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“Resurrection”: il cinema come sogno, memoria e miracolo nel futuro post-apocalittico di Bi Gan

Cosa succederebbe se smettessimo tutti di sognare? Se il nostro subconscio, quell’invisibile officina di immagini e desideri, si spegnesse come un proiettore dimenticato in una sala vuota? In un futuro cupo e silenzioso, nel 2068, è proprio questo il destino dell’umanità. Ed è qui che ci trasporta “Resurrection”, il nuovo, audace film di Bi Gan, già autore visionario di pellicole come Kaili Blues e Long Day’s Journey Into Night. Un titolo che non è solo una dichiarazione narrativa, ma una promessa poetica: la resurrezione dei sogni, del cinema, della memoria stessa.

Nel mondo asettico e decadente dipinto da Bi Gan, le persone non sognano più. Il tempo ha eroso l’immaginazione collettiva, lasciando il pianeta come un teatro abbandonato. Ma nel cuore di questo scenario post-apocalittico, una donna – misteriosa, fragile, potente – si risveglia durante un’operazione al cervello. Si ritrova in un mondo devastato, in una dimensione sospesa tra coscienza e incubo. Lì, tra le rovine, scopre un essere: un androide inerte, apparentemente senza vita, che conserva però un dono ormai dimenticato dagli esseri umani – la capacità di sognare.Nasce così un’intima, straniante connessione tra due solitudini. Ogni notte, la donna entra nei sogni del robot, che si fanno via via più lucidi e ricchi. Gli racconta storie della storia cinese, gli restituisce sensazioni, stimola i suoi sensi. Come in un moderno mito della caverna, le ombre si trasformano in immagini vivide, e il confine tra la realtà e l’immaginazione si dissolve. Fino a quando, giunti all’oggi, la protagonista è costretta a una scelta devastante: tornare al mondo reale o restare per sempre nel regno dei sogni, accanto a quell’essere che, ormai, non è più solo una macchina.

 

“Resurrection” non è solo un film. È un’esperienza sensoriale suddivisa in sei capitoli, ciascuno legato a uno dei cinque sensi – vista, udito, olfatto, gusto, tatto – più un sesto, misterioso: la mente. La struttura è labirintica, onirica, e ogni segmento è un piccolo universo stilistico che esplora una diversa fase della storia del cinema cinese. L’androide, il Fantasmer – interpretato con camaleontica profondità da Jackson Yee – attraversa le epoche cambiando forma e identità, come un viaggiatore metafisico, spettatore e protagonista di un sogno collettivo. L’estetica di Bi Gan è riconoscibilissima: piani sequenza ipnotici, cambi di formato e frequenza dei fotogrammi, una luce soffusa che trasforma ogni inquadratura in una tela. Lo spettatore è immerso in atmosfere mutevoli, dove ogni dettaglio – dal filtro cromatico alla texture della pellicola – racconta qualcosa. E nel cuore del film c’è l’atto stesso del raccontare: la narrazione come forma di cura, di resistenza, di resurrezione.

Accanto a Yee troviamo l’intensa Shu Qi, musa silenziosa e potente, già vista in The Assassin, e Mark Chao, volto noto del fantasy orientale. Ogni attore diventa un frammento di una coscienza collettiva che il film tenta di ricomporre. Ma il vero protagonista è il cinema stesso, celebrato in tutte le sue metamorfosi: dall’espressionismo muto al noir anni ’40, dal melodramma spirituale al romance futuristico. La colonna sonora, firmata dagli M83, avvolge tutto in un’atmosfera rarefatta, tra elettronica sognante e reminiscenze di un tempo perduto. E la fotografia di Dong Jingsong è semplicemente mozzafiato: pioggia, nebbia, neon, sangue, tutto si fonde in un’estasi visiva che non si dimentica.

Un film da sentire, più che da capire

“Resurrection” ha conquistato la critica al Festival di Cannes 2025, dividendo e affascinando. C’è chi lo definisce “un’elegia malinconica per il sogno del cinema del XX secolo” e chi ne esalta l’audacia visiva, la struttura sperimentale, la volontà di esplorare il subconscio come territorio narrativo. Non è un film facile, e non vuole esserlo: come le opere di David Lynch o di Wong Kar-wai, pretende attenzione, disponibilità, empatia.Bi Gan non ci chiede di comprendere ogni cosa. Ci invita, piuttosto, a perderci. A entrare nel sogno insieme ai suoi personaggi. A riscoprire cosa vuol dire sognare, ricordare, sentire. “Resurrection” è un rituale di memoria e visione, un atto d’amore per il cinema che fu e per quello che potrebbe ancora essere. È un monito e una speranza, un film che rinasce a ogni visione.

E voi, nerd e cinefili di ogni galassia, siete pronti a varcare la soglia di questo sogno? Avete già visto “Resurrection” o state aspettando con impazienza il suo arrivo nelle sale italiane? Condividete con noi le vostre impressioni, teorie e suggestioni nei commenti! E se questo viaggio tra sogni, robot e memorie vi ha colpiti, non dimenticate di condividere l’articolo sui vostri social: il cinema, come i sogni, vive solo se viene raccontato.

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