Immaginate di svegliarvi con il pigiamone addosso, senza un piano per la giornata, e scoprire che la vostra più grande conquista non è una carriera brillante o un amore da film, ma… imparare a camminare. Non metaforicamente, ma sul serio: un passo maldestro dopo l’altro. È questo il cuore di Baby Steps, la nuova follia videoludica firmata da Gabe Cuzzillo, Maxi Boch e Bennett Foddy, pubblicata oggi da Devolver Digital su PC e PlayStation 5. Un titolo che, più che un gioco, sembra un manifesto: lento, ironico, spietato e al tempo stesso profondamente umano.
Il protagonista, Nate, non è certo l’eroe che salverà il mondo. È disoccupato, pigro, intrappolato in un loop di apatia e scollamento dalla realtà, una caricatura estrema della generazione del burnout e della comicità da meme. Tutto cambia quando viene catapultato in un universo misterioso, fatto di montagne da scalare e sentieri che si srotolano davanti a lui come una promessa. Il suo unico “superpotere”? Imparare a restare in piedi. Un passo dopo l’altro. Un esercizio che, tra comiche cadute e barcollamenti epici, diventa un’impresa titanica. Il sistema di controllo basato sulla fisica è volutamente impacciato: ogni gamba di Nate va guidata singolarmente, e anche l’atto più banale, come salire un piccolo gradino, diventa un puzzle frustrante e insieme esilarante. In questo, si sente chiaramente la mano di Bennett Foddy, il creatore di QWOP e Getting Over It, maestro nell’arte di trasformare il fallimento in puro intrattenimento.
Oltre la gag: un viaggio interiore
Non lasciatevi ingannare dalle risate slapstick: Baby Steps non è solo un “simulatore di camminata ubriaca”. Dietro le cadute goffe c’è una riflessione profonda sul valore del fallimento e sull’importanza di muoversi lentamente, senza fretta né obiettivi apparenti. Non ci sono nemici da abbattere, boss da sconfiggere o oggetti collezionabili (a parte qualche cappello inutile, ma irresistibile). Il vero traguardo è esplorare, osservare e imparare a ridere dei propri inciampi.
In un’epoca dominata da speedrun e performance tossiche, Baby Steps rappresenta una sorta di antidoto culturale: invita a rallentare, a vivere l’esperienza senza la pressione di “dover vincere”, e a scoprire che persino un passo maldestro può avere un senso.
Un mondo lento, vivo e grottesco
L’universo di gioco è una montagna vasta e surreale, da scalare al proprio ritmo. Non ci sono mappe né indicatori, solo panorami che sembrano dipinti e una fauna distratta che accompagna Nate nelle sue disavventure. Ogni ambientazione invita alla contemplazione, trasformando il gameplay in una sorta di meditazione zen in chiave comica.
La colonna sonora dinamica, composta da oltre 420 tracce che reagiscono al passo del giocatore, amplifica questa sensazione, creando un mix ipnotico tra comicità e poesia. Persino la tutina da neonato di Nate si sporca in tempo reale, segnalando la fatica del viaggio: un dettaglio tanto ridicolo quanto geniale, perfetto esempio dell’amore per il nonsense degli autori.
Tra meme e filosofia del fallimento
Non è un caso se Baby Steps sembra costruito apposta per diventare virale. Ogni caduta, ogni dialogo surreale, ogni glitch fisico è pensato per trasformarsi in una clip da TikTok o in una gif da condividere. Eppure, ridere di Nate significa anche ridere di noi stessi, delle nostre insicurezze e dei nostri inciampi quotidiani. È questa la forza del gioco: dietro la maschera del meme si nasconde un piccolo trattato filosofico sulla resilienza.
Un manifesto masochistico travestito da videogioco
Cuzzillo, Boch e Foddy hanno creato un’esperienza che sfida i canoni stessi del medium. Non è un gioco per chi cerca adrenalina o gratificazioni immediate, ma per chi è disposto ad abbracciare il caos e trovare bellezza nel ridicolo. Un titolo che, nel suo essere irritante e poetico insieme, porta avanti la tradizione dei giochi-punizione che hanno reso celebre Foddy, ma aggiunge uno strato di tenerezza e ironia che lo rende unico.
Baby Steps non è solo una sfida ai nostri riflessi, ma al nostro modo di intendere i videogiochi e, in fondo, la vita stessa. Non si tratta di correre verso un obiettivo, ma di scoprire che anche un passo storto può portare lontano. E allora la domanda è inevitabile: siete pronti a mettervi la tutina di Nate e a scoprire se riuscite davvero a camminare, un passo alla volta? Raccontateci nei commenti cosa ne pensate di questa follia videoludica e, se vi siete divertiti a leggere, condividete l’articolo: il mondo ha bisogno di più Nate, goffi ma ostinati, pronti a cadere e a rialzarsi con un sorriso.
