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Sophie Turner è la nuova Lara Croft: l’Odissea di Tomb Raider tra conferme, ritardi e hype alle stelle

Segnatevi questa data: 19 gennaio 2026. Non è un giorno qualsiasi, ma quello in cui finalmente inizieranno le riprese della serie live-action di Tomb Raider, prodotta da Amazon MGM Studios. Dopo mesi di indiscrezioni, rinvii e momenti di stallo che sembravano aver affondato l’intero progetto, ora c’è la conferma che tutti i fan aspettavano: Sophie Turner sarà Lara Croft.
Sì, proprio lei, la Sansa Stark che abbiamo visto crescere tra intrighi e battaglie nel cuore di Westeros, e la Jean Grey che ha provato a domare l’oscurità della Fenice negli X-Men. Un’attrice che porta sulle spalle un bagaglio di personaggi fragili e potenti allo stesso tempo, pronta a calarsi nei panni dell’archeologa-avventuriera più iconica dei videogiochi.

Una saga travagliata come un enigma di Lara

La storia di questa serie ha già di per sé i tratti di una vera avventura. L’annuncio risale a inizio 2023, ma la strada è stata costellata di inciampi: ritardi nella scrittura, malumori dietro le quinte e perfino voci di cancellazione. La sceneggiatura firmata da Phoebe Waller-Bridge (l’irriverente genio dietro Fleabag) ha richiesto più tempo del previsto e, secondo fonti vicine alla produzione, Amazon non era del tutto convinta delle prime bozze. A peggiorare la situazione è arrivata la partenza di Jennifer Salke, dirigente di Amazon Studios che aveva fortemente voluto il progetto.
Per mesi i fan hanno temuto che Lara Croft rimanesse sepolta sotto la sabbia dei progetti mai realizzati. E invece, proprio come nei videogiochi, quando tutto sembra perduto, arriva la svolta: la serie è viva, e Sophie Turner sarà la protagonista.

Sophie Turner raccoglie l’eredità di Angelina Jolie e Alicia Vikander

Interpretare Lara Croft significa affrontare una vera prova iniziatica. Non è solo un ruolo, è un mito da incarnare. Prima di Turner, due attrici di calibro mondiale hanno vestito i panni della cacciatrice di tombe: Angelina Jolie, che nel 2001 ha dato un volto sensuale e guerriero al personaggio, e Alicia Vikander, che nel reboot del 2018 ha portato una Croft più realistica e vulnerabile.
Turner è consapevole delle aspettative e non lo nasconde: “Cammino sulle orme di giganti”, ha dichiarato, promettendo di dare tutto per restituire al personaggio la sua grandezza. La sua origine britannica, tra l’altro, aggiunge un tocco di autenticità a una Lara che nei videogiochi ha sempre avuto un’anima inglese fino al midollo.

Waller-Bridge e un team da sogno dietro la bussola di Croft

A guidare l’impresa ci sarà Phoebe Waller-Bridge, non solo sceneggiatrice ma anche executive producer e co-showrunner insieme a Chad Hodge. Dietro la macchina da presa troveremo invece Jonathan van Tulleken, regista già rodato nel mondo delle serie di grande respiro. Accanto a loro un team di produttori esecutivi che include Story Kitchen, Crystal Dynamics (la software house madre del franchise) e Legendary Television.
L’obiettivo dichiarato? Portare sul piccolo schermo una Lara fedele allo spirito originale, ma al passo con le sensibilità del 2026. Una Croft che non sia solo icona di potere e acrobazie mozzafiato, ma anche un personaggio complesso, ironico, capace di emozionare e sorprendere come non mai.

Una sfida tra cinema e serialità

Quello che rende il progetto ancora più affascinante è la sua natura: un adattamento seriale di uno dei franchise videoludici più longevi e amati. Non più un film isolato, ma una saga che potrà esplorare mondi, misteri e mitologie con il respiro lungo di una serie televisiva.
Prime Video punta forte su questa produzione, consapevole che Tomb Raider è molto più di un titolo: è un pezzo di cultura pop che ha attraversato decenni, generazioni e piattaforme. L’annuncio di Turner nel ruolo principale ha già scatenato discussioni sui social: chi la vede come scelta perfetta e chi resta scettico, legato alle interpretazioni precedenti. Ma è proprio questa polarizzazione che alimenta l’attesa: Lara Croft è tornata a far parlare di sé, e questo è già un successo.

Il ritorno della Regina delle avventure

Se c’è un personaggio capace di resistere al tempo e ai cambiamenti dell’industria, quello è Lara Croft. Videogioco dopo videogioco, film dopo film, cosplay dopo cosplay, l’archeologa con due pistole e mille enigmi è diventata un simbolo della cultura nerd globale. Ora tocca a Sophie Turner portare la torcia accesa da Jolie e Vikander e guidarla in una nuova era, televisiva e coraggiosa.
Il 19 gennaio 2026 non sarà solo l’inizio di una produzione: sarà il primo passo di un’avventura che promette di farci sognare, esplorare e discutere ancora a lungo.

E voi, siete pronti a seguire Sophie Turner nei panni della nuova Lara Croft? Vi convince questa scelta o restate fedeli alle precedenti incarnazioni? Scrivetecelo nei commenti e condividete l’articolo con i vostri compagni di spedizione nerd: il tesoro di questa avventura è il dibattito che possiamo scatenare insieme.

Edenlandia riapre: il cuore di Napoli torna a battere!

Dal 7 marzo, il silenzio aveva avvolto Edenlandia, il primo parco divertimenti italiano. Le risate dei bambini si erano spente, le giostre avevano smesso di girare e il sogno di generazioni sembrava sospeso nel tempo. Ma il cuore pulsante del parco divertimenti più amato di Napoli non ha mai smesso di lottare. Oggi, dopo settimane di incertezza e attesa, possiamo finalmente dirlo: bentornata, Edenlandia!

Il parco divertimenti di Fuorigrotta riaprirà ufficialmente le porte il 22 marzo 2025, segnando il ritorno di una delle attrazioni più iconiche della città. Il CEO Gianluca Vorzillo ha voluto rassicurare il pubblico, dichiarando che Edenlandia è pronta ad accogliere i visitatori con un giorno speciale, pieno di sorprese e con un regalo per tutti i partecipanti. Con un biglietto di soli 10 euro, sarà possibile ottenere un bracciale illimitato per godere di tutte le attrazioni, un gesto simbolico per celebrare questo atteso ritorno.

Un pezzo di storia napoletana

Prima che Edenlandia prendesse vita, a Napoli esisteva solo un piccolo luna park all’interno della villa comunale. Le attrazioni erano semplici, ma già riuscivano a regalare qualche momento di divertimento: c’era il trenino, l’autoscontro, l’autopista, le montagne russe, i dischi volanti e, naturalmente, la ruota panoramica.

Il 19 giugno 1965 segna una svolta per il divertimento partenopeo: Edenlandia apre ufficialmente i battenti. Il progetto nasce grazie all’impegno degli imprenditori Oreste Rossotto e Ciro De Pinto, affiancati dall’avvocato Luca Grezio, legale della società. La realizzazione del parco è frutto della visione di Cesare Rosa, che disegna alcune delle attrazioni più iconiche, come l’Autopista del Sole e le Cascate del Niagara (i celebri tronchi). Edenlandia è un’idea ambiziosa, il primo esperimento in Europa di un parco ispirato direttamente a Disneyland, inaugurato dieci anni prima in California. Anche il logo riflette questo legame: un castello stilizzato e una scritta in caratteri gotici, con i colori giallo e blu a simboleggiare il parco. Questo design rimarrà invariato fino al 1990, quando verrà arricchito da una corona di stelle.

Nel corso degli anni ’70, Edenlandia diventa una meta imperdibile non solo per i napoletani, ma anche per turisti italiani e stranieri. Le giostre si moltiplicano, abbracciando diversi temi, e il nome stesso del parco richiama un luogo magico e adatto a tutti, grandi e piccini. Un dettaglio curioso: in questo periodo la Disney decide di fare un regalo speciale a Edenlandia, donandole una giostra dedicata a Dumbo, che verrà ribattezzata “Jumbo”. Ma non è solo il divertimento a rendere il parco celebre: le graffe fritte di Ciro De Pinto e sua moglie Annunziata Capozzi diventano leggendarie, richiamando visitatori da ogni angolo della città. Tuttavia, nel 1975 nasce Gardaland, che nel giro di pochi anni diventa il parco più grande e famoso d’Italia, con una superficie di oltre 500mila metri quadrati, contro i 38mila di Edenlandia.

Con l’arrivo degli anni ’80 e ’90, Edenlandia inizia a perdere il suo fascino iniziale. La concorrenza si fa sempre più agguerrita: parchi come Mirabilandia, inaugurato nel 1992, offrono attrazioni più moderne e coinvolgenti, mettendo in difficoltà la storica struttura napoletana.

Nel 2003, la società Park&Leisure di Cesare Falchero prende in gestione Edenlandia, insieme allo zoo e all’ex cinodromo di Napoli. C’è un tentativo di rilancio, con tanto di spot promozionali lanciati sul web nel 2008, ma il declino del parco sembra ormai inarrestabile.Nel 2010 vengono aggiunte nuove attrazioni, ma la crisi economica e la scarsa affluenza portano alla richiesta di fallimento nel 2011. Il Comune di Napoli e la Mostra d’Oltremare, proprietaria del terreno su cui sorge il parco, tentano di trovare un acquirente per dare una nuova vita a Edenlandia. Nel 2012, la Brain’s Park, società londinese specializzata in parchi tematici, vince il bando per la gestione, ma pochi mesi dopo rinuncia per problemi burocratici e la presenza di strutture abusive all’interno del parco.

Nonostante le difficoltà, la speranza di rivedere Edenlandia in attività non si spegne. Nel 2014, la società New Edenlandia prende in mano il parco con la promessa di riaprirlo nell’estate del 2015. Tuttavia, la vera svolta arriva nel novembre 2017, quando la GCR Outsider Holding del gruppo Vorzillo rileva la gestione. Finalmente, il 26 luglio 2018, Edenlandia riapre le porte al pubblico, cercando di restituire alla città un pezzo della sua storia e della sua magia.

La chiusura e la rinascita

L’8 marzo 2025, a seguito di una denuncia anonima e di ispezioni tecniche, il Comune di Napoli aveva ordinato la chiusura immediata del parco per gravi carenze nella manutenzione delle attrazioni. Secondo i rapporti ufficiali, molte giostre versavano in condizioni di degrado, rappresentando un rischio per la sicurezza pubblica. Vorzillo, allibito dalla decisione, ha contestato le accuse, sostenendo che i problemi riguardavano solo due giostre su trenta. La battaglia legale che ne è seguita ha portato a un lungo periodo di incertezza, fino alla svolta del 21 marzo, quando è stata finalmente annunciata la riapertura.

Un ritorno atteso con entusiasmo

Il 22 marzo 2025 non sarà una semplice riapertura, ma una vera e propria festa per tutta la città. Dopo settimane di lavori e miglioramenti, Edenlandia è pronta a riaprire più bella che mai. Il parco si presenta con nuove attrazioni, una manutenzione rinnovata e l’entusiasmo di sempre. Per tutti coloro che sono cresciuti con il sogno di Edenlandia, questa giornata rappresenta un ritorno all’infanzia, un simbolo di speranza e resilienza.

La storia di Edenlandia è fatta di successi, battute d’arresto e rinascite, ma una cosa è certa: il cuore di Napoli non ha mai smesso di battere per il suo parco divertimenti. L’attesa è finita. Le giostre vi aspettano. Edenlandia è viva, più che mai!

Il videogioco di Wonder Woman cancellato.Le sfide di Warner Bros. Games: Una Crisi Che Non Si Ferma

Nel mondo dei videogiochi, il 2024 è stato un anno difficile per Warner Bros. Games, segnato da numerosi fallimenti commerciali e difficoltà interne che hanno portato alla cancellazione di uno dei progetti più attesi: il videogioco di Wonder Woman. L’annuncio della chiusura di tre studi di sviluppo, tra cui Monolith Productions, ha gettato una lunga ombra sulla divisione videoludica della compagnia, mettendo in discussione il futuro del suo portfolio e delle sue ambizioni nel settore.

Il gioco di Wonder Woman, sviluppato da Monolith Productions, era stato presentato con grande entusiasmo nel 2021, promettendo di offrire un’esperienza di gioco immersiva e avventurosa, degna della leggendaria supereroina DC. Tuttavia, nonostante gli sforzi e l’investimento di oltre 100 milioni di dollari, il progetto ha subito numerosi ritardi e ha continuato a incontrare difficoltà tecniche e operative, senza mai avvicinarsi alla fase di completamento. Le problematiche legate alla gestione e alla direzione del progetto sono state accentuate dal contesto più ampio di Warner Bros. Games, che ha visto il fallimento di titoli come Suicide Squad: Kill the Justice League e il rilancio di MultiVersus, che non ha soddisfatto le aspettative, contribuendo a una perdita netta di 300 milioni di dollari nel 2024.

La chiusura di Monolith Productions, che per oltre trent’anni ha dato vita a giochi iconici come Middle-earth: Shadow of War, segna un punto di svolta nella strategia di Warner Bros. Discovery, che ha deciso di ristrutturare la sua divisione videoludica e fare un passo indietro rispetto alla sua visione iniziale di sviluppare giochi internamente. Con la chiusura degli studi Monolith, Player First Games (responsabile di MultiVersus) e Warner Bros. Games San Diego, la compagnia ha comunicato la necessità di concentrarsi sui suoi franchise di punta come Harry Potter, Mortal Kombat, DC e Game of Thrones.

La cancellazione del gioco di Wonder Woman rappresenta una grande delusione per i fan e per l’intero settore, ma è anche un segno di un’inversione di rotta nella gestione di Warner Bros. Games, che sembra intenzionata a concentrarsi su progetti di maggiore impatto e a evitare il rischio di altre delusioni. In un comunicato ufficiale, la compagnia ha espresso il suo dispiacere per la fine di un progetto che avrebbe dovuto celebrare uno dei personaggi più iconici del fumetto e del cinema, ma ha anche sottolineato che le priorità aziendali sono cambiate.

Questa ristrutturazione si inserisce in un quadro più ampio di sfide finanziarie per Warner Bros. Discovery, con la guida di David Haddad, che ha lasciato il suo incarico alla fine di gennaio 2024 dopo un periodo di forti difficoltà economiche. La compagnia ha sottolineato che, nonostante i fallimenti recenti, la sua strategia futura si concentrerà su giochi di alta qualità, con l’intento di recuperare la fiducia dei fan e migliorare la sua situazione finanziaria.

Il futuro di Wonder Woman nel mondo dei videogiochi appare incerto, con la possibilità che il progetto possa essere ripreso o adattato in futuro, ma è chiaro che la compagnia deve affrontare una serie di sfide per risollevarsi. La gestione del brand e le scelte in ambito marketing saranno cruciali per evitare che la storia si ripeta e per riconquistare il cuore dei giocatori, che sperano di vedere rappresentato adeguatamente il leggendario personaggio di DC.

Il 2025 si preannuncia come un anno cruciale per Warner Bros. Games, con l’obiettivo di riorganizzarsi e tornare a essere competitiva nel mercato. L’azienda sembra intenzionata a concentrarsi su licenze di valore, con l’auspicio che questa nuova direzione possa finalmente portare alla creazione di giochi di qualità, in grado di conquistare sia i fan storici che i nuovi appassionati del genere.

Toys “R” Us: spot rivoluzionario con l’intelligenza artificiale scatena il dibattito online

Toys “R” Us torna protagonista con un video promozionale decisamente innovativo, realizzato interamente grazie all’intelligenza artificiale di Sora, un modello rivoluzionario sviluppato da OpenAI.

Ma che cos’è Sora? Si tratta di un generatore di video che trasforma semplici descrizioni testuali in filmati ad alta definizione. Ebbene, Toys “R” Us ha utilizzato Sora per dare vita alla storia del suo fondatore, Charles Lazarus, in un viaggio emozionante tra nostalgia e innovazione.

Il risultato? Un video di 60 secondi che ha già scatenato un acceso dibattito sui social media. Da un lato, c’è chi apprezza l’originalità e l’impatto visivo, sottolineando il potenziale dell’intelligenza artificiale nel campo del marketing. Dall’altro, non mancano le critiche che lamentano la mancanza di “anima” e la possibile minaccia per il lavoro dei creativi.

Ma c’è di più. La scelta di Toys “R” Us di utilizzare l’intelligenza artificiale arriva in un momento delicato per l’azienda, che negli ultimi anni ha dovuto affrontare sfide importanti come il fallimento del 2017 e la chiusura di numerosi negozi.

Punta di diamante di questa strategia di rilancio è proprio il nuovo spot. Un’operazione che dimostra la volontà di Toys “R” Us di abbracciare l’innovazione e adattarsi alle nuove esigenze del mercato.

Funzionerà? Soltanto il tempo lo dirà. Ma una cosa è certa: Toys “R” Us non ha paura di osare e di scommettere sul futuro.

Il fallimento come opportunità: il messaggio dello spot Hot Wheels Challenge Accepted

Lo spot pubblicitario della Hot Wheels Challenge Accepted, ha suscitato un certo scalpore per il suo messaggio incentrato sul fallimento. Nel video, un bambino prova a costruire una pista per le sue Hot Wheels, ma fallisce più volte. Tuttavia non si arrende e continua a provare, fino a quando finalmente riesce a costruire la sua pista perfetta.

Il messaggio dello spot è chiaro: il fallimento non è qualcosa di cui vergognarsi, ma un’opportunità per imparare e crescere. Mia fallisce più volte, ma non si dà per vinta. Continua a provare, fino a quando finalmente raggiunge il suo obiettivo.

Questo messaggio è in linea con il concetto americano del fallimento. Negli Stati Uniti, il fallimento non è visto come un segno di debolezza o di incapacità, ma come un’esperienza da cui imparare. Il fallimento è visto come un’opportunità per crescere, per migliorare e per diventare più forti.

Questo concetto è stato espresso anche da molti personaggi famosi, come Steve Jobs, J.K. Rowling e Walt Disney. Tutti questi personaggi hanno fallito più volte nel corso della loro carriera, ma non si sono arresi. Hanno continuato a provare, fino a quando hanno raggiunto il successo.

Lo spot della Hot Wheels Challenge Accepted è un messaggio positivo che può ispirare i bambini a non avere paura di fallire. Il fallimento non è la fine del mondo, ma un’opportunità per imparare e crescere.

Ecco alcuni esempi di come il fallimento può essere visto come un’opportunità:

  • Il fallimento può aiutarti a capire cosa non funziona e cosa devi migliorare.
  • Il fallimento può renderti più determinato a raggiungere i tuoi obiettivi.
  • Il fallimento può aiutarti a sviluppare resilienza e perseveranza.
  • Il fallimento può aiutarti a imparare dagli errori degli altri.

Il fallimento è una parte naturale della vita. Tutti falliamo a volte. L’importante è non farsi scoraggiare dal fallimento, ma imparare da esso.

Monsters University: una riflessione sul fallimento e la resilienza tra i mostri dell’università

Quando nel 2013 Pixar rilasciò Monsters University, in molti si aspettavano una semplice operazione nostalgica: un ritorno agli anni verdi dei mostri più amati del grande schermo, Mike Wazowski e James P. “Sulley” Sullivan, condita da gag universitarie e qualche richiamo emotivo al capolavoro del 2001 Monsters & Co.. Ma chi ha saputo guardare oltre la superficie, ha trovato in questo prequel una delle riflessioni più mature, sottili e coraggiose dell’intera filmografia Pixar. Un film che, pur parlando ai bambini, ha il coraggio di dire agli adulti una verità scomoda: a volte, anche se ci si impegna al massimo, non si riesce a realizzare i propri sogni. E va bene così.

Diretto da Dan Scanlon e prodotto da Kori Rae, Monsters University nasce da un’idea apparentemente semplice: raccontare le origini dell’amicizia tra Mike e Sulley. Ma sotto questa premessa classica si cela un film che sovverte le regole del racconto di formazione, proponendo una storia in cui il successo non arriva come premio alla tenacia del protagonista, ma come frutto di una maturazione interiore e, soprattutto, della capacità di accettare i propri limiti.

La trama si apre con un giovanissimo Mike, occhione verde pieno di speranze, che sogna di diventare uno spaventatore dopo una visita alla fabbrica di Monsters & Co.. Un sogno alimentato non solo dall’entusiasmo infantile, ma da una determinazione incrollabile. Quando anni dopo riesce a entrare alla prestigiosa Monsters University, il suo entusiasmo si scontra con una realtà dura: Mike non è spaventoso. Per quanto studi, si impegni e padroneggi la teoria alla perfezione, non riesce a incutere paura. Il suo compagno di corso Sulley, al contrario, è il figlio di una leggenda, dotato di un talento naturale, ma pigro e poco incline allo studio. La loro rivalità – uno scontro tra disciplina e dono innato – si trasforma lentamente in complicità, nel corso di un’avventura piena di prove, errori, cadute e, soprattutto, momenti di verità.

L’intuizione più interessante del film è che l’amicizia tra Mike e Sulley nasce non dalla somiglianza, ma dall’accettazione delle reciproche differenze. Quando Mike scopre che Sulley ha truccato il test finale per permettergli di vincere, il tradimento non è solo quello di un compagno: è il crollo di una visione idealizzata del merito. Eppure, proprio da questo crollo emerge la consapevolezza. Il momento in cui Mike si rende conto che nessun bambino ha paura di lui – neanche nel mondo umano – è una delle scene più struggenti e vere mai realizzate in un film d’animazione. È la presa di coscienza di un’intera generazione: non tutti possono essere quello che vogliono. Ma tutti possono trovare la propria strada.

Sul piano tecnico, Monsters University è un piccolo gioiello. L’animazione è raffinata, la palette cromatica vibrante e coerente con l’ambiente accademico fantasioso e iperrealistico creato da Pixar. La colonna sonora di Randy Newman, alla sua settima collaborazione con lo studio, accompagna i momenti salienti con una leggerezza ironica e mai invadente, donando ulteriore profondità emotiva a una narrazione già stratificata.

Il cast vocale originale, con i ritorni di Billy Crystal e John Goodman nei ruoli iconici di Mike e Sulley, è affiancato da un gruppo di nuovi personaggi ben caratterizzati e doppiati da voci di primo piano come Helen Mirren (nel ruolo della temibile preside Hardscrabble), Alfred Molina, Charlie Day e Aubrey Plaza. Ognuno di questi personaggi contribuisce alla costruzione di un microcosmo universitario bizzarro ma sorprendentemente realistico nei suoi meccanismi sociali.

Un dettaglio che ha fatto discutere i fan più attenti riguarda la continuità narrativa tra Monsters & Co. e il prequel: nel primo film, Mike afferma di conoscere Sulley fin dalle elementari, mentre in Monsters University i due si incontrano per la prima volta proprio al college. Un’incongruenza? Forse. Ma anche questo dettaglio, letto in chiave simbolica, suggerisce qualcosa di più profondo: la memoria, come l’amicizia, è una costruzione affettiva più che cronologica. E forse Mike, ripensando agli anni trascorsi insieme, ha semplicemente sentito che quella connessione era talmente radicata da risalire a un passato più lontano di quanto realmente fosse.

Nonostante questo piccolo scivolone di continuità, Monsters University riesce nell’impresa non scontata di non tradire l’essenza del film originale. Anzi, la rafforza. Perché se Monsters & Co. era una favola sul lavoro e l’empatia, Monsters University è un racconto sul fallimento e sulla resilienza. Due facce della stessa medaglia, due tappe dello stesso percorso di crescita.

Alla fine, Mike e Sulley vengono espulsi dall’università. Ma non è un fallimento: è l’inizio. Lavorando umilmente nella posta di Monsters & Co., i due ricostruiscono la loro carriera pezzo dopo pezzo, fino a raggiungere l’obiettivo tanto desiderato. Non grazie a scorciatoie, ma con esperienza, maturità e rispetto reciproco. Un messaggio prezioso, oggi più che mai.

Monsters University è, in ultima analisi, una celebrazione dell’imperfezione. Un inno a tutti coloro che non brillano subito, che vengono esclusi, che cadono e si rialzano. È un film che osa dire che non esiste una sola strada verso il successo, e che la vera grandezza sta nel riconoscere chi si è davvero. Un’opera che, sotto la superficie colorata e comica, offre una lezione di vita autentica. Per piccoli mostri. E per grandi spettatori.