C’è un prima e un dopo Airplane!. O, come lo conosciamo noi nerd italiani, L’aereo più pazzo del mondo. Il 2 luglio del 1980 atterrava nelle sale americane una pellicola destinata a diventare leggenda. In Italia sarebbe arrivata solo a fine ottobre dello stesso anno, ma bastarono pochi istanti dalla comparsa dell’auto-pilota gonfiabile Otto per capire che nulla sarebbe stato più come prima. A quarantacinque anni dal suo debutto, quest’opera firmata dal trio Zucker-Abrahams-Zucker continua a far ridere, a ispirare e a influenzare intere generazioni di spettatori, cineasti e comici. Una parodia esilarante che ha preso il volo trasformando il genere disaster movie in un luna park di gag, giochi di parole e nonsense assoluto.
Siamo negli anni ’70, l’epoca d’oro dei film catastrofici. Airport, Airport ’75, Airport ’77 e via dicendo. L’aereo diventa metafora del destino umano, del pericolo, del dramma in alta quota. Ma poi arriva Airplane! e decide di mandare tutto all’aria. E lo fa sul serio. Letteralmente. Il trio ZAZ — Jim Abrahams e i fratelli Zucker — prende di mira questi film e li smonta scena dopo scena, trasformando la tensione in delirio, il dramma in slapstick, il panico in comicità pura. Non si tratta solo di una parodia: è l’inizio di una nuova grammatica della risata.
La trama di per sé è un pretesto, un filo conduttore per scatenare il caos comico: Ted Striker, un ex pilota traumatizzato dalla guerra e mollato dalla sua ex, si ritrova a dover pilotare un aereo di linea dopo che l’equipaggio è stato messo KO da un’insalata di pesce mal conservata. Il tutto mentre un auto-pilota gonfiabile cerca di mantenere la rotta, una torre di controllo piena di idioti cerca di aiutare e una sfilza di passeggeri assurdi mette a dura prova qualsiasi logica narrativa. È il nonsense portato al massimo della sua potenza, ma con una precisione millimetrica. Il caos è pianificato, il ridicolo è studiato, l’assurdo è calcolato al centesimo di secondo. Ogni battuta ha un tempo comico perfetto, ogni gag visiva una costruzione meticolosa.
Il cast è un altro dei colpi di genio del film. Nessun attore comico di professione, ma volti noti per ruoli drammatici, scelti proprio per la loro serietà. È questo il segreto: la comicità nasce dallo scarto tra l’espressione impassibile e ciò che accade intorno. Lloyd Bridges, Robert Stack, Peter Graves… e soprattutto lui, Leslie Nielsen. Il suo dottor Rumack è una delle interpretazioni comiche più iconiche della storia del cinema, nonostante — o forse grazie a — quell’assoluta serietà con cui pronuncia frasi assurde come la leggendaria “I am serious… and don’t call me Shirley”. Da qui partirà la sua seconda vita artistica, che lo porterà a dominare il cinema comico anni ’80 e ’90, soprattutto con la saga di Una pallottola spuntata.
Ma da dove nasce tutto questo? Paradossalmente da un film serissimo: Zero Hour! del 1957. Un dramma aereo in bianco e nero, piuttosto dimenticabile, che i ZAZ scoprono per caso facendo zapping. L’idea: usare la sceneggiatura praticamente tale e quale, ma riscrivendola con gag al posto delle battute serie. Pagano perfino i diritti per 2500 dollari, così da mettersi al riparo da possibili grane legali. Il copione inizialmente non interessa a nessuno, finché il trio non ottiene visibilità con lo show Ridere per Ridere. Da lì, l’interesse di Michael Eisner e Jeffrey Katzenberg fa decollare il progetto. Il resto è storia.
Il film è una festa continua per chi ama la cultura nerd e pop: ci trovi dentro riferimenti al Saturday Night Live, parodie di spot pubblicitari, scene che sfottono apertamente John Travolta in La febbre del sabato sera, e persino Kareem Abdul-Jabbar, icona NBA, che interpreta un pilota… solo per rivelarsi Kareem Abdul-Jabbar stesso in una rottura della quarta parete che all’epoca era qualcosa di clamorosamente geniale.
E poi c’è il doppiaggio italiano. Per molti versi un’opera a sé stante. Alcune battute sono state adattate in dialetti o modi di dire tipicamente italiani, come il celebre slang jive trasformato in un napoletano inventato che ha fatto rotolare dalle sedie generazioni di spettatori. Una scelta azzardata? Forse. Ma ha funzionato. Tanto da rendere immortali alcune frasi anche nella nostra lingua.
Quello che rende L’aereo più pazzo del mondo ancora oggi un capolavoro della comicità è la sua capacità di fondere umorismo verbale, gag visive e una totale anarchia narrativa. È un film che vive di eccessi, che si prende gioco del buon senso, della fisica, del decoro e anche del politically correct — che all’epoca era ancora un concetto lontano. Alcune scene, rivedendole oggi, potrebbero apparire problematiche. Ma proprio questa irriverenza, questa libertà totale, era parte del suo fascino. In un’America che si stava prendendo terribilmente sul serio, Airplane! esplode come una bomba comica di proporzioni epiche, una satira travestita da demenzialità.
L’influenza del film è semplicemente incalcolabile. Senza L’aereo più pazzo del mondo, probabilmente non avremmo mai avuto i Simpson, Futurama, Scemo & più scemo, Tutti pazzi per Mary, Austin Powers, Scary Movie e mille altri esempi di comicità postmoderna che flirta con la parodia, l’assurdo e l’anti-realismo. Matt Groening ha dichiarato più volte di aver preso ispirazione diretta da Airplane! per la costruzione dell’umorismo surreale e tagliente delle sue creazioni animate. E anche se molti dei suoi epigoni non sono riusciti a replicarne il genio, l’impronta del film resta visibile in ogni angolo della comicità contemporanea.
A distanza di 45 anni, L’aereo più pazzo del mondo è ancora lì, a volare sopra le nostre teste, come un dirigibile impazzito carico di gag. È il film che ha avuto il coraggio di prendere un genere serio e farlo esplodere a colpi di umorismo slapstick, battute fulminanti e situazioni assurde. È una macchina comica perfetta, ma anche un manifesto contro ogni forma di serietà imposta. E in un’epoca in cui la comicità sembra spesso ingessata, addomesticata, timorosa di offendere, questo film resta un inno alla libertà creativa e alla risata più pura, anarchica, liberatoria.
Se non lo avete visto, è il momento di rimediare. Se lo avete già amato, riguardatelo. Vi sorprenderà di nuovo. Perché la risata, quando è fatta con intelligenza e coraggio, non invecchia mai.
E voi? Qual è la scena di L’aereo più pazzo del mondo che vi ha fatto ridere fino alle lacrime? Scrivetecelo nei commenti o condividete l’articolo sui vostri social con l’hashtag #CorriereNerd!