Immaginate di guardare un film in cui il tempo non è una semplice linea retta, ma una materia viva, elastica, pronta a essere tirata, attorcigliata, rivissuta o immaginata. Immaginate di far parte di un mondo dove lo sguardo non è mai passivo, dove lo spettatore non si limita a osservare, ma viene letteralmente risucchiato nella pellicola, nel suo cuore pulsante. Benvenuti nell’universo cinematografico di Robert Zemeckis, un regista che ha ridefinito le coordinate del cinema moderno fondendo nostalgia e avanguardia in un’armonia sorprendente.
Nel nuovo saggio “Robert Zemeckis – Il tempo, l’immagine, lo sguardo” edito da Weird Book per la collana Revolution, l’autore A. Fontana ci guida in un viaggio critico e appassionato alla scoperta di uno dei più visionari autori contemporanei. Non un semplice regista di blockbuster, ma un vero e proprio architetto del tempo e delle immagini, capace di trasformare ogni inquadratura in un laboratorio di idee e tecnologie, di emozioni e riflessioni.
Zemeckis, classe 1951, nato a Chicago, ha costruito una carriera in cui il tempo è un concetto mobile e metamorfico, molto prima che Christopher Nolan lo rendesse trendy con i suoi rompicapi temporali. Nei suoi film, il tempo si piega, si interrompe, si rifrange, si sovrappone. Pensiamo ovviamente all’epocale trilogia di Ritorno al Futuro, una delle saghe più amate e iconiche della cultura pop mondiale. Ma il tempo in Zemeckis non è solo un gioco narrativo: è anche memoria, è rimpianto, è possibilità.
Il libro esplora con profondità anche il secondo asse portante del suo cinema: l’immagine, intesa come campo sperimentale in continua evoluzione. Dai primi passi mossi sotto l’ala protettiva di Steven Spielberg (non dimentichiamo che fu proprio Spielberg a credere in lui, producendo il suo primo film “1964 – Allarme a New York arrivano i Beatles”) fino ai pionieristici lavori in performance capture come Polar Express, Beowulf o A Christmas Carol, Zemeckis ha sempre cercato di superare il limite visivo, di spingersi un po’ oltre, anche a costo di destabilizzare lo spettatore. Il suo è uno sguardo che non si accontenta di raccontare storie, vuole ridefinire cosa significhi vedere un film.
Ma c’è anche un terzo elemento chiave che Fontana sottolinea con grande lucidità: lo sguardo. Non solo quello registico, ma anche quello dello spettatore, messo continuamente in crisi, stimolato, spiazzato. Nei film di Zemeckis lo sguardo è una lente deformante, è una porta aperta verso mondi che sembrano familiari eppure ci sfuggono, che ci parlano di noi stessi, delle nostre illusioni, delle nostre paure. Film come Contact, Cast Away o il sottovalutato Allied – Un’ombra nascosta sono esempi magistrali di questa tensione costante tra ciò che vediamo e ciò che immaginiamo, tra realtà e finzione.
Il saggio si addentra anche nella riflessione metalinguistica sulle potenzialità del cinema digitale, un territorio che Zemeckis ha esplorato con un coraggio quasi pionieristico, attirandosi a volte critiche feroci. Ma è proprio questo spirito indomito, questa fame di nuove forme espressive, che rende il suo cinema un punto di riferimento imprescindibile per chiunque voglia comprendere l’evoluzione del linguaggio cinematografico negli ultimi quarant’anni.
Non manca ovviamente un’analisi dettagliata delle sue opere più celebri, come il premio Oscar Forrest Gump, un film che ha saputo raccontare l’America meglio di qualsiasi saggio di storia, utilizzando il tempo come motore emotivo e l’immagine come collante tra il personale e il collettivo. Ma è forse nei suoi film meno celebrati dal grande pubblico che emerge con più forza la poetica zemeckisiana, sempre in bilico tra il classicismo narrativo e l’innovazione visiva.
La bellissima cover firmata da Giorgio Finamore cattura visivamente l’essenza del volume: un intreccio affascinante tra passato, presente e futuro, come se lo stesso tempo stesse osservando il lettore.
Il libro “Robert Zemeckis – Il tempo, l’immagine, lo sguardo” è più di un semplice saggio: è un atto d’amore verso un autore che ha saputo immaginare il cinema come un grande sogno condiviso, un territorio ancora tutto da esplorare. Con le sue 192 pagine, questo volume rappresenta una bussola per orientarsi nel multiforme universo zemeckisiano, perfetto per cinefili, nerd e appassionati di storytelling visivo.
Insomma, se amate il cinema che osa, che riflette e che diverte, se vi siete emozionati con Doc e Marty, se avete pianto per Wilson, se vi siete lasciati affascinare dai fantasmi natalizi in CGI, non potete perdere questo viaggio nel cuore pulsante di una filmografia che ha fatto la storia.
E ora tocca a voi: avete un film preferito di Zemeckis? Vi affascina più il suo lato sperimentale o quello narrativo? Raccontatecelo nei commenti o condividete questo articolo sui vostri social per continuare insieme a esplorare il tempo, l’immagine e lo sguardo di un maestro del cinema.
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