Roma, con i suoi gatti, ha una storia che sembra uscita direttamente da un poema epico ambientato nella Città Eterna. Qui i felini non sono semplici animali domestici, ma vere e proprie leggende viventi. Gianni Rodari, che aveva fatto di Roma la sua casa d’adozione, li celebrava definendoli “gatti letterati”. Questi eleganti abitanti del Pantheon e del Foro, con il loro passo discreto ma magnetico, sono diventati musa ispiratrice di poeti come Trilussa e Gioacchino Belli. I gatti romani, infatti, sembrano incarnare l’essenza dell’animo umano: sornioni, astuti e sempre pronti a cavarsela, proprio come i loro concittadini umani.
La loro storia affonda le radici nel lontano I secolo d.C., quando i gatti arrivarono a Roma dall’Egitto. Certo, i Greci li conoscevano già, ma furono i Romani, con il loro spirito pratico, a innamorarsi della loro abilità nel cacciare i roditori. All’inizio, questi felini erano una prerogativa delle élite. Nei lussuosi atrii delle domus patrizie, non erano soltanto efficienti cacciatori di topi, ma anche simboli di prestigio e compagni preziosi. Lo dimostrano mosaici come quelli di Pompei, che immortalano gatti in pose di caccia, quasi fossero dei supereroi in miniatura dell’antichità.
Nonostante la fama dei cani come simboli di lealtà e disciplina, i gatti conquistarono un posto speciale nel cuore dei Romani. Associati all’epicureismo e alla fortuna, apparivano in mosaici e amuleti, portatori di buoni auspici. Curiosamente, fu in quel periodo che il termine “cattus” iniziò a sostituire il latino “feles”, gettando le basi per il nome che questi animali avrebbero avuto in molte lingue moderne. Durante l’Impero, i gatti non erano solo protagonisti nelle case: accompagnavano persino le legioni romane nei loro spostamenti, proteggendo le scorte alimentari e offrendo compagnia ai soldati. Alcuni di loro, abbandonati durante le lunghe marce, finirono per colonizzare altre terre, contribuendo alla diffusione della specie in tutto l’Impero.
Nel corso dei secoli, i gatti sono passati dall’essere cacciatori di topi a diventare simboli sacri e, infine, una parte fondamentale della cultura romana. Ancora oggi, passeggiando per Roma, è impossibile non notarli mentre si aggirano indisturbati tra le rovine di Torre Argentina, il Colosseo o la Piramide Cestia. Le colonie feline della città, oltre 5.000 censite, sono un’eredità vivente di questo legame millenario. Una delle più celebri, quella dell’Università “La Sapienza”, è persino oggetto di tutela speciale.
Di recente, Roma Capitale ha deciso di celebrare ufficialmente questo rapporto speciale tra la città e i suoi mici. Alcune colonie feline, come quelle di Torre Argentina e della Piramide Cestia, hanno ricevuto targhe simboliche che le certificano come luoghi protetti. Questo riconoscimento è un omaggio alla figura della “gattara”, una vera e propria icona romana. Questo termine affonda le sue radici in un antico provvedimento papale che affidava alle donne la cura dei gatti randagi. Oggi, la “gattara” rappresenta dedizione e indipendenza, un simbolo che racchiude in sé il legame unico tra l’umanità e i suoi fedeli compagni a quattro zampe.
La storia dei gatti romani è un’avventura che mescola cultura, mito e resilienza. Da cacciatori di topi a protagonisti delle strade, questi felini hanno scritto un capitolo unico nella storia della città. Passeggiando tra le vie di Roma, non sorprende ritrovarli mentre ti osservano con quegli occhi enigmatici, come a custodire segreti millenari. I gatti di Roma non sono solo una parte della sua storia: sono l’anima viva di una città che non smette mai di affascinare.