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Monsters University: una riflessione sul fallimento e la resilienza tra i mostri dell’università

Quando nel 2013 Pixar rilasciò Monsters University, in molti si aspettavano una semplice operazione nostalgica: un ritorno agli anni verdi dei mostri più amati del grande schermo, Mike Wazowski e James P. “Sulley” Sullivan, condita da gag universitarie e qualche richiamo emotivo al capolavoro del 2001 Monsters & Co.. Ma chi ha saputo guardare oltre la superficie, ha trovato in questo prequel una delle riflessioni più mature, sottili e coraggiose dell’intera filmografia Pixar. Un film che, pur parlando ai bambini, ha il coraggio di dire agli adulti una verità scomoda: a volte, anche se ci si impegna al massimo, non si riesce a realizzare i propri sogni. E va bene così.

Diretto da Dan Scanlon e prodotto da Kori Rae, Monsters University nasce da un’idea apparentemente semplice: raccontare le origini dell’amicizia tra Mike e Sulley. Ma sotto questa premessa classica si cela un film che sovverte le regole del racconto di formazione, proponendo una storia in cui il successo non arriva come premio alla tenacia del protagonista, ma come frutto di una maturazione interiore e, soprattutto, della capacità di accettare i propri limiti.

La trama si apre con un giovanissimo Mike, occhione verde pieno di speranze, che sogna di diventare uno spaventatore dopo una visita alla fabbrica di Monsters & Co.. Un sogno alimentato non solo dall’entusiasmo infantile, ma da una determinazione incrollabile. Quando anni dopo riesce a entrare alla prestigiosa Monsters University, il suo entusiasmo si scontra con una realtà dura: Mike non è spaventoso. Per quanto studi, si impegni e padroneggi la teoria alla perfezione, non riesce a incutere paura. Il suo compagno di corso Sulley, al contrario, è il figlio di una leggenda, dotato di un talento naturale, ma pigro e poco incline allo studio. La loro rivalità – uno scontro tra disciplina e dono innato – si trasforma lentamente in complicità, nel corso di un’avventura piena di prove, errori, cadute e, soprattutto, momenti di verità.

L’intuizione più interessante del film è che l’amicizia tra Mike e Sulley nasce non dalla somiglianza, ma dall’accettazione delle reciproche differenze. Quando Mike scopre che Sulley ha truccato il test finale per permettergli di vincere, il tradimento non è solo quello di un compagno: è il crollo di una visione idealizzata del merito. Eppure, proprio da questo crollo emerge la consapevolezza. Il momento in cui Mike si rende conto che nessun bambino ha paura di lui – neanche nel mondo umano – è una delle scene più struggenti e vere mai realizzate in un film d’animazione. È la presa di coscienza di un’intera generazione: non tutti possono essere quello che vogliono. Ma tutti possono trovare la propria strada.

Sul piano tecnico, Monsters University è un piccolo gioiello. L’animazione è raffinata, la palette cromatica vibrante e coerente con l’ambiente accademico fantasioso e iperrealistico creato da Pixar. La colonna sonora di Randy Newman, alla sua settima collaborazione con lo studio, accompagna i momenti salienti con una leggerezza ironica e mai invadente, donando ulteriore profondità emotiva a una narrazione già stratificata.

Il cast vocale originale, con i ritorni di Billy Crystal e John Goodman nei ruoli iconici di Mike e Sulley, è affiancato da un gruppo di nuovi personaggi ben caratterizzati e doppiati da voci di primo piano come Helen Mirren (nel ruolo della temibile preside Hardscrabble), Alfred Molina, Charlie Day e Aubrey Plaza. Ognuno di questi personaggi contribuisce alla costruzione di un microcosmo universitario bizzarro ma sorprendentemente realistico nei suoi meccanismi sociali.

Un dettaglio che ha fatto discutere i fan più attenti riguarda la continuità narrativa tra Monsters & Co. e il prequel: nel primo film, Mike afferma di conoscere Sulley fin dalle elementari, mentre in Monsters University i due si incontrano per la prima volta proprio al college. Un’incongruenza? Forse. Ma anche questo dettaglio, letto in chiave simbolica, suggerisce qualcosa di più profondo: la memoria, come l’amicizia, è una costruzione affettiva più che cronologica. E forse Mike, ripensando agli anni trascorsi insieme, ha semplicemente sentito che quella connessione era talmente radicata da risalire a un passato più lontano di quanto realmente fosse.

Nonostante questo piccolo scivolone di continuità, Monsters University riesce nell’impresa non scontata di non tradire l’essenza del film originale. Anzi, la rafforza. Perché se Monsters & Co. era una favola sul lavoro e l’empatia, Monsters University è un racconto sul fallimento e sulla resilienza. Due facce della stessa medaglia, due tappe dello stesso percorso di crescita.

Alla fine, Mike e Sulley vengono espulsi dall’università. Ma non è un fallimento: è l’inizio. Lavorando umilmente nella posta di Monsters & Co., i due ricostruiscono la loro carriera pezzo dopo pezzo, fino a raggiungere l’obiettivo tanto desiderato. Non grazie a scorciatoie, ma con esperienza, maturità e rispetto reciproco. Un messaggio prezioso, oggi più che mai.

Monsters University è, in ultima analisi, una celebrazione dell’imperfezione. Un inno a tutti coloro che non brillano subito, che vengono esclusi, che cadono e si rialzano. È un film che osa dire che non esiste una sola strada verso il successo, e che la vera grandezza sta nel riconoscere chi si è davvero. Un’opera che, sotto la superficie colorata e comica, offre una lezione di vita autentica. Per piccoli mostri. E per grandi spettatori.

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