Se sei un appassionato di retrogaming, probabilmente hai già sentito nominare il nome Rebecca Heineman. Ma se non ti dice nulla, allora è il momento di scoprire una figura leggendaria che ha attraversato ogni fase della storia dei videogiochi, dai cabinati polverosi delle sale giochi fino ai motori grafici moderni. La sua è una storia di talento, coraggio, transizione e innovazione. Una vera e propria epopea nerd che merita di essere raccontata in tutta la sua straordinaria intensità.
Tutto comincia a Whittier, in California, il 30 ottobre del 1963. All’epoca si chiamava William Salvador, e mai avrebbe potuto immaginare che un giorno sarebbe diventata la prima campionessa nazionale di videogiochi, una pioniera della programmazione e una figura di riferimento nella lotta per i diritti LGBTQ+ nel mondo tech. Ma andiamo con ordine, perché questa storia è talmente densa di eventi incredibili che sembra uscita da un romanzo cyberpunk. Rebecca cresce con una passione sfrenata per i videogiochi, ma senza i mezzi economici per poterseli permettere. Con un Atari 2600 tra le mani e tanta voglia di capire cosa si nascondeva dietro quelle cartucce, comincia a smontare, copiare, decodificare. Non si limita a giocare: vuole sapere come quei giochi funzionano. Non è hacking, è sete di conoscenza. Ed è proprio questa voglia di andare oltre l’apparenza che farà di lei un’icona del settore.
Nel 1980 accade l’impensabile. Rebecca (ancora William) partecipa a una delle prime competizioni videoludiche mai organizzate: l’Atari National Space Invaders Championship. In un’epoca in cui i videogiochi erano visti come un semplice passatempo da nerd introversi, questa competizione su larga scala fu un vero terremoto culturale. Migliaia di giocatori da tutti gli Stati Uniti si affrontano su Space Invaders, l’alieno pixelato per eccellenza, in una sorta di proto-esport ante litteram. Il risultato? Heineman stravince. A soli sedici anni, si ritrova al centro dell’attenzione nazionale, acclamata come campione assoluto di un torneo che, oggi, possiamo definire l’atto di nascita della cultura videoludica competitiva.
Da quel momento inizia una carriera incredibile. Viene assunta da Avalon Hill come programmatrice senza neanche aver terminato le scuole superiori. Il talento puro supera i titoli accademici. Sviluppa il suo primo gioco, London Blitz, e poi vola da un progetto all’altro, diventando presto una delle menti più prolifiche della scena. Dopo un’esperienza alla Boone Corporation — dove lavora a giochi come Chuck Norris Superkicks e Robin Hood su sistemi storici come Commodore 64 e Apple II — entra nel mito fondando, insieme a Brian Fargo e altri, la leggendaria Interplay Productions.
Interplay è un nome che fa battere il cuore a ogni gamer old school: da Wasteland (l’antenato spirituale di Fallout) a The Bard’s Tale, passando per il porting di Wolfenstein 3D su Mac e 3DO, Rebecca Heineman ha messo mano a pietre miliari della storia videoludica. Ma non è solo una programmatrice: è una visionaria, una leader tecnica, una donna che ha sempre voluto restare fedele alla passione per la programmazione pura. Quando Interplay cresce troppo, abbandona la compagnia per tornare in un contesto più piccolo, fondando Logicware, poi Contraband Entertainment e infine, nel 2013, Olde Sküül, dove ricopre il ruolo di CEO.
Nel frattempo, la sua carriera si arricchisce di collaborazioni con giganti del calibro di Electronic Arts, Ubisoft, Microsoft, Sony e persino Bloomberg e Amazon. Ovunque vada, lascia un segno: ottimizza motori grafici, scrive codice per kernel di console, partecipa allo sviluppo hardware e guida team di programmazione. È anche una figura attiva nella comunità LGBTQ+: durante il suo periodo in Amazon ha ricoperto il ruolo di “Transgender Chair” del gruppo Glamazon, contribuendo a rendere l’industria tech un luogo più inclusivo.
Rebecca non è solo una programmatrice straordinaria: è una pioniera nel vero senso della parola. La sua transizione, vissuta apertamente in un settore storicamente maschilista e conservatore, è stata un atto di coraggio e un esempio per tutta la comunità geek e non solo. Oggi il suo nome è scritto nei libri di storia del gaming, ma meriterebbe ancora più visibilità. Perché senza figure come lei, probabilmente oggi non parleremmo di eSport, di culture digitali condivise, di inclusività nei videogiochi.
Rebecca Heineman ha dimostrato che i joystick non sono solo strumenti di gioco, ma bacchette magiche capaci di cambiare la vita. Con i suoi riflessi fulminei ha conquistato il primo titolo nazionale, con il suo ingegno ha plasmato interi universi digitali e con la sua forza d’animo ha sfidato ogni pregiudizio.
E allora, che aspetti? Se sei un vero nerd, condividi questo articolo con i tuoi amici, postalo sui tuoi social, commenta con i tuoi ricordi da cabinato o le tue esperienze con i giochi di Rebecca. Perché il passato del gaming è ancora vivo, e parla con la voce pixelata e geniale di una delle sue più grandi protagoniste: Rebecca Ann Heineman.
foto di copertina: Official GDC , CC BY 2.0
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