Gotham. Una città che respira oscurità e potere corrotto. Un luogo dove ogni vicolo nasconde segreti e dove l’ambizione è l’unica vera legge. In questo mondo cupo e spietato, si muove Oswald Cobblepot, alias Il Pinguino, interpretato da un irriconoscibile e magnetico Colin Farrell. Ma ora che la serie HBO The Penguin è stata ufficialmente candidata come “Miglior Miniserie” agli Emmy Awards 2025, una domanda inquieta i fan: è davvero tutto finito? Niente seconda stagione? È questo il gran finale per il villain più viscerale e realistico mai portato sul piccolo schermo?
La candidatura agli Emmy come miniserie suona come un verdetto. HBO non ha ancora sigillato la bara, ma ha infilato i chiodi. Eppure, sarebbe un peccato archiviare così in fretta un progetto che ha saputo scuotere il panorama televisivo con una forza inaspettata, portando Gotham a nuovi livelli di brutalità e introspezione.
L’eredità di Carmine Falcone e l’ascesa del Pinguino
The Penguin riprende là dove The Batman di Matt Reeves si era interrotto: una Gotham City privata del suo re del crimine, Carmine Falcone, e lasciata in un vuoto di potere che minaccia di inghiottire tutto. In questa voragine morale si insinua Oswald Cobblepot, pronto a reclamare ciò che, secondo lui, gli spetta di diritto. Ma The Penguin non è la classica storia di un gangster in ascesa. È un viaggio disturbante e affascinante nella mente di un uomo rotto, deforme non solo nel corpo ma anche nell’anima.
La regia di Matt Reeves e la penna di Lauren LeFranc costruiscono una Gotham ancora più claustrofobica e malata di quella vista nel film, un habitat naturale per le ambizioni feroci del nostro protagonista. L’oscurità non è solo visiva, ma esistenziale. Ogni scena è pervasa da un senso di oppressione, come se la città stessa stesse soffocando sotto il peso della propria decadenza.
Colin Farrell: metamorfosi di un villain
Parlare della serie senza soffermarsi sulla performance di Colin Farrell sarebbe come raccontare Gotham senza citare Batman. Trasformato dal trucco prostetico in una creatura grottesca, Farrell incarna il Pinguino con una forza e una disperazione animalesca. La voce rauca, la camminata incerta, il sorriso distorto: tutto concorre a renderlo un personaggio indimenticabile. Ma non aspettatevi redenzione, né momenti di umana fragilità: The Penguin ci presenta un villain puro, uno che non cerca scuse né comprensione. Cobblepot non vuole essere amato, vuole essere temuto. E, in fondo, questa onestà brutale è ciò che lo rende così magnetico.
Una guerra fredda per il trono del crimine
Accanto a lui, un cast di supporto che non fa da semplice sfondo. Cristin Milioti nei panni di Sofia Falcone è una rivelazione: elegante, calcolatrice, letale. Il suo scontro a distanza con Oz è un balletto di potere e veleno che aggiunge spessore alla trama. Rhenzy Feliz, invece, offre un’interessante controparte al protagonista con il suo Victor Aguilar, giovane e inesperto, ma destinato a diventare qualcosa di più. I loro archi narrativi si intrecciano in modo sapiente, costruendo un ecosistema mafioso dove ogni personaggio è vittima e carnefice.
Un noir metropolitano che sfiora la perfezione
L’estetica della serie è un omaggio al noir più sporco e realistico. La fotografia è cupa, saturata da toni plumbei che restituiscono la corruzione di Gotham come se fosse un morbo che infetta ogni angolo. La regia gioca con le ombre, con gli spazi angusti, con le piogge incessanti che sembrano lavare via ogni residuo di umanità. Eppure, in mezzo a tutto questo, c’è una bellezza decadente, una poesia dell’orrore che rende la serie visivamente ipnotica.
Un successo che rischia di restare incompiuto
I numeri parlano chiaro: The Penguin è stata una scommessa vinta. Quasi 17 milioni di spettatori per il pilot, 2,1 milioni in live per il finale e un’escalation di consensi che ha portato la serie al terzo posto tra le più viste su HBO, subito dietro giganti come House of the Dragon e The Last of Us. E la critica non è stata da meno, con punteggi stellari su Rotten Tomatoes e recensioni entusiaste da parte della stampa specializzata.
La campagna per gli Emmy è stata aggressiva e mirata. Colin Farrell, Cristin Milioti, Rhenzy Feliz: tutti in lizza per i principali premi attoriali. La serie è stata candidata anche per regia, sceneggiatura, fotografia, effetti speciali… praticamente ovunque. Ma è proprio questa spinta come “miniserie” a lasciare l’amaro in bocca. Un riconoscimento meritato, certo, ma anche un’ammissione implicita che The Penguin non avrà un seguito.
E adesso? Che ne sarà del Bat-verso di Matt Reeves?
Il futuro dell’universo di The Batman è più incerto che mai. Lo spin-off sulla GCPD è evaporato, forse riformulato in un progetto su Arkham Asylum che ora sembra anch’esso in stallo. The Batman – Part II, previsto inizialmente per il 2025, è stato rimandato al 1° ottobre 2027. Al momento, The Penguin resta l’unico tassello concreto dell’ambizioso mosaico di Matt Reeves.
Il regista aveva parlato di espandere l’universo con nuovi spin-off, ma il silenzio attuale e la decisione di HBO sembrano andare nella direzione opposta. Certo, viviamo in un’epoca in cui anche le “miniserie” possono rinascere se il successo è travolgente. Ma per ora, tutto fa pensare che la storia di Oswald Cobblepot si chiuda qui, con un colpo di pistola e un sorriso distorto.
Una fine amara… o un arrivederci?
C’è una certa bellezza nell’idea che The Penguin sia un racconto compiuto. Un’unica, potente stagione che esplora un personaggio in profondità senza la necessità di trascinarne la storia in eterno. Eppure, la voglia di rivedere quel mondo, quei personaggi, quella Gotham che puzza di pioggia e sangue, è forte. Forse troppo forte per lasciarla cadere nell’oblio.
E tu, sei pronto a dire addio a Oz Cobblepot? Oppure credi che il suo regno non sia ancora finito?
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