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Skin Deep – Il caos glorioso degli immersive sim secondo Blendo Games

Se vi siete mai chiesti cosa accadrebbe se Prey e Looney Tunes si scontrassero a bordo di un’astronave infestata da pirati spaziali, allora lasciate che vi presenti Skin Deep, l’ultimo delirio ludico targato Blendo Games, pubblicato da Annapurna Interactive. Un immersive sim in prima persona tanto brillante quanto assurdo, che prende tutte le convenzioni del genere, le scuote come una bottiglietta di ketchup e poi le lancia con nonchalance nello spazio. Senza scarpe.

Nel ruolo di Nina Pasadena, un’assicuratrice d’élite criogenicamente conservata dalla iper-capitalista MIAO Corp (sì, MIAO, perché gli animali da salvare sono letteralmente gatti spaziali), ci ritroviamo risvegliati all’improvviso in una nave cargo assaltata da pirati. Niente armi. Niente equipaggiamento. Niente scarpe. E, come se non bastasse, con un’allergia devastante che può condannarci a morte se starnutiamo nel momento sbagliato. Il risultato? Un gioco che trasforma ogni oggetto in una potenziale arma, ogni stanza in una trappola e ogni errore in una gag slapstick degna del miglior cinema comico anni ’80.

Un immersive sim fuori dagli schemi… e fuori di testa

Blendo Games ci ha già abituati a esperienze fuori dal comune con titoli come Quadrilateral Cowboy, ma con Skin Deep spinge ancora più in là il concetto stesso di immersive sim. Non ci troviamo davanti al solito simulatore stealth dove ogni passo dev’essere misurato e ogni colpo studiato al millimetro. Qui si improvvisa. Sempre. E l’improvvisazione diventa arte.

Ogni elemento del mondo è parte integrante della simulazione. Le guardie starnutiscono se lanciate loro una scatola di pepe, il sapone può farle scivolare in un corridoio pressurizzato, e una banale buccia di banana può essere l’arma più efficace a disposizione. Non esiste “spazzatura” in Skin Deep – tutto è potenziale, tutto è interazione. È un gioco che rende omaggio ai prankster del gaming, a chi ha passato più tempo a lanciare oggetti a caso in Half-Life 2 che a seguire la trama.

La fisica diventa una barzelletta letale. I proiettili rimbalzano sulle pareti come in una sparatoria diretta da Tex Avery, il vetro rotto ci taglia i piedi scalzi, e le teste decapitate possono (in teoria) fuggire via da sole… se non le gettiamo prima nel vuoto cosmico. Il tutto condito da un motore grafico vintage (IDTech 4, per la cronaca) che riesce comunque a dare personalità e coerenza a ogni ambiente, senza fronzoli ma con uno stile che urla “anni ’90” nel miglior modo possibile.

Piccoli livelli, grandi possibilità

Le astronavi che esploriamo in Skin Deep sono sandbox compatti, ma ricchi di dettagli e soprattutto di possibilità. Non ci sono waypoint né tutorial invasivi: c’è solo il nostro istinto e l’invito implicito a sperimentare. Forse una leva in cucina apre un vano segreto nella biblioteca. Forse quel pallone da basket può distrarre una guardia. Forse quella trombetta giocattolo è la nostra unica speranza di sopravvivenza. Skin Deep ci chiede di essere furbi, curiosi, e soprattutto di non prenderci mai troppo sul serio.

E proprio questa è la sua forza. Dove altri immersive sim vogliono farci sentire come agenti segreti o spie cibernetiche, Skin Deep ci fa sentire come un goffo protagonista di una commedia d’azione. Un John McClane allergico, scalzo e costantemente sull’orlo di cadere in una trappola di sua stessa creazione. Ma è proprio lì, nel caos, che trova la sua gloria.

Una lettera d’amore al nonsense

Il tono del gioco è volutamente satirico. Tutto è esagerato, surreale, ma mai gratuito. Ogni battuta, ogni interazione ambientale, ogni scelta di design è pensata per mantenere in equilibrio il gameplay sistemico con l’umorismo nonsense. La narrativa non è particolarmente profonda, ma è perfettamente funzionale al contesto: è un pretesto per spingerci dentro questo mondo folle e lasciarci liberi di combinare disastri.

Non mancano però alcune sbavature. La ripetitività delle missioni – spesso ridotte al recupero di gatti o alla disattivazione di minacce – può farsi sentire nel lungo periodo. E sebbene il tono leggero sia una delle sue armi migliori, manca forse quel colpo di scena memorabile o quella missione “set piece” che altri titoli del genere sono riusciti a mettere in scena.

Ma sarebbe ingiusto giudicare Skin Deep con i parametri dei suoi cugini più seri. Questo non è Deus Ex o Dishonored, e non vuole esserlo. È piuttosto il Jackass degli immersive sim. Un gioco che ci ricorda che, sotto l’apparenza da duri in occhiali da sole e mantello nero, i migliori titoli del genere sono anche – e soprattutto – playground per burloni con il pallino per la sperimentazione.

Skin Deep è la prova che il cuore degli immersive sim non batte solo per la complessità sistemica, ma anche per la libertà di sbagliare in modi esilaranti. È il gioco che non sapevamo di volere: uno sparatutto in prima persona che prende in giro se stesso e il genere a cui appartiene, trasformandoci in sabotatori pasticcioni in un mondo dove anche un deodorante può essere un’arma. Se amate il genere, ma siete stanchi di essere sempre i super-spioni silenziosi e infallibili, Skin Deep vi regalerà ore di pura anarchia creativa. E forse, giusto forse, vi farà rivalutare l’utilità di una saponetta in uno scontro a fuoco.

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