Se sei un appassionato di videogiochi, fumetti, serie TV, miniature da collezione o magari un mix letale di tutte queste cose, probabilmente conosci bene quella vocina interiore che ti sussurra: “Dai, manca solo un trofeo…”. E poi un altro. E un altro ancora. Fino a ritrovarti alle 3 di notte a cercare un pixel nascosto dietro un cespuglio in un open world vasto quanto il Sahara, solo per sbloccare un insignificante badge digitale che nessuno vedrà mai. Signore e signori, ecco a voi la sindrome del completista.
Ma cos’è davvero questa spinta quasi mistica a voler completare ogni cosa al 100%? Da dove nasce il bisogno impellente di possedere l’intera collezione di Funko Pop, anche se significa dover vendere un rene per ottenere la versione esclusiva dorata di Vegeta in edizione limitata distribuita solo durante un evento segreto a Tokyo? E soprattutto: quando smette di essere un piacere e comincia a trasformarsi in una compulsione?
La risposta, come spesso accade nel nostro affascinante mondo nerd, è un mix di psicologia, passione e un pizzico di follia (affettuosamente parlando, ovvio).
Il completismo affonda le sue radici in quella meravigliosa sensazione di controllo e appagamento che si prova quando si riesce a “chiudere il cerchio”. È la stessa gratificazione che ci dà finire un puzzle da 2000 pezzi o vedere tutti gli episodi di un anime lungo quanto “One Piece” senza saltarne nemmeno uno (compresi i filler!). Il nostro cervello, soprattutto se tendenzialmente orientato alla struttura e alla raccolta di informazioni, rilascia una bella dose di dopamina ogni volta che mettiamo una spunta mentale sulla nostra lista nerd.
Il problema nasce quando questa spinta si trasforma in un’ossessione. Quando il gioco smette di essere un piacere e diventa un lavoro. Quando passare dieci ore a ripetere la stessa missione per ottenere una spada leggendaria non ci dà più gioia, ma solo stress. Quando collezionare tutti gli albi di un fumetto diventa un’ansia costante perché “quel numero 1 del ’93 in prima edizione con la copertina alternativa ancora mi manca”.
E sì, lo sappiamo, viviamo in un mondo che premia i completisti. Le software house lo sanno benissimo, e infatti riempiono i giochi di obiettivi secondari, collezionabili, skin sbloccabili e finali alternativi. I servizi di streaming ti bombardano con cataloghi infiniti, serie spin-off, prequel e documentari “imperdibili”. Gli editori di manga lanciano ristampe, variant cover, edizioni deluxe da accatastare come torri di Jenga. Come se tutto gridasse: “Se non hai tutto, non hai niente!”. Ma questa è una bugia, e anche bella grossa.
Il completismo può diventare una trappola psicologica. Si trasforma in una sorta di “ansia da prestazione ludica” dove il divertimento passa in secondo piano e ciò che conta è la performance. Alcuni studi parlano addirittura di “disturbo da accumulo digitale” e correlano la sindrome del completista a tratti di personalità ossessivo-compulsivi. Ora, senza fare allarmismi clinici, è comunque utile fermarsi un attimo e porsi una domanda semplice quanto illuminante: “Mi sto ancora divertendo?”.
Se la risposta è no, è forse il momento di fare un passo indietro. Perché, notizia sconvolgente: non è obbligatorio finire ogni cosa. Si può mollare un gioco a metà. Si può smettere di leggere una saga se non ci entusiasma più. Si può collezionare solo ciò che davvero ci piace, lasciando il resto agli altri. Anzi, si deve farlo, per preservare la nostra sanità nerd.
Tornare a divertirsi significa rimettere al centro il piacere della scoperta, non l’ansia del completamento. Significa giocare per il gusto di esplorare, leggere per il gusto di emozionarsi, guardare serie TV per il piacere di condividere con gli amici. Non per “flaggare” una casella in una lista infinita.
Quindi, carissimi completisti cronici, ogni tanto ricordatevi che l’imperfezione può essere liberatoria. Che lasciare qualcosa incompleto non è un fallimento, ma un atto di ribellione gioiosa contro un sistema che ci vuole sempre iper-performanti. E che, in fondo, nessuno ha mai davvero collezionato tutti i Pokémon.
E voi? Vi riconoscete nella sindrome del completista? Avete aneddoti, sfide personali o strategie per uscirne vivi? Raccontatecelo nei commenti o condividete l’articolo sui social per esorcizzare insieme questa dolce ossessione!
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