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Nine Perfect Strangers: la prima stagione del thriller psicologico con Nicole Kidman

Adattamento dell’omonimo romanzo di Liane Moriarty, bestseller del New York Times, “Nine Perfect Strangers” si presenta come un intricato gioco di suspense psicologica e dramma emotivo, il cui impianto narrativo si fa sentire forte, pur non riuscendo sempre a reggere il peso della sua stessa ambizione. La serie, prodotta dal team di “Big Little Lies” e “The Undoing”, mette insieme un cast stellare, capitanato da Nicole Kidman e Melissa McCarthy, che segna il loro primo incontro sullo schermo. Ma è proprio la dinamica tra questi due volti noti, le sfumature del personaggio di Masha e la verve comica di McCarthy, a delineare le tensioni e i temi di un’opera che non risparmia nulla in termini di confronto tra personaggi e verità nascoste.

Girata in Australia, la storia si svolge all’interno di Tranquillum House, un lussuoso centro di benessere che promette una “guarigione” profonda per chi è alla ricerca di un cambiamento radicale nella propria vita. Il concetto di wellness, tuttavia, viene messo alla prova dalle manipolazioni emotive e psicologiche che permeano l’intero resort. Qui, i nove protagonisti, tutti portatori di disagi profondi legati alle loro vite caotiche e stressate, si ritrovano a sperimentare un processo di “purificazione” che presto si trasforma in una spirale di strani rituali e dirompenti segreti. Ma nulla è come sembra, e la sensazione che tutto possa andare storto è sempre dietro l’angolo.

Al centro di questo viaggio tormentato c’è Masha (Nicole Kidman), la figura carismatica e misteriosa che dirige il centro. La sua personalità, ambiguamente magnetica e inquietante, è resa con una performance che sfiora il paradosso. L’interpretazione di Kidman, purtroppo, non riesce a catturare la complessità psicologica che ci si aspetterebbe da un personaggio del genere. Il suo accento incerto e la parrucca bionda che sembra più un travestimento che una scelta stilistica fanno sì che Masha non riesca a incarnare pienamente l’aura di potere e controllo che il ruolo richiederebbe. Nonostante l’aspetto esteriore perfetto, manca la profondità emotiva che il personaggio meriterebbe, rendendo la sua figura talvolta poco convincente come guida spirituale e psicoterapeuta di questa sorta di culto del benessere.

Se Masha è il motore oscuro della trama, il vero cuore pulsante della serie è però Frances (Melissa McCarthy), un’autrice di successo che si trova a Tranquillum House per cercare di ricostruire la sua vita dopo una serie di gravi battute d’arresto. McCarthy, come sempre, è irresistibile. Con la sua abilità nel mescolare commedia e dramma, riesce a dipingere un personaggio tanto vulnerabile quanto affascinante, che si fa portavoce di un’umanità in cerca di redenzione. Ogni sua apparizione sullo schermo è un toccasana per lo spettatore, che non può fare a meno di essere conquistato dal suo talento naturale e dalla sua capacità di dare profondità a un personaggio che altrimenti sarebbe potuto rimanere una macchietta.

Accanto a loro, il resto del cast contribuisce a dare spessore alla narrazione, con Bobby Cannavale nel ruolo di Tony, un uomo torvo e disilluso, e Luke Evans che interpreta Lars, un personaggio cinico e dalla spiccata ironia. La loro evoluzione, seppur interessante, non raggiunge mai il livello di coesione che ci si aspetta da un dramma corale, e alcune dinamiche tra i protagonisti appaiono forzate, come se l’interesse verso il thriller psicologico si sovrapponesse alle necessità di esplorare le emozioni più intime dei personaggi.

La trama, purtroppo, finisce per essere meno avvincente di quanto si speri, con il thriller psicologico che cede progressivamente il passo a una narrazione più semplice e prevedibile. Sebbene il tono misterioso e l’ambientazione claustrofobica del resort diano il giusto ritmo alla storia, il crescendo di tensione che si prospetta all’inizio non viene mai pienamente sviluppato. La serie, infatti, manca della grinta che caratterizzava altre opere simili, come “Big Little Lies”, e non riesce a scavare con sufficiente intensità nei segreti oscuri dei personaggi, lasciando al posto delle vere sorprese un finale che sembra più sbrigativo che realmente rivelatore.

Nel confronto con “The White Lotus”, che trattava temi simili di disuguaglianza sociale e dirompente conflitto tra ricchi e poveri, “Nine Perfect Strangers” perde l’opportunità di approfondire il lato più oscuro dei suoi personaggi e delle loro motivazioni. La serie di Mike White aveva il merito di evolversi in una riflessione sociale intensa e sfaccettata, mentre quella di Jonathan Levine, pur nell’indubbio fascino visivo e nel cast eccellente, rimane più leggera e meno incisiva nel suo commento sociale. Il thriller psicologico che si annuncia nella premessa diventa presto un mero strumento per alimentare un dramma emotivo che, pur interessante, non lascia mai una traccia indelebile. La prima stagione di “Nine Perfect Strangers”, nonostante le sue premesse intriganti e un cast di grande talento, non riesce a decollare completamente. Resta un prodotto visivamente raffinato, con un ritmo avvolgente e piacevole, ma che soffre della mancanza di una profondità che avrebbe potuto renderlo veramente memorabile. Se cercate una visione leggera ma intrigante, questa serie potrebbe fare al caso vostro, ma se vi aspettate un thriller psicologico davvero indimenticabile, potrebbe lasciarvi con un senso di incompiutezza.

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