C’è un momento, nella storia della tecnologia, in cui la fantascienza smette di essere un genere letterario e diventa cronaca. Quel momento, forse, è adesso. L’era della comunicazione senza schermi, senza tastiere e senza barriere sta bussando alla porta della realtà: le interfacce cervello-computer, o BCI (Brain-Computer Interfaces), stanno ridisegnando i confini di ciò che consideriamo umano, digitale e perfino mentale.
Per decenni, abbiamo interagito con le macchine attraverso strumenti di mediazione – lo schermo, la tastiera, la voce. Ora quella distanza si riduce, fino quasi a dissolversi. L’idea di trasformare pensieri in azioni digitali non è più un sogno da laboratorio cyberpunk: è un orizzonte tecnologico già in costruzione, spinto da due dei protagonisti più influenti (e controversi) del nostro tempo. Sam Altman, mente di OpenAI, ed Elon Musk, fondatore di Neuralink, stanno dando vita a una nuova corsa all’oro: quella per il controllo della mente connessa.
Merge Labs: la via “soft” di Sam Altman
Secondo un’inchiesta di The Verge, Altman non si accontenta più di creare intelligenze artificiali capaci di comprendere il linguaggio umano. Vuole costruire un ponte diretto tra la mente e la macchina. Il suo nuovo progetto, Merge Labs, nasce da un’idea tanto ambiziosa quanto inquietante: sviluppare un’interfaccia cervello-computer non invasiva, capace di leggere e interpretare l’attività neuronale senza bisturi, senza chip impiantati, senza cicatrici.
Al timone della ricerca c’è Mikhail Shapiro, scienziato del Caltech e genio della bioingegneria, che lavora da anni sul potere delle onde ultrasoniche per comunicare con i neuroni. Il suo obiettivo è usare il suono come chiave per decifrare la mente, trasformando il cervello in una sorta di dispositivo wireless naturale. Se riuscirà, sarà come passare da un cavo Ethernet alla connessione Wi-Fi della coscienza.
Altman, già cofondatore del discusso progetto Worldcoin (quello con la sfera che scansiona le iridi in perfetto stile Black Mirror), sembra voler guidare una rivoluzione “gentile”: niente operazioni chirurgiche, solo frequenze e sensori esterni. In un futuro non troppo lontano, potremmo immaginare di scrivere una mail, disegnare un’immagine o pilotare un visore AR semplicemente… pensandolo.
Neuralink: la visione chirurgica di Elon Musk
All’estremo opposto del ring troviamo Neuralink, la visione radicale di Musk. La sua tecnologia prevede l’impianto diretto di un chip nel cervello per permettere una comunicazione bidirezionale tra mente e macchina. Nel 2024 è stato realizzato il primo impianto umano, dimostrando progressi importanti ma anche limiti evidenti: instabilità del segnale, rischi chirurgici, problemi di rigetto e questioni etiche tutt’altro che secondarie.
Neuralink è la materializzazione del sogno (o incubo) cyberpunk: un corpo ibrido, metà carne e metà silicio. Ma ogni sogno di potenziamento ha un prezzo. E in questo caso il costo non è solo biologico, ma anche filosofico: quanto resta di “umano” quando il nostro cervello è connesso a una rete?
MindPortal e il nuovo lessico neurale
Altman e Musk non sono soli in questa corsa. Startup come MindPortal stanno aprendo scenari che sembrano usciti da un romanzo di Asimov. La loro interfaccia ottica non invasiva promette di tradurre l’attività cerebrale in frasi coerenti, senza voce, senza gesti, senza tastiere. Il sistema sfrutta sensori ottici e algoritmi di apprendimento automatico per decodificare i pensieri in tempo reale. È una tecnologia che potrebbe rivoluzionare la medicina, restituendo la parola a chi l’ha perduta, ma anche trasformare il modo in cui giochiamo, comunichiamo e viviamo la realtà virtuale.
La vera parola chiave è “neurale”. Un termine che non appartiene più solo alle neuroscienze, ma al linguaggio quotidiano dell’innovazione. Dalle reti neurali artificiali che animano ChatGPT ai visori Orion di Meta, fino agli esperimenti di AI Pin di Humane e al Vision Pro di Apple, tutto sembra convergere verso un unico punto: l’integrazione profonda tra mente e tecnologia.
Le reti neurali artificiali, ispirate al funzionamento del cervello biologico, sono ormai la spina dorsale del machine learning. Ma le interfacce neurali stanno andando oltre: vogliono trasformare il pensiero stesso in input, riducendo la distanza tra intenzione e azione. È come se il cervello stesse imparando una nuova lingua — quella del silicio.
Meta e la lettura dei pensieri
Nel frattempo, Meta sta lavorando a una tecnologia che sembra appartenere più a X-Men che alla Silicon Valley. Il progetto Brain2Qwerty utilizza combinazioni di elettroencefalografia (EEG) e magnetoencefalografia (MEG) per prevedere, con un’accuratezza superiore all’80%, il testo che una persona sta digitando solo osservando l’attività cerebrale.
Il sistema analizza fino a mille immagini cerebrali al secondo, mappando lettere e parole e traducendole in testo digitale. Tutto questo, senza impianti o interventi, solo con sensori esterni. Le potenzialità sono immense: restituire la capacità di comunicare a chi l’ha perduta o rendere il pensiero una nuova forma di interfaccia naturale. Ma anche qui si aprono dilemmi inquietanti. Se possiamo leggere la mente, chi garantisce che la mente resti privata?
Etica, identità e il rischio della mente condivisa
Ogni nuova tecnologia porta con sé una promessa e una minaccia. Nel caso delle BCI, la promessa è quella di un’umanità potenziata, più libera dai limiti fisici, capace di comunicare oltre il linguaggio. La minaccia, però, è altrettanto chiara: la perdita dell’autonomia mentale, l’erosione della privacy cognitiva, la possibilità di manipolare o violare i pensieri stessi.
In un mondo in cui il cervello diventa un terminale connesso, il confine tra sé e rete rischia di sfumare. Le grandi aziende stanno già discutendo di “diritti cognitivi” e “privacy neurale”, due concetti che fino a pochi anni fa appartenevano solo alla letteratura distopica.
Verso un’intelligenza ibrida
Forse il futuro non sarà fatto di esseri umani controllati dalle macchine, ma di una nuova forma di simbiosi. L’intelligenza ibrida — la fusione tra creatività umana e potenza di calcolo — potrebbe rappresentare la prossima evoluzione cognitiva. Un’umanità che non rinuncia alla propria essenza, ma la espande, connettendosi a un ecosistema di dati e reti in continuo dialogo.
Eppure, ogni passo verso questo futuro ci costringe a chiederci: fino a che punto vogliamo che la tecnologia entri nella nostra mente? E cosa accadrà quando il “login” sarà davvero un pensiero?
In un’epoca in cui il cervello diventa la nuova frontiera del digitale, il dibattito non è più solo tecnico, ma profondamente umano. Prepariamoci a una rivoluzione che non si limiterà a cambiare i dispositivi, ma la coscienza stessa con cui li usiamo.
E voi, cari lettori di CorriereNerd.it, siete pronti a connettere la vostra mente al futuro? Raccontateci nei commenti se questa nuova era vi affascina o vi spaventa: la conversazione, per ora, è ancora tutta… nella nostra testa.
