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La Guerra dei Mondi ritorna su Prime Video: il classico di H.G. Wells in modalità “Amazon”

C’era una volta un libro di H.G. Wells. Un romanzo rivoluzionario, visionario, capace di evocare il terrore cosmico con tripodi che schiacciavano Londra e raggi termici che annientavano ogni speranza. Poi ci fu Orson Welles, con il suo celebre radiodramma, e successivamente Spielberg, che trasformò l’invasione in una sinfonia di caos e adrenalina. E oggi? Oggi c’è “War of the Worlds: Revival” su Amazon Prime Video. Uscito il 30 luglio 2025, questo film ha deciso di riscrivere le regole della fantascienza… e purtroppo non nel modo che speravamo. Se pensavi di trovare una nuova, avvincente trasposizione del classico di Wells, con alieni che fanno tremare le fondamenta della Terra, città in fiamme e umanità sul baratro, ti conviene chiudere quella maledetta app di Prime Video. Il titolo ti attira, la locandina ti intriga, c’è perfino Ice Cube nel cast. Ma appena premi play, vieni risucchiato in un buco nero di noia, confusione e sconcerto. Non è un film. È una lezione su cosa non fare quando si vuole reinventare un caposaldo della narrativa di genere.

Will Radford lavora dietro le quinte del mondo. Ufficiale del Department of Homeland Security, è una delle menti operative dietro “Goliath”, un programma di sorveglianza globale in grado di monitorare ogni essere umano sulla Terra. Ma quando un misterioso hacker, noto come Disruptor, mette in scacco i sistemi federali, Will si trova catapultato in un’operazione congiunta con l’FBI. L’obiettivo? Scovare l’identità del pirata informatico prima che sia troppo tardi. Il tempo, però, si esaurisce rapidamente. Un giorno, all’improvviso, il cielo si apre. Piogge di meteoriti colpiscono le grandi città del mondo, e da essi emergono gigantesche macchine aliene, assetate di distruzione. Insieme a un’amica della NASA, Will arriva alla sconvolgente verità: quella in corso non è una semplice catastrofe… ma un’invasione extraterrestre. Il Presidente degli Stati Uniti ordina la risposta militare. Le forze armate globali si uniscono. I primi scontri sembrano promettenti, ma Will nota un dettaglio che nessuno vuole vedere: i mostri meccanici non attaccano a caso. Sembrano seguire uno schema, convergere su centri dati strategici. E poi la scoperta che ribalta ogni cosa: le creature inviano sciami di entità simili a insetti per “drenare” i dati dai server, potenziando le loro capacità e neutralizzando la difesa umana. È allora che Will scopre l’identità del nemico che cercava: Disruptor altri non è che suo figlio Dave, un hacker geniale e ribelle, con un conto in sospeso con il governo. Dave condivide con lui un file segreto, una bomba informativa che rivela l’impensabile: gli alieni non sono nuovi arrivati. Sono già stati sulla Terra. E “Goliath”, il programma voluto dal direttore Donald Briggs, ha attivato proprio il segnale che li ha richiamati. Tradito dal sistema che ha giurato di servire, Will affronta Briggs, che giustifica le sue azioni in nome della sicurezza nazionale. Ma la verità è più amara: l’arroganza umana ha firmato la condanna del pianeta. Briggs blocca Will fuori dal sistema, ma padre e figlio uniscono le forze. Con il supporto della giovane biologa Faith – figlia di Will e sorella di Dave – riescono a reintrodursi nella rete e caricare un virus progettato per distruggere le macchine aliene. Il piano sembra funzionare… ma gli alieni si adattano, reagiscono, contrattaccano. Quasi tutti i membri del team vengono eliminati. Dave è l’unico sopravvissuto. Con un ultimo disperato colpo di reni, Will e Faith raggiungono il cuore del sistema: il bunker sotto la sede del DHS, dove si trova Goliath. Lo disattivano appena in tempo, evitando un bombardamento nucleare pianificato per impedire che gli alieni prendano il controllo dell’IA. E poi… silenzio. Quando la tempesta si placa, la Terra è in ginocchio ma viva. Le creature sono sconfitte. Will e Dave diventano simboli della resistenza. Briggs viene arrestato per violazione della Costituzione e crimini contro l’umanità. Faith viene celebrata per aver decifrato il linguaggio genetico delle creature, contribuendo in modo decisivo alla vittoria. Il governo propone a Will di guidare una nuova era della sorveglianza globale, stavolta “etica”, rispettosa della privacy. Ma lui rifiuta.

Tutto accade dietro uno schermo. E non è una metafora.

Nel film l’invasione aliena non arriva con esplosioni o navistellari: arriva… via Zoom. Tutto – letteralmente tutto – accade attraverso uno schermo. Nessun contatto diretto, nessuna tensione palpabile: solo notifiche, dashboard, videochiamate traballanti e feed digitali che raccontano la fine del mondo come fosse una diretta Twitch andata storta. Ice Cube, nei panni di Will Radford, è l’analista di sicurezza più immobile della storia del cinema: inchiodato al suo laptop, osserva la catastrofe come fosse una riunione di condominio in perenne lag. Il regista Rich Lee tenta di trasformare un film catastrofico in una riflessione digitale sull’informazione e il controllo, ma il risultato è più noioso di un aggiornamento software. Ogni scena è filtrata da un’interfaccia: Alexa ti annuncia l’apocalisse, FaceTime è l’unico modo per comunicare con i propri cari, e persino gli attacchi alieni avvengono fuori campo, forse per risparmiare sul budget. Ci sono momenti in cui si intravede un’idea interessante – come l’invasione vista come colonizzazione delle nostre vite digitali – ma resta tutto appena accennato, soffocato da una scrittura debole e una messa in scena piatta.

Il film sembra voler essere serio, ma l’effetto è involontariamente comico: a un certo punto, Ice Cube usa un drone Amazon per difendersi. Il momento clou? Una sparatoria a bassa risoluzione tra due finestre di chat. Il messaggio? Forse che siamo troppo passivi, troppo legati agli schermi per reagire al disastro. Ma se davvero voleva essere una critica sociale, allora perché è tutto così vago, così anonimo?

Alla fine resta solo una sensazione: quella di aver assistito a un’occasione sprecata, un progetto che aveva (forse) qualcosa da dire, ma ha scelto il modo peggiore per farlo. Una Guerra dei Mondi senza guerra. E senza mondi. Solo pixel.

I Goonies, il Film Cult degli anni 80 compie 40 anni

I Goonies, un vero e proprio cult degli anni ’80, compie 40 anni e continua a brillare come una delle avventure più amate di sempre. Un film che ha segnato un’intera generazione, regalandole risate, emozioni e momenti indimenticabili, ed è ancora oggi perfetto da gustarsi in famiglia, con quella dose di nostalgia che fa venire voglia di rivivere le avventure dei piccoli protagonisti. Un mix esplosivo di oro dei pirati, trappole ingegnose, acquascivoli spericolati e quella battuta iconica del “mescolamento del tartufo”, I Goonies è davvero un’avventura che non sembra mai invecchiare.

Diretto da Richard Donner e prodotto dalla Amblin Entertainment di Steven Spielberg, il film è stato distribuito nelle sale statunitensi il 7 giugno 1985 dalla Warner Bros. In Italia, invece, è uscito al cinema il 20 dicembre dello stesso anno, per poi tornare nelle sale italiane nel dicembre 2019 con una versione restaurata in 4K. Con un budget contenuto di 19 milioni di dollari, il film ha incassato ben 124 milioni a livello mondiale, diventando subito un classico intramontabile. Nel 2017, I Goonies è stato selezionato per la conservazione nel National Film Registry degli Stati Uniti per il suo valore culturale, storico e estetico, un riconoscimento che ne testimonia l’importanza nella cultura popolare.

La trama è un mix di avventura, amicizia e mistero. Nella cittadina di Astoria, nell’Oregon, un gruppo di ragazzi scopre una mappa del tesoro che potrebbe risolvere i loro problemi. Infatti, se riuscissero a trovare il leggendario tesoro di Willy l’Orbo, un pirata che aveva infestato la zona, potrebbero salvare il loro quartiere da un gruppo di spietati imprenditori intenzionati a demolire le case per costruire un campo da golf. Tra questi ragazzi c’è Mikey, il leader del gruppo, determinato e sognatore, e i suoi amici: Mouth, l’irriverente e simpatico chiacchierone; Chunk, il goloso e sempre preoccupato per il suo peso; Data, l’inventore dalla mente brillante ma spesso imbranato.

A complicare le cose, c’è la banda dei Fratelli, un trio di criminali capeggiati dalla madre Agatha e con un membro deforme, Sloth, che tiene prigioniero e maltratta. Il gruppo di amici si lancia in un’avventura piena di pericoli, trappole letali e sorprendenti scoperte, tra cui un vecchio ristorante abbandonato che nasconde più di quanto sembri. A questo punto si uniscono anche altri personaggi, tra cui Brandon, il fratello maggiore di Mikey, che all’inizio è riluttante, ma poi si lascia coinvolgere nell’avventura, e la cheerleader Andy con la sua amica Stef.

Il film è una continua rincorsa tra le peripezie dei ragazzi e le minacce della banda criminale. Ogni angolo della mappa sembra nascondere un nuovo pericolo: trappole mortali, passaggi segreti e una serie di situazioni comiche e cariche di adrenalina. Nonostante la loro giovane età, i Goonies si dimostrano coraggiosi, risoluti e, soprattutto, uniti, dando vita a un’avventura che trascende il semplice “caccia al tesoro” e diventa una storia di crescita e di amicizia.

La forza del film sta nell’energia contagiosa dei suoi protagonisti, che hanno portato in scena un gruppo di bambini diversi per carattere, ma uniti dalla stessa passione per l’avventura. La sceneggiatura di Chris Columbus sa come alternare momenti di tensione a battute esilaranti, senza mai perdere il ritmo. Donner, dal canto suo, regala ai suoi giovani protagonisti una serie di set spettacolari che rimarranno impressi nella memoria del pubblico: chi non ricorda la scena dell’ingresso nel galeone nascosto nel lago sotterraneo o la famosa camminata sull’asse dei pirati?

Nonostante l’uso di stereotipi tipici degli anni ’80, come il bambino grasso, il ragazzo asiatico e il personaggio femminile un po’ troppo in secondo piano, I Goonies riesce a far divertire chiunque, con una scrittura che non ha paura di abbracciare l’avventura più pura e senza fronzoli. La sceneggiatura, seppur legata ad alcuni cliché, riesce a trascendere questi aspetti grazie a una narrazione che emoziona e diverte, senza mai prendersi troppo sul serio.

Il finale, con la caverna che esplode e la nave dei pirati che prende il largo, è tanto epico quanto commovente. I ragazzi riescono a scappare con una parte del tesoro, ma la vera ricchezza, come scoprono alla fine, è l’amicizia che li ha uniti in questa straordinaria impresa. E mentre i genitori li accolgono e la banda dei Fratelli viene finalmente arrestata, I Goonies ci lascia con una riflessione su come, a volte, le avventure più incredibili possano nascere dalle sfide quotidiane.

I Goonies rimane uno dei film più iconici e amati degli anni ’80, un vero e proprio viaggio nostalgico che continua a entusiasmare vecchie e nuove generazioni. Non solo un film d’avventura, ma una storia che celebra l’ingegno, il coraggio e l’importanza della famiglia e dell’amicizia. Quarant’anni dopo, possiamo dire con certezza che I Goonies non ha perso un briciolo del suo fascino, continuando a incantare con la sua energia e il suo spirito di avventura senza tempo.

25 maggio 1977: Una nuova saga, una nuova era.

C’era una volta, no … troppo scontato; Questa volta la favola ha inizio con un’altra frase, una favola che diventerà più famosa di tutte le altre: una frase che ben presto sarebbe entrata nell’immaginario collettivo. “Tanto tempo fa in una galassia lontana lontana… “.  Non è la solita introduzione fiabesca, ma l’inizio di una saga che avrebbe superato le barriere del tempo e dello spazio, trascendendo il genere fantascientifico e dando vita a un fenomeno globale. Questa è la storia di Star Wars e di come una semplice idea divenne una delle saghe più iconiche e influenti della storia del cinema.

Il creatore di questa rivoluzione, George Lucas, era già noto nel mondo del cinema per il suo lavoro su “American Graffiti” (1973), che gli era valso due nomination agli Oscar e una ai Golden Globe. Tuttavia, era l’idea di una saga spaziale che stava per catapultarlo alla ribalta internazionale. Negli anni ’70, la fantascienza era considerata un genere di nicchia, costoso e rischioso, riservato a pochi audaci. L’industria cinematografica dell’epoca, dominata da film come “Tutti gli uomini del presidente”, “Rocky” e “Casanova” di Fellini, non sembrava particolarmente propensa a investire in opere di fantascienza, ritenute costose e difficili da produrre.

Eppure, il 25 maggio 1977, il film “Star Wars”, conosciuto in Italia come “Guerre Stellari”, fece il suo ingresso nelle sale cinematografiche, dando inizio a una nuova era. Ma come nacque questa pietra miliare del cinema?

La risposta si trova all’inizio del 1973, quando Lucas, influenzato dalle avventure di Flash Gordon, dal romanzo “Dune” e dalle epiche storie di samurai di Akira Kurosawa, in particolare da “La fortezza nascosta”, iniziò a dar vita a ciò che inizialmente era un semplice racconto dal titolo “The Journal of the Whills“, che raccontava la storia dell’apprendista C.J. Thorpe come allievo del “Jedi-Bendu” Mace Windy. Frustrato dal fatto che la sua storia fosse troppo complessa da capire, Lucas scrisse un trattamento di tredici pagine chiamato The Star Wars. Nel 1974, ampliò questo trattamento in un’abbozzata sceneggiatura, che comprendeva elementi come i Sith, la Morte Nera e un giovane protagonista chiamato Annikin Starkiller. Nella seconda versione, Lucas semplificò la storia e introdusse l’eroe proveniente dalla fattoria, cambiando il nome in Luke. A questo punto il padre del protagonista è ancora un personaggio attivo nella storia, e la Forza è diventata un potere sovrannaturale. La versione successiva rimosse il personaggio del padre e lo rimpiazzò con un sostituto, chiamato Ben Kenobi.Nel 1976 venne preparata una quarta bozza per le riprese. Il film venne intitolato “Le avventure di Luke Starkiller, come narrate nel Giornale dei Whills, Saga I: Le Guerre stellari“. Durante la produzione, Lucas cambiò il cognome di Luke in Skywalker e modificò il titolo, inizialmente “The Star Wars”, in “Star Wars”.  Accompagnato dal maestro , da Han Solo, Chewbacca e da due droidi, Luke intraprendeva una missione per salvare la principessa Leia e l’alleanza ribelle dall’oppressione dell’Impero Galattico e dal temibile signore dei Sith, Darth Vader.

Nonostante il sostegno cruciale di amici come Steven Spielberg, noto per il suo film “Duel”, e del produttore Alan Ladd Jr., la produzione era scettica. Solo 40 cinema negli Stati Uniti accettarono di proiettare il film, e il budget di 11 milioni di dollari sembrava un azzardo. La pellicola fu un enorme rischio, e in caso di insuccesso avrebbe potuto segnare la fine della carriera di Lucas, che stava ancora cercando di affermarsi.

L’accoglienza della critica fu estremamente discorde: Roger Ebert descrisse Guerre stellari come un’ “esperienza extra-corporea”, comparando gli effetti speciali della pellicola a quelli di 2001: Odissea nello spazio. Pauline Kael, del The New Yorker, criticò il film, dicendo che “Non c’è respiro, non c’è poesia e non ha nessun appiglio emotivo”. Jonathon Rosenbaum, del Chicago Reader, affermò: “Nessuno di questi personaggi ha profondità, e tutti sono usati come elementi di sfondo”; Stanley Kauffmann del The New Republic scrisse che “Il lavoro di Lucas è ancora meno inventivo de L’uomo che fuggì dal futuro.” In Italia la trilogia non venne ben accolta dalla critica. Ne è un esempio il parere che ne dà Morando Morandini, che la descrive come un’opera vuota: “Guerre stellari è uno dei film che più hanno influenzato l’industria dello spettacolo cinematografico, sebbene sia legittimo domandarsi se sia stata un’influenza positiva o negativa”. Per ulteriori curiosità su come fu accolto questo primo episodio della saga di George Lucas vi consigliamo di leggere QUESTO approfondimento!

Nonostante le cririche, il destino riservava una sorpresa. “Star Wars” non solo superò le aspettative, ma segnò un punto di svolta per il cinema. Con il suo successo straordinario, incassò nel mondo 775,5 milioni di dollari, trasformando radicalmente l’industria e salvando la 20th Century Fox dalla crisi finanziaria. La saga, che oggi conosciamo come “Star Wars Episodio IV: Una Nuova Speranza”, divenne una pietra miliare del cinema moderno e della cultura pop.

Lucas, con la sua visione innovativa, non solo creò una saga leggendaria, ma diede vita a nuovi standard nel settore cinematografico. L’Industrial Light & Magic (ILM), fondata per realizzare gli effetti speciali di “Star Wars”, è oggi una delle aziende leader nel campo degli effetti visivi, mentre il sistema audio THX e il Dolby Surround sono diventati standard del settore.

Il 25 maggio 1977, il Grauman’s Chinese Theatre di Hollywood Boulevard di Los Angeles divenne il palcoscenico di una rivoluzione cinematografica. Oggi, a distanza di oltre 45 anni, “Star Wars” continua a essere un punto di riferimento imprescindibile nella cultura pop e nel cinema. Se desiderate scoprire ulteriori dettagli o avete curiosità sulla storia di questa straordinaria saga, non esitate a lasciare un commento. La Forza è ancora viva, e le sue leggende continuano a ispirare e affascinare.

La musica nel cinema di Cristina Cano: il superpotere invisibile delle colonne sonore spiegato in un saggio nerd imperdibile

Nel cuore dell’esperienza cinematografica si cela un’arte che non sempre si vede, ma che si sente… e come se si sente! Parliamo della musica, elemento tanto essenziale quanto sottovalutato nella percezione del film. Ed è proprio questo l’universo esplorato in profondità da La musica nel cinema, il saggio firmato da Cristina Cano e recentemente tornato in libreria in una nuova edizione ampliata, riveduta e aggiornata, pubblicato da Gremese Editore. Un’opera che ogni nerd della settima arte dovrebbe tenere sul comodino come un tomo sacro del tempio audiovisivo.

In un’epoca in cui lo storytelling audiovisivo si arricchisce di contaminazioni tra media, piattaforme e linguaggi, il libro di Cristina Cano si configura come uno strumento teorico ma sorprendentemente accessibile per analizzare il potere invisibile e trasformativo del suono nel cinema. Questo non è solo un saggio: è una lente d’ingrandimento con cui decifrare la componente musicale dei film come se fosse un codice segreto, capace di svelare verità narrative nascoste.

Cristina Cano – musicista, docente e studiosa sopraffina – ci guida in un viaggio attraverso la funzione narrativa, estetica, emotiva e perfino manipolatoria della musica nei film. Non si tratta solo di capire perché ci emozioniamo davanti a una scena, ma come quella emozione viene attivata dal suono. Dai ruggiti orchestrali di John Williams che annunciano la presenza del grande squalo bianco in Lo Squalo, alla struggente e nostalgica “Unchained Melody” che accompagna la scena più iconica di Ghost, Cano mostra come le colonne sonore non siano semplici abbellimenti, ma veri e propri artefici del significato.

Il suo approccio unisce rigore accademico e chiarezza divulgativa, il che rende il saggio una lettura godibile anche per chi non ha mai aperto un trattato di semiotica. Anzi, proprio attraverso la semantica e la pragmatica della comunicazione musicale, l’autrice ci accompagna nella comprensione di come le musiche nel cinema non solo commentino le immagini, ma le guidino, le anticipino, a volte le contraddicano o addirittura le ricreino nella mente dello spettatore. In una parola: plasmano.

La nuova edizione di La musica nel cinema si presenta aggiornata con riflessioni pertinenti al linguaggio cinematografico contemporaneo, sempre più stratificato, dove la musica convive con suoni ambientali, voci e immagini digitali in un caleidoscopio sensoriale complesso. Cano ci invita a riconoscere e analizzare questa complessità, offrendo strumenti utili non solo agli studiosi, ma anche ai compositori, ai registi, ai docenti, agli studenti di DAMS e, ovviamente, agli irriducibili cinefili e melomani nerd.

Nel panorama editoriale italiano, dove i testi che esplorano la musica da un punto di vista critico e multidisciplinare nel contesto cinematografico sono ancora rari, questo libro rappresenta un faro. È come avere a disposizione una colonna sonora scritta per la nostra mente critica, capace di farci vedere – o meglio, sentire – il film con nuove orecchie. E magari, dopo la lettura, non guarderete più una scena d’amore, un’inquadratura d’azione o un momento di suspense senza far caso a ciò che avviene dietro le quinte sonore.

L’autrice, Cristina Cano, non è nuova a questo tipo di imprese: già autrice di Musica e cinema nel dopoguerra americano (sempre per Gremese), ha insegnato Semiotica della Musica all’Università di Bologna e Musica applicata alle immagini al Conservatorio di Bologna. Ha messo mano anche alla supervisione musicale di film come Goodbye Mr. Zeus!, La finestra di Alice e La freccia del tempo, portando il suo sapere teorico direttamente nella pratica cinematografica.

La musica nel cinema non è soltanto un libro, è una dichiarazione d’amore per uno degli aspetti più affascinanti e misteriosi della narrazione cinematografica. E se siete di quelli che, durante i titoli di coda, restano incollati alla poltrona per leggere chi ha composto la colonna sonora, questo saggio è scritto per voi.

Il volume, edito da Gremese nella collana “Biblioteca delle Arti”, conta 340 pagine in formato 16×23, con un prezzo di copertina di 30 euro. Un investimento più che giustificato per chi vuole approfondire le dinamiche tra suono e immagine, tra musica e emozione, tra teoria e magia cinematografica.

Che siate studenti, docenti, artisti o semplicemente geek della settima arte, questo è uno di quei titoli che meritano uno spazio nella vostra Batcaverna personale.

Grande successo per la due giorni di Epica Etica Estetica dell’Immaginario

Si è conclusa con successo presso We GIL a Roma Epica Etica Estetica dell’Immaginario, la due giorni (12 e 13 Aprile 2025) atta ad analizzare come si sta evolvendo lo scenario artistico culturale italiano nel XXI secolo, organizzata con la partecipazione della Regione Lazio e la collaborazione di Plusnews.it.

A cura del critico e saggista cinematografico Pier Luigi Manieri, la rassegna ha debuttato con l’incisivo contributo di Emanuele Merlino e Carlo Prosperi, rispettivamente Capo Segreteria Tecnica del MIC e Capo Segreteria Presidenza della Commissione Cultura della Camera, i quali, dopo aver illustrato i risultati eccellenti delle due mostre evento dedicate a Tolkien e Futurismo, hanno ribadito la necessità di rilanciare e diffondere l’Immaginario della Nazione, con la sua funzione tanto di collante quanto di consapevolezza di sé. Entrambi si sono soffermati sugli obiettivi di rilancio della cultura pop e d’immaginario come motore anche attraverso la costituzione di spazi quali il Museo del Fumetto di Lucca, di prossima apertura, per volontà del Ministro della Cultura Alessandro Giuli. Hanno inoltre illustrato gli sforzi del governo a sostegno della creatività, sia sul fronte degli spettacoli dal vivo che per il cinema e l’industria del libro.

Fabrizio Zappi di Rai Cultura ha puntato l’attenzione su Etica ed Estetica, i due fari che hanno sempre guidato la sua opera come produttore e come Dirigente Rai; il dialogo è stato portato poi avanti dal Direttore Artistico Manieri, che ha ricordato l’impressionante numero di documentari (circa trecento) dedicati in larga misura a personaggi della cultura popolare italiana come Achille Togliani, Franco Battiato e Gabriella Ferri.

E si è trattato soltanto dei primi interessanti interventi, in quanto molte sono le personalità che hanno partecipato anche solo per assistere alla manifestazione: dal senatore Marco Scurria all’assessore regionale Fabrizio Ghera, passando per il deputato Gianni Sammarco, le attrici Elisabetta Rocchetti, Loredana Cannata, Denny Mendez e Maria Luce Pittalis, gli attori Corrado Solari, Roberto Manieri e Fabrizio Sabbatucci, i produttori Gianluca Curti, Simonetta Amenta, Roberto Cipullo, Claudio Corbucci, Laura Beretta, Mario Rossini, Filippo Montalto, Giovanni Amico, Andrea De Liberato, Stefano Agostini, Alberto Rizzo e Salvatore Scarico, il modello Federico Simoncini, gli avvocati Cristina Massaro e Pasquale Gallo, le registe Eleonora Puglia, Emanuela Rossi, Chiara Rapisarda, Ludovica Lirosi e Lucilla Colonna, i registi Pierfrancesco Campanella, Alessio Di Cosimo, Alessio Pascucci, Roberto Palma, Tommaso Barba, Claudio Agostini, Maurizio Maria Merli, Adelmo Togliani, Claudio Alfonsi e Roberto Di Vito, i musicisti Giacomo Rendine e Andrea Montepaone, Manuela Maccaroni, CDA della Festa del Cinema, Davide Aragona di Rai Cultura, il giornalista Patrizio Li Donni, il fotografo Claudio Orlandi, l’ingegner Paolo Panfili, l’ufficio stampa Nicola Conticello e gli scrittori Arnaldo Colasanti ed Enrico Luceri.

La regista Eleonora Puglia ha osservato che l’“estetica” è una funzione a rigor di logica non negoziabile, eppure soppiantata dall’omologazione; mentre i professori Lino Damiani e Ivan Paduano hanno rimarcato la vicinanza estetica tra il Futurismo, la Metafisica e precise espressioni dell’immaginario quali i videogiochi, il fumetto e il cinema, analizzando come queste ultime siano state influenzate dalle due correnti e avanguardie artistiche e come la Pop Art abbia, a sua volta, portato il videogioco, i personaggi dei fumetti e le icone al centro della speculazione intellettuale.

Acceso inoltre il dibattito attorno al pregiudizio ideologico o stilistico, portando ad esempio casi come il libro di racconti horror Primi delitti di Paolo Di Orazio, l’intemerata Corvisieri-Iotti per cancellare il cartoon Goldrake dai palinsesti RAI e le accuse di sessismo e razzismo rivolte al fumetto Tex.

La sessione con il fumettista Edym (Ediberto Messina) è stata utile per ribadire il ruolo della famiglia e della scuola nella capacità di leggere un testo, e, partendo da Dago, si è riaffermato il ruolo archetipico dell’eroe.

E non poteva mancare l’Intelligenza Artificiale in una conversazione che ha coinvolto Gabriella Carlucci impegnata ad illustrare la querelle Mascagni-Verga, ponendola come primo caso di controversia di diritto d’autore nello stesso panel in cui gli avvocati Tiziana Carpinteri e Giacomo Ciammaglichella hanno tracciato i percorsi giuridico-legali in merito alle prime sentenze relative ai casi di plagio tra umani e IA. Apertamente contrari si sono mostrati Edym e la sceneggiatrice Francesca Romana Massaro, la quale ha sottolineato come anche la parte più infinitesimale di creatività originale dell’uomo non possa essere in nessun modo sottratta, ponendo poi sul tavolo della questione la quantità di ricorsi già avviati, la sempre più complessa difficoltà nel distinguere un lavoro umano da quello artificiale e i posti di lavoro in pericolo.

Preziosi gli interventi nel panel sull’ideologia woke: da quello del giornalista Francesco Vergovich, il quale si è interrogato sull’utilità di certificare il rispetto, all’opinione di Massimo Galimberti di Anica Academy, secondo cui, pur registrando l’esistenza di alcune derive tossiche, la vera minaccia alla libertà di espressione è nel fronte anti woke. Al contrario dei produttori Roberto Cipullo e dei registi Claudio Agostini e Alessio Pascucci, i quali hanno rimarcato attraverso esempi di casi reali (il film del 2025 Biancaneve) come l’ideologia woke finisca per essere un oggettivo limite alla libertà di espressione, tanto da arrivare a condizionare la struttura creativa nonché la capacità di poter produrre liberamente. La giornalista Valeria Fatone ha sottolineato, poi, le problematiche inerenti i rapporti uomo-donna nel contesto woke, portando anche ad esempio i casi di revenge porn.

Tanto spazio, ovviamente, al cinema, secondo l’onorevole Gimmi Cangiano disciplina di grande presa popolare che non può prescindere dal recupero dei generi come grande occasione, tanto creativa quanto occupazionale.

Ospiti attesissimi i Manetti Bros, tra aneddoti relativi al loro U.S. Palmese e il rapporto con Diabolik e Coliandro, oltre ai dialoghi con Manieri circa la capacità di orientarsi tra i diversi generi, dall’horror al poliziesco, alla fantascienza nonché sulla personale organizzazione sul set e sui processi di costruzione dell’opera filmica nel suo complesso.

Aneddoti, ma anche elementi di critica cinematografica, definizione delle criticità che vedono il cinema italiano in ritardo sul fronte del genere e condizione psicofisica che si deve avere su un set di un film d’azione nella spumeggiante sessione che ha visto interagire il professor Fabio Melelli, il regista Saverio Deodato e gli attori e campioni di arti marziali Claudio Del Falco e Stefano Maniscalco ben orchestrati da Pier Luigi Manieri; quest’ultimo ha concordato con Michele Medda – creatore di Nathan Never – circa la necessità di ideare figure e situazioni autenticamente identitarie in un confronto che ha coinvolto anche i cineasti Adelmo Togliani e Luigi Cozzi. Confronto da cui è emerso inoltre un certo provincialismo di editori e autori nel creare storie ambientate in Italia con personaggi italiani. Lo stesso Cozzi, poi intervistato da Vito Tripi, oltre a ripercorrere la propria carriera ha parlato delle grandi potenzialità inespresse che ha il cinema di genere, auspicando che le nuove generazioni riscoprano il gusto per l’immaginazione.

Infine Giulio Leoni, intervistato da Alessandro Bottero, nel ricordare come Dante sia presente in molto dell’attuale immaginario, da Altieri a Go Nagai fino a John Wick, ha concluso Epica Etica Estetica dell’Immaginario insistendo con forza su Dante come roccia a cui ancorarsi per difendersi e controbattere alla deriva del falsamente moderno. Secondo Leoni, infatti, Dante è l’esempio di come bellezza e poesia ci salveranno dai pensieri unici e dall’abitudine al brutto.

Il fascino dei sogni e delle illusioni: On Swift Horses di Daniel Minahan

Con On Swift Horses, il regista Daniel Minahan porta sul grande schermo l’intensa storia di passioni, desideri inespressi e segreti inconfessabili tratta dal romanzo Cavalli elettrici di Shannon Pufahl. Presentato in anteprima al Toronto International Film Festival del 2024 e in uscita nelle sale statunitensi il 25 aprile 2025, il film si propone come un dramma raffinato e suggestivo, capace di esplorare le fragili dinamiche dei rapporti umani e la ricerca dell’identità in un’America in bilico tra la promessa di un futuro migliore e il peso del passato.

Una trama di desideri repressi e passioni travolgenti

La storia segue Muriel (Daisy Edgar-Jones) e Lee (Will Poulter), una giovane coppia che cerca di ricostruirsi una vita in California dopo il ritorno di lui dalla guerra di Corea. Tuttavia, l’arrivo del carismatico e inquieto Julius (Jacob Elordi), fratello minore di Lee, scuote profondamente le loro esistenze. Ribelle e appassionato giocatore d’azzardo, Julius decide di partire per Las Vegas, dove trova lavoro in un casinò e si innamora di un collega, Henry. La loro relazione si sviluppa tra segreti e attimi rubati, in un motel anonimo che diventa rifugio e prigione al tempo stesso.

Parallelamente, anche Muriel intraprende un percorso di scoperta personale. Rimasta a San Diego, inizia a frequentare le corse dei cavalli e a giocare d’azzardo, trovando nella vicina Sandra una compagna che risveglia in lei sentimenti nuovi e inesplorati. La frase “È proprio vero quello che dicono della California, che tutte le possibilità sono a portata di mano” pronunciata da Muriel nel trailer riflette perfettamente il senso di illusione e libertà che pervade il film.

Un cast di talento e una regia evocativa

La forza del film risiede nella profondità delle interpretazioni del suo cast. Daisy Edgar-Jones, già nota per il suo ruolo in Normal People, offre una performance delicata e intensa, mentre Jacob Elordi, dopo il successo in Saltburn e Priscilla, conferma il suo talento interpretando Julius con una complessità magnetica. Will Poulter, conosciuto per il ruolo di Adam Warlock in Guardians of the Galaxy Vol. 3, aggiunge spessore emotivo a Lee, un uomo tormentato dall’incapacità di comprendere fino in fondo se stesso e chi lo circonda.

Daniel Minahan, con un’esperienza maturata in serie di grande impatto come American Crime Story e Homeland, dirige il film con uno stile raffinato e contemplativo, catturando con sensibilità le tensioni latenti tra i personaggi. La sceneggiatura, firmata da Bryce Kass, cerca di restituire la complessità emotiva del romanzo di Pufahl, immergendo lo spettatore in un’atmosfera sospesa tra il sogno e la disillusione.

Accoglienza e aspettative

Il debutto al Toronto Film Festival ha suscitato reazioni contrastanti. IndieWire ha elogiato il film definendolo “uno straordinario quadro, che intreccia momenti effimeri di magia con il dolore che inevitabilmente segue quando l’universo li porta via”, mentre ScreenRant ha evidenziato alcune debolezze della sceneggiatura, sottolineando tuttavia la straordinaria intensità delle interpretazioni. Collider, pur lodando la bellezza visiva del film, ha criticato la mancanza di un ritmo coerente e di un obiettivo chiaro.

Nonostante qualche riserva critica, On Swift Horses promette di essere un’opera affascinante e struggente, capace di conquistare il pubblico con la sua narrazione sensuale e malinconica. Un viaggio nelle profondità del desiderio e dell’identità, dove il confine tra la libertà e l’illusione si fa sempre più labile.

The Studio: una visione esilarante e cinica di Hollywood, tra risate e fallimenti

Nel vasto panorama delle produzioni televisive contemporanee, The Studio emerge come una delle proposte più interessanti e audaci del 2025. Creata e diretta da Seth Rogen ed Evan Goldberg, la serie si tuffa nel cuore pulsante di Hollywood, mettendo in scena il dietro le quinte di una casa cinematografica ormai in crisi: i Continental Studios. Con una visione cinica e spietata dell’industria del cinema, ma anche con una comicità frizzante, The Studio si propone come una riflessione ironica sul mondo del cinema e dei suoi protagonisti, siano essi artisti narcisisti o dirigenti corporate disposti a tutto per non affondare.

Il personaggio principale, Matt Remick, interpretato dallo stesso Rogen, è il nuovo capo della casa di produzione, chiamato a risollevare le sorti di una società che sta lottando per rimanere a galla. Un compito arduo in un settore che sta affrontando cambiamenti economici e sociali rapidi e, per certi versi, inarrestabili. Lungi dall’essere il tipico eroe che si getta nel fuoco per salvare la nave, Matt è un uomo che vive il cinema con una passione viscerale, ma che finisce per trovarsi intrappolato in un mondo dove ogni decisione può essere una minaccia per la sua carriera e per la stabilità dei suoi studi. Con un senso di panico costante sotto il suo abito elegante, Matt e il suo team di dirigenti lottano contro le proprie insicurezze, mentre si confrontano con la vanità degli artisti e la freddezza dei colleghi dell’alta direzione, in una serie di incontri surreali e tensioni sempre più esplosive.

Il mondo di The Studio è quello delle feste sfrenate, delle visite sul set e delle riunioni di marketing, dove ogni mossa potrebbe portare alla gloria o alla rovina. In questo turbinio di decisioni affrettate e scontri di ego, Matt cerca disperatamente di restare ancorato alla sua passione per il cinema, ma la sua lotta sembra destinata a scontrarsi con la dura realtà del business. La sua carriera, che dovrebbe essere il lavoro della sua vita, rischia di diventare la sua definitiva rovina.

Accanto a Seth Rogen, che interpreta il protagonista con una miscela di vulnerabilità e sarcasmo, troviamo un cast di attori di grande talento, tra cui Catherine O’Hara, Ike Barinholtz, Chase Sui Wonders e Kathryn Hahn. Ma le sorprese non finiscono qui: The Studio vanta una lunga lista di guest star, tra cui Paul Dano, Bryan Cranston, Rebecca Hall, Zac Efron, Martin Scorsese, Charlize Theron e molti altri, ognuno dei quali contribuisce a rendere ancora più imprevedibile e ricca la trama della serie.

La serie ha ricevuto un’accoglienza entusiasta dalla critica, con un indice di gradimento del 98% su Rotten Tomatoes, che l’ha definita “piuttosto intelligente da impressionare anche i cinefili più studiosi”. In effetti, The Studio non è solo una parodia dell’industria cinematografica, ma anche una critica sociale che mette in luce le sue contraddizioni, le sue fragilità e la sua incrollabile vanità. La serie combatte la buona battaglia per una Hollywood migliore, ma lo fa con l’ironia di chi sa che, alla fine, ogni tentativo di redenzione può essere vano in un mondo dove l’apparenza e il successo sono tutto.

La miniserie è distribuita da Apple TV+, con i primi due episodi rilasciati il 26 marzo 2025. L’attesa è palpabile, e il debutto al SXSW ha solo accresciuto la curiosità intorno a questa produzione. Rogen e Goldberg, noti per il loro approccio irriverente e imprevedibile, sembrano avere trovato la formula giusta per raccontare un mondo di luci e ombre, senza mai prendersi troppo sul serio.

In un’epoca in cui il cinema e la televisione sono in continua evoluzione, The Studio si propone come una commedia che guarda alla realtà dell’industria con occhi nuovi, rendendo la risata una lente attraverso cui osservare la crisi di un sistema che, pur essendo in costante cambiamento, rimane sempre intrinsecamente legato alla sua natura egoica e spietata. E, mentre si ride delle disavventure dei suoi protagonisti, non si può fare a meno di chiedersi se, alla fine, anche Hollywood non stia cercando di salvare se stessa da un fallimento inevitabile.

Locked: Tensione psicologica e sopravvivenza claustrofobica nel thriller con Bill Skarsgård e Anthony Hopkins

Locked, il thriller psicologico diretto da David Yarovesky, rappresenta un’esplorazione tesa e claustrofobica dei temi del controllo, della punizione e delle conseguenze del crimine. Uscito nelle sale statunitensi il 21 marzo 2025, il film è il remake in lingua inglese dell’argentino 4×4 (2019), e si avvale della presenza di due attori di grande calibro come Bill Skarsgård e Anthony Hopkins. Pur non essendo un capolavoro che rivoluziona il genere, Locked offre una narrazione intensa, sostenuta da interpretazioni notevoli, che affonda nel cuore del thriller psicologico, mantenendo alta la tensione dal primo all’ultimo minuto.

La trama del film segue Eddie Barrish (Bill Skarsgård), un giovane ladro di auto che, dopo aver tentato un furto a bordo di una macchina apparentemente normale, si ritrova intrappolato in un incubo. L’auto che aveva scelto per il suo colpo si rivela infatti una trappola mortale, progettata dal suo proprietario, William Larsen (interpretato da Anthony Hopkins), un medico in pensione con un’idea precisa di giustizia. William, infatti, ha trasformato la sua macchina in una prigione perfetta, un artefatto di tortura psicologica che riflette la sua mente calcolata e il suo desiderio di impartire una lezione al giovane Eddie. La trama si sviluppa su questa premessa, dove Eddie, intrappolato e impotente, è costretto a fare i conti con la sua vita e con le sue scelte. Il film esplora, così, una sorta di “giustizia privata” da parte di un uomo che, in modo metodico e spietato, vuole insegnare a Eddie le conseguenze delle sue azioni.

Quello che colpisce immediatamente di Locked è l’ambientazione claustrofobica, che diventa quasi un personaggio a sé stante. L’auto stessa, con la sua struttura sofisticata e le sue funzioni all’avanguardia, diventa una prigione perfetta, un luogo in cui ogni movimento è limitato, ogni respiro è pesante. Yarovesky fa un uso sapiente di questo spazio ristretto, utilizzando la macchina come metafora del controllo e della prigionia mentale. La tensione cresce in modo costante, lasciando lo spettatore con il fiato sospeso, come se anche lui fosse intrappolato al fianco di Eddie, incapace di scappare.

La costruzione della tensione è magistrale. Il regista non si limita a una semplice sequenza di eventi, ma utilizza ogni momento per scavare nelle emozioni dei personaggi. Eddie, interpretato con una forza struggente da Bill Skarsgård, è un giovane uomo che cerca di fuggire da un passato che lo ha condotto sulla strada del crimine, ma che, in qualche modo, si rende conto di non poter sfuggire dalle sue scelte. La paura, la frustrazione, ma anche una sorta di disperata determinazione traspaiono dalla sua interpretazione, rendendo il personaggio incredibilmente umano. La sua lotta per la sopravvivenza, sia fisica che psicologica, è l’anima del film, e Skarsgård riesce a darle una profondità emotiva che tocca lo spettatore.

Dall’altra parte, troviamo Anthony Hopkins nel ruolo di William, un personaggio che gioca il ruolo del burattinaio con una calma glaciale. La sua performance è impeccabile, come ci si aspetterebbe da un attore del suo calibro, ma ciò che sorprende è la freddezza del suo personaggio. William non è solo un sociopatico; è un uomo che ha trovato una giustificazione nella sua vendetta, che ha costruito una logica di punizione che appare, in qualche modo, razionale. Hopkins riesce a creare un personaggio che è tanto inquietante quanto affascinante, senza mai scadere nel cliché del “cattivo” per eccellenza. Ogni sua parola e ogni suo gesto sono misurati, ma ogni tanto c’è un lampo di rabbia che fa capire quanto la sua motivazione sia radicata in un dolore profondo.

Nonostante le ottime performance degli attori, però, Locked non è esente da difetti. Il film segue una formula consolidata del thriller psicologico, dove il conflitto tra il “giusto” e il “sbagliato” è il motore principale della storia. In alcune fasi, il film rischia di diventare prevedibile, con la struttura della trama che, pur restando interessante, non sfida mai veramente le convenzioni del genere. La lotta tra Eddie e William, pur essendo intensa, si sviluppa lungo linee familiari, senza particolari colpi di scena che stravolgano davvero il corso degli eventi.

Tuttavia, l’efficacia di Locked non risiede tanto nelle novità narrative quanto nella sua capacità di evocare un’atmosfera di tensione e claustrofobia. La macchina, come simbolo di prigionia, è un espediente narrativo ben riuscito, e rappresenta, in modo tangibile, la lotta del protagonista contro le proprie scelte sbagliate. L’auto diventa quindi una prigione sia fisica che mentale, dove il corpo di Eddie è limitato dai confini di una struttura meccanica, ma la sua mente è intrappolata dalle sue azioni passate.

Per gli amanti del genere thriller psicologico, Locked si presenta come una pellicola solida, ben interpretata e capace di mantenere l’attenzione dello spettatore, sebbene non sia in grado di portare il genere a nuove vette. La tensione crescente, le interpretazioni straordinarie e l’ambientazione angosciante sono gli elementi che fanno di questo film una visione interessante. Tuttavia, per chi cerca un’esperienza veramente innovativa, il film potrebbe risultare meno soddisfacente, in quanto non riesce a sfidare pienamente le convenzioni del thriller psicologico. Se siete amanti di storie che scavano nel profondo della mente umana, dove la claustrofobia non è solo fisica ma anche mentale, Locked potrebbe essere il film che stavate cercando.

FareCritica 2025: il Festival della Critica Cinematografica e Teatrale a Lamezia Terme

Il 25 marzo 2025 si aprirà la settima edizione di FareCritica, il festival che da sempre celebra la critica cinematografica e teatrale, organizzato a Lamezia Terme con un programma ricco e stimolante. Questo evento si svolgerà dal 25 al 28 marzo 2025 presso il Circolo di Riunione (via Lissania), mentre il 29 marzo 2025 si sposterà presso Civico Trame (via degli Oleandri). L’edizione di quest’anno sarà caratterizzata da una serie di iniziative e manifestazioni di grande interesse, tra cui un concorso letterario e diverse sezioni tematiche che approfondiranno vari aspetti della cultura e della narrazione.

FareCritica si è sempre distinto per il suo obiettivo di ridare dignità e visibilità alla critica, che nel corso degli anni, e soprattutto con l’avvento dei social media, ha visto un progressivo declino in termini di attenzione e comprensione. Mentre la critica giornalistica si concentra sulla guida del pubblico nella scelta di cosa vedere, la critica teorica mira a svelare i sottofondi, i significati nascosti e le implicazioni socioculturali di un’opera, analizzandola nel suo preciso contesto storico, politico e culturale. Questo approccio scientifico e riflessivo è il cuore pulsante del festival, che si pone come uno spazio di approfondimento e dibattito su come la critica possa arricchire l’esperienza artistica e cinematografica.

A firmare il manifesto della settima edizione di FareCritica è Davide Toffolo, noto fumettista, cantautore e frontman dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Il suo percorso artistico è un perfetto esempio di fusione tra musica e illustrazione, un legame che ha caratterizzato tutta la sua carriera. Toffolo, allievo di Andrea Pazienza e Lorenzo Mattotti, ha sempre alternato il mondo del fumetto con quello musicale, creando videoclip animati per il suo gruppo musicale e arricchendo con le sue illustrazioni le performance musicali. Sebbene abbia annunciato ufficialmente il suo addio al mondo del fumetto nel 2022, Toffolo continua a offrire il suo talento creativo in occasione di eventi importanti, come la realizzazione del manifesto per FareCritica 2025.

Il festival, ideato e diretto da Gianlorenzo Franzì, si distingue anche per l’inclusione di sezioni tematiche che rendono l’edizione di quest’anno particolarmente interessante e variegata. Una delle principali sezioni è il Concorso Nautilus, che si propone di scoprire e celebrare i più talentuosi scrittori e poeti calabresi, offrendo loro una vetrina importante per far conoscere le proprie opere. In aggiunta, quest’edizione segna il centenario della nascita di Francesco Costabile, figura di rilievo della cultura calabrese, con la sezione Cento Anni di Fughe, che si prefigge di omaggiare la sua eredità intellettuale e artistica.

Un altro punto di forza della settima edizione di FareCritica è la sezione Questo mondo non ci renderà cattivi, che esplorerà la narrazione fiabesca europea, un patrimonio di storie tramandate oralmente che ha affascinato per secoli diverse generazioni. La sezione si propone di indagare queste storie dal punto di vista della scienza etnoantropologica, mettendo in luce le radici culturali e sociali che le rendono particolarmente affascinanti e rilevanti ancora oggi.

FareCritica 2025, con la sua intensa riflessione sulla critica, l’arte e la narrazione, si conferma come uno degli eventi culturali più attesi della stagione. Non solo un momento di celebrazione della critica cinematografica e teatrale, ma anche un’opportunità unica per approfondire temi fondamentali legati alla cultura e alla storia, e per stimolare un dialogo costruttivo e di qualità tra artisti, critici e pubblico.

Con una programmazione che spazia tra il cinema, il teatro, la letteratura e la musica, FareCritica 2025 rappresenta un incontro imprescindibile per chiunque voglia esplorare in modo critico e profondo l’universo artistico contemporaneo, tutto questo immersi nella vibrante atmosfera culturale di Lamezia Terme.

Dreams: Il nuovo capolavoro di Dag Johan Haugerud che indaga sull’amore, il desiderio e la libertà di espressione

Nel 2024, il regista norvegese Dag Johan Haugerud regala al pubblico un’opera potente e ricca di emozioni, Dreams (Drømmer), che affronta temi delicati e universali come l’amore, la sessualità e la scoperta di sé. Il film è il secondo capitolo di una trilogia intitolata “La trilogia delle relazioni”, che esplora le sfaccettature dei rapporti sentimentali e sessuali in un mondo sempre più giudicante e per certi versi ancora incapace di accettare la libertà di espressione, in particolare quella femminile.

Con Dreams, Haugerud conferma il suo talento nel dirigere storie di forte introspezione e dramma interpersonale, pur mantenendo un equilibrio perfetto tra il pensiero razionale e l’emozione che ne deriva. La protagonista, Johanne, è una ragazza di diciassette anni che si trova a vivere la sua prima, intensa esperienza amorosa. Si innamora della sua insegnante di francese, un sentimento che si fa sempre più palpabile e profondo, ma che, come tutte le esperienze emotive adolescenziali, si mescola e si confonde con le sue fantasie, trasformandosi in un turbinio di sogni, desideri e realtà che fanno perdere i confini tra i due mondi.

Nel tentativo di dare ordine al suo mondo interiore e comprendere meglio le sue emozioni, Johanne inizia a scrivere un diario. Ogni parola, ogni frase, pulsa di passione e paura, ma anche di una curiosità che accompagna ogni adolescenza. La scrittura diventa per lei uno strumento di esplorazione e di fuga, ma anche una via per esprimere ciò che non riesce a dire a voce. Tuttavia, quando sua madre e sua nonna leggono quelle pagine, la loro reazione iniziale è di sgomento. Le parole di Johanne, infatti, sono audaci e svelano un desiderio che nella loro visione del mondo risulta inaccettabile. Col passare del tempo, però, le due donne si rendono conto che quelle parole possiedono una forza autentica, quasi letteraria, e iniziano a vedere in esse un’opportunità di confronto generazionale.

La trama del film si sviluppa attraverso il conflitto interiore di Johanne, ma anche tramite il confronto tra tre generazioni di donne. Questo scontro di visioni sull’amore e sul desiderio spinge tutte e tre le protagoniste a riconsiderare la loro percezione di se stesse e degli altri. Se per la madre e la nonna di Johanne il diario diventa motivo di dibattito, per Johanne il processo di scrittura è un atto di liberazione e di crescita. Le tre donne, pur appartenendo a generazioni diverse, si trovano unite dal comune desiderio di confrontarsi con la verità dell’amore e della libertà, di mettersi in discussione e di aprire gli occhi su quello che il mondo sembra voler mantenere nascosto o nascosto dietro il velo della moralità.

Dreams è un film che si distingue per la sua sensibilità nell’affrontare il tema della sessualità e della scoperta di sé, senza mai scivolare nel sensazionalismo o nell’artificiosità. La regia di Haugerud è sobria, ma mai priva di impatto emotivo. L’uso della parola, spesso potente e diretta, si combina perfettamente con la delicatezza delle immagini, rendendo ogni scena una riflessione visiva sul tema trattato. La fotografia è luminosa e coinvolgente, e contribuisce a mettere in risalto le emozioni che attraversano i protagonisti, in particolare la protagonista Johanne, interpretata dalla talentuosa Selome Emnetu.

Il cast del film è eccellente. Ane Dahl Torp, nei panni della madre di Johanne, porta sullo schermo una figura di donna complessa, piena di dubbi e di contraddizioni, ma anche capace di un’incredibile forza nel confrontarsi con le sfide della maternità e della propria sessualità. Ingrid Giæver, che interpreta la nonna, dona al personaggio una profondità emotiva che riflette le sue esperienze passate e le sue convinzioni ormai radicate. Insieme, queste tre interpreti danno vita a una dinamica familiare che è tanto più universale quanto più intima. Ogni parola, ogni silenzio tra loro, è carico di significato.

Il film è stato accolto con entusiasmo dalla critica internazionale, e il suo successo non è passato inosservato: Dreams ha vinto l’Orso d’Oro al Festival di Berlino nel 2025, un riconoscimento che ne sottolinea la forza narrativa e il suo impatto emotivo. Il film, distribuito in Italia da Wanted Cinema, arriverà nelle sale italiane il 13 marzo 2025, offrendo al pubblico una visione affascinante e provocatoria sulla crescita, sull’identità e sull’amore.

Questo primo capitolo della trilogia di Haugerud non è solo un film sul desiderio e sull’amore, ma anche un’opera che invita a riflettere sulle dinamiche familiari, sui conflitti intergenerazionali e sulla libertà di espressione. In un mondo che sembra spesso pronto a giudicare, Dreams ci ricorda quanto sia importante ascoltare e accettare le storie degli altri, soprattutto quelle che più ci mettono a disagio. Con il suo sguardo delicato e insieme incisivo, il film si impone come una riflessione profonda e necessaria sulle complessità dei rapporti umani.

My Love Story With Yamada-kun at Lv999, il Live Action che Ridefinisce il Manga

Nel panorama degli adattamenti live action giapponesi, My Love Story With Yamada-kun at Lv999 si propone come un audace esperimento che fonde sapientemente la leggerezza del genere romantico con l’universo videoludico, creando una miscela intrigante e spesso sorprendente. L’opera, tratta dal popolare manga di Mashiro – noto in patria come Yamada-kun to Lv999 no Koi o Suru – e resa celebre anche dall’anime trasmesso su Crunchyroll, si prepara a far vivere al pubblico una storia d’amore e crescita personale con nuove prospettive, adattando la narrazione originale a un formato cinematografico che punta ad abbracciare sia i fan dei fumetti sia gli appassionati di live action.

La regia di Yuka Yasukawa, già riconosciuta per il suo lavoro in produzioni come Renai Battle Royale e Jack o’ Frost, si dimostra particolarmente adatta a dirigere una pellicola così articolata. Yasukawa si cimenta con una narrazione che riesce a mantenere la spensieratezza e l’ironia insite nella storia, pur non trascurando le sfumature emotive che caratterizzano il percorso interiore della protagonista. La sceneggiatura, affidata a Anna Kawahara, è stata sapientemente rielaborata per adattarsi al linguaggio cinematografico senza perdere l’essenza che ha reso il manga un successo. In questo adattamento, la scrittura si fa particolarmente attenta ai dettagli, dando spazio a momenti di introspezione e a un ritmo narrativo che permette allo spettatore di immergersi completamente nelle vicende dei personaggi.

La trama, al centro del film, racconta la storia di Akane Kinoshita, una giovane studentessa universitaria che, travolta dal dolore di una rottura inaspettata, si rifugia nel mondo dei videogiochi. È in questo contesto che la sua vita subisce una svolta: durante un raduno dedicato al suo gioco prediletto, Akane si trova faccia a faccia non solo con il suo ex, ora al fianco di una nuova fiamma, ma anche con Akito Yamada, un giocatore di talento che, in un attimo di imprevedibilità, si trasforma da semplice conoscente a potenziale partner sentimentale. Questa trasformazione, seppur costruita su situazioni quasi comiche, è gestita con una sensibilità che permette di cogliere il peso della solitudine e del desiderio di rinascita interiore. La sceneggiatura riesce a bilanciare perfettamente il dramma della separazione con l’ironia e la leggerezza tipica dei contesti videoludici, rendendo il racconto al tempo stesso divertente e commovente.

Il casting rappresenta uno dei punti di forza del film. Ryuto Sakuma, nel ruolo di Akito Yamada, e Mizuki Yamashita, che dà vita ad Akane Kinoshita, incarnano con naturalezza i personaggi, regalando interpretazioni che non cadono nelle trappole della mera riproduzione degli stereotipi tipici dei film di genere. Sakuma, con la sua presenza carismatica e la capacità di trasmettere una certa enigmaticità, riesce a rendere credibile il personaggio di un giovane che, oltre ad essere abile nel mondo dei giochi, nasconde una personalità complessa e stratificata. Yamashita, d’altra parte, interpreta Akane con una delicatezza e un’intensità che permettono al pubblico di immedesimarsi nelle sue fragilità e nelle sue speranze di rinascita. La scelta di avere esponenti del mondo degli idol, come la presenza di Sakuma (già noto nel gruppo HiHi Jets) e Yamashita (ex membro delle Nogizaka46), aggiunge un ulteriore livello di interesse, fondendo il mondo dello spettacolo con quello della cultura pop giapponese.

Un ulteriore elemento di particolare rilevanza è il ritorno dei doppiatori dell’anime, che prestano nuovamente le loro voci per i segmenti ambientati all’interno del videogioco “Forest of Savior”. Kōki Uchiyama e Inori Minase riprendono i loro ruoli, contribuendo a mantenere una continuità emotiva e stilistica tra la versione animata e questo nuovo adattamento. Questa scelta non solo rende omaggio all’opera originale, ma dimostra anche una consapevolezza profonda delle aspettative dei fan, i quali trovano in questi richiami una sorta di patina di autenticità che conferisce ulteriore spessore alla narrazione.

Dal punto di vista tecnico, la pellicola si distingue per una fotografia che sa cogliere sia la vivacità degli ambienti virtuali che la realtà quotidiana dei protagonisti. Le riprese alternano con eleganza momenti di azione e scene più intime, capaci di enfatizzare la duplice natura del racconto: da un lato, il mondo virtuale fatto di pixel e di avventure digitali, dall’altro la cruda realtà di una giovane donna in cerca di sé stessa. La colonna sonora, anch’essa studiata per evocare emozioni contrastanti, accompagna il pubblico in un viaggio che oscilla tra il ritmo frenetico delle partite online e i momenti di silenziosa introspezione.

Il film si presenta quindi come un’opera corale, in cui ogni dettaglio – dalla regia all’interpretazione degli attori, dalla sceneggiatura alle scelte tecniche – è curato nei minimi particolari per creare un’esperienza cinematografica immersiva e autentica. Nonostante le aspettative siano alle stelle, il regista Yasukawa sa muoversi con disinvoltura tra le incertezze tipiche degli adattamenti, regalando una pellicola che, pur rimanendo fedele alle origini del manga, si apre a nuovi linguaggi espressivi e a una narrazione più matura e complessa. La fusione tra il mondo digitale e quello reale, unita a una regia sapiente e a interpretazioni di alto livello, rende questo film un appuntamento imperdibile per chi ama le storie d’amore non convenzionali e desidera assistere a un adattamento che sappia sorprendere e commuovere. Resta, dunque, in attesa del debutto nei cinema giapponesi il 28 marzo 2025 e dell’arrivo in Italia, che promette di portare sul nostro schermo una nuova visione di un classico moderno della cultura pop giapponese.

Heart Eyes: L’Ironico Slasher di San Valentino che Non Volevamo Ma Che Aspettavamo

Il 7 febbraio 2025, pochi giorni prima che le vie si riempiano di cuori e cioccolatini, una proposta cinematografica decisamente fuori dagli schemi si prepara a irrompere nelle sale. Heart Eyes è il film che potrebbe cambiare per sempre il modo in cui vediamo il giorno di San Valentino, almeno per chi ama l’horror con un tocco di ironia. Una commistione tra slasher e commedia nera, che promette di regalare brividi e risate in un mix perfetto per gli amanti del genere. Prodotto da chi ha già lavorato a pellicole come M3GAN e My Best Friend’s Exorcism, il film gioca con le convenzioni dell’horror, con una trama che mescola paura e ironia, mentre ci accompagna in un viaggio inaspettato proprio nel cuore del periodo più romantico dell’anno.

La trama di Heart Eyes è un cocktail esplosivo di suspence e battute, dove il protagonista non è un semplice assassino, ma un killer dai tratti macabri, noto come “Heart Eyes”. Questo serial killer ha una missione singolare: uccidere coppie di innamorati durante la festa di San Valentino. Con una serie di omicidi brutali che hanno attraversato diverse città negli anni, la storia arriva a Seattle, dove Ally, una giovane designer interpretata da Olivia Holt, si trova nel mirino di questo inquietante personaggio. Dopo una delusione amorosa, Ally ha giurato di tenersi lontana da tutto ciò che riguarda il romanticismo, ma la sua vita prende una piega inaspettata quando incontra Jay (Mason Gooding), un affascinante collega designer con cui deve collaborare. Quello che inizia come un semplice progetto lavorativo si trasforma in una lotta per la sopravvivenza, mentre il killer Heart Eyes inizia a perseguitarli.

Un Cast Da Brivido

Nel cast troviamo un mix affiatato di volti noti e giovani promesse. Mason Gooding, già visto in Scream VI e nella serie Love, Victor, è il protagonista maschile, affiancato da Olivia Holt, conosciuta per il suo ruolo in Cruel Summer. A completare il gruppo, troviamo Jordana Brewster, famosa per il suo ruolo in Fast & Furious, e Devon Sawa, volto iconico del cinema horror, soprattutto per i suoi ruoli in Final Destination e Chucky. Questa combinazione di attori esperti e giovani talenti garantisce una performance dinamica, in grado di mantenere alta l’attenzione del pubblico.

La regia è affidata a Josh Ruben, un nome ormai noto agli appassionati di film che mischiano horror e ironia. Ruben ha già dimostrato di saper giocare con questi due elementi in passato, con film come Blood Relatives e A Wounded Fawn, e Heart Eyes sembra essere il suo terreno di gioco ideale. La sua abilità nel dosare tensione e comicità si riflette in ogni scena, creando un film che sa come farti ridere mentre stringi le mani sulla poltrona.

Un San Valentino Sanguinoso e Sarcastico

Il film non è solo un omaggio ai classici slasher come Scream o I Know What You Did Last Summer, ma si diverte anche a giocare con le aspettative del pubblico. Non manca il romance, certo, ma è trattato con un’irriverenza che rende la trama fresca e spiazzante. L’umorismo è uno degli ingredienti principali: le battute, le situazioni assurde e gli scontri tra i protagonisti con il killer aggiungono un tocco di parodia, ma senza mai perdere il ritmo del terrore.

Le riprese di Heart Eyes sono state girate in Nuova Zelanda, il che ha contribuito a creare scenari mozzafiato, lontani dai soliti clichè delle location hollywoodiane. La colonna sonora, curata da Jay Wadley, si unisce perfettamente al tono del film, con brani che amplificano la tensione, mantenendo sempre alta l’adrenalina.

La Critica e l’Accoglienza

Nonostante qualche critica riguardo al ritmo e ad alcuni momenti di umorismo un po’ forzato, Heart Eyes ha ricevuto una buona accoglienza dalla critica, che ha apprezzato la sua capacità di unire due mondi apparentemente inconciliabili come l’horror e la commedia romantica. A livello commerciale, il film si è già fatto notare, incassando 8,5 milioni di dollari nelle prime settimane di distribuzione e confermando l’interesse di un pubblico pronto ad esplorare nuove forme di intrattenimento durante la festa degli innamorati.

Heart Eyes è senza dubbio una proposta intrigante per chi è stanco delle solite storie d’amore zuccherose e cerca qualcosa di più audace per il proprio San Valentino. Un film che unisce paura, risate e un pizzico di romanticismo, pronto a farvi battere il cuore… ma con un bel po’ di inquietudine. Se volete un San Valentino diverso dal solito, fatto di sangue, sarcasmo e, naturalmente, suspense, non lasciatevi scappare questo slasher fuori dagli schemi. Heart Eyes è il film che vi farà ridere mentre vi farà anche chiedere: chi è davvero il mostro in questa storia?

Twinless: Un’Incredibile Storia di Solitudine e Connessione nella Commedia Queer di James Sweeney

Se c’è un film che ha catturato l’attenzione e ha diviso il pubblico al recente Sundance Film Festival del 2025, quello è senza dubbio Twinless, scritto e diretto da James Sweeney. Il film, che è riuscito a strappare il Premio del Pubblico e il Premio per il Miglior Attore a Dylan O’Brien, si presenta come una commedia drammatica queer che esplora temi di solitudine, perdita e connessione emotiva, il tutto con un tocco di umorismo surreale e un’intensa carica emotiva. La trama, che ruota attorno a due giovani che si incontrano in un gruppo di supporto per persone che hanno perso un fratello o un gemello, si sviluppa in una storia improbabile di affinità emotiva e fisica, che sfida le convenzioni e le aspettative di chi si avvicina al film.

Al cuore della vicenda, Twinless racconta la storia di Roman e Rocky, due uomini che, uniti dalla tragica esperienza della perdita del loro gemello, si trovano a formare una relazione che va oltre il semplice supporto emotivo. Il gruppo di supporto per “gemelli senza gemello”, come viene descritto nel film, diventa il terreno fertile per una connessione che mescola l’intensità sessuale e una dinamica di codipendenza emotiva, in una sorta di inedita “bromance” che riesce a farsi strada tra il dolore, la vulnerabilità e la solitudine. Con una regia sofisticata e una sceneggiatura che gioca con il contrasto tra momenti comici e drammatici, James Sweeney riesce a dar vita a un’opera che si fa strada tra i temi universali del lutto, della ricerca di sé e della necessità di affetto, senza mai cadere nel patetico o nel cliché.

Il cast, guidato da un Dylan O’Brien che, per la prima volta, si cimenta in un ruolo a dir poco complesso, riesce a dare vita a personaggi profondamente vulnerabili e realistici. O’Brien, nel doppio ruolo di Roman e Rocky, offre una performance che lascia il segno, conquistando la critica per la sua capacità di navigare tra la leggerezza e la drammaticità con sorprendente naturalezza. Al suo fianco, James Sweeney, che non solo firma la regia, ma interpreta anche Dennis, aggiunge un ulteriore strato di intensità alla pellicola. La presenza di Aisling Franciosi, Lauren Graham e di un cast di supporto di notevole calibro arricchisce ulteriormente l’opera, conferendo a Twinless un equilibrio perfetto tra le dinamiche personali e le complicate relazioni interpersonali.

Tuttavia, il film non è riuscito ad allontanarsi da un incidente che ha gettato un’ombra sulla sua partecipazione al festival. Durante la presentazione online del film, alcune scene intime tra i protagonisti sono state diffuse illegalmente, suscitando non poche polemiche. Le clip rubate, in particolare quelle che mostravano scene di sesso tra i personaggi interpretati da O’Brien e Sweeney, sono state rapidamente condivise sui social media, generando un putiferio che ha portato il Sundance a ritirare il film dalla sua piattaforma streaming. Un duro colpo per il festival, che ha dovuto emettere un comunicato di scuse agli spettatori online, ribadendo l’importanza di proteggere l’integrità dell’opera. Nonostante l’incidente, Sweeney ha reagito con una sorprendente dose di filosofia, ammettendo che l’attenzione generata dalla pirateria, sebbene fastidiosa, ha comunque contribuito a far parlare del film in maniera profonda.

La reazione della critica è stata entusiastica. Diverse testate hanno sottolineato l’originalità del progetto e la sua capacità di trattare temi complessi con un equilibrio perfetto tra ironia e pathos. The New York Post, per esempio, ha scritto che il film inizia con aspettative relativamente basse e si conclude “con la bocca aperta”, grazie a un crescendo che porta lo spettatore a riflettere su se stesso e sul suo rapporto con l’isolamento. The Playlist ha definito Twinless un film sulla solitudine, sul trovare qualcuno che riempia quel vuoto che spesso nessun altro può colmare, mentre ScreenRant ha enfatizzato come la pellicola sappia farsi strada attraverso il disagio, trovando in esso sia umorismo che sentimento. Nonostante l’incidente di pirateria che ha rischiato di offuscare la sua carriera, Twinless si è rivelato un trionfo di originalità e profondità emotiva, un film che merita di essere visto e discusso. Non solo per la sua esplorazione di temi universali, ma anche per la sua capacità di trattare con delicatezza e rispetto la condizione umana attraverso una lente queer, offrendo una prospettiva nuova e significativa sulla relazione tra fratelli, tra amanti e tra persone alla ricerca di un senso di appartenenza. La distribuzione del film è ancora in sospeso, ma il forte interesse generato dalla sua presentazione al Sundance lascia presagire che sarà uno dei titoli più attesi del 2025, capace di trovare la sua strada verso il grande pubblico e di diventare un riferimento per il cinema indipendente queer.

“Toutes pour une”: Un’Interpretazione Audace de “I Tre Moschettieri” che Divide il Pubblico

Nel vasto panorama delle rivisitazioni cinematografiche dei classici letterari, “Toutes pour une” emerge come un adattamento tanto audace quanto controverso de I tre moschettieri di Alexandre Dumas. Diretto da Houda Benyamina, il film, in uscita nelle sale francesi il 22 gennaio 2025, propone una rilettura radicale del celebre romanzo, trasformando i leggendari moschettieri in tre donne, tra cui una di origine maghrebina e una di colore. Con un budget di 11 milioni di euro e un cast composto da Oulaya Amamra, Sabrina Ouazani e Déborah Lukumuena, l’opera ha suscitato un acceso dibattito fin dal rilascio del primo trailer.

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Una Trama che Sfida le Convenzioni

La storia segue Sara, una giovane donna in fuga che scopre che i mitici Moschettieri della Regina di Francia non sono uomini, ma donne costrette a travestirsi per poter combattere e difendere il regno. Affascinata dal loro coraggio e dalla loro determinazione, Sara decide di unirsi a loro, intraprendendo un viaggio che la porterà a ridefinire la propria identità e il concetto stesso di libertà.

L’idea alla base del film si inserisce nella crescente tendenza del cinema europeo e hollywoodiano di rileggere i classici in chiave moderna e inclusiva. In questo caso, Benyamina non si limita a un mero cambio di genere, ma costruisce un contesto narrativo in cui le protagoniste assumono l’identità dei moschettieri dopo averli eliminati, sottraendosi così a un destino segnato da ingiustizie e oppressioni.

Il Dibattito: Tra Rivoluzione e Polemiche

Come prevedibile, “Toutes pour une” non è stato accolto senza controversie. Sui social media, il film è stato bollato da alcuni come l’ennesima operazione “woke”, un tentativo di riscrivere i classici per aderire a un’agenda progressista. Le critiche più aspre si concentrano sulla scelta di cambiare il genere dei protagonisti, ritenuta una forzatura che tradisce lo spirito dell’opera originale.

D’altra parte, i sostenitori del film vedono in questa rilettura un’importante occasione per esplorare tematiche di emancipazione femminile e diversità. Houda Benyamina, già premiata per Divines (Caméra d’Or a Cannes 2016), ha difeso la sua visione, sottolineando come il film non voglia semplicemente sovvertire il testo di Dumas, ma offrire un nuovo punto di vista su una storia di coraggio e resistenza.

Uno Stile Visivo e Narrativo che Fatica a Decollare

Se la premessa poteva risultare interessante, l’esecuzione lascia perplessi. Il tono del film oscilla costantemente tra commedia d’azione, pastiche storico e dramma sociale, senza mai trovare una coerenza effettiva. L’uso anacronistico della musica hip-hop nelle scene di duello, un montaggio frenetico e una sceneggiatura che alterna momenti ispirati a dialoghi artificiosi contribuiscono a un’esperienza visiva poco convincente.

Dal punto di vista estetico, Toutes pour une soffre di una fotografia poco curata e di una regia che non riesce a valorizzare né l’ambientazione storica né le sequenze d’azione. Le scene di combattimento, anziché essere dinamiche e avvincenti, risultano spesso goffe e prive della fluidità necessaria a un film di cappa e spada. Anche le interpretazioni delle tre protagoniste, pur dimostrando impegno, non riescono a sopperire alle debolezze strutturali della sceneggiatura.

Un’Operazione Rischiosa, ma Inefficace

Il dibattito attorno a Toutes pour une riflette una tensione crescente nel cinema contemporaneo, sospeso tra la necessità di innovare e il rischio di alienare parte del pubblico con scelte percepite come forzate. In un’epoca in cui le reinterpretazioni e i remake abbondano, il vero successo sta nel bilanciare rispetto per l’opera originale e volontà di proporre qualcosa di nuovo.

Purtroppo, in questo caso, il film sembra mancare l’obiettivo. Più che una rivisitazione brillante, Toutes pour une appare come un’operazione che, pur ambiziosa nelle intenzioni, si perde in un’esecuzione incerta e frammentaria. Resta da vedere se riuscirà comunque a trovare un pubblico disposto ad accogliere la sua visione, o se finirà nel limbo delle reinterpretazioni mancate.

Diva Futura: Un Viaggio Nella Trasgressione degli Anni ’90, tra Erotismo e Contraddizioni

Immaginatevi un’Italia a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, dove l’adolescenza era scandita da momenti di pura esplorazione, spesso accompagnati da un brivido di imbarazzo. Quella che oggi potrebbe sembrare una semplice fase di crescita, all’epoca era un vero e proprio rito di passaggio: scoprire il mondo della “TV hard” in un’era in cui la censura non aveva ancora ben definito i confini tra innocenza e trasgressione. Ed è proprio su questa linea sottile che si sviluppa il nuovo film Diva Futura, scritto e diretto da Giulia Louise Steigerwalt, un’opera che ci catapulta in un’Italia che cerca di ridefinire i propri tabù, tra drammi e commedie.

Con un cast stellare che include Pietro Castellitto, Barbara Ronchi, Denise Capezza, Tesa Litvan e Lidija Kordić, Diva Futura promette di essere una riflessione potente e ironica sull’immaginario collettivo degli anni ’90, un periodo di grandi contraddizioni, ma anche di libertà inaspettate. Il film, che arriverà al cinema il 6 febbraio, racconta le vicende legate all’agenzia italiana di casting e produzione Diva Futura fondata da Riccardo Schicchi e Ilona Staller (la celebre Cicciolina), una realtà che ha avuto un ruolo cruciale nella definizione della pornografia italiana e internazionale. L’agenzia, tra il 1983 e il 2021, è stata una delle colonne portanti di un’industria che si è fatta strada tra incertezze morali e un’inquietante fascinazione popolare.

La storia prende vita attraverso gli occhi di Debora Attanasio, una giovane segretaria che, alla disperata ricerca di un impiego per pagare il mutuo, si trova catapultata in un mondo sconosciuto e controverso. La sua avventura inizia con un lavoro presso l’agenzia Diva Futura, dove entra in contatto con i grandi nomi del mondo del porno italiano, come Ilona Staller (Cicciolina), Moana Pozzi e Éva Henger. A un primo sguardo, l’agenzia sembra una normale produzione cinematografica, ma sotto la superficie si nascondono gelosie, vendette e inganni, che contribuiscono al lento declino di una realtà che, negli anni ’80 e ’90, ha segnato profondamente la cultura popolare italiana.

Ma Diva Futura non è solo un racconto di intrighi e scandali nel mondo della pornografia. È anche una riflessione sulla percezione del corpo, del desiderio e della moralità in un’epoca in cui l’Italia, e più in generale il mondo, stava attraversando una profonda trasformazione sociale e culturale. I produttori Riccardo Schicchi e Massimiliano Caroletti, figure emblematiche nel contesto della produzione erotica, sono ritratti come eroi tragici, attori di una scena che si consuma lentamente, con una bellezza decadente che pervade ogni fotogramma del film.

Quello che emerge dal film è il contrasto tra l’emancipazione femminile e il suo sfruttamento, tra l’estetica del piacere e le ombre della realtà che si cela dietro la macchina da presa. Le protagoniste, come le stesse star del porno, sono figure ambigue, che oscillano tra il desiderio di liberazione e la consapevolezza del proprio ruolo in una macchina mediatica che le trasforma in oggetti di consumo. In questo gioco di potere e vulnerabilità, Diva Futura riesce a raccontare la complessità dei personaggi e delle relazioni, senza mai cadere nella trappola della moralizzazione.

In un film che affonda le radici in un’epoca che sembra ormai lontana, ma che conserva una sua potenza evocativa, l’elemento nostalgico è inevitabile. La fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 sono momenti cruciali per la società italiana, un periodo in cui le regole morali erano ancora molto rigide, ma che si stava preparando a fare i conti con una nuova percezione della sessualità e della pornografia, spesso alimentata dalla televisione. Ed è proprio questo contrasto tra il desiderio di esplorare e la paura del giudizio che pervade ogni fotogramma del film, che ci riporta a un’epoca in cui ogni piccolo gesto, ogni clic sul telecomando, sembrava poter sconvolgere l’equilibrio di un’intera famiglia.

Nel racconto di Diva Futura, l’adolescenza diventa metafora di una società che naviga nell’incertezza, in cerca di nuove identità, ma anche di una comprensione più profonda di se stessa. La produzione, curata da Groenlandia, Piper Film e Rai Cinema, affida alla regista Giulia Louise Steigerwalt la responsabilità di raccontare questa storia con un linguaggio cinematografico che miscela dramma e ironia, risate e riflessioni. Il film è stato presentato in anteprima alla 81ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e ha già suscitato molta curiosità tra il pubblico e la critica, promettendo di diventare un cult per gli appassionati di cinema e di cultura pop.

Con un’uscita programmata per il 6 febbraio, Diva Futura è il film che non teme di svelare l’intimità e le contraddizioni di un’Italia che, nel cuore degli anni ’90, stava cercando di ridefinire se stessa. Un film che, tra risate, imbarazzi e riflessioni, ci fa rivivere un’epoca di trasgressione, curiosità e crescita, mostrando quanto i confini tra il proibito e il desiderato siano, in fondo, sempre più sfumati di quanto non vorremmo ammettere.