C’è qualcosa di disturbante dietro le siepi perfette, qualcosa che stride nel silenzio ovattato di una comunità che si crede al sicuro. “Reservatet – La riserva”, la nuova serie crime danese disponibile su Netflix dal 15 maggio, è un viaggio inquietante tra le crepe invisibili di una società che preferisce chiudere gli occhi piuttosto che affrontare la verità. Un noir raffinato e disturbante, firmato da Ingeborg Topsøe e diretto dal veterano Per Fly, che affonda la lama nei temi più scomodi della nostra epoca: disparità sociale, violenza sommersa, e la pericolosa illusione del controllo.
Siamo a nord di Copenaghen, in un quartiere residenziale che sembra uscito da una rivista di design: ville eleganti, giardini impeccabili, bambini educati, genitori di successo. Un microcosmo ovattato, blindato da regole implicite e dal non detto. Qui si muovono famiglie dell’élite culturale ed economica danese, dove ogni dettaglio è studiato per apparire perfetto, dove la discrezione è una religione e le apparenze contano più della verità.Ma la patina si incrina quando Ruby, una giovane ragazza alla pari filippina, scompare senza lasciare traccia. Un evento che nessuno vuole affrontare apertamente, perché mettere in discussione l’ordine costituito significa smascherare un’intera impalcatura di ipocrisie. È Cecilie (una straordinaria Marie Bach Hansen), madre e moglie all’apparenza impeccabile, a percepire per prima che c’è qualcosa di profondamente sbagliato. Ruby non è semplicemente “andata via”, come tutti sembrano voler credere. Cecilie comincia a vedere ciò che prima aveva scelto di ignorare: sguardi evitati, silenzi troppo lunghi, un disagio che serpeggia dietro le facciate candide.
“Reservatet – La riserva” si muove con passo lento e chirurgico, costruendo un senso di inquietudine crescente che si insinua nelle pieghe della quotidianità. Lo fa attraverso sei episodi tesi come corde di violino, dove ogni dialogo, ogni inquadratura, ogni gesto trattenuto racconta molto più di quanto si dica apertamente. Il cast corale – in cui spiccano anche Danica Curcic, Simon Sears, Lars Ranthe e la sorprendente Excel Busano – dà corpo e voce a personaggi sfaccettati, imperfetti, spesso prigionieri delle proprie scelte.
Accanto a Cecilie, troviamo Angel, la sua giovane collaboratrice domestica, anche lei filippina, che comincia a sospettare il peggio. E poi Aicha, una detective alle prime armi ma determinata, che cerca di fare luce sulla sparizione di Ruby in un contesto dove tutto e tutti sembrano remare contro la verità. La figura di Aicha, interpretata da Sara Fanta Traore, è quella della giustizia che non ha ancora perso l’innocenza, della tenacia che lotta contro un sistema impermeabile e complice.
Il quartiere che fa da sfondo alla narrazione non è solo uno scenario, ma un vero e proprio personaggio: con i suoi cancelli automatici, le sue vetrate trasparenti che nascondono più che mostrare, con le sue leggi non scritte che puniscono chi osa rompere l’equilibrio. Qui vivono Rasmus, un magnate arrogante e violento, e sua moglie Katarina, madre assente e fragile, incapace di gestire la rabbia. I loro figli, come quello di Cecilie, crescono nell’ombra di adulti distratti o corrotti, trascinati in un vortice di segreti e bugie.
La forza di “Reservatet” sta nella sua capacità di intrecciare la tensione del thriller psicologico con una denuncia sociale potente. Le ragazze alla pari, provenienti da contesti svantaggiati, sono invisibili, marginalizzate, sfruttate. Le loro storie si consumano nei corridoi delle case borghesi, dove nessuno le ascolta davvero. Ma è proprio da loro che parte la crepa che finirà per far crollare il castello di carte.
Nel suo crescendo narrativo, la serie porta Cecilie a un confronto devastante: la scoperta che proprio suo marito, Mike, stimato avvocato dal passato oscuro, è coinvolto direttamente nella violenza e nell’omicidio di Ruby. Un colpo al cuore che distrugge ogni certezza, costringendola a scegliere se tacere o denunciare. E Cecilie sceglie la verità, con tutto il carico di dolore e rottura che comporta. Il finale, scioccante e catartico, ci mostra una donna che rompe il silenzio, che decide di non essere più complice, che si oppone a un mondo che vorrebbe ridurre la giustizia a una questione di convenienza.
“Reservatet – La riserva” è una serie che lascia il segno. Non solo per la qualità della regia, per l’eleganza della fotografia firmata da Tine Harden o per la scrittura precisa e mai banale di Ina Bruhn e Mads Tafdrup. Ma perché ci costringe a riflettere. Su quanto siamo disposti a guardare davvero oltre le apparenze. Su quanto ci costa la verità. E su quanto spesso la violenza più crudele si nasconda proprio dove meno ce l’aspettiamo: tra i marmi lucidi delle cucine moderne, tra i sorrisi plastici dei vicini di casa, nei silenzi lunghi di chi sa ma preferisce non dire.
La serie è già ai vertici delle classifiche italiane su Netflix, e con buone ragioni. Il binge-watching è praticamente inevitabile, ma il retrogusto che lascia è tutt’altro che effimero. È il sapore amaro di una società che si specchia nella sua immagine migliore, ignorando le ombre che la circondano.
Se amate il crime nordico, il dramma psicologico, le storie che scavano nell’animo umano con precisione chirurgica, “Reservatet” è una visione obbligata. Ma anche se non siete fan del genere, vi consiglierei comunque di darle una possibilità. Perché “Reservatet” non è solo una serie, è uno specchio che ci obbliga a chiederci quanto siamo disposti a sacrificare pur di mantenere l’illusione della perfezione.
E voi, avete già guardato “Reservatet – La riserva”? Cosa ne pensate del finale e della scelta di Cecilie? Vi ha colpito la rappresentazione della borghesia danese e dei suoi segreti inconfessabili? Raccontatemi la vostra nei commenti e condividete questo articolo sui vostri social per discuterne con altri appassionati. Il confronto è appena cominciato.
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