm o lo state puntando per la prossima sessione di gioco? Scrivetemi nei commenti, voglio sapere tutto! E se vi è piaciuto leggere questa recensione, sparatela sui social, passatela agli amici, ai compagni di party, ai membri della gilda. Facciamo girare la voce: perché noi gamer, quando troviamo un gioiello, lo condividiamo con il mondo.

Hytale è stato cancellato?! Il sogno sandbox ispirato a Minecraft finisce in tragedia (ma forse non tutto è perduto)

Fermi tutti, questa non è una notizia qualsiasi. È uno di quei momenti che fanno tremare la tastiera sotto le dita di ogni videogiocatore nerd che si rispetti. Uno di quei colpi di scena che ti costringono a rileggere due volte il titolo per essere sicuro di non star vivendo in un universo parallelo. Sì, lo avete letto bene: Hytale è stato ufficialmente cancellato.

Il progetto titanico di Hypixel Studios, iniziato nel lontano 2015, e coccolato per oltre un decennio da milioni di fan in trepidante attesa, è stato bruscamente interrotto. Addio biomi generati proceduralmente, addio dungeon misteriosi, addio a quel sogno di un sandbox che avrebbe potuto spodestare il trono eterno di Minecraft. Ma la parte più assurda? Questo epico fallimento non arriva da uno sviluppatore indie abbandonato a se stesso: Hytale era nelle mani di Riot Games, uno dei colossi dell’industria videoludica mondiale. Eppure, nemmeno loro sono riusciti a portarlo in porto.

La notizia è piombata come un fulmine a ciel sereno il 23 giugno 2025. Con un comunicato carico di amarezza, Aaron Donaghey – il direttore del progetto – ha annunciato la fine di Hytale e la chiusura di Hypixel Studios. Troppo ambizioso, ha detto. Troppo grande per poter essere completato senza ulteriori investimenti. Boom. Fine del sogno.

https://youtu.be/o77MzDQT1cg

Eppure… eppure qualcosa si muove. Perché se c’è un elemento che non muore mai nel cuore dei nerd, è la speranza.

Entra in scena lui, l’uomo che tutto ha iniziato: Simon Collins-Laflamme, il fondatore originale di Hypixel. E no, non ha preso bene la notizia. Anzi, l’ha presa talmente male da voler rilevare il progetto e rilanciarlo di tasca sua, con una proposta che sembra uscita da un film epico a metà tra Ready Player One e The Social Network.

“Metterei 25 milioni di dollari di tasca mia per completare Hytale”, ha detto, come se stesse parlando di andare a prendere un caffè. “Niente Kickstarter, solo passione pura e una grande assunzione di rischio.” Se questo non è nerdismo puro al 100%, ditemi voi cos’è.

Collins-Laflamme sostiene che, al momento del suo addio nel 2019, Hytale era a un passo dal diventare realtà. “Durante il mio periodo di lavoro su Hytale, fra il 2016 e il 2019, mancavano forse al massimo due anni a un’uscita su PC con il motore originale”, ha raccontato. E come un moderno archeologo digitale, afferma di avere ancora video, immagini e vecchie build del client a testimoniarlo. Gli ex sviluppatori di quel periodo? Tutti d’accordo: il gioco era pronto a spiccare il volo.

E non finisce qui. Simon ha anche tracciato un vero e proprio piano di resurrezione, che più nerd di così non si può. Ridurre il team, tornare al vecchio motore, rilascio iniziale solo su PC, rendere open source alcune parti del gioco per coinvolgere la community fin da subito. E poi, via verso la beta. Ha addirittura una dozzina di veterani del team originale pronti a ricominciare a lavorare al progetto. Come gli Avengers richiamati all’azione per salvare il multiverso del gaming.

A questo punto viene spontaneo chiedersi: è davvero finita per Hytale? O siamo solo davanti al momento più oscuro prima dell’alba, il classico punto di svolta narrativo che ogni storia degna di questo nome deve attraversare prima del grande ritorno?

Quel che è certo è che Hytale non era un progetto qualsiasi. Non dimentichiamoci che il primo trailer del gioco, nel dicembre 2018, fece il botto con oltre 31 milioni di visualizzazioni in un solo mese. Era il sandbox next-gen che prometteva non solo di costruire mondi, ma di scriverli, animarli, viverli, con strumenti da modding professionale integrati nel gioco, dungeon dinamici, un sistema di scripting interno, e persino la possibilità di creare cinematiche direttamente in-game. Un sogno a occhi aperti per chiunque ami giocare con i blocchi digitali, ma sogni in grande come un regista di Hollywood.

E oggi? Oggi siamo in bilico. Tra la tristezza per una grande occasione mancata e la follia visionaria di chi crede ancora che qualcosa possa essere salvato.

La domanda ora passa a voi, popolo nerd. Vorreste davvero vedere Hytale rinascere dalle sue ceneri? Sareste disposti a tornare a credere in un progetto che sembrava destinato a rivoluzionare il genere sandbox, ma che ha inciampato nel proprio sogno troppo grande? Parliamone nei commenti, condividete le vostre impressioni e, se come noi non vi arrendete mai al game over, fate girare questa storia sui vostri social. Potrebbe essere proprio la vostra voce a dare nuova linfa al mondo che non è mai nato.

Shuffle Tactics: il nuovo RPG tattico dark fantasy che unisce deckbuilding e strategia su griglia

C’è un certo tipo di magia che scatta quando un videogioco riesce a fondere sapientemente strategia, narrativa e meccaniche rogue-lite in un solo, dannatissimo, irresistibile pacchetto. Una magia che non si limita a farci divertire, ma che ci sfida, ci intriga e ci costringe a pensare. È come una danza feroce tra il cervello e il cuore del giocatore, dove ogni scelta tattica è anche una pagina di una storia che si scrive una run dopo l’altra. Ecco perché Shuffle Tactics, il nuovo RPG tattico con deckbuilding firmato dal team indie Club Sandwich e pubblicato da The Arcade Crew, ci ha fulminati al primo sguardo. Il gioco è finalmente disponibile su Steam al prezzo di 14,99 €, con uno sconto del 20% attivo fino al 1° luglio. Se amate i giochi che sanno distinguersi e vi piacciono le sfide fatte bene, qui c’è pane per i vostri denti pixelati.

Nel mare di titoli videoludici che oggi ci travolge tra sequel prevedibili e cloni stanchi, Shuffle Tactics emerge come un piccolo baluardo della creatività. Il segreto? Un mix micidiale e riuscitissimo di combattimenti su griglia 3D e meccaniche da deckbuilder hardcore. Ogni battaglia diventa un puzzle tridimensionale da decifrare: il terreno non è solo un fondale estetico, ma parte attiva e determinante del gameplay. Altezza, ostacoli, angolazioni… ogni elemento è un’arma o una trappola, e il modo in cui lo usi può decidere la sorte di uno scontro.

A rendere tutto ancora più succoso c’è un impianto narrativo dark fantasy con una pixel art che non ha nulla da invidiare ai mostri sacri dell’indie. Ci troviamo nel regno decaduto di Asteria, un mondo medievale piegato dalla follia di un re che ha provato a sfidare la morte per riportare in vita la sua amata. Spoiler: non è andata benissimo. La sua disperazione ha scatenato il Glimmer, un’energia arcana che ha trasformato il regno in un incubo vivente. Mostri, follia e corruzione dilagano. Ma questa stessa energia, in un twist affascinante, è anche ciò che dona potere a un manipolo di eroi destinati a rinascere ogni volta che cadono. Un ciclo di morte e resurrezione che cela un mistero tutto da scoprire.

Il fulcro dell’esperienza è un trio di personaggi principali così ben scritti e caratterizzati che ti viene voglia di seguirli anche fuori dal gioco. Doberknight è la montagna d’acciaio del gruppo, un tank capace di scaraventare i nemici in angoli scomodi della mappa, e quando impara a dominare il fuoco del Glimmer, diventa una vera macchina di distruzione. Fletch, l’ex contadino, è il MacGyver delle barricate: costruisce difese improvvisate e resiste con grinta proletaria alle forze oscure del regno. Catalina, infine, è una maga nobile e spia, che manipola gli elementi con eleganza e devastazione, spinta da un passato tragico che dà profondità al suo personaggio.

Ma non finisce qui. In ogni run puoi scegliere due dei dieci sidekick disponibili, ciascuno con abilità uniche: guaritori, arcieri, incantatori, supporti tattici. Le combinazioni sono tantissime e capire chi portarsi dietro è una delle scelte più stimolanti del gioco. Soprattutto perché i nemici non scherzano affatto: ben 27 tipi diversi, ognuno con comportamenti unici e attacchi capaci di mettere in crisi anche i veterani più rodati. E i boss? Dieci. Giganti, carismatici, letali. Il genere di avversari che ti costringono a ripensare tutta la tua strategia a metà combattimento, proprio quando pensavi di avere tutto sotto controllo.

Il sistema di carte è una delle gioie più profonde di Shuffle Tactics. Oltre 300 carte eroe, 150 carte compagno e la bellezza di 320 reliquie che puoi trovare, potenziare e combinare in sinergie da brividi. Il tutto costruito attorno a una filosofia roguelite che rende ogni partita un’esperienza unica. E sì, questo significa che vi troverete a dire “dai, un’ultima run e poi dormo” per poi scoprire che è già l’alba.

L’esplorazione del mondo è un altro punto forte. Le sei regioni di Asteria sono tanto diverse quanto evocative: si passa da rovine sommerse a foreste oscure e misteriose, ognuna con le sue sfide, i suoi nemici, e i suoi segreti da scoprire. Ogni mappa nasconde eventi speciali, premi rari e insidie che premiano la curiosità e l’audacia. L’impressione è quella di muoversi in un mondo vivo, malato, ma affascinante, dove ogni passo può nascondere una sorpresa.

E poi c’è il sistema di medaglie, perfetto per chi ama la sfida vera: completare una run nel minor tempo possibile, subire pochissimi danni, o magari sferrare un singolo attacco talmente potente da meritare un monumento. È quel tipo di stimolo in più che ti spinge a tornare sul campo con un piano ancora più preciso, affinando ogni mossa come un vero maestro della tattica.

Shuffle Tactics è insomma una dichiarazione d’amore ai giochi strategici, a chi ama costruire mazzi devastanti, pensare ogni mossa con cura e immergersi in mondi affascinanti quanto letali. È un titolo che osa, sperimenta e riesce. Un’esperienza intensa, profonda, e soprattutto autentica. Che siate veterani dei tactics o semplici curiosi in cerca di qualcosa di fresco e sorprendente, questo gioco merita la vostra attenzione.

E se vi ci perderete come ho fatto io, fatevi sentire: commentate, condividete, aprite flame (civili) nei gruppi Discord, raccontate la vostra build più assurda o il boss che vi ha fatto maledire la tastiera. Perché un gioco così, va vissuto, discusso… e amato.

Dead Take: l’horror psicologico di Surgent Studios ci trascina negli incubi scintillanti dell’industria dello spettacolo

Lo ammetto senza vergogna: Tales of Kenzera: ZAU mi ha lasciato un segno profondo. Quelle emozioni forti, quel senso di perdita mischiato alla magia, e la cura artistica maniacale… tutto mi ha fatto capire che Surgent Studios non è uno di quei team qualsiasi. Sono narratori, creativi, e – soprattutto – visionari. Quindi potete immaginare la mia reazione quando ho scoperto che il loro nuovo gioco era finalmente stato annunciato. Il titolo? Dead Take. E credetemi: è qualcosa di completamente diverso. Un tuffo oscuro e claustrofobico nel cuore nero dell’intrattenimento. Un horror psicologico che non gioca solo con le ombre, ma con la mente. E con la coscienza.

Dead Take è già disponibile per l’aggiunta alla wishlist su Steam, e se amate i giochi che vi fanno trattenere il respiro mentre esplorate stanze silenziose piene di domande, allora dovreste farlo. Subito.

La storia si apre in modo apparentemente semplice ma già inquietante: interpretiamo un attore. Uno che conosce le luci della ribalta, ma che ora è preoccupato. Il suo amico è sparito. Niente messaggi. Nessuna chiamata. Solo silenzio. L’ultima traccia lo porta a una villa sontuosa, quella che poco prima ospitava una festa glamour nel cuore dell’élite dello showbiz. Ora, di quella festa, non resta che un’eco lontana e inquietante. Ed è lì che inizia la nostra discesa. Attraversiamo corridoi eleganti e allo stesso tempo terrificanti. La casa sembra un set cinematografico abbandonato da chi ha voluto lasciare dietro di sé solo enigmi e ombre. C’è una galleria d’arte che ci osserva, una sala d’audizione piena di fantasmi emotivi, un cinema privato dove le pellicole non raccontano storie ma rivelano verità scomode. E noi? Siamo costretti a guardare, ma anche a capire. A connettere i frammenti. A ricostruire una narrazione che nessuno voleva farci conoscere.

Ciò che colpisce di Dead Take, almeno da quello che è stato rivelato finora, è la sua intelligenza narrativa. Non è solo un horror che ti fa saltare sulla sedia (anche se qualche spavento ben assestato ci sarà, eccome). È un’esperienza psicologica profonda, quasi disturbante, che ci costringe a fare i conti con i mostri veri: quelli dell’ambizione, del potere, della manipolazione. Gli sviluppatori hanno dichiarato che molte delle dinamiche raccontate sono ispirate a esperienze vissute nel mondo dell’intrattenimento. E si sente. Si avverte in quell’atmosfera fatta di pettegolezzi sussurrati, audizioni compromettenti, ruoli maledetti e presenze inquietanti che sembrano rappresentare tutto quello che un artista è disposto a perdere pur di avere successo.

Il gameplay, dal canto suo, si snoda tra enigmi ambientali, oggetti da manipolare e – cosa che adoro – clip video da raccogliere e montare. Sì, avete letto bene: uno dei modi per scoprire cosa è successo davvero sarà editare filmati trovati in giro per la casa. Una trovata geniale che lega il medium videoludico a quello cinematografico in un modo che non avevo mai visto prima. E nel frattempo, ogni volta che pensiamo di essere soli… beh, non lo siamo. Figure umanoidi, strane, silenziose, inquietanti, ci seguono. Non si capisce se siano vive, morte o se siamo semplicemente noi a immaginarle. Ma ci sono. Sempre.

E non posso non parlarvi della villa. È meravigliosa. E terrificante. Ogni stanza sembra uscita da una rivista di design… o da un film dell’orrore. Oggetti di scena, tappezzerie vintage, lampade teatrali, ogni elemento sembra parlare, raccontare, sussurrare qualcosa. Come se anche i muri volessero confessare il peccato di essere stati testimoni silenziosi di qualcosa di terribile. E poi c’è la colonna sonora, composta da Ross Tregenza, già dietro le musiche di The Quarry e Deathloop. Una sinfonia di inquietudine che accompagna ogni passo, ogni respiro trattenuto, ogni dubbio che ci attraversa mentre cerchiamo la verità.

La pubblicazione è affidata a Pocketpair Publishing, nome che per molti significa Palworld e Craftopia. Ma qui ci allontaniamo anni luce da creature kawaii e mondi color pastello. Con Dead Take, Pocketpair e Surgent Studios mostrano di saper affrontare anche i territori del buio, dell’introspezione, del thriller psicologico più crudo. Una combo inaspettata ma potenzialmente esplosiva.

Personalmente, da appassionata di indie thriller e horror narrativi, sono elettrizzata. Mi ha ricordato il disagio elegante di Layers of Fear, le inquietudini viscerali di Observer, e anche l’intelligenza disturbante del mai nato P.T.. È uno di quei titoli che non vedi l’ora di giocare con le cuffie nelle orecchie e le luci spente, perché sai che ti regalerà più di qualche brivido lungo la schiena.

In definitiva, Dead Take si presenta come una gemma oscura del panorama indie. Un horror che vuole farci paura, sì, ma che ci chiede anche di pensare, riflettere e – perché no – tremare per ragioni più profonde del solito spavento.

Io l’ho già aggiunto alla mia wishlist su Steam. E voi?

Se siete amanti dei thriller psicologici, dei misteri lenti ma implacabili, degli horror che scavano nell’anima prima ancora che nella carne, Dead Take merita tutta la vostra attenzione. Fatemi sapere cosa ne pensate, nei commenti o sui social. Condividete questo articolo con gli amici che amano le esperienze forti. E ditemi: chi di voi avrà il coraggio di entrare con me in quella villa?

Shroom and Gloom: il roguelike doppio deckbuilder dove i funghi si combattono (e si mangiano)

C’è qualcosa di affascinante, surreale e irresistibilmente nerd in Shroom and Gloom, la nuova perla indie firmata Team Lazerbeam e pubblicata dalla sempre attenta Devolver Digital, che ormai sembra avere un radar infallibile per i giochi che vivono a metà strada tra l’assurdo e il geniale. Questo nuovo progetto è un vero e proprio trip psichedelico nelle profondità di dungeon fungini dove si mescolano strategia, esplorazione e un’insolita fame di… funghi. Ma attenzione: non stiamo parlando di un semplice card game, né di un roguelike tradizionale. Shroom and Gloom è un first-person roguelike double-deckbuilder, un esperimento ludico che miscela due mazzi di carte, grafica 2D disegnata a mano, ambientazioni 3D e una sana dose di follia creativa.

E no, non è uno scherzo: in questo gioco si mangiano i nemici. Letteralmente.

Entrare nel mondo di Shroom and Gloom è come calarsi in un incubo grottesco illustrato a china, dove ogni corridoio umido è un’illusione visiva e ogni fungo un potenziale alleato… o un pranzo. Le meccaniche core ruotano attorno alla doppia natura del deckbuilding: da un lato abbiamo un mazzo dedicato all’esplorazione, che funge da grimaldello per aprirci la strada nei meandri dei dungeon, permettendoci di modificare carte, trovare armi e acquisire nuove abilità. Dall’altro, un mazzo offensivo da usare nei combattimenti, in cui ogni carta è un colpo, un’abilità, una scelta strategica. La cosa incredibile? Ogni carta può essere evoluta e potenziata all’infinito. Quelle che all’inizio sembrano piccole e umili azioni diventano, partita dopo partita, combo devastanti, veri e propri incubi digitali capaci di ribaltare le sorti del gioco.

Il sistema di crescita delle carte è infatti pensato per offrire libertà totale e sperimentazione infinita. Vuoi trasformare una banale stoccata in un attacco catastrofico capace di spazzare via intere stanze? Puoi farlo. Preferisci modificare carte rare fino a generare super-armi al limite del game-breaking? Nessun problema. In Shroom and Gloom, tutto è possibile. Ed è proprio questo approccio anarchico al deckbuilding che rende ogni run imprevedibile, ogni mazzo un piccolo capolavoro personale.

Ma il vero colpo di genio? Il lato gastronomico.

Sì, perché qui i nemici non si limitano a essere sconfitti: si arrostiscono, si infilzano, si condiscono e si mangiano. Una volta eliminato un fungo, puoi decidere di cuocerlo per recuperare salute o, se sei abbastanza creativo, puoi combinare ingredienti e cucinare zuppe con effetti potentissimi, in grado di ribaltare uno scontro o darti vantaggi significativi. Una meccanica tanto assurda quanto perfettamente integrata nella logica surreale del gioco, che trasforma la cucina in una vera e propria arma strategica. Altro che pozioni!

A rendere ancora più indimenticabile questa esperienza, ci pensa l’estetica: Shroom and Gloom fonde illustrazioni 2D disegnate a mano con ambienti tridimensionali ricchi di dettagli, creando un mondo visivamente “sconvolgente”, come lo definiscono gli stessi sviluppatori. I dungeon sono tetri, vivi, pulsanti, abitati da creature fungine bizzarre e inquietanti, capaci di sorprendere anche i giocatori più navigati. Ogni angolo nasconde un enigma, ogni corridoio è una trappola o una scoperta. La sensazione è quella di esplorare un sogno distorto, un mix tra Darkest Dungeon e Adventure Time sotto acido.

Il progetto, ancora in fase di sviluppo, è già promettente. Il team di Team Lazerbeam sogna un gioco con centinaia di carte, una metaprogressione profonda e una rete di tunnel fitta e piena di segreti, popolata da nemici unici e boss spietati. E mentre il gioco finale si prepara a vedere la luce su Steam, è già disponibile una demo gratuita, perfetta per immergersi in anteprima nell’universo umido e spugnoso di Shroom and Gloom. Se vuoi un assaggio del prototipo originale, puoi anche recuperarlo su itch.io, dove la prima versione del gioco venne pubblicata nel settembre dell’anno scorso: un confronto interessante per chi ama scoprire l’evoluzione di un’idea indie, dalle fondamenta alle forme più complesse.

Insomma, Shroom and Gloom è una dichiarazione d’amore alla sperimentazione videoludica. Un titolo che, con la sua follia metodica e le sue meccaniche innovative, ha tutte le carte in regola per diventare il nuovo cult tra gli appassionati di deckbuilder e roguelike. Il nostro consiglio? Aggiungetelo subito alla vostra wishlist su Steam, provate la demo e preparatevi a calarvi in un incubo fungino fatto di carte, combo e cucine improvvisate.

E voi? Avete già provato la demo o siete ancora indecisi se affrontare questo viaggio tra muffe e meraviglie? Fatecelo sapere nei commenti e condividete l’articolo sui vostri social per portare altri avventurieri nel Gloom!

Badlands Crew: la Nuova Frontiera della Sopravvivenza Post-Apocalittica in un Gioco d’Azione e Strategia

Curve Games e Runner Duck hanno appena lanciato Badlands Crew, il terzo capitolo della celebre saga Crew, e, come ci si poteva aspettare, hanno alzato l’asticella con una nuova esperienza di gioco che promette di catturare l’attenzione di tutti gli appassionati di giochi d’azione, strategia e sopravvivenza. Disponibile ora su Steam, Badlands Crew offre una visione audace e ambiziosa di un mondo post-apocalittico, dove il caos regna sovrano e ogni decisione può significare la vita o la morte.

Un Mondo Desolato, Una Missione di Sopravvivenza

Ambientato in un paesaggio desolato, distrutto da fazioni in guerra, Badlands Crew immerge i giocatori in un’avventura tattica senza pari. Al centro della trama c’è la battaglia per la sopravvivenza, dove i protagonisti devono guidare un carro armato customizzabile, il Battle Wagon, attraverso le terre pericolose e mutevoli delle Badlands. Non solo il gioco è un tripudio di azione, ma si fonde con una gestione profonda dei membri del team, portando la saga a nuove vette di intensità. I giocatori dovranno infatti reclutare sopravvissuti unici, potenziarli e prepararli per il combattimento, con il rischio costante di perderli se non gestiti correttamente.

Un Sistema di Battaglie Tattiche che Sfida la Mente

In Badlands Crew, le battaglie non sono solo una questione di forza bruta. Ogni scontro è un’opportunità per sfruttare la strategia, posizionare il proprio team in modo intelligente e scegliere le giuste armi e upgrade per il Battle Wagon. Le battaglie contro le fazioni militari e le bande di saccheggiatori sono rapide, violente e, soprattutto, imprevedibili. I giocatori dovranno usare le loro risorse in modo sapiente, bilanciando attacco e difesa mentre navigano attraverso un mondo che cambia dinamicamente. Questo rende ogni missione unica e sempre piena di sorprese.

Personalizzazione al Massimo Livello

Un altro aspetto che rende Badlands Crew così avvincente è la possibilità di personalizzare il proprio Battle Wagon. Non si tratta semplicemente di scegliere una combinazione di armi, ma di costruire un vero e proprio colosso terrestre, dotato di potenziamenti modulari, armi devastanti e sistemi cruciali per la sopravvivenza. Ogni scelta fatta nella fase di costruzione avrà un impatto tangibile sullo svolgimento del gioco, dando ai giocatori la sensazione di avere il pieno controllo del destino del loro team.

Una Campagna Avvincente e Dinamica

La campagna di Badlands Crew non è lineare. Il gioco presenta una serie di missioni che si evolvono dinamicamente, con opzioni multiple che influenzano la storia e le interazioni con le varie fazioni. Le scelte dei giocatori non solo determinano il corso della trama, ma anche la sopravvivenza dei loro compagni, che possono crescere e migliorare nel corso dell’avventura. Ogni decisione conta, e il rischio di perderli durante le missioni non è mai lontano.

Un Mondo Post-Apocalittico Visivamente Affascinante

Grazie a una grafica vibrante e un design audio pulsante, Badlands Crew riesce a trasmettere in modo convincente la sensazione di un mondo devastato dalla guerra, ma comunque pieno di vita, seppur in forme oscure e pericolose. La musica originale e l’atmosfera visiva contribuiscono a creare un’esperienza immersiva che non lascia respiro, ma che si fa sentire come un costante martellamento di adrenalina.

Un Gioco per i Veri Appassionati di Azione e Strategia

Se sei un fan dei giochi che combinano l’azione frenetica con una solida componente tattica, Badlands Crew rappresenta una fusione perfetta di questi due elementi. La capacità di costruire e personalizzare il proprio Battle Wagon, l’intensità delle battaglie e la gestione complessa del team rendono questo titolo qualcosa di più di un semplice gioco di sopravvivenza. È una sfida mentale, fisica e strategica che spinge i giocatori a pensare sempre un passo avanti.

Disponibile ora su Steam, Badlands Crew è pronto a conquistare i cuori degli appassionati di giochi post-apocalittici. Preparati a lanciarti in un viaggio selvaggio attraverso le Badlands, costruisci il tuo carro armato, recluta i tuoi sopravvissuti e affronta le fazioni che governano questo mondo impietoso.

Kiborg: la danza brutale della libertà in un roguelite cyber-distopico

Come appassionata di roguelite – di quelle che si sono fatte le ossa su Dead Cells e si sono innamorate follemente di Hades – non potevo non tuffarmi a capofitto in KIBORG, il nuovo progetto di Sobaka Studio, approdato il 30 aprile su PlayStation, Xbox e Steam. E lasciatevelo dire: KIBORG non fa sconti a nessuno. È un pugno nello stomaco. Un reality show a base di violenza distopica. Un loop di morte e rinascita, dove l’unica regola è: non fermarti mai. L’ambientazione di KIBORG è roba per chi ama la fantascienza sporca, quella che sa di metallo arrugginito e carne sintetica. Siamo su un pianeta prigione che sembra il figlio illegittimo di Escape from New York e The Running Man. Nei panni (e nei circuiti) di Morgan Lee – un ex soldato condannato ingiustamente – partecipiamo a The Last Ticket, una carneficina televisiva dove ogni run è una battaglia per la sopravvivenza. Ma anche per qualcosa di più: il controllo sul proprio destino.

La trama non cerca di reinventare la ruota, ma trova il suo punto di forza nell’efficacia. Funziona perché spiega e giustifica il loop roguelite. Morgan non muore mai davvero: ogni volta che cade, viene ricostruito, come un cyborg Frankensteiniano, pronto a ritentare la scalata verso la libertà. E sì, questo rende ogni fallimento non solo tollerabile, ma parte integrante della narrazione.

Gameplay: il cuore pulsante e rabbioso di KIBORG

Qui si combatte. Si combatte tanto. E si combatte bene.
I controlli sono reattivi, i colpi pesano, la schivata è una danza mortale. Tre tipi di attacco – leggero, pesante, ad area – si combinano con un sistema di colori alla Sekiro che distingue i colpi da parare da quelli da evitare. È una coreografia di dolore, e io non riuscivo a smettere di ballare.

L’elemento rogue-lite è gestito con una struttura semplice: stanza → combattimento → potenziamento → prossima stanza. Ma quello che sembra basilare diventa irresistibilmente adrenalinico grazie ai cyber-impianti che modificano Morgan ad ogni run. Alcuni aggiungono braccia meccaniche extra. Altri trasformano le gambe in molle da parkour o il cranio in un’arma contundente. Le build sono pazze, variabili, spesso ridicolmente potenti. E soprattutto, divertenti.

Estetica e limiti: bello sì, ma non indimenticabile

Visivamente KIBORG è coerente, ma non straordinario. L’estetica low-budget cyberpunk fa il suo dovere, ma non colpisce nel profondo. Niente a che vedere con l’eleganza visiva di un Hades o l’esplosività di Returnal. Anche la colonna sonora, per quanto d’atmosfera, fatica a lasciare il segno. Gli effetti sonori, invece, ci sono eccome: ogni pugno che sfonda una mascella, ogni sparo che squarcia l’aria, suona dannatamente giusto.

Un difetto non trascurabile è la ripetitività che si affaccia dopo alcune ore. I nemici, per quanto stilisticamente diversi, iniziano a sembrare delle varianti dello stesso schema. Il level design è solido ma prevedibile. C’è un senso di déjà-vu, specialmente nelle run più lunghe.

Ma allora, perché continuo a giocarlo?

Perché miglioro. Perché ogni run lascia qualcosa. KIBORG premia la perseveranza con progressi permanenti, valuta da spendere, nuovi potenziamenti da sbloccare. Il ciclo di morte e rinascita non è una punizione: è un apprendistato violento, ma onesto. Impari a conoscere i nemici. A riconoscere i pattern. A sopravvivere più a lungo. Fino a che Morgan non sei più solo tu che lo controlli. Sei tu. Una macchina da guerra consapevole, rabbiosa, viva.

KIBORG non sarà il nuovo re dei roguelite, ma è un titolo onesto, crudo, feroce. Non cerca di sedurre con la bellezza, ma ti conquista con la brutalità. È un gioco per chi ama fallire per crescere. Per chi non teme la ripetizione, ma la sfrutta come trampolino. Per chi ha bisogno, ogni tanto, di scatenare tutta la propria frustrazione repressa in una rissa cyberpunk senza freni.

Sker Ritual: L’Adrenalinico Sparatutto Zombie Sbarca su PlayStation 4 e Xbox One

Nel panorama videoludico attuale, dove i giochi per le console di precedente generazione stanno lentamente sparendo, Sker Ritual di Wales Interactive arriva come una piacevole sorpresa. Dopo aver debuttato un anno fa su PC, PlayStation 5 e Xbox Series X|S, questo intenso sparatutto zombie in stile round-based è ora disponibile anche su PlayStation 4 e Xbox One, un’eccezione in un mercato sempre più focalizzato sulle nuove console. Il lancio su queste piattaforme rappresenta un importante aggiornamento per il gioco, che celebra la fine della fase di early access e segna un importante passo nel suo percorso, offrendo a nuovi giocatori la possibilità di vivere quest’esperienza mozzafiato.

“Sker Ritual” è uno spin-off di Maid of Sker, il celebre horror che aveva conquistato critica e pubblico grazie alla sua atmosfera inquietante e misteriosa. Se nel titolo originale l’attenzione era focalizzata sul terrore psicologico e sull’esplorazione, il nuovo capitolo si spinge decisamente verso l’azione pura, abbracciando il frenetico gameplay degli sparatutto round-based. Un gioco che ricorda molto la modalità Zombies di Call of Duty, in cui il giocatore affronta ondate sempre più difficili di nemici. In questo caso, però, non si tratta solo di sparare a tutto ciò che si muove, ma di sopravvivere a delle orde soprannaturali chiamate Quiet Ones, affrontando battaglie che richiedono un alto livello di coordinazione, abilità e tattica.

La trama di Sker Ritual si svolge nel 1914 e prosegue l’epilogo più oscuro di Maid of Sker. In questa nuova avventura, i giocatori vestono i panni di Arianwen, la figlia di Elisabeth Williams, impegnata a fermare la trasmissione della “Canzone della Sirena”, un canto malefico che minaccia di scatenare il caos nel mondo. Pur non essendo un sequel diretto, questo spin-off mantiene lo stesso universo narrativo, aggiungendo nuovi nemici, abilità e, soprattutto, un gameplay completamente diverso. La missione è chiara: fermare l’apocalisse soprannaturale prima che sia troppo tardi.

Ciò che rende Sker Ritual particolarmente interessante è la sua struttura round-based, che invita i giocatori a resistere a ondate sempre più potenti di nemici, ciascuna delle quali è caratterizzata da nuove minacce e ostacoli. I nemici principali, i Quiet Ones, sono affiancati da nuove versioni élite con abilità uniche che costringeranno il giocatore a cambiare tattica e posizione durante la partita. Non basta più solo sparare, ma occorre pensare strategicamente a ogni mossa. Il gioco offre la possibilità di affrontare queste sfide da soli o in modalità cooperativa con fino a quattro giocatori, ma la vera prova di forza sta nel collaborare con il proprio team, un aspetto che aggiunge un livello di profondità al gameplay.

Un altro aspetto che contribuisce alla complessità del gioco sono i Miracles, poteri speciali che i giocatori possono raccogliere durante le battaglie. Questi poteri, legati agli Dei Celtici, offrono vantaggi decisivi, come potenziare le armi o alterare il gameplay in vari modi. Ogni Miracle è casuale e viene scelto tra tre diverse opzioni che riguardano armi, abilità corpo a corpo, granate e cure, ma c’è anche uno spazio riservato all’abilità definitiva, che può essere utilizzata in momenti critici per salvare la pelle nei combattimenti più difficili.

In aggiunta, Sker Ritual offre una grande varietà di maschere, oggetti di personalizzazione e altri elementi estetici, che permettono ai giocatori di aggiungere un tocco personale al proprio personaggio. Le maschere, ispirate ai più diversi tipi di horror, dal gotico al folkloristico, fino agli zombie e alle creature soprannaturali, contribuiscono a un’esperienza visiva affascinante e a un ulteriore livello di immersione nell’atmosfera macabra del gioco. E non mancano le sorprese: i giocatori possono interagire con il Laughing Policeman, un personaggio che vende armi e potenziamenti, e che aggiunge un pizzico di eccentricità all’esperienza, con una galleria di oggetti che spaziano dalle semplici munizioni a potenti modifiche steampunk per migliorare l’arsenale.

Il lancio di Sker Ritual su PlayStation 4 e Xbox One è un’eccezione nel panorama attuale, in cui i titoli per console di vecchia generazione stanno diventando sempre più rari. Pochi giochi, infatti, vengono ancora rilasciati per queste piattaforme, a meno che non si tratti di enormi franchise, come Call of Duty o i principali titoli sportivi annuali. Questo gesto dimostra l’impegno di Wales Interactive nel rendere il gioco accessibile a un pubblico più vasto, inclusi coloro che non hanno ancora aggiornato la loro console.

Con l’aggiornamento dell’anniversario, Sker Ritual offre anche nuove funzionalità, come il supporto al crossplay tra tutte le versioni del gioco, permettendo a tutti i giocatori di unire le forze indipendentemente dalla piattaforma su cui giocano. Inoltre, è stata aggiunta una settimana di doppia XP, che consente ai giocatori di progredire più velocemente e di sbloccare nuove abilità e potenziamenti.

“Sker Ritual” è un gioco che mescola in modo eccellente azione, horror e cooperazione, un’esperienza che saprà coinvolgere e divertire sia chi ama il gioco in solitaria, sia chi preferisce affrontare le sfide in compagnia degli amici. Con il suo gameplay intenso, la trama intrigante e le tante possibilità di personalizzazione, questo sparatutto zombie rappresenta una delle sorprese più piacevoli degli ultimi tempi e una solida scelta per gli appassionati del genere. Se siete pronti a mettere alla prova le vostre abilità di sopravvivenza e a combattere contro le oscure forze di Sker Island, Sker Ritual vi aspetta con il suo mix di paura e adrenalina.

Wizdom Academy: la scuola di magia dei tuoi sogni è anche un city builder strategico!

Oh, finalmente ci siamo: domani si aprono le porte (magiche, ovviamente) della Wizdom Academy e io non sto più nella pelle. Non esagero se dico che è da settimane che conto i giorni come una studentessa impaziente di ricevere la lettera d’ammissione a una scuola di magia. E no, non sto parlando di quella con i binari segreti e le bacchette di sambuco, ma di quella nuova, un’accademia tutta da costruire, dirigere e proteggere con il nostro ingegno e la nostra strategia.Wizdom Academy, il nuovo indie in arrivo in accesso anticipato su Steam dal 17 aprile 2025, è qualcosa che sembra uscito dritto dritto dai miei sogni nerd più colorati e caotici: un city builder 3D a tema fantasy dove non ci limitiamo a fare i soliti sindaci, sindacati e cementificatori… qui si tratta di diventare presidi di una scuola di magia! Ma attenzione: dimenticatevi l’austerità da incubo di Dolores Umbridge. Qui siamo noi a dettare le regole. E sì, possiamo farlo con stile, follia e soprattutto tantissima creatività.

Il trailer di lancio — che ho già riguardato almeno cinque volte, lo ammetto senza vergogna — ci regala un primo sguardo a un mondo tanto incantevole quanto pieno di insidie. Non siamo semplici amministratori scolastici: siamo custodi di un’eredità arcana, strateghi della crescita magica, terapeuti occasionali di apprendisti ansiosi, e perfino guardiani di un misterioso Regno, Arbitorea, minacciato da una nebbia strisciante che — giuro — mi ha dato vibes da “The Fog” mescolato a “Darkest Dungeon”.

Il cuore pulsante del gioco? La gestione della scuola. Ma non intesa solo come “piazza qui l’aula, piazza lì la mensa”. No, qui si va molto oltre: ogni scelta che facciamo, ogni corridoio che costruiamo o incantesimo che autorizziamo, modella la vita degli studenti che popolano l’accademia. Parliamo di personaggi con personalità uniche, storie da scoprire, talenti da coltivare — o, se proprio non ce la fanno con le formule, magari da assegnare a mansioni meno gloriose ma comunque utili (tipo lucidare i pavimenti magici… ehi, qualcuno deve pur farlo!).

E poi c’è il mana. Questo non è il classico “mana da sparare addosso ai nemici con la fireball di turno”. Qui il mana è linfa vitale, è ciò che alimenta tutta la scuola. Ma occhio: la sua scarsità crescente è un mistero da risolvere e un problema gestionale serio. La scarsità di risorse, infatti, non è solo un ostacolo narrativo ma il cuore pulsante della strategia del gioco: come sopravvivere a una crisi energetica magica senza far collassare l’intero sistema scolastico?

Ecco, questa è una delle cose che mi ha più colpita di Wizdom Academy: l’equilibrio tra worldbuilding fantasy e meccaniche gestionali. Da fan sfegatata dei city builder (SimCity è stato il mio primo amore, ma ho fatto le mie brave ore anche su RimWorld, Two Point Campus e compagnia bella), so bene quanto sia difficile innovare un genere così rodato. Ma qui, grazie all’ambientazione magica e a un’impronta narrativa fortissima, ogni azione sembra davvero avere un peso emotivo e ludico. Non si tratta solo di ottimizzare lo spazio o massimizzare le risorse, ma di creare un ecosistema vivo, con relazioni, misteri e colpi di scena.

Un dettaglio che mi ha stregata? Il fatto che gli studenti più talentuosi, una volta diplomati, possano tornare nella scuola come insegnanti. È una piccola chicca, ma aggiunge una profondità incredibile alla progressione. Come se la tua accademia avesse una vera eredità da tramandare, generazione dopo generazione.

Insomma, Wizdom Academy non è solo un gioco per chi ama costruire: è un sogno ad occhi aperti per chi, come me, ha sempre fantasticato di avere una propria scuola di magia, di gestirla come si gestisce una piccola società, di scoprire segreti arcani e affrontare sfide che vanno oltre la semplice logistica.

Io sono pronta. E voi? Avete già preparato la vostra bacchetta (o mouse, nel nostro caso) per iniziare questa nuova avventura? Ditemi tutto: vi intriga? Avete già qualche strategia in mente per la gestione del mana o siete più del tipo “improvvisiamo e vediamo cosa succede”? Condividete le vostre prime impressioni sul trailer nei commenti, oppure fate un incantesimo di condivisione sui vostri social per spargere la voce. Il Regno di Arbitorea ha bisogno di noi… e le sue aule non si costruiranno da sole!

SpeedRunners 2: King of Speed – Il ritorno del gioco competitivo più folle e adrenalinico di sempre

Immaginate di essere lanciati a razzo in una corsa sfrenata, dove ogni millisecondo conta, ogni salto può determinare la vittoria o la sconfitta, e ogni curva nasconde una trappola esplosiva. Se siete come me, cresciuti a pane e platform, con il cuore che batte al ritmo dei pixel e l’adrenalina che scorre ogni volta che si preme “salta”, allora capirete perché l’annuncio di SpeedRunners 2: King of Speed mi ha fatta letteralmente sobbalzare dalla sedia. È il ritorno di un titolo che, nel suo primo capitolo, aveva già dimostrato quanto possa essere esplosivo, competitivo e incredibilmente divertente il mondo dei platform multiplayer. E ora è pronto a correre ancora più veloce, ancora più cattivo.

Ricordo benissimo le mie prime partite a SpeedRunners nel 2016: un mix letale di frustrazione e divertimento, di amicizie messe alla prova e controller lanciati contro il divano (per fortuna mai contro lo schermo, anche se ci siamo andati vicini). Era uno di quei giochi che, pur con una formula semplice, riusciva a tirare fuori il lato più competitivo di me. E oggi, quasi dieci anni dopo, l’idea di tornare a impugnare il rampino in SpeedRunners 2 mi fa brillare gli occhi.

Il nuovo capitolo promette di mantenere intatto tutto il cuore pulsante del gioco originale: corse frenetiche, rampini da usare con maestria, power-up esilaranti e personaggi dal design stravagante. Ma stavolta il livello si alza. Parliamo di gare fino a otto giocatori, mappe retrofuturistiche ispirate alla visione anni ’60 di una città dei supereroi, netcode migliorato (e meno male!) e una grafica next-gen che promette di essere tanto stilosa quanto performante. Insomma, se SpeedRunners era adrenalina in pixel, King of Speed è un’iniezione di pura velocità pompata con steroidi nerd.

Una delle cose che mi ha sempre colpito di questo titolo è quanto riesca a essere accessibile ma allo stesso tempo incredibilmente profondo. Sì, puoi divertirti fin da subito a giocare con gli amici (e magari fare qualche vittoria fortuita grazie a un missile ben piazzato), ma se davvero vuoi emergere come regina – o re – della velocità, devi studiare. Le mappe non si imparano da sole: bisogna memorizzare ogni scorciatoia, ogni booster pad, ogni leva nascosta che apre passaggi segreti. Devi diventare tutt’uno con il tuo personaggio, conoscere i suoi tempi di salto, i punti ideali per usare il rampino, e – soprattutto – avere i riflessi pronti per reagire in una frazione di secondo.

E poi, vogliamo parlare della soddisfazione di eliminare un avversario tirandolo indietro con un rampino dorato nel momento esatto in cui stava per superarti? O di usare una trappola ben piazzata per farlo volare fuori dallo schermo? Ogni partita è un mix di strategia, velocità e un pizzico di perfidia da cartone animato anni ’90. E anche se perdi, non puoi fare a meno di premere “rematch”.

Ma non finisce qui. Il gioco sarà disponibile su PC nel 2025 e approderà su console – PS5, Xbox Series X|S e Nintendo Switch – nel 2026. E non sarà un fuoco di paglia: SpeedRunners 2 punta a costruire una vera community, con classifiche online, tornei ufficiali, sfide settimanali e persino contenuti personalizzabili per rendere ogni personaggio unico. Insomma, se vi piace l’idea di entrare in una scena competitiva che non si prende troppo sul serio ma sa regalare momenti memorabili, questo è il vostro treno. O meglio, la vostra corsa.

Io personalmente non vedo l’ora di rimettere alla prova i miei riflessi, sfidare amici vecchi e nuovi, e magari – chissà – anche streammare qualche partita epica (rabbia e risate assicurate). Perché SpeedRunners non è solo un gioco: è un’arena di pixel e follia dove solo i più veloci, i più furbi, e i più pazienti (sì, anche quelli che sanno perdere con stile) riescono a regnare sovrani.

E voi? Siete pronti a diventare i nuovi King (or Queen!) of Speed? Scrivetemi nei commenti le vostre esperienze con il primo capitolo o le vostre aspettative per questo nuovo folle sequel! E se vi è piaciuto questo articolo, condividetelo con il vostro gruppo di amici gamer… e preparatevi a rompervi l’amicizia al primo missile ben assestato!

E’ boom per PLAY e la sua “evolution” a Bologna: oltre 34mila visitatori nella tre giorni del Festival del Gioco

Si è chiusa ieri la sedicesima edizione del Festival del Gioco, che per la prima volta si è tenuta nella sua nuova “casa” a BolognaFiere. La nuova location ha accolto 34mila persone (visitatori unici) in tre giorni per un’edizione da record: 4 padiglioni, 43.000 mq coperti, oltre 200 espositori, 914 eventi, oltre 1.500 studenti di circa 90 classi e il tutto esaurito per gli oltre 3.000 tavoli di giochi presenti al Festival

Tornare a giocare nella nuova sede bolognese è la mossa vincente di PLAY 2025: l’evento conferma la sua crescita di anno in anno affermandosi come l’evento leader del gioco analogico in Italia. Il Festival del Gioco segna un incremento considerevole di visitatori rispetto all’edizione modenese del 2024: più persone su spazi più ampi (oltre 34mila visitatori unici su +50% di superficie), quasi 3.000 tavoli di giochi (+30%) e maggiori servizi per pubblico, editori, associazioni.

“Entra, scegli gioca” è, da sempre, la formula del Festival del Gioco che ha già annunciato le date per la 17esima edizione: PLAY aprirà nuovamente le porte sul mondo del gioco dal 10 al 12 aprile 2026 a BolognaFiere.

“La scelta logistica di BolognaFiere, con i suoi ampi spazi e servizi, ha reso possibile accreditare sempre più PLAY come evento di peso internazionale nel mondo del gioco analogico. Tutti i quattro padiglioni – dedicati ai giochi da tavolo, di ruolo, di miniature, di carte, scientifici, per famiglie – hanno riscosso un grandissimo successo offrendo un’offerta ludica senza precedenti ai 34mila visitatori di questa edizione, molti dei quali sono tornati per più giorni. Siamo estremamente soddisfatti dei risultati ottenuti, così come lo sono gli espositori, le associazioni e gli editori presenti in fiera, che hanno apprezzato le maggiori possibilità in termini di spazi e servizi offerti dal quartiere fieristico bolognese” ha sottolineato Silvia Pozzi, Project Manager di PLAY- Festival del Gioco.

“Evolution” è stata la parola chiave di questa edizione del 2025 che ha accolto grandissimi autori di fama mondiale, content creator, master, autori indipendenti e una nazione ospite, una nuova tradizione di PLAY che ha visto per la prima volta autori ed editori in rappresentanza della Croazia. Un Festival che continua ad ampliarsi, per la qualità e la quantità delle sue proposte. L’area scientifica di PLAY si conferma un fiore all’occhiello dell’evento, facendo del gioco uno strumento didattico di apprendimento: oltre 1500 studenti – arrivati da scuole di tutta Italia – sono stati coinvolti nelle proposte didattiche di sei Atenei italiani e dieci Istituti di ricerca scientifica e storica.

Un debutto importante è stato il padiglione riservato ai trading card games, animato da un fitto programma di tornei e competizioni di carte collezionabili.

Andrea Ligabue, direttore artistico di PLAY, ha commentato:

“Le grandi ludoteche di PLAY in questi tre giorni sono state prese pacificamente d’assalto: il nostro motto “entra, scegli, gioca” si è tradotto in oltre un prestito al minuto, con oltre 2.600 prestiti complessivi e i tavoli del gioco di ruolo sempre pieni. Qui carte, pedine e dadi diventano catalizzatori di incontri faccia a faccia, contrastando l’isolamento e favorendo il confronto… L’industria ludica ha conosciuto una vera rinascita, con oltre 800 titoli pubblicati all’anno, che spaziano dai complessi giochi strategici ai party game accessibili a tutti. Particolarmente significativa è la diffusione dei titoli basati sulla cooperazione, dove la vittoria dipende dalla capacità di tutti di coordinarsi e sviluppare tattiche collettive. Queste esperienze attorno a un tavolo stimolano funzioni cognitive essenziali – dall’elaborazione logica alla memoria visiva – mentre, simultaneamente, coltivano abilità interpersonali fondamentali come l’empatia, la negoziazione e la comunicazione efficace”.

RPG Maker With: Il Tuo RPG, la Tua Creatività – Arriva il 21 Febbraio 2025!

Per tutti i creativi, i gamer e gli sviluppatori in erba, l’attesa è finalmente finita: il 21 febbraio 2025 segna il ritorno di una delle saghe più amate e apprezzate nel mondo dei giochi di ruolo. RPG Maker With, l’ultima versione della leggendaria serie, sarà disponibile su PlayStation®4 e PlayStation®5, con una compatibilità anche per la Nintendo Switch™. Un’ottima notizia per chi ama dare libero sfogo alla propria fantasia e creare mondi fantastici, ora finalmente su piattaforme multiple.

Per chi ancora non conoscesse RPG Maker, la serie è un vero e proprio faro nel panorama dei software di creazione giochi. Da anni permette a chiunque, anche senza conoscenze di programmazione, di progettare il proprio gioco di ruolo. Ma questa nuova versione, RPG Maker With, promette di fare un passo avanti, offrendo strumenti più accessibili e una portata creativa davvero vasta. Con un’interfaccia rinnovata, comandi intuitivi e una quantità impressionante di risorse preimpostate, chiunque potrà creare, senza difficoltà, il proprio universo videoludico.

Un Nuovo Capitolo, Più Accessibile che Mai

La vera novità di RPG Maker With è la sua capacità di semplificare ulteriormente il processo di creazione. Non è più necessario essere degli esperti per muovere i primi passi. L’interfaccia rinnovata è pensata per tutti, dal neofita al veterano. Grazie a nuovi strumenti come l’editor delle mappe, il database degli asset e l’editor degli eventi, chiunque potrà rapidamente cimentarsi nella costruzione del proprio gioco senza dover affrontare una curva di apprendimento troppo ripida. Ma ciò che davvero distingue questa versione è l’introduzione della funzione di Asset Sharing: finalmente sarà possibile condividere i propri asset creativi con la community online, scoprendo giochi creati da altri e contribuendo a un processo collettivo di sperimentazione e crescita.

Il successo della serie, nata in Giappone come RPG Tsukūru (un mix tra le parole giapponesi tsukuru, creare, e tsūru, strumento), è ormai leggendario. Dalla sua prima uscita nel lontano 2000, ha dato vita a una vera e propria comunità globale di sviluppatori indipendenti, e oggi con RPG Maker With si va a consolidare questa tradizione, permettendo di creare non solo giochi di ruolo, ma anche avventure interattive, visual novel e molto altro.

Un Gioco per Tutti, Dalla Creazione alla Condivisione

Se non sapete da dove iniziare, RPG Maker With ha una soluzione anche per questo. Il gioco offre la possibilità di esplorare e giocare ai titoli creati da altri utenti, trasformando il gioco stesso in una grande piazza virtuale dove la creatività è sempre in movimento. Con la funzione Maker Plaza, infatti, ogni giocatore potrà scambiarsi risorse, scaricare giochi e demo, e collaborare con altri sviluppatori. Ma la vera sorpresa è che, per la prima volta nella storia della serie, anche i giochi incompleti possono essere condivisi con la community. In questo modo, ogni progetto diventa un work in progress, migliorabile e arricchibile grazie al contributo collettivo.

Sia che si tratti di raccontare storie epiche, sia di creare mondi ricchi di avventura, RPG Maker With offre tutti gli strumenti necessari per trasformare qualsiasi idea in realtà. Non è mai stato così facile entrare a far parte di una comunità di creatori, dove l’ispirazione può nascere da una semplice interazione online.

Un Editor Completo, ma Accessibile

L’editor di RPG Maker With è decisamente versatile, permettendo di realizzare giochi con diversi stili di combattimento, sia a turni che in tempo reale, e con diverse modalità narrative. Il lavoro degli sviluppatori si è concentrato sulla creazione di uno strumento accessibile ma completo, che non solo permetta di costruire mondi, ma anche di renderli vivi grazie agli eventi e alle interazioni. Tuttavia, non bisogna dimenticare che, purtroppo, questa versione ha alcune limitazioni rispetto alle versioni per PC. Non sarà infatti possibile importare file esterni, ma solo utilizzare le risorse preimpostate o quelle scaricabili tramite il Maker Plaza o i DLC aggiuntivi.

Per chi si approccia per la prima volta al mondo di RPG Maker, il consiglio è di non buttarsi subito nell’editor complesso. Iniziare con le demo e i tutorial ufficiali, come Tutorial Adventure e Hikaru: Free Game Streamer, è il modo migliore per capire le potenzialità del software e prendere confidenza con i vari strumenti. Il gioco è infatti un editor, non un semplice videogioco come Super Mario Maker. Ciò significa che servirà un po’ di dedizione e pazienza per imparare a creare un titolo veramente unico.

La Forza della Comunità

Il cuore pulsante di RPG Maker With è, senza dubbio, la sua comunità. Con il nuovo sistema di condivisione delle risorse, ogni creatore può contribuire alla crescita collettiva, aiutando gli altri a migliorare i propri progetti. Gli sviluppatori hanno voluto enfatizzare l’aspetto comunitario, con la funzione “WITH” che richiama proprio questa idea di collaborazione e scambio. Ogni utente, quindi, può specializzarsi in una parte del processo creativo, creando, per esempio, mappe, eventi o personaggi, e poi unirsi con altri per creare qualcosa di veramente speciale.

In definitiva, RPG Maker With si preannuncia come la versione definitiva del celebre software, la più completa e al contempo la più accessibile di tutte. Nonostante alcune limitazioni rispetto alle versioni PC, questo titolo si propone come uno strumento perfetto per chi desidera dar vita ai propri sogni videoludici, sia da soli che in collaborazione con la comunità. Non resta che segnarsi la data di uscita: il 21 febbraio 2025, quando il mondo della creazione di giochi si arricchirà di nuove possibilità, e la magia degli RPG avrà ancora più spazio per espandersi.