C’era una volta un libro di H.G. Wells. Un romanzo rivoluzionario, visionario, capace di evocare il terrore cosmico con tripodi che schiacciavano Londra e raggi termici che annientavano ogni speranza. Poi ci fu Orson Welles, con il suo celebre radiodramma, e successivamente Spielberg, che trasformò l’invasione in una sinfonia di caos e adrenalina. E oggi? Oggi c’è “War of the Worlds: Revival” su Amazon Prime Video. Uscito il 30 luglio 2025, questo film ha deciso di riscrivere le regole della fantascienza… e purtroppo non nel modo che speravamo. Se pensavi di trovare una nuova, avvincente trasposizione del classico di Wells, con alieni che fanno tremare le fondamenta della Terra, città in fiamme e umanità sul baratro, ti conviene chiudere quella maledetta app di Prime Video. Il titolo ti attira, la locandina ti intriga, c’è perfino Ice Cube nel cast. Ma appena premi play, vieni risucchiato in un buco nero di noia, confusione e sconcerto. Non è un film. È una lezione su cosa non fare quando si vuole reinventare un caposaldo della narrativa di genere.
Will Radford lavora dietro le quinte del mondo. Ufficiale del Department of Homeland Security, è una delle menti operative dietro “Goliath”, un programma di sorveglianza globale in grado di monitorare ogni essere umano sulla Terra. Ma quando un misterioso hacker, noto come Disruptor, mette in scacco i sistemi federali, Will si trova catapultato in un’operazione congiunta con l’FBI. L’obiettivo? Scovare l’identità del pirata informatico prima che sia troppo tardi. Il tempo, però, si esaurisce rapidamente. Un giorno, all’improvviso, il cielo si apre. Piogge di meteoriti colpiscono le grandi città del mondo, e da essi emergono gigantesche macchine aliene, assetate di distruzione. Insieme a un’amica della NASA, Will arriva alla sconvolgente verità: quella in corso non è una semplice catastrofe… ma un’invasione extraterrestre. Il Presidente degli Stati Uniti ordina la risposta militare. Le forze armate globali si uniscono. I primi scontri sembrano promettenti, ma Will nota un dettaglio che nessuno vuole vedere: i mostri meccanici non attaccano a caso. Sembrano seguire uno schema, convergere su centri dati strategici. E poi la scoperta che ribalta ogni cosa: le creature inviano sciami di entità simili a insetti per “drenare” i dati dai server, potenziando le loro capacità e neutralizzando la difesa umana. È allora che Will scopre l’identità del nemico che cercava: Disruptor altri non è che suo figlio Dave, un hacker geniale e ribelle, con un conto in sospeso con il governo. Dave condivide con lui un file segreto, una bomba informativa che rivela l’impensabile: gli alieni non sono nuovi arrivati. Sono già stati sulla Terra. E “Goliath”, il programma voluto dal direttore Donald Briggs, ha attivato proprio il segnale che li ha richiamati. Tradito dal sistema che ha giurato di servire, Will affronta Briggs, che giustifica le sue azioni in nome della sicurezza nazionale. Ma la verità è più amara: l’arroganza umana ha firmato la condanna del pianeta. Briggs blocca Will fuori dal sistema, ma padre e figlio uniscono le forze. Con il supporto della giovane biologa Faith – figlia di Will e sorella di Dave – riescono a reintrodursi nella rete e caricare un virus progettato per distruggere le macchine aliene. Il piano sembra funzionare… ma gli alieni si adattano, reagiscono, contrattaccano. Quasi tutti i membri del team vengono eliminati. Dave è l’unico sopravvissuto. Con un ultimo disperato colpo di reni, Will e Faith raggiungono il cuore del sistema: il bunker sotto la sede del DHS, dove si trova Goliath. Lo disattivano appena in tempo, evitando un bombardamento nucleare pianificato per impedire che gli alieni prendano il controllo dell’IA. E poi… silenzio. Quando la tempesta si placa, la Terra è in ginocchio ma viva. Le creature sono sconfitte. Will e Dave diventano simboli della resistenza. Briggs viene arrestato per violazione della Costituzione e crimini contro l’umanità. Faith viene celebrata per aver decifrato il linguaggio genetico delle creature, contribuendo in modo decisivo alla vittoria. Il governo propone a Will di guidare una nuova era della sorveglianza globale, stavolta “etica”, rispettosa della privacy. Ma lui rifiuta.
Tutto accade dietro uno schermo. E non è una metafora.
Nel film l’invasione aliena non arriva con esplosioni o navistellari: arriva… via Zoom. Tutto – letteralmente tutto – accade attraverso uno schermo. Nessun contatto diretto, nessuna tensione palpabile: solo notifiche, dashboard, videochiamate traballanti e feed digitali che raccontano la fine del mondo come fosse una diretta Twitch andata storta. Ice Cube, nei panni di Will Radford, è l’analista di sicurezza più immobile della storia del cinema: inchiodato al suo laptop, osserva la catastrofe come fosse una riunione di condominio in perenne lag. Il regista Rich Lee tenta di trasformare un film catastrofico in una riflessione digitale sull’informazione e il controllo, ma il risultato è più noioso di un aggiornamento software. Ogni scena è filtrata da un’interfaccia: Alexa ti annuncia l’apocalisse, FaceTime è l’unico modo per comunicare con i propri cari, e persino gli attacchi alieni avvengono fuori campo, forse per risparmiare sul budget. Ci sono momenti in cui si intravede un’idea interessante – come l’invasione vista come colonizzazione delle nostre vite digitali – ma resta tutto appena accennato, soffocato da una scrittura debole e una messa in scena piatta.
Il film sembra voler essere serio, ma l’effetto è involontariamente comico: a un certo punto, Ice Cube usa un drone Amazon per difendersi. Il momento clou? Una sparatoria a bassa risoluzione tra due finestre di chat. Il messaggio? Forse che siamo troppo passivi, troppo legati agli schermi per reagire al disastro. Ma se davvero voleva essere una critica sociale, allora perché è tutto così vago, così anonimo?
Alla fine resta solo una sensazione: quella di aver assistito a un’occasione sprecata, un progetto che aveva (forse) qualcosa da dire, ma ha scelto il modo peggiore per farlo. Una Guerra dei Mondi senza guerra. E senza mondi. Solo pixel.
