Quando si parla di leggende, poche band riescono a evocare emozioni tanto profonde e complesse quanto i Pink Floyd. La loro storia, che affonda le radici nella Londra pulsante e psichedelica del 1965, sembra quasi il preludio a una grande epopea musicale. Immaginate alcuni studenti universitari – Roger Keith “Syd” Barrett, George Roger Waters, Richard William Wright e Nicholas Berkeley Mason – che iniziano a suonare insieme, spinti da una passione viscerale e da un’irrefrenabile voglia di sperimentare. Nascono così i Pink Floyd, un nome scelto da Syd Barrett unendo quelli di due vecchi bluesmen americani, Pink Anderson e Floyd Council. Un omaggio al passato per disegnare un futuro rivoluzionario.
Era l’epoca della Swinging London, una città viva, pulsante, popolata di artisti, sognatori e outsider. In questo ambiente effervescente, i Pink Floyd muovono i primi passi esibendosi all’Ufo Club, dove i loro spettacoli non erano semplici concerti, ma esperienze multisensoriali fatte di luci psichedeliche, suoni alieni e atmosfere oniriche. Nel 1966 arriva la grande occasione: la EMI li mette sotto contratto. Nel 1967 esplodono sulla scena con “Arnold Layne”, un singolo controverso ma irresistibile, seguito da “See Emily Play” e, finalmente, dal loro primo album: “The Piper at the Gates of Dawn”. Questo disco è il riflesso perfetto della mente geniale e instabile di Syd Barrett, capace di trasformare filastrocche infantili in visioni inquietanti e pop beatlesiano in paesaggi sonori disturbanti.
Purtroppo, come spesso accade con i veri geni, la fiamma di Syd brucia troppo intensamente. I segnali del suo crollo mentale diventano sempre più evidenti: assenze, performance disastrose, alienazione crescente. Con il cuore spezzato ma con la necessità di andare avanti, i Pink Floyd arruolano David Gilmour all’inizio del 1968. Syd esce lentamente dalla band e dalla vita pubblica, lasciando dietro di sé un vuoto incolmabile, ma anche un’eredità creativa eterna.
Con “A Saucerful of Secrets” inizia una nuova era. Roger Waters emerge come autore principale, mentre Gilmour imprime alla musica un tocco chitarristico inconfondibile. L’album è un viaggio sonoro verso l’ignoto, anticipando quel desiderio di esplorazione sonora che diventerà il loro marchio di fabbrica. L’apoteosi di questa fase sperimentale è “Ummagumma”, una folle combinazione di live infuocati e studio experiments che ancora oggi lascia attoniti.
Nel frattempo, i Pink Floyd si cimentano anche nel cinema, firmando colonne sonore come quella di “More” e “Zabriskie Point”, senza dimenticare l’indimenticabile concerto negli scavi archeologici di Pompei, documentato nello straordinario “Live at Pompeii”.
E poi arriva “The Dark Side of the Moon”. Che si può dire di più di quello che già si sa? Un’opera che ha ridefinito non solo la musica rock, ma la cultura popolare stessa. Uscito nel 1973, questo concept album è una meditazione magistrale sulla condizione umana, incastonata in un sound design che ancora oggi sembra provenire dal futuro. Il successo è clamoroso, forse troppo, e i Pink Floyd si ritrovano schiacciati dal peso della loro stessa leggenda.
“Wish You Were Here” segue nel 1975, un canto dolente e struggente per Syd Barrett, che in un’apparizione spettrale durante le registrazioni commuove e destabilizza la band. È l’inizio di una fase più oscura: “Animals” nel 1977 è un attacco feroce e disilluso alla società moderna, mentre Roger Waters assume sempre più il controllo creativo, alienando lentamente i suoi compagni.
L’alienazione diventa il tema centrale di “The Wall” (1979), un progetto mastodontico che mescola rock, teatro, cinema e psicologia. Ma il muro non separa solo il protagonista del concept dal mondo: anche all’interno della band si ergono barriere insormontabili. Richard Wright viene estromesso, Waters si impone come unico leader. Con “The Final Cut” (1983), i Pink Floyd sembrano ormai il progetto personale di Roger.
Quando Waters abbandona il gruppo, sembra la fine. E invece no. David Gilmour e Nick Mason raccolgono i pezzi e rilanciano: “A Momentary Lapse of Reason” (1987) e “The Division Bell” (1994) segnano il ritorno di una band diversa ma ancora capace di toccare le corde dell’anima. Concerti come quello nella laguna di Venezia nel 1989 e il monumentale “Pulse” testimoniano che il mito è ben lontano dallo svanire.
Oggi, ripensando al viaggio incredibile dei Pink Floyd, è impossibile non provare un brivido. Sono stati pionieri, visionari, poeti del suono. E noi, fedeli viaggiatori delle loro galassie musicali, non possiamo che essere grati.
E voi? Qual è il vostro album o la vostra canzone dei Pink Floyd che vi fa ancora venire i brividi? Raccontatemelo nei commenti e, se vi va, condividete questo articolo sui vostri social per continuare a celebrare insieme la magia senza tempo dei Pink Floyd!
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