Nel mondo dei rumor nerd, ci sono notizie che rimbalzano per qualche giorno e poi spariscono nel nulla, e poi ce ne sono altre che, anche senza conferme ufficiali, si piantano nella nostra mente come un chiodo ossidato. La voce che David Fincher – sì, proprio lui, il regista di Fight Club, Seven, Gone Girl e Mindhunter – starebbe lavorando a uno spin-off americano di Squid Game appartiene alla seconda categoria. Ed è talmente assurda, intrigante e potenzialmente esplosiva da sembrare una mossa narrativa uscita direttamente dalla mente contorta di uno sceneggiatore seriale ossessionato dal caos. Ma forse, dietro il rumore, c’è davvero qualcosa che bolle in pentola. E no, non è un’altra zuppa coreana. È qualcosa di molto più occidentale, cinico e spietato. Qualcosa che, se realizzato, potrebbe segnare l’inizio di un nuovo capitolo nell’evoluzione dell’intrattenimento distopico seriale.
Quando la Regina Bianca arriva a Los Angeles
Chi ha visto la terza stagione di Squid Game fino in fondo – o meglio, chi ha spulciato con occhi da cecchino ogni fotogramma dell’ultima scena – sa già che qualcosa stava cambiando. Il focus narrativo si sposta dalla Corea del Sud a Los Angeles, in un parcheggio illuminato da neon taglienti come lame e tensione palpabile. Lì, in un’atmosfera da noir cyberpunk, compare lei: la Reclutatrice. E no, non è una comparsa qualsiasi. È Cate Blanchett. Impassibile, algida, glaciale come solo lei sa essere. Lo sguardo dice tutto: il Gioco non è finito. Il Gioco si è evoluto. Il Gioco adesso parla americano.
La scelta di Blanchett, se confermata, è la prima tessera di un mosaico che grida ambizione da ogni pixel. Perché non solo parliamo di una delle attrici più talentuose e poliedriche del nostro tempo, ma anche di una figura che, visivamente, incarna alla perfezione il tipo di autorità ambigua che una versione americana del Gioco potrebbe evocare. Un’autorità più legata al potere mediatico che al rigore militare, più subdola che brutale, più psicologica che fisica.
Non un remake. Uno spin-off. E non uno qualsiasi
Ed è qui che le cose diventano davvero interessanti. Squid Game: America non sarà – sempre secondo le fonti più accreditate, tra cui il sempre ben informato What’s on Netflix – un remake in stile copia-incolla. Non ci troveremo di fronte a una versione statunitense della serie coreana, con giochi tipo “un, due, tre, stella” sostituiti da battaglie a paintball o improbabili sfide da fiera di paese. Sarà piuttosto uno spin-off narrativo, radicato nello stesso universo, ma con nuove regole, nuove dinamiche, nuove implicazioni sociali e culturali.
A dirigere questa mutazione genetica del format? Il già citato David Fincher. E se conoscete il suo stile, sapete già cosa aspettarvi: inquadrature chirurgiche, atmosfere plumbee, un’estetica della tensione che fa della freddezza un’arte, e personaggi ossessionati dal controllo in un mondo dove tutto implode. Pensate a Mindhunter incontra The Hunger Games passando per Black Mirror, ma con un’anima marcia, lucida e spettacolare. Insomma, qualcosa che potrebbe davvero portare il franchise a un livello superiore.
Dennis Kelly: la mente perfetta per scrivere l’incubo
A rendere il tutto ancora più inquietante – e affascinante – è la notizia che Dennis Kelly, creatore dell’acclamata (e sottovalutatissima) serie Utopia, sarebbe al lavoro sulla sceneggiatura. E se non avete mai visto Utopia, fatevi un favore e recuperatela: è una delle distopie più disturbanti, paranoiche e visivamente brillanti degli ultimi dieci anni. Un’ode al complottismo che diventa realismo politico, un thriller cospirativo che ti fa dubitare della tua stessa ombra.
Con Kelly alla penna e Fincher alla regia, Squid Game: America potrebbe non solo replicare l’atmosfera oppressiva dell’originale, ma amplificarla fino a renderla quasi insopportabile. Immaginate un gioco della sopravvivenza trasformato in spettacolo da prima serata, con rating televisivi che decidono la sorte dei partecipanti. Un’America distopica dove la violenza diventa contenuto virale e la disumanizzazione è solo un altro format da monetizzare. Il tutto condito con il sarcasmo nero e il senso di disagio che Fincher e Kelly sanno maneggiare con maestria quasi chirurgica.
I tempi, i luoghi, le coincidenze (che forse non lo sono)
Secondo le indiscrezioni, le riprese di Squid Game: America dovrebbero iniziare a Los Angeles nel dicembre 2025. Un periodo interessante, anche perché coincide con un altro progetto titanico a cui Fincher è stato collegato: Le Avventure di Cliff Booth, lo spin-off/sequel di C’era una volta a… Hollywood, basato su una sceneggiatura originale di Quentin Tarantino. Dunque: due set, due progetti mastodontici, due visioni opposte e complementari. O Fincher ha davvero trovato un modo per vivere in due linee temporali parallele, oppure sta orchestrando un periodo di creatività estrema che potrebbe ridefinire il suo percorso artistico.
A dare peso alla teoria dell’imminente coinvolgimento di Fincher è anche un dettaglio contrattuale che gli addetti ai lavori non hanno ignorato: il suo accordo con Netflix è stato recentemente rinnovato per altri tre anni. Non una semplice formalità, ma una dichiarazione d’intenti. Dopo House of Cards, Mindhunter, Love, Death + Robots, Mank e The Killer, è evidente che Fincher è diventato uno degli assi nella manica del colosso dello streaming. E Squid Game: America potrebbe essere il prossimo asso da calare sul tavolo.
Perché Squid Game ha bisogno di una versione americana?
Domanda lecita, e divisiva. Una parte del fandom, quella più purista, inorridisce all’idea di un remake/spin-off made in USA. Perché toccare un capolavoro che funziona già perfettamente nella sua forma originale? Perché rischiare di occidentalizzare una critica sociale che nasce da dinamiche tipicamente asiatiche?
La risposta, però, potrebbe essere proprio nel cuore di questa domanda: perché il contesto americano è altrettanto, se non più, fertile per una critica feroce. In una società dove il denaro è spettacolo, la fama è moneta corrente e la sopravvivenza si trasforma spesso in reality show, Squid Game potrebbe trovare un nuovo respiro. Potrebbe diventare lo specchio deformante – e lucidissimo – di un’America ossessionata dall’apparenza, dai numeri, dal profitto. Un’America dove non si gioca per sopravvivere, ma per essere visti. E questo cambia tutto.
Teorie, meme e hype: l’internet reagisce
Nel frattempo, mentre Netflix tace e Fincher si mimetizza come un ninja in post-produzione, l’internet esplode. Fan art, meme, video analisi su TikTok, e soprattutto teorie. Tante. Alcune deliranti (tipo “la Reclutatrice è in realtà una versione alternativa del Front Man”), altre più plausibili (l’idea che i giochi americani avranno una componente mediatica più accentuata). C’è persino chi ipotizza che i partecipanti dovranno affrontare giochi come Monopoly… ma con dadi esplosivi.
Il Gioco è cambiato. E non possiamo far finta di niente
Al di là dei rumor, delle conferme mancate e delle speculazioni, una cosa è certa: se Squid Game: America sarà davvero ciò che immaginiamo – e forse anche qualcosa di più – allora ci troveremo davanti non a un remake, ma a un’espansione narrativa intelligente, spietata e necessaria. Un modo per mettere sotto la lente d’ingrandimento un’altra faccia della stessa umanità corrotta, affamata, spettacolarizzata.
E se a raccontarcela saranno David Fincher e Dennis Kelly, beh… allora forse il Gioco non è finito. Forse non è nemmeno cominciato.
Ma una cosa è sicura: saremo tutti incollati allo schermo. E stavolta, non solo come spettatori.
Aggiungi commento