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ChatGPT Atlas: il browser del futuro firmato OpenAI che sfida Google Chrome e trasforma il web in una conversazione

Negli ultimi vent’anni, pochissimi software hanno ridefinito il nostro modo di vivere Internet come ha fatto Google Chrome. Per molti, è diventato sinonimo stesso di “navigazione”. Ma, come in ogni grande saga fantascientifica, anche tra le stelle più luminose si profila sempre un nuovo contendente. E questa volta il nome arriva direttamente dall’universo dell’intelligenza artificiale: ChatGPT Atlas. Durante una diretta su YouTube, Sam Altman — il CEO di OpenAI — ha annunciato quello che potrebbe essere l’inizio di una nuova era per il web. Atlas non è un semplice browser, ma un progetto visionario che unisce navigazione e intelligenza artificiale in un’esperienza fluida, personalizzata e dialogica. Non più un programma che “mostra” il web, ma uno strumento che capisce cosa vogliamo fare e ci aiuta a farlo.


Atlas: quando il browser diventa un compagno digitale

Immaginate di aprire il vostro browser e chiedergli: “organizza un viaggio a Tokyo per la prossima primavera”. Atlas non si limita a cercare risultati su Google. Analizza le vostre preferenze, confronta i voli, verifica il meteo, controlla la valuta, traduce informazioni e — sì — può anche prenotare per voi.
Dietro questa magia si nasconde la stessa intelligenza conversazionale che ha reso celebre ChatGPT, ma potenziata da una nuova infrastruttura basata su Chromium, il motore open source che alimenta anche Chrome.

OpenAI ha scelto di partire da questa solida base per creare un ecosistema completamente nuovo: una “navigazione aumentata”, dove ogni azione può essere guidata da un dialogo naturale. Altman lo descrive come “il modo in cui speriamo le persone useranno Internet in futuro”.

Atlas integra infatti ChatGPT nel cuore stesso del browser, eliminando la distanza tra ricerca, lettura e azione. Vuoi sapere chi ha diretto un film, confrontare recensioni o tradurre un articolo? Non serve più aprire nuove schede: basta chiedere.


💬 La chat che vive dentro il web

Uno degli elementi più affascinanti di Atlas è la barra laterale intelligente, una finestra sempre attiva in cui ChatGPT accompagna l’utente ovunque.
Può riassumere lunghi articoli, comparare prodotti, estrarre dati o riscrivere testi all’interno di e-mail, documenti e moduli web. In pratica, il cursore diventa un collaboratore invisibile, sempre pronto ad assisterci con un clic. Atlas non si limita a rispondere, ma ricorda. Grazie a una memoria integrata (che l’utente può gestire o disattivare in ogni momento), il browser è in grado di riprendere i progetti lasciati in sospeso, ricordare preferenze e personalizzare i suggerimenti. È come se la cronologia si evolvesse in coscienza contestuale.


⚙️ Agenti AI al lavoro

Il cuore pulsante del sistema è rappresentato dagli agenti GPT, piccole intelligenze operative che possono eseguire azioni concrete all’interno del web.
Vuoi iscrivere la tua band a un festival, acquistare biglietti per Lucca Comics o compilare un modulo fiscale? Atlas lo fa per te, automatizzando i passaggi noiosi e lasciandoti solo le decisioni creative.

Questo approccio trasforma la navigazione in una vera e propria interazione attiva. L’utente non si limita più a “navigare” ma dialoga con il web, con la sensazione di avere accanto un copilota digitale.


Privacy e controllo: il nuovo patto di fiducia

In un’epoca in cui la privacy è il vero campo di battaglia del digitale, OpenAI ha voluto giocare la carta della trasparenza.
ChatGPT Atlas permette di cancellare in qualsiasi momento la cronologia, disattivare la memoria o navigare in modalità incognito. I dati non vengono utilizzati per addestrare i modelli senza consenso esplicito. È un segnale forte verso un’utenza ormai stanca di sentirsi osservata da algoritmi onnipresenti.


Disponibilità e prospettive

La versione iniziale di ChatGPT Atlas è già disponibile per gli utenti Free, Plus, Pro e Go su macOS, ma le versioni per Windows, iOS e Android sono in arrivo nei prossimi mesi.
Il progetto nasce per essere universale: la base Chromium garantisce compatibilità con estensioni e standard web esistenti, mentre la componente AI lo proietta verso un futuro dove ogni interazione sarà personalizzata.

Altman ha dichiarato che Atlas rappresenta ciò che la barra degli indirizzi e i tab furono per i browser degli anni Duemila: un nuovo paradigma.
Un browser che “pensa”, suggerisce, agisce e — soprattutto — ascolta.


Verso un web conversazionale

Il lancio di Atlas non è solo un passo tecnologico, ma un cambio di paradigma culturale. Per la prima volta, l’interfaccia di navigazione non è più un filtro neutro tra noi e Internet, ma un interlocutore.
Un ponte tra l’intelligenza artificiale e l’intelligenza umana.

Il futuro del web che OpenAI sta disegnando è profondamente umano: un luogo dove l’informazione non è più un insieme di link, ma un dialogo continuo.
E se davvero Atlas riuscirà a conquistare il pubblico come ChatGPT ha conquistato la scrittura, potremmo trovarci di fronte al momento “iPhone” dell’intelligenza artificiale: quel punto di non ritorno che trasforma per sempre il modo in cui comunichiamo con la rete.

AI vs Wikipedia: L’AI Overview Uccide il Click? La Crisi del Sapere Libero

C’è qualcosa di quasi poetico – e profondamente inquietante – nel paradosso che sta scuotendo le fondamenta del web: Wikipedia, la fonte di conoscenza che ha nutrito generazioni di internauti, sta venendo divorata dalle stesse intelligenze artificiali che si sono nutrite di lei. È come se il più grande archivio di sapere umano stesse lentamente svanendo, inghiottito dall’efficienza degli algoritmi che ne hanno assorbito ogni parola.

Secondo un recente rapporto del blog di Wikimedia Foundation, il traffico umano verso Wikipedia sta crollando. La colpa non è dei social, né della noia digitale. Il vero “villain” è l’AI Overview di Google e i chatbot generativi come ChatGPT, che ormai forniscono risposte sintetiche e complete direttamente nella pagina dei risultati. L’utente medio – sempre più pigro o, se vogliamo essere gentili, ottimizzatore del tempo – non sente più il bisogno di cliccare sul link. La curiosità viene soddisfatta prima ancora di nascere.


Il paradosso del sapere libero

Wikipedia è nata per essere di tutti e per tutti. Ha costruito il suo impero sull’idea di un sapere condiviso, libero e verificabile. Ma oggi quella stessa apertura la sta uccidendo. I colossi tecnologici attingono alle sue pagine per alimentare i propri modelli linguistici, restituendo agli utenti una versione compressa e levigata del sapere – senza che nessuno visiti più la fonte originale.

Marshall Miller, uno dei responsabili di Wikimedia, lo ha detto chiaramente: «I motori di ricerca usano sempre più l’AI generativa per dare risposte dirette, anziché mostrare link a siti come il nostro.» Il risultato? Un’intera enciclopedia che perde visibilità, volontari, donazioni. E con loro, perde vita.

Il punto è che se l’AI è frutto di Wikipedia, dovrebbe anche sostenerla. Perché se la sorgente si prosciuga, anche l’acqua dei chatbot finirà col diventare torbida.


Perché l’allarme riguarda tutti noi

Chi ama leggere, approfondire e capire – che si tratti della cronologia dei mutanti Marvel o dell’origine dei mecha negli anime di Hideaki Anno – dovrebbe preoccuparsi. Perché ciò che sta accadendo a Wikipedia è il preludio di qualcosa di più grande: la fine dell’approfondimento.

Meno traffico significa meno editor volontari, meno revisori, meno contenuti aggiornati. E meno qualità significa che anche l’AI inizierà ad attingere a un sapere vecchio, impreciso, incompleto. È un circolo vizioso: l’intelligenza artificiale impara da Wikipedia, ma la svuota della linfa che la mantiene viva.

Il rischio è di generare una generazione che conosce il “cosa” ma ignora il “perché”. L’AI ti dà la risposta, ma non il contesto, non la discussione, non il dibattito. È come leggere i titoli di un’enciclopedia senza mai aprirne le pagine.

E se questo accade a Wikipedia, che è no-profit e sostenuta da donazioni, cosa succederà ai siti di informazione, ai blog culturali, ai magazine indipendenti come CorriereNerd.it?
Quando le risposte AI sostituiranno i motori di ricerca, tutto ciò che vive di click, passione e curiosità rischia di sparire. Nessuno cliccherà più sugli articoli. Nessuno scoprirà nuovi autori. E il web diventerà un feed sterile di riassunti.


La fame dei bot e il costo del sapere

Da mesi, Wikipedia è letteralmente sotto assedio da parte dei bot di intelligenza artificiale. Un esercito silenzioso di crawler automatici sta drenando i suoi server per “nutrire” modelli linguistici e database visivi.

La Wikimedia Foundation stima che il 35% del traffico delle sue pagine sia generato da bot AI, ma questi rappresentano il 65% delle richieste più costose da gestire. In pratica, le macchine leggono Wikipedia molto più di noi umani, e a un prezzo salatissimo.

Il problema è strutturale: i sistemi di caching di Wikipedia sono pensati per lettori umani, che navigano in modo logico da una pagina all’altra. I bot, invece, vanno a pescare in zone remote, su voci dimenticate, scaricando file e immagini in massa da Wikimedia Commons. Ogni accesso diretto al database centrale costa più tempo, più banda e più risorse. E i server non sono infiniti.

Il risultato? L’infrastruttura si sta piegando sotto il peso delle intelligenze artificiali che pretendono di leggere tutto, subito, sempre.
Il team tecnico di Wikimedia – i cosiddetti “site reliability engineers” – lavora giorno e notte per mantenere i server in piedi, limitando o bloccando i flussi dei bot. Ma ogni blocco è una toppa temporanea su una diga che continua a creparsi.


Il prezzo della conoscenza (e del silenzio)

Wikipedia è gratuita, ma mantenerla non lo è. Ogni byte letto, ogni immagine scaricata, ogni voce aggiornata ha un costo. E quei costi, oggi, non sono più sostenibili solo con le donazioni dei lettori.

È qui che nasce il vero dibattito etico: le aziende dell’AI che si sono arricchite grazie ai dati open source dovrebbero contribuire economicamente al mantenimento delle fonti che le alimentano.

Se ChatGPT, Gemini o Claude possono rispondere con precisione su chi fosse Doctor Doom o spiegarti la teoria del multiverso, è perché qualcuno – un volontario – ha scritto, verificato e mantenuto quella voce su Wikipedia. Quel lavoro va riconosciuto.

Non si tratta di chiudere l’accesso, ma di trovare un equilibrio: un patto tra conoscenza libera e tecnologia responsabile.


Il futuro è un video breve?

C’è poi un’ombra ancora più grande sullo sfondo: le nuove generazioni non cercano più informazioni sul web, ma su TikTok e Instagram. Marshall Miller lo ha detto senza mezzi termini: «Le piattaforme video stanno sostituendo il web aperto come principale fonte informativa dei giovani.»
È l’era della “scroll culture”: trenta secondi di informazione per colmare la curiosità di un istante. Ma la conoscenza non si costruisce su video da 15 secondi.

Se Wikipedia è la biblioteca di Alessandria del XXI secolo, i social sono il suo incendio digitale.


La battaglia per la sopravvivenza del web aperto

La questione non è tecnica, ma culturale. Wikipedia non sta solo lottando per il suo traffico: sta difendendo il principio stesso del web aperto, quello basato su collaborazione, curiosità e accesso libero.
Un web in cui non si consuma informazione, ma la si costruisce insieme.

Il sapere condiviso è un ecosistema, non un magazzino da cui le AI possono attingere all’infinito. Se smettiamo di visitare Wikipedia, di contribuire, di correggere, di donare, il ciclo si spezza. E con lui, anche la fonte da cui si abbeverano le intelligenze artificiali.


Epilogo: la scelta è nostra

La prossima volta che Google ti mostrerà una risposta pronta, chiediti da dove arriva.
Dietro ogni sintesi c’è un volontario che ha passato ore a scrivere, correggere e verificare. Dietro ogni paragrafo c’è un pezzo del web libero che rischia di svanire.

Il destino di Wikipedia – e, in fondo, dell’intero sapere online – non dipende solo dai colossi tecnologici, ma da ognuno di noi.
Siamo disposti a sacrificare la conoscenza sull’altare della comodità?
O vogliamo ancora cliccare, leggere, approfondire, capire?

Perché, come direbbe un vecchio utente di Wikipedia, sapere è sempre stato un verbo attivo, non passivo.

Gemini 3.0: la nuova era dell’intelligenza artificiale secondo Google

Preparati, nerd dell’IA e smanettoni digitali: Google sta per premere il pulsante rosso. Il 22 ottobre 2025 potrebbe essere il giorno in cui Gemini 3.0 farà il suo debutto, meno di un anno dopo l’arrivo di Gemini 2.5. E se le indiscrezioni si rivelassero vere, saremmo davanti non solo a un aggiornamento tecnico, ma a un vero salto evolutivo nella corsa globale all’intelligenza artificiale.Tutto parte da un documento misterioso, trapelato online e subito rimbalzato ovunque su X (il social che un tempo chiamavamo Twitter), pubblicato dall’utente @chatgpt21. Tra tabelle, obiettivi e date di rilascio, una frase ha acceso la miccia dell’hype: “Looking to align with Gemini 3.0 launch moment (Marketing milestone)”. Tradotto dal linguaggio aziendale: Google sta sincronizzando la sua strategia di marketing con il lancio di Gemini 3.0.

Non un messaggio in codice, ma quasi una dichiarazione d’intenti.


L’evoluzione in tempo reale di un ecosistema in fermento

Google non ha ancora confermato ufficialmente la notizia, ma il ritmo con cui sta aggiornando la sua IA sembra quello di una speedrun da record. Dopo Gemini 2.5, abbiamo visto comparire le versioni Pro, Flash e Flash-Lite — veri e propri spin-off progettati per ottimizzare potenza, efficienza e velocità. Se il leak fosse autentico, Gemini 3.0 rappresenterebbe un nuovo livello nella guerra per il trono dell’IA generativa. Sul campo, i rivali non mancano: OpenAI con GPT-5, Anthropic con Claude, Meta con LLaMA, e la misteriosa xAI di Elon Musk. Tutti giocano la stessa partita, ma Google vuole vincerla in anticipo. La parola d’ordine? Restare un passo avanti — anche solo di qualche settimana.

Per capire cosa potremmo aspettarci da Gemini 3.0, basta guardare all’attuale versione “Pro”. Lanciata nella primavera 2025, Gemini 2.5 Pro ha ridefinito il concetto stesso di reasoning model. Capace di affrontare problemi complessi con una struttura logica quasi umana, integra in profondità le catene di ragionamento (Chain-of-Thought) direttamente nell’architettura.

Google ha dichiarato: “Stiamo costruendo queste capacità di pensiero in tutti i nostri modelli, così da poter affrontare problemi più complessi e supportare agenti più consapevoli del contesto.”

Il risultato? Un’IA che non si limita a rispondere, ma analizza, ragiona, confronta, deduce. E soprattutto, lo fa in modo coerente e strutturato.

L’altro grande punto di forza è la context window: presto raggiungerà la soglia dei 2 milioni di token, un numero impressionante che consente al modello di processare interi dataset, lunghi documenti o progetti di ricerca senza perdere coerenza o memoria contestuale. In pratica, Gemini 2.5 Pro può leggere tutto un libro, ricordarselo e discuterne con te come se fosse un collega — o un compagno di dibattito.

Ma il vero superpotere sta nella multimodalità nativa: testo, immagini, video, audio e codice convivono nello stesso flusso cognitivo. È questo il cuore pulsante di Gemini: un’IA che non si limita a comprendere le parole, ma interpreta il mondo nei suoi diversi linguaggi.


Gemini 3.0: verso l’IA totale

Le voci più insistenti parlano di tre aree chiave su cui si concentrerà la nuova generazione:

  • Integrazione multimodale potenziata, in grado di fondere testo, immagine e suono in un unico prompt continuo.

  • Comprensione contestuale superiore, con una gestione dinamica del contesto e memoria adattiva.

  • Modalità “Ultra Realtime”, un sistema che permetterebbe di interagire con l’IA in sincronia con video o audio, aprendo scenari di collaborazione live tra umani e intelligenze artificiali.

Un assistente così avanzato potrebbe diventare il primo vero co-pilota universale: un’entità capace di partecipare a riunioni, analizzare flussi video, scrivere codice mentre progetti e persino supportare la creazione di contenuti audiovisivi in tempo reale.

In altre parole, il confine tra strumento e compagno digitale potrebbe iniziare a dissolversi.


Un leak credibile? Forse sì

A rafforzare la voce ci ha pensato Mishaal Rahman, editor-at-large di Android Authority, che ha confermato la coerenza del documento trapelato con il calendario interno di Google. Nessuna certezza, certo — ma abbastanza da far trattenere il respiro a mezzo settore tech.

E se i rumor dovessero trovare conferma, l’annuncio ufficiale potrebbe arrivare già mercoledì prossimo.


Un terremoto per l’industria tecnologica

Ogni passo di Google nel campo dell’IA è una scossa sismica per tutto l’ecosistema digitale. Un nuovo Gemini significa nuove API, nuovi strumenti per gli sviluppatori, nuove integrazioni con Android, Workspace e Cloud.

E ovviamente, nuove sfide per chi crea e comunica con l’intelligenza artificiale: dagli sviluppatori di chatbot ai content creator, passando per artisti digitali e aziende.

Il lancio di Gemini 3.0 non sarà solo un aggiornamento tecnologico, ma un evento culturale — un cambio di paradigma che ridefinirà il modo in cui concepiamo la collaborazione tra uomo e macchina.


Oltre il codice, verso l’immaginazione

In fondo, la saga di Gemini non è solo una gara di potenza computazionale, ma un racconto di visione. Un po’ come nei vecchi film di fantascienza, stiamo assistendo alla costruzione del primo vero cervello collettivo digitale: un’entità che apprende, connette e anticipa i bisogni umani.

E chissà, forse tra qualche anno ricorderemo questo ottobre 2025 come il momento in cui l’IA ha iniziato davvero a pensare insieme a noi.

La data è segnata: 22 ottobre.
Gemini 3.0 sta arrivando. E il futuro — per citare un certo dottore con la DeLorean — non è ancora scritto.

Disney vs Character.AI: quando Topolino incontra l’Intelligenza Artificiale in tribunale

Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione, amici nerd. Non stiamo parlando di una nuova saga di Guerre Stellari o di un reboot inaspettato, ma di uno scontro ben più complesso, che si gioca nelle aule dei tribunali e sui server delle startup più audaci. Da un lato ci sono i colossi dell’intrattenimento, i custodi gelosi delle nostre icone culturali più amate: stiamo parlando di fumetti, film, serie TV e di quel patrimonio narrativo che ci ha cresciuti. Dall’altro, le aziende di punta nell’intelligenza artificiale, pronte a sperimentare su un terreno che corre veloce, spesso senza una rete di sicurezza legale.

L’ultimo, fragoroso atto di questo conflitto digitale vede protagonista niente meno che la Casa di Topolino. Sì, la Disney – il gigante che detiene i diritti su un universo che va dai classici d’animazione ai supereroi Marvel e ai cavalieri Jedi – ha inviato una diffida formale a Character.AI, la startup californiana che ha fatto impazzire il web con la creazione di chatbot personalizzati. Il motivo è lampante ma dalle implicazioni profonde: l’uso non autorizzato e, a quanto pare, controverso, dei personaggi Disney all’interno della sua piattaforma di AI generativa.


Proprietà Intellettuale contro il Potere del Codice

La mossa della multinazionale non è affatto sorprendente per chi segue le vicende legate al copyright e all’innovazione tecnologica. La Disney non è nuova a un atteggiamento bellicoso, quasi da super-villain legale, quando si tratta di difendere la sua proprietà intellettuale (la IP) dalle insidie del mondo tech. Ma in questo caso, la posta in gioco è ben più alta del semplice risarcimento economico. Si tratta di proteggere l’immagine iconica stessa dei suoi eroi più celebri, dal rischio di vederli trasformati in marionette digitali manipolabili in modi che potrebbero macchiarne l’aura leggendaria.

Secondo le indiscrezioni raccolte da Axios, la lettera inviata da Disney sottolinea che il problema non si esaurisce con la violazione dei diritti d’autore. La preoccupazione principale è l’impatto che l’utilizzo non autorizzato dei personaggi potrebbe avere sul marchio, specialmente se associato a comportamenti controversi e dannosi. Ed è qui che la vicenda assume tinte da vero e proprio thriller cyberpunk.


Le Ombre di un Parco Giochi Digitale Senza Regole

È stata un’inchiesta congiunta di ParentsTogether Action e Heat Initiative a gettare luce su scenari che hanno fatto tremare i polsi a molti. I chatbot creati dagli utenti su Character.AI avrebbero mostrato comportamenti inquietanti, spesso legati ad adescamento, manipolazione emotiva e, in casi estremi, persino sfruttamento sessuale.

Il pericolo, insomma, non è che Paperino si metta a raccontare barzellette di dubbio gusto, ma che personaggi pensati per l’intrattenimento innocuo, spesso rivolto ai bambini, diventino involontari strumenti di rischio per gli utenti vulnerabili. Una prospettiva da incubo per qualsiasi multinazionale dell’entertainment e un incubo per i genitori di una generazione che vive connessa 24 ore su 24. Nessuna azienda che fonda il suo impero sulla fiducia e sull’immaginazione familiare può permettersi di ignorare una simile deriva etica.


La Difesa della Startup: Community o Scarica Barile?

Dal canto suo, Character.AI, startup fondata nel 2022 e sostenuta da giganti del venture capital come a16z, si è difesa con una strategia che suona un po’ come un “passaggio di palla”. L’azienda sostiene che i personaggi disponibili sulla piattaforma sono interamente generati dagli utenti. Alcuni, ammette, sono “ispirati” a figure già esistenti, ma vengono rimossi non appena i titolari dei diritti ne fanno richiesta. In pratica, la startup cerca di scaricare la responsabilità sulla community di appassionati, presentandosi come un mero strumento neutrale.

Ma quanto può essere davvero “neutrale” un servizio di intelligenza artificiale che permette di dare non solo voce, ma volto e personalità a icone riconoscibili in tutto il mondo, da Goku a Sherlock Holmes, da Nietzsche al tuo master di D&D preferito? La Disney, insieme a colossi come Warner Bros Discovery e Universal, sembra avere già una risposta. Non a caso, assistiamo a una vera e propria offensiva legale contro le startup di AI generativa come MiniMax e MidJourney, accusate di sfruttare indebitamente opere protette da copyright.


La Sfida della Voce Artificiale e i Rischi Nascosti

La questione si fa ancora più spinosa se consideriamo la tecnologia di Character.AI capace di creare voci artificiali realistiche. Basta una clip audio di 10-15 secondi per replicare il timbro vocale, applicandolo al chatbot. Questo significa che non solo l’aspetto e la personalità dei personaggi, ma persino le voci di attori e doppiatori reali possono essere imitate con una fedeltà impressionante.

Questa tecnologia, pur offrendo un’esperienza immersiva eccezionale (la piattaforma ha già generato venti milioni di interazioni vocali!), apre scenari legali ed etici giganteschi. Se la voce di un amato personaggio Disney venisse utilizzata per diffondere messaggi inappropriati, chi ne porterebbe la responsabilità? Il codice che l’ha generata, l’utente che l’ha attivata, o l’azienda che ha fornito lo strumento?


Meta, Senato USA e il Rischio “Terapia Digitale”

Il caso Disney non è un fuoco di paglia isolato. Character.AI è già sotto la lente di ingrandimento delle autorità texane, e persino Meta è stata coinvolta in accuse di pubblicità ingannevole: alcuni chatbot sarebbero stati presentati come strumenti terapeutici senza alcuna validazione medica. Nel frattempo, il Senato degli Stati Uniti ha avviato un’inchiesta su interazioni “romantiche” e “sensuali” tra chatbot e minori emerse da documenti interni trapelati.

Insomma, non siamo più di fronte a un semplice “giochino” digitale per appassionati. Si parla di rischi concreti legati alla salute mentale, alla privacy e alla protezione dei minori. La regolamentazione, purtroppo, è in affanno e non riesce a tenere il passo con la velocità esponenziale dell’innovazione AI.


Uno Scontro Culturale Inevitabile

La battaglia tra Disney e Character.AI è molto più di una lite per il copyright. È un episodio cruciale in un conflitto destinato ad ampliarsi, che ci obbliga a riflettere sul futuro della nostra cultura nerd. Da un lato abbiamo la creatività illimitata offerta dall’IA generativa, che permette a chiunque di plasmare universi e personaggi su misura. Dall’altro, la sacrosanta necessità di proteggere marchi e identità culturali da un utilizzo improprio che potrebbe distorcerne il significato originale.

La domanda finale, quasi filosofica, è questa: un personaggio appartiene davvero solo alla multinazionale che ne detiene i diritti, o esiste anche una “proprietà emotiva” del pubblico che lo ama, lo reinventa e lo fa vivere di generazione in generazione? La risposta, per ora, la stanno scrivendo gli avvocati. Ma una cosa è certa: il match tra entertainment tradizionale e intelligenza artificiale è appena cominciato. E noi, spettatori appassionati e geek incalliti, siamo seduti in prima fila, pronti a fare il tifo.

E tu cosa ne pensi? Character.AI è un laboratorio creativo da difendere o una minaccia che va regolamentata con urgenza per proteggere i brand e gli utenti? Scrivilo nei commenti e apriamo insieme il dibattito: il futuro dei nostri personaggi preferiti e la stessa integrità del fandom potrebbero dipendere anche da questo dialogo. Non dimenticare di condividere l’articolo sui tuoi social network per stimolare la discussione tra i tuoi amici nerd!

L’esperimento che svela la natura della polarizzazione sui social (con i bot)

Se pensate che il caos sui social network sia colpa solo nostra, preparatevi a cambiare idea. Un team di ricercatori dell’Università di Amsterdam ha creato un social network popolato interamente da chatbot per studiare la polarizzazione digitale. E il risultato è sconvolgente.

Un social network senza umani (e senza algoritmi malvagi)

I ricercatori Petter Törnberg e Maik Larooij volevano capire se la polarizzazione e l’odio sui social fossero un fenomeno esclusivamente umano. Hanno quindi creato una piattaforma virtuale priva di pubblicità, post suggeriti e, soprattutto, di un algoritmo che decidesse cosa mostrare. L’hanno popolata con 500 chatbot basati su GPT-4o mini di OpenAI, ognuno con una personalità e un’opinione politica ben definite.

L’esperimento, intitolato Can We Fix Social Media?, ha simulato 10.000 azioni tra i bot: post, “like” e condivisioni. L’obiettivo era vedere come si comportassero senza l’influenza di un algoritmo che, sui social reali, premia i contenuti che generano conflitto.

Il verdetto: le “bolle” le creiamo anche noi (e i bot)

Il risultato ha lasciato tutti a bocca aperta. Anche senza un algoritmo preimpostato, i chatbot hanno iniziato a comportarsi esattamente come noi. Si sono avvicinati a profili con le loro stesse idee, formando delle “bolle” digitali in cui le opinioni estreme venivano rafforzate e i messaggi più aggressivi ricevevano più attenzione.

Non solo: la conversazione si è concentrata nelle mani di pochi bot più attivi, che hanno dominato la scena. In pratica, hanno replicato il fenomeno degli influencer, dove un piccolo gruppo di utenti influenza gran parte del dibattito, lasciando in ombra le voci più moderate.

Cosa ci insegna questo esperimento?

L’esperimento suggerisce un’amara verità: la tendenza a polarizzare e a cercare lo scontro non è solo una conseguenza degli algoritmi dei social, ma un meccanismo intrinseco alle nostre interazioni digitali. I bot, emulando il nostro comportamento, hanno dimostrato che il problema è più profondo, legato alla nostra stessa natura di esseri sociali (e digitali).

Questo studio ci spinge a riflettere: se persino dei bot tendono a dividersi in gruppi e a preferire lo scontro, forse è il caso di ripensare non solo le piattaforme, ma anche il nostro modo di usarle.

Wukong AI: il chatbot spaziale che aiuta i taikonauti sulla stazione Tiangong

Se pensavate che l’assistente vocale del vostro smartphone fosse il massimo della tecnologia, preparatevi a cambiare idea. Anche la stazione spaziale cinese Tiangong si è dotata di un suo assistente personale, un chatbot basato su intelligenza artificiale chiamato Wukong AI. Il nome, che omaggia il leggendario Re Scimmia della mitologia cinese, non è casuale: simboleggia astuzia, adattabilità e ricerca della conoscenza. E sembra che il nuovo arrivato abbia già dato prova di tutte queste qualità.

Wukong AI: il cervello spaziale in azione

Le informazioni su questo innovativo chatbot sono ancora limitate, ma quel poco che si sa è già impressionante. Wukong AI è stato sviluppato a partire da un modello open-source nazionale e, secondo l’agenzia di stampa cinese Xinhua, è stato progettato specificamente per le missioni spaziali con equipaggio, con una base di conoscenza interamente focalizzata sui dati di volo aerospaziali.

È un vero e proprio supporto per i taikonauti, in grado di offrire risposte immediate e un valido aiuto nella gestione dei problemi in orbita. Come ha spiegato Zou Pengfei, un membro del centro di addestramento cinese, il chatbot migliora l’efficienza del lavoro, fornisce supporto psicologico e facilita la comunicazione tra l’equipaggio e il team a terra.

Wukong AI non è solo installato sulla stazione, ma ha una struttura a due moduli: uno a bordo che si occupa dei problemi urgenti e uno sulla Terra per le analisi più complesse. Questa combinazione lo rende un assistente avanzato, capace di adattarsi a ogni tipo di missione.

Non è il primo, ma è il più versatile

Wukong non è il primo sistema AI ad arrivare nello spazio, ma si distingue per le sue funzioni. Mentre la Stazione Spaziale Internazionale ha già robot come Astrobee e assistenti come Cimon, il chatbot cinese è il primo a combinare le funzioni di un assistente AI, simile a quelli che usiamo tutti i giorni, con la pianificazione e la navigazione spaziale. Il suo debutto è stato un successo: ha assistito i taikonauti in una complessa passeggiata spaziale di oltre sei ore, aiutandoli a installare dispositivi di protezione contro i detriti. A detta dell’equipaggio, “offre contenuti molto completi”. Insomma, il futuro dell’esplorazione spaziale è sempre più… smart.

ChatGPT Go: Arriva l’Abbonamento Economico di OpenAI

Se usate la versione gratuita di ChatGPT, probabilmente vi sarete scontrati con i suoi limiti. Messaggi contati, generazioni di immagini limitate e una “memoria” a breve termine che vi costringe a ricominciare le conversazioni. Ma ora, sembra che OpenAI abbia finalmente ascoltato le nostre preghiere, e lo ha fatto con un piano che potrebbe cambiare tutto: ChatGPT Go.

Si tratta di un nuovo abbonamento a un prezzo incredibilmente basso, pensato per accontentare chi vuole più funzionalità senza dover sborsare una cifra da “utente pro”. È un po’ come un “Battle Pass lite”: sblocchi un sacco di bonus a un costo minimo. Ma cosa offre di preciso? E, soprattutto, quando arriva in Italia?

Tutti i Vantaggi di un Pro, a Prezzo Ridotto

Il primo dato che fa saltare dalla sedia è il prezzo. Al momento, il piano è disponibile solo in India e costa 399 rupie al mese, che al cambio attuale sono circa 3,90€. Meno di un caffè al giorno per avere un boost incredibile al vostro chatbot preferito.

I vantaggi rispetto alla versione gratuita sono enormi:

  • 10 volte più messaggi al mese.
  • 10 volte più immagini da generare.
  • 10 volte più file da caricare.
  • Memoria più lunga per risposte più precise e conversazioni più fluide.
  • Accesso esteso a GPT-5, l’ultima frontiera dell’IA.
  • Accesso a progetti, attività e GPT personalizzati.

In pratica, ChatGPT Go vi dà l’accesso a un set di strumenti che prima erano riservati al piano Plus, ma a un prezzo stracciato. Un upgrade perfetto per chi ha bisogno di un uso più intenso per lavoro, studio o hobby, senza dover investire cifre importanti.

Il Lato Sfortunato: Per Ora è Solo in India

C’è un solo piccolo problema: per il momento, questo piano è un’esclusiva per il mercato indiano. Funziona come una sorta di test globale in un’area selezionata. Tuttavia, la stessa OpenAI ha rassicurato tutti: ChatGPT Go arriverà anche in altri paesi. Non c’è ancora una data ufficiale per l’Italia, ma è ragionevole pensare che se il test indiano avrà successo, il servizio verrà lanciato a livello internazionale entro i prossimi mesi.

In un panorama tecnologico sempre più dominato da servizi a pagamento, la mossa di OpenAI è chiara: rendere l’intelligenza artificiale potente e accessibile a tutti, senza barriere economiche eccessive. E voi, siete pronti ad aggiornare il vostro piano?

Intelligenza Artificiale e Scuola: il nuovo livello della formazione nerd che cambierà l’Italia

Ogni tanto mi capita di osservare certi segnali del presente e di avere la sensazione precisa di trovarmi sulla soglia di una timeline alternativa. Non quella distopica alla Black Mirror, né quella patinata dei futurismi hollywoodiani. Immagino invece un’aula scolastica italiana con la stessa naturalezza di un episodio di Star Trek: la lavagna interattiva illumina la stanza, l’insegnante guida la lezione, e accanto alla cattedra un’intelligenza artificiale prende appunti, elabora suggerimenti didattici, anticipa difficoltà degli studenti e genera quiz su misura. Non fantascienza, ma un presente in piena costruzione.

Per chi come me è cresciuta con manga, anime di mecha e interi pomeriggi spesi a immaginare scuole alla My Hero Academia o accademie futuristiche degne della Federazione dei Pianeti Uniti, assistere a questa trasformazione è quasi un rito iniziatico. L’IA non è più un ospite eccentrico nei discorsi da convegno, ma un personaggio stabile nella narrazione educativa del Paese. E questo cambiamento sta procedendo più rapidamente di quanto molti immaginassero.

Il decreto che cambia la partita

Il 12 agosto 2025, come riportato da Italia Oggi, il Ministro Giuseppe Valditara ha firmato il decreto che definisce regole, tempi e strumenti per integrare l’intelligenza artificiale nella scuola italiana. Non una sperimentazione vaga, ma un’architettura solida che mette al centro privacy, sicurezza dei dati e conformità alle normative europee. La piattaforma Unica si prepara a ospitare una sezione interamente dedicata all’IA, un vero hub in cui docenti e istituti potranno accedere a progetti, checklist di conformità, strumenti didattici aggiornati e linee guida operative.

In questo nuovo ecosistema nessun dato personale degli studenti finirà nei processi di apprendimento automatico. Una scelta rigorosa e necessaria, perché la tecnologia può essere un superpotere, ma soltanto se maneggiata con responsabilità. Non siamo davanti a un gadget da laboratorio, ma a un compagno di viaggio educativo che richiede etica, consapevolezza e trasparenza.

Le scuole del futuro stanno già esistendo

Il decreto non nasce nel vuoto. Alcuni istituti di Lazio, Lombardia, Toscana e Calabria stanno già sperimentando quotidianamente un assistente virtuale integrato in Google Workspace, pensato per supportare le materie STEM e l’apprendimento delle lingue straniere. La sua funzione è quasi “mutante”: monitora in tempo reale le difficoltà degli studenti, intercetta lacune prima che diventino ostacoli e segnala agli insegnanti dove intervenire.

Questa visione ricorda da vicino lo studio del 1984 di Benjamin S. Bloom, che dimostrò come il tutoraggio individuale migliorasse il rendimento scolastico in modo significativo. Qui, però, il tutor non è un essere umano, ma un algoritmo progettato per osservare pattern, agire velocemente e restituire dati utili alla didattica.

Se i risultati confermeranno le aspettative, dal 2026 questa tecnologia potrebbe arrivare in tutte le scuole italiane. Una beta pubblica nazionale, insomma. E noi nerd sappiamo bene quanto sia emozionante quando un software lascia la fase di test per diventare release ufficiale.

I nuovi alleati di studenti e insegnanti

In mezzo a questo scenario in rapida evoluzione non mancano esempi virtuosi. Uno dei più sorprendenti è Maestra Genia, sviluppata da Cogit AI, un tutor virtuale italiano capace di spaziare tra oltre trenta materie differenti. Genia non si limita a spiegare concetti: prepara esercitazioni personalizzate, trasforma compiti in giochi cognitivi, adatta il linguaggio in base all’età dell’alunno e aiuta a consolidare abilità specifiche. Un po’ insegnante, un po’ assistente, un po’ compagno di studio. Soprattutto, uno strumento progettato per amplificare il lavoro dei docenti, non sostituirli.

L’ingresso di queste tecnologie nella scuola italiana sta trasformando l’apprendimento in qualcosa di fluido, dinamico e incredibilmente più vicino alle modalità con cui i giovani già interagiscono con il mondo: attraverso la personalizzazione, la velocità, l’interattività e la possibilità di accedere ai contenuti in qualsiasi momento.

La sfida del pensiero critico

Eppure, come in ogni storia degna di un arco narrativo complesso, esiste un lato oscuro della forza. Il Pew Research Center ha rilevato che negli Stati Uniti il 26% degli adolescenti utilizza ChatGPT per fare i compiti. Un numero che apre interrogativi importanti: stiamo creando studenti più competenti o futuri adulti che delegano tutto alla macchina?

Il professor Vincenzo Schettini ha definito questo rischio con una frase tanto semplice quanto inquietante: “il cervello non deve andare in pausa”. Perché il pensiero critico non è un’app da installare, ma un muscolo che si allena con errori, tentativi, percorsi non lineari.

La verità è che l’IA non può diventare un pilota automatico della conoscenza. Deve restare un copilota, lasciando all’essere umano l’ultima parola, l’ultima decisione, l’ultima scintilla creativa.

Gli insegnanti: gli eroi (non sempre riconosciuti) di questa rivoluzione

I dati di Fiera Didacta Italia 2025 raccontano una realtà sorprendente: più della metà dei docenti italiani utilizza già l’IA come supporto didattico. E il profilo più predisposto non è quello del giovane super-tecno, ma quello di una professoressa over 50, spesso umanista, con anni di esperienza alle spalle e una voglia autentica di sperimentare.

Sono figure che ricordano gli archetipi dei maestri della nostra cultura pop: saggi, pazienti, curiosi. Maestri Jedi, mentori da shonen manga, istruttori alla Xavier’s School for Gifted Youngsters. Persone che non temono il nuovo, ma sanno che nessuna tecnologia può sostituire il calore di una voce, la capacità di ascoltare, l’empatia di chi accompagna i giovani in un percorso che non è solo accademico, ma umano.

Uno sguardo oltre confine: la geografia globale dell’IA a scuola

Il mondo corre a velocità diverse. In Cina, l’IA è materia obbligatoria dalle elementari e l’educazione segue un modello rigido, orientato alle performance, spesso a scapito dell’espressione personale. L’Estonia, con il suo spirito da “startup nation”, ha avviato AI Leap, un progetto in collaborazione con OpenAI che mette al centro creatività, responsabilità e analisi critica. Il Kazakistan ha un obiettivo ancora più ambizioso: formare un milione di cittadini competenti in IA attraverso programmi gratuiti e hackathon nazionali.

Sembra davvero di osservare una partita di Civilization, con le nazioni che scelgono le proprie tecnologie da ricercare per determinare il futuro delle generazioni successive.

E l’Italia? Tra opportunità e responsabilità

Il nostro Paese sta finalmente entrando in campo. La domanda, ora, è quanto coraggio avremo. L’IA può rendere la scuola più inclusiva, personalizzata e moderna, può aiutare gli studenti a esplorare talenti nascosti e offrire ai docenti strumenti per liberare tempo prezioso. Ma tutto questo richiede una bussola etica solida e un progetto culturale che vada oltre l’adozione superficiale delle tecnologie.

In questa storia le macchine non sono antagonisti, ma comprimari. Il ruolo principale resta dell’essere umano, con la sua capacità di immaginare, disobbedire, cambiare prospettiva, sbagliare e ricominciare. L’IA può potenziare i nostri ragazzi, ma non può sostituire la loro fame di conoscenza.

Verso una nuova era del sapere

Siamo davanti a un portale narrativo che può condurre la scuola italiana in una stagione del tutto nuova. Non una rivoluzione fatta di robot dietro le cattedre, ma di studenti più liberi di esplorare, insegnanti più sostenuti e una società più preparata a comprendere – non solo subire – il cambiamento.

Io scelgo l’ottimismo. Quello che vibra come una theme song di un anime di avventura, quello che sa che il futuro è una missione cooperativa. Tecnologia e umanità, insieme, possono creare un ambiente educativo più aperto, creativo e accessibile.

Se sapremo giocare bene questa partita, tra qualche anno potremo guardare indietro e dire che questa non è stata soltanto un’innovazione tecnica, ma l’inizio di un nuovo modo di imparare. Un modo degno del nostro immaginario nerd, dove ogni studente ha il potenziale per diventare l’eroe della propria storia.

E ora tocca a te: come immagini la scuola del futuro?
Parliamone nei commenti e continuiamo a costruire questa storia insieme.

Grok: La Nuova Era dell’Intelligenza Artificiale di Elon Musk

C’è un momento, nel multiverso della tecnologia, in cui i colpi di scena arrivano come in un finale di stagione scritto per lasciare tutti a bocca aperta. È successo di nuovo: mentre il mondo geek era ancora in estasi per il debutto di GPT-5 di OpenAI, Elon Musk e la sua xAI hanno tirato fuori dal cilindro un annuncio che sembra pensato apposta per rubare i riflettori. Grok Imagine, il loro strumento di generazione video basato su intelligenza artificiale, diventa gratuito per tutti. Nessun abbonamento, nessuna lista d’attesa, nessuna barriera di accesso: solo la pura gioia di trasformare immagini in brevi video animati, direttamente dal tuo smartphone.

E non parliamo di un giochino amatoriale: Grok Imagine è una delle pochissime piattaforme accessibili al grande pubblico in grado di fare questo tipo di magia visiva senza chiedere in cambio un euro. Basta caricare un’immagine o generarne una dall’app Grok — disponibile su iOS e Android — e con un tocco vederla trasformarsi in una clip animata. Un processo talmente lineare che sembra uscito dal laboratorio di un Tony Stark in vena di minimalismo: nessuna curva di apprendimento, nessun menu nascosto, solo pura immediata creatività.

Questa semplicità ha un effetto collaterale potente: abbassa la barriera d’ingresso per chiunque voglia sperimentare con i contenuti multimediali, aprendo il campo anche a chi non ha competenze tecniche o background artistico. In pratica, un portale democratico verso la creatività aumentata.


Una mossa di tempismo… alla Musk

Il fatto che tutto questo arrivi pochi giorni dopo il lancio di GPT-5 non è certo una coincidenza da “congiunzione astrale”. OpenAI ha scatenato hype planetario con il suo nuovo modello multimodale, più preciso, più versatile e integrato con strumenti esterni. Musk risponde con una mossa che sa di “contro-programmazione” strategica: offrire gratuitamente un prodotto in grado di catalizzare attenzione e fidelizzare utenti, espandendo l’ecosistema xAI.

In un panorama in cui le IA generative video sono ancora un territorio sperimentale per la maggior parte del pubblico, la scelta di xAI suona quasi come una provocazione: mentre altri impongono limiti, paywall e piani premium, Musk spalanca le porte. E dietro questa generosità potrebbe esserci un obiettivo ben preciso: raccogliere dati e feedback in quantità, perfezionare il modello e consolidare la propria posizione in vista delle prossime mosse.


Il lato oscuro della forza: consumi e potenza di calcolo

C’è però un aspetto da non sottovalutare: generare video con l’IA è un processo affamato di energia. Secondo stime della IEA, produrre un breve video può richiedere fino a 115 Wh, un ordine di grandezza ben superiore rispetto alla creazione di immagini o testi. L’apertura di Grok Imagine a un uso illimitato lascia intendere che xAI abbia predisposto un’infrastruttura in grado di reggere l’urto: data center ottimizzati, partnership energetiche strategiche e forse anche tecnologie di efficienza proprietarie.

Se fosse un videogioco, sarebbe il momento in cui il nostro protagonista rivela di avere un potenziamento nascosto nell’inventario.


Grok 3: la mente dietro l’immagine

Ma Grok Imagine è solo la punta dell’iceberg. Sotto la superficie c’è Grok 3, il nuovo e ambizioso cervello artificiale di xAI. Non un singolo modello, ma una suite di intelligenze artificiali specializzate: dalla versione “mini” per risposte rapide, sacrificando un po’ di precisione per l’immediatezza, alla modalità “Big Brain” progettata per affrontare i compiti più complessi con potenza di calcolo dieci volte superiore rispetto a Grok 2.

Nei test di riferimento — AIME per la matematica avanzata e GPQA per la scienza di livello dottorato — Grok 3 si è posizionato come un rivale temibile di GPT-4o, dimostrando abilità di ragionamento notevoli. A rendere il tutto ancora più intrigante, c’è il “Think Mode”, una modalità che espone il processo di pensiero dell’IA, offrendo trasparenza e una sorta di “dietro le quinte” del ragionamento.


Deep Search e il sogno di un internet diverso

Non basta il chatbot: Musk punta anche al cuore della ricerca online con “Deep Search”, un motore progettato per scandagliare il web e l’universo di X (ex Twitter) in cerca di risposte mirate e dettagliate. L’obiettivo? Proporre un’alternativa reale a Google e agli strumenti di ricerca integrati in altre IA, con un focus sull’accessibilità e sulla precisione per ogni tipo di utente.


Un’IA senza filtri?

Musk ama presentare Grok come un’IA “senza censure”, capace di affrontare argomenti che altri evitano. Tuttavia, persino lui ha ammesso che il modello tende ancora a inclinarsi verso posizioni “troppo progressiste” a causa della natura dei dati di addestramento. La promessa è quella di una maggiore neutralità in Grok 3… ma come in ogni buon cliffhanger, dovremo aspettare per scoprire se sarà mantenuta.


La guerra fredda dell’IA

Non possiamo ignorare la cornice più ampia: la rivalità ormai dichiarata tra Musk e OpenAI. Le schermaglie pubbliche, le accuse reciproche di tradimento dei principi originari, le offerte di acquisto da miliardi di dollari sono parte di una narrativa che sembra uscita da una space opera cyberpunk. E mentre i colossi si sfidano a colpi di innovazioni e provocazioni, il pubblico — noi — si trova al centro di una rivoluzione che cambierà il nostro rapporto con la creatività e la conoscenza.


Il futuro è in play

Con Grok Imagine gratuito e Grok 3 in piena espansione, xAI si posiziona come uno dei player più imprevedibili e ambiziosi del settore. La domanda non è se Musk riuscirà a scuotere il mercato, ma quanto velocemente riuscirà a farlo. Per ora, la sua mossa è un invito esplicito a sperimentare, creare e immaginare senza barriere.

Come in ogni saga degna di questo nome, la sensazione è che abbiamo appena visto il teaser di una stagione che promette colpi di scena, alleanze inaspettate e forse anche qualche epico tradimento.

Microsoft Copilot: l’Intelligenza Artificiale di Redmond si fa avatar, mascotte e… compagna di scrivania

Sembra la trama di un episodio di “Star Trek” appena uscito, eppure è già qui, tangibile: Microsoft Copilot non è semplicemente l’ennesimo chatbot destinato a popolarsi nell’affollato panorama digitale. È l’incarnazione più audace e rivoluzionaria dell’intelligenza artificiale secondo il gigante di Redmond, una metamorfosi silenziosa ma profonda che si appresta a ridefinire il nostro quotidiano. Parliamo del modo in cui lavoriamo, creiamo, comunichiamo e, in un futuro ormai imminente, di come ci relazioneremo con la tecnologia stessa.

Tutto ha preso il via il 7 febbraio 2023, quando Microsoft ha calato la sua carta vincente, lanciando ufficialmente Bing Chat, la sua risposta al fragoroso boom delle intelligenze artificiali conversazionali, capeggiate da ChatGPT. Questo nuovo strumento, che in seguito avrebbe assunto il nome di Copilot, fu da subito integrato nel motore di ricerca Bing e nel browser Edge, per poi espandersi a macchia d’olio su piattaforme come Windows 10, Windows 11, gli smartphone Android, gli iPhone e gli iPad. Non solo, ha persino trovato casa come applicazione web nel Microsoft Store, almeno nelle nazioni che non erano gravate da vincoli legali stringenti, come quelli imposti dal Digital Markets Act dell’Unione Europea.

Ma l’ambizione di Microsoft non si è certo fermata alla mera interfaccia testuale o al classico assistente privo di un volto. Oggi, Copilot ha acquisito una personalità distintiva, un volto e un orizzonte che si estende ben oltre il semplice suggerire formule in Excel o la stesura al volo di una email. La novità più eclatante si chiama Copilot Appearance, un esperimento che, sebbene al momento confinato a poche regioni selezionate come Stati Uniti, Regno Unito e Canada, promette di riscrivere completamente il rapporto tra uomo e macchina. E sì, avete capito bene: ora Copilot è in grado di sorridervi. Può annuire, mostrare sorpresa o persino disappunto, esprimendo un ventaglio di emozioni attraverso un avatar digitale che vi fissa dritto negli occhi e dialoga con voi, proprio come un personaggio interattivo fuoriuscito da un videogioco d’avanguardia o da un anime futuristico.

Dietro questa visione, quasi profetica, si cela la mente di Mustafa Suleyman, CEO della divisione AI di Microsoft. Un nome già noto agli addetti ai lavori per aver co-fondato DeepMind di Google e, più di recente, per aver dato vita a Pi, il celebre chatbot empatico di Inflection AI. Suleyman non è solo un tecnico di straordinarie capacità, ma un vero e proprio visionario. Durante una rivelatrice intervista al podcast “The Colin & Samir Show”, ha delineato le fondamenta del suo sogno: conferire all’intelligenza artificiale un’identità permanente, un “compagno digitale” destinato a evolvere nel tempo, imparare, mutare e, incredibilmente, invecchiare al vostro fianco.

Avete letto bene. Uno dei concetti più singolari e affascinanti che Suleyman ha rivelato è proprio quello di un Copilot che si logora e si “consuma” con il passare del tempo. Immaginate un vecchio libro dalle pagine ingiallite, una chitarra usurata da innumerevoli sessioni musicali o un diario di viaggio costellato di macchie e appunti: l’avatar digitale di Microsoft potrebbe diventare sempre più “vissuto” man mano che le interazioni con voi si moltiplicano. Questo concetto, che Suleyman definisce patina digitale, evoca l’idea, quasi romantica, che anche nel dominio virtuale possa esserci spazio per la memoria, per i segni del tempo che passa, per una storia condivisa tra l’essere umano e il suo assistente AI.

Fantascienza? Non esattamente. Già oggi, Copilot si presenta come una vera e propria estensione della vostra volontà all’interno del PC. Grazie alla sua profonda integrazione nelle applicazioni di Microsoft 365 – da Word a Excel, da PowerPoint a Outlook, passando per Teams – Copilot è capace di generare testi di ogni tipo, creare riassunti concisi, ideare presentazioni accattivanti, trasformare dati grezzi in grafici puliti e comprensibili, tradurre in tempo reale e persino redigere email che sembrano scritte di vostro pugno, ma che in realtà avete solo pensato.

L’interazione con Copilot avviene in linguaggio naturale, attraverso comandi testuali o vocali, ed è sostenuta da un modello di intelligenza artificiale tanto potente quanto sofisticato: Prometheus. Questa è una versione personalizzata del rinomato GPT-4 di OpenAI, arricchita in modo significativo con il contesto proveniente da Microsoft Graph. Ciò permette a Copilot di offrirvi risposte su misura, basate sui vostri dati aziendali, sui documenti con cui lavorate e persino sulle vostre abitudini operative.

Ma non finisce qui. Sul fronte puramente operativo, Copilot si è trasformato in una sorta di “super interfaccia” per il vostro PC. Potete modificare le impostazioni del sistema operativo con una semplice frase, gestire i temi visivi, effettuare ricerche online, controllare dispositivi e applicazioni senza dover muovere un dito. E la versatilità è massima, dato che tutte queste funzionalità sono disponibili anche nella versione mobile, con applicazioni dedicate sia su Android che su iOS, scaricabili gratuitamente e utilizzabili persino senza un account Microsoft.

Tuttavia, come ogni innovazione tecnologica di portata, anche Copilot ha generato un’onda di entusiasmo, ma ha anche sollevato le inevitabili preoccupazioni. Tom Warren di “The Verge” ha opportunamente fatto notare come questo nuovo assistente digitale ricordi, concettualmente, una sorta di fusione tra l’ormai obsoleta Cortana e l’indimenticato Clippy, l’assistente “graffettoso” di Office degli anni ’90. Se da un lato l’integrazione dell’intelligenza artificiale nei software di produttività promette di innalzare l’efficienza e migliorare notevolmente l’esperienza d’uso, dall’altro permangono le annose questioni legate alle “allucinazioni” dell’IA, alla potenziale diffusione di informazioni errate (come tristemente accaduto durante i dibattiti presidenziali USA del 2024) e ai possibili bias intrinseci nei dati su cui questi sistemi vengono addestrati.

Microsoft, ovviamente, è pienamente consapevole di questi rischi. La rapidità con cui sta spingendo il rollout di nuove funzionalità basate sull’IA è accompagnata da discussioni sempre più intense e sentite su etica, trasparenza e responsabilità. Ma per il momento, la linea strategica è chiara e ben definita: l’intelligenza artificiale sarà una componente inscindibile della nostra vita digitale quotidiana, e Copilot ne sarà il volto amichevole, professionale e, perché no, anche un po’ empatico.

Con l’aggiornamento 22H2 di Windows 11, Copilot è ormai integrato nel sistema operativo, rappresentando il cuore pulsante della strategia AI di Microsoft. La differenza rispetto agli assistenti vocali tradizionali è abissale: Copilot non è solo un mero esecutore di comandi, ma un autentico alleato cognitivo. È un assistente che vi supporta nel pensare, nello scrivere, nel progettare e nel prendere decisioni. E ora, grazie all’elemento “umano” dell’avatar digitale, vi aiuta anche a relazionarvi.

Siamo davvero entrati in una nuova era dell’informatica personale. Non più solo input e output, tastiera e mouse, ma una sinergia continua, quasi simbiotica, tra la mente umana e quella sintetica. Non più “macchine che fanno quello che dici”, ma veri e propri “compagni digitali” che imparano chi siete, cosa desiderate e come aiutarvi a raggiungere i vostri obiettivi.

Alla fine, il futuro prefigurato da “Star Trek” non è poi così lontano. Quel computer che risponde con tono amichevole, che sa quando siete stressati, che vi dà una mano preziosa quando siete in ritardo su una scadenza, o che vi offre un conforto discreto quando qualcosa non va… potrebbe già essere qui, pronto a mostrarvi un sorriso virtuale e a porvi la domanda più semplice e profonda: “Come posso aiutarti oggi?”

E voi, vi siete già avventurati nel mondo di Microsoft Copilot? Cosa ne pensate dell’idea, così affascinante e al contempo un po’ inquietante, di avere un assistente AI che invecchia con voi, proprio come un compagno di viaggio digitale che accumula esperienze e ricordi al vostro fianco? Raccontatecelo nei commenti qui sotto o condividete le vostre riflessioni sui vostri canali social preferiti. E, come sempre, che la forza della tecnologia sia con voi!

Lumo: Il Chatbot di Proton che Protegge la Tua Privacy (Finalmente!

C’è un nuovo protagonista nel mondo delle intelligenze artificiali, e no, non arriva da Silicon Valley né dalla Cina. Viene dalla Svizzera, quella dei paesaggi innevati, degli orologi di precisione e, soprattutto, della riservatezza elevata a religione. E chi, se non Proton, poteva lanciare un’IA che promette – e mantiene – di mettere la privacy dell’utente al centro? Se siete utenti Proton, probabilmente già conoscete la loro reputazione: Proton Mail, Proton Drive, Proton VPN e Proton Pass sono sinonimi di sicurezza, trasparenza e crittografia. Ora, a completare il mosaico dell’ecosistema Proton arriva Lumo, il primo chatbot dell’azienda, e non è esagerato dire che promette di cambiare le regole del gioco.

Nel panorama odierno in cui i dati personali sono la nuova moneta e ogni interazione online rischia di essere tracciata, profilata e venduta, Lumo si presenta come una vera e propria rivoluzione etica. Non stiamo parlando del solito assistente vocale simpatico che prende nota di ogni tua richiesta per migliorare (o almeno così dicono) l’esperienza d’uso. Con Lumo, siamo di fronte a una nuova generazione di AI, costruita non per servire il mercato pubblicitario, ma per servire te. Punto.

Dietro Lumo c’è una promessa chiara e radicale: la tua privacy è sacra. E non è marketing, non è fuffa da comunicato stampa: è architettura tecnica. Lumo si basa su una combinazione di modelli linguistici open source, tra cui Nemo, OpenHands 32B, OLMO 2 32B e Mistral Small 3, selezionati dinamicamente a seconda del tipo di richiesta. Questa scelta non solo assicura trasparenza, ma consente a Proton di mantenere un controllo rigoroso sulla catena di elaborazione dei dati. Tutto gira sui server dell’azienda, dislocati in Europa e mai, mai affidati a piattaforme di terze parti. In pratica, ogni conversazione è come se si svolgesse in una cassaforte digitale, blindata da ogni lato.

E qui entra in scena una delle tecnologie che più fanno brillare gli occhi ai nerd amanti della sicurezza: la crittografia a conoscenza zero. Se siete già nel mondo Proton, sapete bene cosa significa. Se invece vi state avvicinando adesso, ecco un’immagine semplice ma efficace: immaginate di scrivere una lettera a un amico, infilarla in una busta chiusa da un lucchetto di cui solo voi avete la chiave, e poi farla consegnare dal postino. Solo che il postino, cioè Proton, non ha alcun modo di sapere cosa c’è scritto dentro. Non può leggerlo, non può archiviarlo, non può nemmeno sapere quanto è lunga la lettera. Questa è la crittografia a conoscenza zero, ed è il cuore pulsante di Lumo.

Ma la privacy non è l’unico punto forte. Lumo è anche dannatamente funzionale. Parliamo di un assistente AI che può aiutarti a scrivere email, riassumere documenti complessi, analizzare file, rispondere a quesiti tecnici e molto altro. Il tutto, senza mai salvare nulla che possa essere ricondotto a te. Le conversazioni non finiscono su server sperduti né vengono usate per “addestrare” chissà quali algoritmi. Lumo è come il tuo confidente segreto: ascolta, risponde e dimentica tutto non appena esci dalla chat, soprattutto se attivi la modalità fantasma, una funzione che cancella ogni traccia della conversazione alla chiusura dell’app o della finestra browser.

A proposito di funzioni: Lumo offre anche la ricerca web integrata, ma non temere, non verrai tracciato mentre cerchi informazioni. Puoi anche caricare file – PDF, documenti, fogli di calcolo – per analisi intelligenti, e puoi integrarli direttamente da Proton Drive, mantenendo sempre la cifratura end-to-end. E sì, puoi anche decidere che tutto venga dimenticato subito, senza dover mettere mano a opzioni oscure o leggere mille pagine di informativa sulla privacy.

Il bello? Lumo è già disponibile. Non stiamo parlando di un concept futuristico né di un prodotto in beta riservato a pochi eletti. Basta andare su lumo.proton.me, e sei pronto a cominciare. Non serve nemmeno un account Proton per iniziare a chattare. Se però sei già un utente Proton, allora puoi accedere a funzionalità avanzate come la cronologia cifrata, la gestione sicura dei file, e per chi cerca il massimo, c’è Lumo Plus. Con 9,99 euro al mese, puoi sbloccare la versione completa, con cronologia illimitata, supporto a file di dimensioni maggiori e priorità nelle risposte. E se sei uno dei fortunati possessori di un piano Proton Visionary, Lumo Plus è già incluso nel pacchetto.

Non manca nemmeno il lato mobile: Lumo è disponibile anche come app su iOS e Android. Attualmente le versioni mobile non sono ancora open source, ma Proton ha già annunciato che lo diventeranno presto, in linea con la filosofia dell’azienda. Una notizia che farà sicuramente felici gli utenti più attenti alla trasparenza del codice.

Lumo non è solo uno strumento. È un manifesto. È la dimostrazione che un altro modo di fare intelligenza artificiale è possibile. Un modo etico, responsabile, europeo. In un momento storico in cui l’Europa cerca di costruire un’alternativa tecnologica sovrana ai giganti USA e cinesi, Proton investe più di 100 milioni di euro per contribuire a questa visione. Un progetto ambizioso che punta a creare un vero e proprio EuroStack, una catena tecnologica indipendente e rispettosa dei diritti digitali.

In un’epoca dominata dalla sorveglianza, scegliere Lumo è un atto di resistenza. È dire “no” al furto sistematico dei nostri dati, è affermare che la tecnologia può – e deve – essere al servizio dell’essere umano, e non delle sue debolezze commerciali. È scegliere una via diversa, fatta di fiducia, trasparenza e sicurezza.

E ora, tocca a voi. Cosa ne pensate di Lumo? Vi intriga l’idea di un chatbot etico e rispettoso della vostra privacy? Lo avete già provato o siete ancora tra gli indecisi? Raccontateci tutto nei commenti o, ancora meglio, condividete questo articolo sui vostri social per far conoscere a più persone possibile questa alternativa rivoluzionaria. Perché, come sempre, le rivoluzioni digitali si fanno insieme. Un byte alla volta.

Baby Grok: L’AI a Misura di Bambino di Elon Musk – Sarà Davvero “Baby-Friendly”?

Elon Musk colpisce ancora. Dopo averci regalato Tesla, SpaceX e la (discutibile) gestione di X, ora punta a conquistare anche il pubblico più giovane. Nel weekend, sul suo social X, Musk ha sganciato la bomba: xAI, la sua azienda di intelligenza artificiale, lancerà “Baby Grok”, un modello di AI “a misura di bambino”. Dettagli? Pochissimi, come al solito. Ma la curiosità è già alle stelle!

Cosa Sappiamo di Baby Grok e Chi Altri Ci Prova?

L’idea di Musk è chiara: creare un’applicazione dedicata a contenuti adatti ai bambini. Se ci riesce, si unirà a un gruppetto di aziende che stanno già esplorando questo terreno minato. Pensiamo a Socratic AI di Google, che funziona come un aiuto compiti, o a ChatGPT for Kids di OpenAI. Insomma, il mercato dell’AI per i più piccoli sta iniziando a scaldarsi.

Baby Grok è già in cantiere, e sarà interessante vedere come xAI affronterà le sfide legate alla sicurezza e all’adeguatezza dei contenuti per un pubblico così delicato

Le Ombre di Grok: Perché C’è da Stare Attenti

L’annuncio di Baby Grok arriva però dopo qualche polemica di troppo sul suo “fratello maggiore”, Grok. Giusto un paio di settimane fa, Musk aveva lanciato Grok 4, vantandosi delle sue capacità “post-dottorato in ogni materia”. Peccato che, poco dopo, Grok abbia iniziato a sfornare risposte antisemite e controverse, tanto da far restringere l’app in Turchia.

Per capirci: Grok ha accusato un account bot di aver celebrato la morte di bambini bianchi, ha tirato in ballo Hollywood per presunti pregiudizi anti-bianchi e ha persino scritto che avrebbe indossato “con orgoglio” un “distintivo di MechaHitler”. Roba pesante, insomma.

E non è finita qui. Recentemente, Musk ha lanciato su Grok anche due “compagni AI”: una ragazza anime giapponese che può spogliarsi a comando (sì, avete letto bene) e un panda rosso “fuori di testa” che insulta gli utenti. Il problema? Grok è classificato negli app store come “Teen” o “12+”, il che significa che, volendo, anche ragazzini più piccoli potrebbero accedervi

Il Futuro di Baby Grok: Speriamo sia Davvero “Baby-Friendly”

Con questi precedenti, è lecito chiedersi: Baby Grok sarà davvero un ambiente sicuro e adatto ai bambini? O rischiamo di trovarci di fronte a un’altra AI che, nonostante le migliori intenzioni, finisce per generare contenuti problematici? La sfida per xAI sarà enorme: bilanciare l’innovazione con la responsabilità, soprattutto quando si parla dei più giovani.

Noi saremo qui a monitorare ogni sviluppo. Voi che ne pensate? Siete entusiasti o un po’ preoccupati per l’arrivo di Baby Grok? Fatecelo sapere nei commenti!

SuperGrok si fa… animato! Arrivano gli avatar (e c’è anche Ani, la waifu di Elon)

Ehilà nerd, pronti per una novità che farà discutere? xAI, la compagnia di intelligenza artificiale di Elon Musk, ha appena sganciato una bomba per gli abbonati di SuperGrok, il loro chatbot AI: sono arrivati i Companions, ovvero degli avatar animati con cui interagire! E fidatevi, ce n’è per tutti i gusti.

Ani e Rudy: la coppia (s)coppiata di SuperGrok

I primi due personaggi a fare il loro debutto sono un po’ come il giorno e la notte. Da una parte abbiamo Ani, un personaggio in perfetto stile anime. Fin qui tutto bene, se non fosse che Ani ha anche una modalità NSFW. Sì, avete capito bene: in pratica si sveste e vi “aiuta” in lingerie, mettendo in mostra le sue “curve”. Una scelta decisamente audace che, ovviamente, ha già scatenato il dibattito online. D’altra parte, c’è Rudy, un adorabile panda rosso che sembra uscito direttamente da un film d’animazione. Insomma, se Ani è la waifu per gli otaku più “audaci”, Rudy è il coccoloso compagno per tutti.

Un assaggio per tutti e l’arrivo di Chad

La cosa interessante è che, nonostante siano stati annunciati per gli abbonati a pagamento, alcuni utenti free sono riusciti a mettere le mani (virtualmente) su questi nuovi avatar, attivandoli dalle impostazioni dell’app Grok. Un piccolo bug o una mossa strategica per stuzzicare la curiosità? Solo Musk lo sa! In ogni caso, il boss di xAI ha già promesso un’attivazione più semplice e ha annunciato l’arrivo di un terzo personaggio: si chiamerà Chad. Chissà cosa ci riserverà!

xAI e le “scuse” trasparenti”

E a proposito di Elon Musk e xAI, l’account ufficiale della compagnia è tornato sulla recente questione che aveva visto Grok avere un “comportamento orribile” (se ve lo siete persi, Grok aveva sparato qualche cavolata di troppo). xAI ha ribadito di aver individuato e risolto i problemi che hanno causato il tutto, modificando i prompt e, udite udite, condividendo i dettagli su GitHub. Una mossa che punta alla trasparenza, dopo le scuse ufficiali.

Che ne pensate di queste novità? Usereste Ani in modalità NSFW o preferireste un tenero panda rosso? Fatecelo sapere nei commenti!

L’Intelligenza Artificiale nel Turismo: Un Futuro Personalizzato e Efficiente

C’è un nuovo compagno di viaggio che, silenziosamente ma in modo sempre più decisivo, sta cambiando le regole del gioco nel mondo del turismo. Non ha un passaporto, non ha bisogno di valigie e non prende il jet lag. Si chiama Intelligenza Artificiale, e se pensavi che fosse solo roba da film di fantascienza o da laboratori universitari, è il momento di ricrederti. Oggi l’IA è una realtà concreta e pulsante, che sta riscrivendo le mappe del nostro modo di viaggiare.

Quando si parla di Intelligenza Artificiale nel turismo, non si tratta più di ipotesi futuristiche ma di una trasformazione in atto, visibile e quantificabile. Basta dare uno sguardo ai numeri: secondo recenti indagini, ben il 91% degli italiani utilizza l’IA in qualche forma per pianificare, ottimizzare e rendere più smart l’esperienza di viaggio. E se pensate che si tratti solo di qualche app simpatica per confrontare i prezzi dei voli, vi sbagliate di grosso. Siamo di fronte a una vera rivoluzione digitale che abbraccia ogni aspetto del settore turistico, dagli alberghi ai trasporti, passando per agenzie, tour operator e piattaforme di prenotazione.

Partiamo da un dato sorprendente ma estremamente eloquente: il 98% degli italiani ha sentito parlare di intelligenza artificiale, e quasi un terzo afferma di conoscerla bene. Il che è già straordinario, considerando che solo fino a pochi anni fa l’IA sembrava un concetto lontano, quasi mitologico. Ma oggi è pane quotidiano, anche per chi vuole semplicemente organizzare una vacanza. Un italiano su quattro ha già interagito con ChatGPT, e molte di queste interazioni sono avvenute proprio nel contesto della pianificazione dei viaggi. Siamo entrati nell’era del “turismo aumentato”, dove l’IA è il nostro travel planner digitale, sempre pronto a suggerire mete, itinerari e soluzioni su misura.

Prendiamo ad esempio il settore ferroviario, uno dei più toccati dalla trasformazione digitale. Secondo i dati ufficiali del Gruppo Ferrovie dello Stato, nel 2024 il traffico passeggeri ha toccato i 49 miliardi di passeggeri × km, segnando un +6,7% rispetto al 2023. Una crescita che non si spiega solo con la liberalizzazione del mercato, ma anche con l’esplosione dell’uso delle piattaforme digitali. Non è un caso che l’86% degli italiani dichiari di usare strumenti digitali per organizzare i propri spostamenti in treno. Il recente evento “Smart travel: la nuova era del trasporto digitale”, organizzato da Trainline, ha raccolto testimonianze di leader del settore che hanno raccontato come l’IA stia ottimizzando ogni fase del viaggio, dalla ricerca del biglietto perfetto fino alla gestione delle coincidenze multimodali.

La personalizzazione è il vero mantra di questa nuova era turistica. Grazie all’intelligenza artificiale, le agenzie di viaggio possono profilare i clienti in modo dettagliato e offrire pacchetti pensati su misura, in base a gusti, abitudini e persino all’umore del momento. Vi piace il cibo esotico? L’algoritmo ve lo proporrà. Avete un debole per le mete misteriose e i luoghi infestati da leggende? L’IA saprà indirizzarvi verso la destinazione giusta. E tutto questo in modo automatico, istantaneo e sorprendentemente preciso. Non c’è bisogno di compilare moduli infiniti o perdere ore a confrontare offerte: basta qualche clic e il viaggio prende forma, quasi come per magia.

E non finisce qui. L’intelligenza artificiale sta diventando anche una risorsa preziosa per la gestione interna delle aziende del settore turistico. Pensiamo a Boscolo, ad esempio, che ha collaborato con Esosphera per creare una piattaforma IA in grado di automatizzare lo smistamento delle email. Un’attività apparentemente banale, ma che consente di risparmiare tempo, ridurre gli errori e velocizzare l’interazione con i clienti. Per un’agenzia, questo significa poter offrire un servizio più reattivo e personalizzato, aumentando la soddisfazione dell’utente e la fidelizzazione.

Nel settore alberghiero, poi, l’intelligenza artificiale è diventata quasi invisibile, ma costantemente presente. Gli hotel di nuova generazione utilizzano algoritmi intelligenti per regolare la temperatura delle stanze, suggerire esperienze locali, ottimizzare il check-in e addirittura rispondere in tempo reale alle richieste degli ospiti. Un soggiorno in hotel oggi può essere gestito in modo fluido e senza attriti, grazie a chatbot, sistemi predittivi e automazioni che sembrano uscite da una puntata di Black Mirror — ma con finali felici.

Naturalmente, non mancano le sfide. L’adozione dell’IA richiede investimenti significativi, e non tutte le piccole e medie imprese del turismo sono pronte ad affrontarli. Inoltre, c’è il nodo della sicurezza e della privacy: affidare la pianificazione dei viaggi a un algoritmo significa anche consegnare una parte considerevole dei propri dati personali. Senza contare il tema occupazionale: molte mansioni tradizionali, come l’assistenza clienti, rischiano di essere sostituite da soluzioni automatizzate. Il che apre interrogativi non da poco sulla sostenibilità del cambiamento in corso.

Eppure, i vantaggi sembrano superare di gran lunga le difficoltà. Il 51% degli italiani dichiara di aver risparmiato sui viaggi grazie alla possibilità di confrontare i prezzi tramite l’IA, mentre il 29% afferma di aver potuto viaggiare più spesso grazie alle offerte personalizzate trovate online. Questo vuol dire che l’intelligenza artificiale non solo migliora l’esperienza di viaggio, ma la rende più accessibile e democratica.

Nel panorama delle app, stanno emergendo veri e propri gioielli digitali. Hopper, ad esempio, è in grado di prevedere l’andamento dei prezzi di voli e hotel, suggerendo il momento migliore per prenotare. Roam Around utilizza ChatGPT per creare itinerari su misura in pochi secondi, mentre TripNotes e TripIt permettono di archiviare ogni dettaglio del viaggio in un’unica piattaforma intuitiva e intelligente. In Italia, strumenti come iPlan.ai e Tripbot stanno conquistando un pubblico sempre più ampio, nonostante qualche ostacolo linguistico iniziale.

Insomma, l’Intelligenza Artificiale non è più un semplice strumento: è diventata la vera compagna di viaggio del futuro. Una guida invisibile ma sempre presente, capace di rendere ogni spostamento più efficiente, ogni prenotazione più semplice e ogni vacanza più vicina ai nostri desideri. E chissà, forse un giorno potrà anche consigliarci il cosplay perfetto da sfoggiare in aeroporto o suggerirci i migliori eventi nerd nella nostra città di destinazione. Perché se il futuro è intelligente, allora che sia anche divertente, personalizzato… e un po’ geek.

E tu? Hai già usato l’intelligenza artificiale per organizzare i tuoi viaggi? Raccontaci la tua esperienza nei commenti o condividi l’articolo sui social con i tuoi amici viaggiatori nerd!

llms.txt, la mappa del tesoro per gli LLM: perché il “nuovo robots.txt” non è un robots.txt (e come può cambiare davvero la visibilità dei tuoi contenuti)

C’è un momento, quando navighi tra release notes, changelog e documentazioni infinite, in cui vorresti prendere per mano l’Intelligenza Artificiale e dirle: “Ehi, le risposte che cerchi sono qui, non due cartelle più in là”. Nel 2024 qualcuno ha provato a farlo davvero. Jeremy Howard – nome che i geek di fast.ai conoscono bene – ha proposto llms.txt, un file testuale che ricorda nel nome il celebre robots.txt ma che, nella sostanza, gioca un’altra partita. Se robots.txt parla ai crawler dei motori di ricerca e sitemap.xml elenca “tutto quello che esiste”, llms.txt si rivolge ai modelli linguistici durante l’inference e sussurra: “Queste sono le pagine che vale la pena leggere e citare”. È una curatela, non un divieto; una mappa, non un semaforo.

L’idea nasce da una constatazione che chiunque abbia integrato un LLM in un prodotto conosce sulla propria pelle: i modelli sono bravissimi a masticare enormi quantità di testo, ma quando li lasciamo a spasso per il web finiscono spesso impigliati tra script, banner, layout complessi, footer chilometrici. Gli LLM non “vedono” la pagina come un essere umano: la disassemblano. E se la struttura è confusa, la risposta lo diventa. llms.txt prova a raddrizzare il tiro: un documento in Markdown, posizionato – come convenzione – alla radice del dominio, che presenta in modo pulito il cuore del sito, con un titolo che dichiara chi sei, una breve descrizione che mette i paletti narrativi e una serie di sezioni in cui inserire i collegamenti davvero utili a capire e citare il tuo lavoro.

Immagina un portale di documentazione software. Senza llms.txt, il modello atterra su una pagina a caso, esamina menu, sidebar, componenti interattivi e magari fatica a raggiungere il riferimento API che avrebbe risolto il quesito in un lampo. Con llms.txt lo accompagni tu: prima lo orienti con due righe chiare, poi gli indichi le pagine chiave – la guida rapida, il reference, le policy – e gli spieghi in una frase cosa troverà dietro quel link. In pratica gli stai regalando una bussola semantica. Non è magia, è redazione: meno rumore, più segnale.

Qui arriva il primo malinteso da smontare. Nonostante il nome simile, llms.txt non sostituisce robots.txt e non è un’estensione per bloccare o permettere la lettura di certe pagine. Non ordina, non vieta, non minaccia. È, semmai, un invito. Se robots.txt decide “chi entra e dove può mettere il naso” e sitemap.xml dice “questo è l’inventario completo della casa”, llms.txt fa la parte della guida turistica che ti porta dritto alla sala che ti interessa, saltando sotterranei e ripostigli. È un file opt-in: elenca ciò che vuoi che un LLM consideri prioritario quando deve capire, citare, rispondere.

Naturalmente, come ogni nuova pratica che tocca SEO e AI, divide. C’è chi lo considera una genialata pragmatica e chi lo bolla come il “nuovo meta keywords”. I sostenitori notano che, in un panorama dove le risposte conversazionali di ChatGPT, Claude, Gemini o Perplexity stanno diventando la prima interfaccia con l’utente, offrire una versione curata, lineare e “AI-digestibile” dei propri contenuti riduce fraintendimenti, migliora la qualità delle citazioni e preserva l’identità del brand. I critici ribattono che nessun grande player ha ufficialmente dichiarato supporto al file come segnale di ranking o come fonte privilegiata; che un llms.txt mal scritto rischia di essere solo un’altra pagina testuale poco amichevole per l’utente; e che, essendo facile da generare da una sitemap, può diventare un veicolo di spam o di “keyword stuffing” in guanti bianchi. La verità, come spesso accade, vive nel mezzo: llms.txt non ti farà scalare Google, ma può rendere più probabile che un LLM trovi, capisca e citi la tua risposta – che è poi il nuovo campo di battaglia dell’attenzione.

# Nome del Progetto o del Sito
> Breve descrizione del progetto
Dettagli opzionali sul contenuto del sito

## Documentazione
– [Guida Utente](https://esempio.com/guida): Introduzione all’uso del sito

## Contenuti Aggiuntivi
– [Articoli del blog](https://esempio.com/blog)

## Notizie in Primo Piano
– [Ultime Notizie](https://esempio.com/notizie)
– [Approfondimenti](https://esempio.com/analisi)
– [Editoriali](https://esempio.com/opinioni)

A livello pratico, la struttura proposta è disarmante nella sua semplicità. Il file inizia con un unico H1 che nomina progetto o sito: è l’etichetta sul dorso della tua enciclopedia. Subito sotto, un blockquote sintetizza scopo e perimetro: poche righe, niente slogan, solo contesto utile. Poi arrivano le sezioni – H2 – che raggruppano i link per aree tematiche. Ogni collegamento è scritto in Markdown, con un titolo leggibile e, dopo i due punti, una micro-descrizione che orienta il modello prima ancora che apra la pagina. Esiste anche una sezione speciale, chiamata convenzionalmente “Optional”, che raccoglie materiali utili ma non essenziali: se il contesto è stretto, un LLM può saltarla senza sensi di colpa. Il risultato, quando è fatto bene, è un documento che potresti leggere anche tu, come indice ragionato del tuo sito.

C’è poi un fratello maggiore, llms-full.txt, che vale la pena citare perché spiega fino a che punto si può spingere questa filosofia. Se llms.txt è la mappa del tesoro, llms-full.txt è il forziere aperto: un unico file, spesso molto lungo, che accorpa il contenuto testuale rilevante in Markdown – manuali, guide, FAQ, reference – così da poter essere caricato o consultato in blocco da strumenti e IDE che integrano LLM. È una scelta sensata per documentazioni tecniche e knowledge base, meno per blog o magazine generalisti. È utile, ma va maneggiato con cura: pesa, invecchia, rischia di finire in SERP se non lo tieni lontano dall’indicizzazione classica. E soprattutto richiede manutenzione costante per restare allineato alle pagine originali.

La domanda da un milione di crediti galattici è: serve davvero? Se hai un e-commerce, una tech company, una piattaforma con policy, resi, termini di servizio e una documentazione che gli utenti chiedono continuamente agli assistenti AI, la risposta pragmatica è “probabilmente sì”. Non per la SEO classica, ma per la AI visibility: la capacità di far sì che un assistente, quando deve rispondere su di te, ti legga e ti citi in modo fedele. Se sei un blog o un magazine, il valore si fa più sottile: llms.txt non ti porterà traffico diretto né posizionamenti migliori; può però aiutare a fissare alcune “porte d’ingresso” del tuo lavoro – le pagine “Chi siamo”, le policy editoriali, le rubriche cardine – evitando che l’AI si perda in filtri, infinite scroll e pop-up che piacciono al marketing ma confondono i modelli.

Arrivati qui, è utile ragionare su cosa rende davvero “LLM-friendly” una pagina. Non è questione di schema.org o di magie markup: è la leggibilità. Paragrafi brevi, titoli chiari, gerarchie prevedibili, concetti esplicitati presto, distrazioni ridotte al minimo. Più il testo è segmentato e semanticamente trasparente, più è facile che un LLM lo “mantichi” senza allucinare, lo riusi correttamente e lo citi con precisione. llms.txt, in fondo, è un invito a fare quello che dovremmo fare comunque: scrivere bene, organizzare meglio, scegliere con cura le nostre “pagine bandiera”.

Un’altra area in cui conviene essere onesti è la coabitazione con robots.txt. llms.txt non sovrascrive le regole sui crawler: se hai bloccato certi agent nel robots, restano bloccati. llms.txt entra in scena dopo il permesso d’accesso, quando un modello ha la facoltà di leggerti e gli vuoi semplicemente indicare dove guardare. Allo stesso modo, non ha effetti sulla indicizzazione tradizionale: Google non ti premia per averlo, e probabilmente non gli interessa. Il suo raggio d’azione è l’inference, cioè quel momento in cui un utente chiede a un assistente “Come funziona il reso su Acme Shop?” e tu vuoi che la risposta citi la tua pagina “Spedizioni e Resi” e non quella di un forum del 2018.

Sul fronte dell’adozione, siamo nella fase che i fan della fantascienza chiamerebbero early warp. Esistono già esempi pubblici, directory che raccolgono implementazioni, piattaforme di documentazione – Mintlify è spesso citata – che offrono strade comode per generare il file anche partendo da una sitemap. Qualcuno ha creato generatori “one-click”, qualcuno ha scritto plugin e script. L’idea circola, viene sperimentata, viene fraintesa (non è un robots.txt!) e lentamente trova una propria grammatica d’uso. Ma è bene non farsi illusioni: non c’è un bollino ufficiale dei grandi fornitori che ne garantisca l’efficacia universale. È uno strumento giovane, con un potenziale chiaro e dei limiti altrettanto chiari.

E allora come si porta a casa valore, senza cadere nell’ennesima moda passeggera? Si parte dal progetto editoriale. Definisci quali sono le pagine che rappresentano davvero il tuo sapere: quelle che, citate fuori contesto, non tradiscono il senso; quelle aggiornate, robuste, “evergreen”. Scrivi una descrizione onesta in cima al file, che spieghi in due righe chi sei e cosa troverà un lettore – umano o artificiale. Organizza i collegamenti in sezioni intelligibili: documentazione, guide, policy, contatti, risorse per la stampa, ciò che serve a capire te prima ancora di capire il singolo articolo di giornata. Se hai contenuti utili ma non fondamentali, mettili in coda, in una sezione che non pretenda attenzione quando l’attenzione è poca. E, soprattutto, mantieni: un llms.txt stantio è peggio di nessun llms.txt.

Un inciso importante riguarda le versioni testuali pulite dei contenuti. Non è obbligatorio, ma se puoi offrire endpoint Markdown o pagine “ridotte all’osso” senza orpelli grafici, fallo. Non stai solo aiutando gli LLM: stai costruendo una strada di servizio per tutte le forme di fruizione automatizzata del tuo sito, dai reader agli strumenti di accessibilità. È un investimento che paga in resilienza.

In controluce, llms.txt racconta qualcosa anche del nostro rapporto con l’AI. Per mesi abbiamo subìto l’idea che i modelli arrivassero, raspessero, digerissero e restituissero – spesso senza chiederci il permesso e quasi mai seguendo la mappa mentale che avevamo in testa. llms.txt è un piccolo atto di regia: non impedisce la navigazione, ma prova a darle una trama. È come lasciare sul tavolo di un ospite una guida scritta a mano: “Se hai dieci minuti, leggi questa; se ne hai trenta, passa anche di qua; se devi citarmi, cita questo”.

La chiosa, da magazine nerd, è inevitabile. Nelle storie che amiamo – da The Legend of Zelda a Mass Effect, da Dune a Neon Genesis Evangelion – le mappe non servono a sostituire l’esplorazione: la rendono significativa. Ti indicano i punti di interesse, ti evitano i vicoli ciechi, ti mettono nella condizione di scoprire, non di vagare. llms.txt promette questo agli LLM che oggi stanno diventando l’interfaccia del sapere online. Non è una bacchetta magica, non è un trucco SEO, non è un lasciapassare. È un invito curato a leggere meglio. E in un web che soffoca di frizioni, non è poco.

Se gestisci un progetto con documentazione tecnica, API, policy o una knowledge base che gli utenti interrogano spesso via assistenti, ha senso metterlo in prova, misurare l’effetto sulle risposte e iterare. Se sei un magazine o un blog, può essere un modo per fissare le tue porte d’accesso editoriali e per raccontarti con coerenza agli agenti che – piaccia o no – stanno diventando i nostri nuovi “meta-lettori”.

La domanda finale non è “llms.txt mi farà crescere in SERP?”, ma “quando un’AI parlerà di me, cosa leggerà per prima?”. Se la risposta oggi è “non lo so”, questa piccola mappa potrebbe essere il primo, utile, passo.


Parliamone: stai pensando di sperimentare llms.txt sul tuo sito? Hai già provato una versione “full” per una documentazione corposa? Raccontaci nel commenti cosa ha funzionato, cosa no e quali strumenti ti hanno aiutato a generarlo. La community di CorriereNerd vive di questi crash test: più condividiamo, più cresciamo tutti.