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OnlyFans e solitudine: davvero colma un vuoto o lo amplifica?

Nel mondo di OnlyFans l’intimità si compra, ma la solitudine resta in saldo. Tra psicologia, cultura digitale e bisogno di connessione, un viaggio nel lato più umano — e fragile — della piattaforma che ha trasformato l’affetto in abbonamento.

Viviamo in un’epoca in cui siamo costantemente connessi ma sempre più soli.Scrolliamo, chattiamo, seguiamo — ma raramente ci incontriamo davvero. La tecnologia ci ha offerto mille modi per parlare, e sempre meno motivi per ascoltarci. In questo paradosso nasce il successo di piattaforme come OnlyFans, dove l’intimità diventa un servizio e la vicinanza una forma di abbonamento mensile.

Negli ultimi anni, OnlyFans è passata dall’essere una nicchia per adulti a un fenomeno culturale. Per alcuni è una nuova frontiera di libertà sessuale e autoaffermazione, per altri un sintomo di una società sempre più affamata di attenzione e contatto umano.Ma dietro i numeri impressionanti — oltre 220 milioni di utenti registrati e oltre 3 miliardi di dollari di ricavi annuali — si nasconde una domanda che va oltre l’economia dei contenuti: questa piattaforma colma davvero il vuoto della solitudine o finisce per amplificarlo?

Per rispondere, serve uno sguardo che unisca psicologia, sociologia e cultura digitale. In questo articolo analizzeremo il legame tra solitudine e intimità digitale, citando studi internazionali e le osservazioni di Marco Castelli, Community Manager di Creator Advisor, agenzia che supporta Creator OnlyFans.

Un punto di vista interno a un mondo dove le emozioni si gestiscono come un mestiere e la solitudine, spesso, è condivisa da entrambe le parti dello schermo.

La solitudine nell’era iperconnessa

Dal “tutti online” al “nessuno vicino”

Nel 2025 la connessione è ovunque. Viviamo in una rete che non dorme mai: notifiche, chat, streaming, call. Ogni giorno passiamo in media più di 6 ore davanti agli schermi, eppure la solitudine è ai massimi storici.

Secondo un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2024), una persona su quattro tra i 19 e i 35 anni dichiara di sentirsi “cronica­mente sola”. È una cifra che supera qualsiasi generazione precedente.

Come spiegano i ricercatori dell’Harvard Study of Adult Development, lo studio longitudinale più lungo mai condotto sul benessere umano, la solitudine non dipende dal numero di interazioni, ma dalla qualità delle connessioni. E i social media, pur offrendo infinite possibilità di contatto, raramente producono legami profondi.Siamo immersi in conversazioni continue, ma spesso prive di autenticità.Come scrive il sociologo Sherry Turkle nel suo celebre Alone Together, “siamo connessi, ma soli”: circondati da messaggi, emoji e stories, ma incapaci di tollerare il silenzio vero, quello che costruisce presenza.

Per la generazione cresciuta tra Discord, Twitch e OnlyFans, la socialità passa sempre più da interazioni mediate da schermi, dove ogni gesto è filtrato, archiviato, monetizzato.Il risultato è un paradosso culturale: più possibilità di comunicare, meno capacità di relazionarsi. E in questo vuoto affettivo si inseriscono nuovi modelli di intimità digitale, dove la connessione stessa diventa un prodotto.

Quando il bisogno di vicinanza diventa prodotto

L’industria della solitudine è oggi una delle più redditizie del mondo digitale. Dating app, servizi di compagnia virtuale, intelligenze artificiali “affettive” e piattaforme come OnlyFans monetizzano il bisogno umano di essere visti, desiderati, ascoltati.Non si vende solo erotismo — si vende attenzione personalizzata, spesso in dosi da 5 euro al mese.

Il sociologo Zygmunt Bauman avrebbe definito questo fenomeno un tipico esempio di “modernità liquida”: rapporti rapidi, reversibili, senza peso.Solo che ora, la liquidità ha un prezzo e una ricevuta fiscale.L’intimità è diventata on demand: chi paga decide cosa vuole vedere, come vuole sentirsi chiamare, e perfino quanto “vicino” può essere l’altro.

Questa economia dell’affetto funziona perché si innesta su un bisogno antico: sentirsi riconosciuti.E se la società offline non offre più spazi sicuri per la vulnerabilità o la sensualità autentica, il web riempie il vuoto — a pagamento.È qui che entra in scena OnlyFans: il perfetto incrocio tra social network e rapporto personale, tra business e emozione.

OnlyFans: tra connessione e illusione

La relazione parasociale 2.0

Negli anni Cinquanta, due sociologi americani — Donald Horton e Richard Wohl — coniarono il termine relazione parasociale per descrivere quel tipo di legame unilaterale che il pubblico sviluppa verso personaggi televisivi o celebrità. Settanta anni dopo, lo stesso meccanismo si ripete online, ma con un’intensità mai vista: non più spettatori davanti allo schermo, ma abbonati in chat privata.

Su OnlyFans, la relazione parasociale diventa interattiva.L’utente paga per sentirsi visto, ascoltato, desiderato. Il creator, dall’altra parte, interpreta questo ruolo di “connessione personale”, calibrando attenzioni e risposte in base al singolo fan. È una forma di intimità simulata, dove la reciprocità è parziale ma emozionalmente potente.

Uno studio pubblicato nel Journal of Social and Personal Relationships (2023) ha rilevato che le piattaforme a pagamento rafforzano la percezione di “vicinanza emotiva” anche quando la relazione è totalmente unidirezionale. Il fan si sente complice, confidente, parte di una cerchia ristretta.E proprio questa illusione di esclusività genera un legame affettivo reale, anche se fondato su una struttura commerciale.

In un’epoca in cui l’attenzione è la valuta più contesa, OnlyFans rappresenta il punto d’incontro tra bisogno di appartenenza e economia dell’intimità.Ma dietro questa apparente reciprocità si nasconde spesso una dinamica più complessa — e per certi versi più solitaria — per entrambi i lati dello schermo.

Dentro la piattaforma – la prospettiva dei creator

Per capire meglio questa dinamica, abbiamo raccolto il punto di vista di Marco Castelli, Community Manager di Creator Advisor, agenzia italiana che supporta creator e performer nella gestione professionale delle loro pagine OnlyFans.

“Molti creator non si rendono conto, almeno all’inizio, di quanto forte possa diventare il legame emotivo con i fan,” racconta Castelli. “Ricevono messaggi ogni giorno da persone che cercano compagnia, conforto o semplicemente qualcuno che li ascolti. Ma gestire decine di interazioni personali, tutte con aspettative affettive, può essere estremamente faticoso.”

Secondo Castelli, la solitudine non è solo un problema dei fan, ma anche dei creator stessi:

“Dietro i profili più seguiti ci sono persone che spesso vivono ritmi isolati. Passano ore a rispondere a chat, programmare post, mantenere la costanza della relazione. È un lavoro emotivo, non solo estetico.”

Il fenomeno, spiega, è in parte dovuto alla personalizzazione estrema del contatto:

“L’utente non paga per un contenuto, ma per un’attenzione che sente sua. E questo trasforma il creator in un punto di riferimento affettivo, quasi terapeutico. Alcuni gestiscono bene questo equilibrio, altri finiscono per viverlo con stress o senso di vuoto.”

Le parole di Castelli rivelano un aspetto raramente discusso: anche chi offre compagnia digitale può sentirsi intrappolato nella stessa solitudine che prova chi la compra.Dietro le foto e le risposte personalizzate, si nasconde spesso una routine di isolamento, pianificazione e pressione costante per mantenere viva una relazione che, per definizione, non può essere realmente reciproca.

Psicologia della solitudine digitale

Meccanismi di gratificazione e dipendenza

Ogni notifica, messaggio o “nuova richiesta” su OnlyFans attiva un circuito di gratificazione.Quando il fan riceve una risposta personalizzata o un contenuto creato “solo per lui”, il cervello rilascia dopamina, la stessa sostanza che regola il piacere e la motivazione.È lo stesso principio alla base dei social network e dei videogiochi: ricompense intermittenti che mantengono l’utente connesso in attesa del prossimo segnale.

Una ricerca condotta dalla University of Chicago nel 2023 ha dimostrato che le piattaforme di intimità digitale producono un effetto simile a quello delle relazioni romantiche tradizionali sul piano neurochimico: il cervello reagisce alla risposta del creator come se provenisse da un partner reale.Il problema è che l’interazione, pur emotivamente intensa, è asimmetrica — e quindi instabile.

Il fan vive una forma di legame “controllato”: sa che sta pagando, ma il piacere della reciprocità è sufficiente a sospendere la consapevolezza della transazione.E più riceve attenzione, più ne desidera.

Il sociologo Adam Alter, nel suo libro Irresistible, spiega come la ripetizione di micro-ricompense digitali generi dipendenza comportamentale, alimentando l’illusione di controllo e compagnia. In altre parole, OnlyFans non vende solo immagini: vende dopamina prevedibile, confezionata in messaggi affettuosi e risposte personalizzate.

Il doppio specchio: la solitudine dei fan e quella dei creator

Il bisogno di connessione attraversa entrambi i lati dello schermo. Molti fan cercano su OnlyFans ciò che non trovano altrove: attenzione, ascolto, riconoscimento. Ma anche i creator, spesso, traggono da queste interazioni un senso di appartenenza e validazione.

Come osserva Marco Castelli (Creator Advisor), “alcuni creator ci dicono che sentirsi desiderati, seguiti, amati virtualmente li aiuta a superare momenti difficili. Ma è un sollievo fragile, perché dipende dal flusso costante di messaggi e rinnovi.”

Il concetto non è nuovo: la sociologa Arlie Hochschild, già negli anni ’80, definiva “emotional labor” il lavoro che richiede di gestire i propri sentimenti per suscitare quelli altrui.

Nel caso di OnlyFans, questa dinamica è amplificata da un pubblico che paga proprio per sentirsi speciale. Il creator deve mantenere empatia, sensualità e presenza emotiva, anche nei giorni in cui non ne ha voglia.

Col tempo, questo porta a burnout relazionale, una forma di stanchezza psicologica legata all’obbligo di apparire costantemente disponibili.

Uno studio pubblicato nel Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking Journal (2024) ha evidenziato come i professionisti dell’intimità digitale mostrino livelli elevati di stress e difficoltà a distinguere tra “sé autentico” e “sé performativo”.La linea che separa lavoro e vita personale diventa labile, e la solitudine, paradossalmente, cresce insieme ai follower.

La piattaforma, così, si trasforma in un doppio specchio: riflette la solitudine di chi cerca e di chi offre connessione.Entrambi trovano momentaneo sollievo, ma raramente una soluzione duratura.L’illusione della reciprocità regge finché resta accesa la luce dello schermo.

Colmare o amplificare il vuoto?

I potenziali benefici

Ridurre OnlyFans a una semplice piattaforma erotica significa ignorarne la complessità sociale. Per molti creator — e anche per alcuni fan — rappresenta uno spazio di espressione e libertà. In un contesto dove la sessualità è ancora carica di stigma, la possibilità di mostrarsi e monetizzare in autonomia può diventare una forma di empowerment.

Come sottolinea Marco Castelli, “alcuni creator trovano su OnlyFans un modo per raccontarsi senza filtri, spesso dopo anni in cui hanno dovuto reprimere o nascondere la propria identità. Non è solo business: per qualcuno è liberazione personale.”

Questo vale anche per una parte del pubblico.Molti utenti dichiarano di sentirsi meno soli proprio perché trovano accettazione e ascolto, seppur mediati da un rapporto commerciale.Una ricerca della London School of Economics (2024) ha rilevato che il 37 % degli abbonati a piattaforme di contenuti esclusivi associa la sottoscrizione a “senso di appartenenza” e “miglioramento dell’autostima”.

In alcuni casi, quindi, la connessione digitale diventa un ponte: un modo per esplorare desideri, condividere fragilità, o semplicemente riconoscere il bisogno di contatto umano senza giudizio.Il problema sorge quando quel ponte diventa l’unica strada verso la compagnia.

I rischi psicologici e sociali

La parte più fragile di questa dinamica è il suo equilibrio instabile tra intimità e transazione.Quando la relazione si basa su un abbonamento, il confine tra affetto e acquisto diventa sottile. Il fan tende a confondere la disponibilità professionale del creator con un reale coinvolgimento emotivo, e il creator, a sua volta, può restare intrappolato nel ruolo che il pubblico gli proietta addosso.

Il risultato è una spirale di falsa reciprocità, dove ogni messaggio sembra sincero ma risponde a un contratto implicito: quello della continuità a pagamento.Quando l’interazione termina — per un rinnovo mancato o una semplice pausa — emerge il silenzio, e con esso la sensazione di vuoto che la piattaforma prometteva di riempire.

Uno studio pubblicato nel Journal of Social and Personal Relationships (2023) ha mostrato come la “disconnessione post-interazione” generi un picco di solitudine superiore a quello iniziale: una specie di “sindrome da contatto interrotto” simile a quella osservata dopo una rottura sentimentale.

Secondo Castelli, anche i creator vivono un effetto speculare:

“Quando un fan scompare o smette di scrivere, molti creator sentono un piccolo vuoto. Non tanto economico, ma emotivo. È il segno di quanto profondo possa diventare questo tipo di legame, anche se nasce da una transazione.”

In definitiva, OnlyFans non crea la solitudine — la metabolizza.Ne sfrutta le dinamiche per offrire un sollievo immediato, ma raramente duraturo.Il rischio è che, nel tentativo di riempire il vuoto, finiamo solo per addestrarlo a tornare.

Verso una nuova consapevolezza digitale

Forse il vero nodo non è OnlyFans, ma il modo in cui gestiamo la nostra solitudine online. Viviamo in un’epoca in cui l’affettività è frammentata in microinterazioni, e dove ogni emozione può essere convertita in contenuto, attenzione o profitto.Il problema non è la tecnologia in sé — ma la mancanza di educazione emotiva digitale, la capacità di riconoscere cosa stiamo davvero cercando quando clicchiamo “abbonati”.

Come spiegano i ricercatori della University of Oxford (2024), una connessione sana online richiede consapevolezza dell’intento: sapere se stiamo cercando compagnia, validazione o intrattenimento.Senza questa chiarezza, rischiamo di confondere la reazione digitale con la relazione umana.

“L’intimità digitale può essere positiva se nasce da autenticità e rispetto reciproco,” commenta Marco Castelli (Creator Advisor). “Molti creator lavorano con responsabilità e trasparenza, ma è fondamentale che anche gli utenti comprendano che dietro lo schermo c’è una persona — e non una proiezione del proprio bisogno.”

La chiave, dunque, non è demonizzare le piattaforme, ma imparare a usarle con lucidità.Riconoscere che la connessione che ci offre sollievo immediato non sostituisce quella che ci nutre nel lungo periodo.

Fonti

  • World Health Organization (2024) – Global Report on Social Connection: dati globali sulla solitudine e l’impatto sulla salute mentale.https://www.who.int/publications/i/item/978240112360
  • Harvard Study of Adult Development (2023) – lo studio più longevo sul benessere umano, che mostra come la qualità delle relazioni incida più della quantità.https://www.liebertpub.com/doi/10.1089/ict.2023.29074.jha
  • Sherry Turkle (2011) – Alone Together: Why We Expect More from Technology and Less from Each Other. Un classico sul paradosso della connessione digitale.https://www.ted.com/talks/sherry_turkle_connected_but_alone
  • Zygmunt Bauman (2000) – Modernità liquida, il saggio che anticipa le relazioni fluide e reversibili tipiche dell’era digitale.https://www.lafeltrinelli.it/modernita-liquida-libro-zygmunt-bauman/e/9788842065142
  • Horton & Wohl (1956) – Mass Communication and Para-Social Interaction: lo studio che introdusse il concetto di relazione parasociale. https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/00332747.1956.11023049
  • Scientific Reports (Nature, 2024) – People perceive parasocial relationships to be effective at fulfilling emotional needs: come le relazioni online soddisfano bisogni affettivi reali.https://www.nature.com/articles/s41598-024-58069-9
  • PNAS (2016) – The Power of the Like in Adolescence: lo studio che dimostra l’attivazione del cervello davanti ai feedback sociali.https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/27247125/
  • Arlie Hochschild (1983) – The Managed Heart: Commercialization of Human Feeling. Il testo di riferimento sul concetto di “emotional labor”.https://www.ucpress.edu/book/9780520272941/the-managed-heart
  • Sexualities Journal (2024) – Negotiated authenticity: An ethnographic study by an onlyfans girl: uno studio sulle identità performative e il burnout emotivo tra creator.https://colab.ws/articles/10.1177%2F13634607241293595
  • Oxford Internet Institute (2024) – Mindsets Matter: How Agency Shapes Wellbeing Online: ricerca sulla consapevolezza emotiva e l’uso sano dei social.https://academic.oup.com/jcmc/article/30/4/zmaf011/8171464
  • Statista (2024) – dati aggiornati su utenti e ricavi di OnlyFans.https://www.statista.com/topics/10083/onlyfans/

maio

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Massimiliano Oliosi, nato a Roma nel 1981, laureato in giurisprudenza, ma amante degli eventi e dell'organizzazione di essi, dal 1999 tramite varie realtà associative locali e nazionali partecipa ad eventi su tutto il territorio nazionale con un occhio particolare al dietro le quinte, alla macchina che fa girare tutto.

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